"...Camminava lungo i sentieri stretti del fitto bosco nel quale soleva rifugiarsi quando la sua anima era in lotta con se stessa... E mai come in quell'istante, la realtà appariva perfetta metafora, ma pure e paradossalmente, perfetto contrasto di tutto ciò che la sua vita ancora una volta era, in quel preciso momento. 
Il sole filtrava tra gli alberi e il cinguettio degli uccellini era quasi assordante. Stava in quel sentiero stretto, stretto ed impervio come era stata sino a quel momento la sua esistenza, un'esistenza nella quale capitava che talvolta filtrasse un raggio di sole, un sole che, però, sempre troppo presto veniva oscurato dai pensieri cupi e tempestosi di una mente troppo abituata a pensare, troppo abituata a voler capire fatti, che il più delle volte una spiegazione non avevano. 
Era costantemente preoccupata per ciò che sarebbe stato il suo futuro, ripiegata di continuo in un estenuante calcolo quasi matematico di cose che avrebbe dovuto o potuto fare, per rendere il suo presente, ma anche il suo domani, un "luogo ameno", una realtà concreta e stabile nella quale ogni tassello, al giusto posto, avrebbe potuto darle la certezza di un equilibrio non solo materiale, ma anche e soprattutto di sentimenti ed emozioni.
Era stanca di camminare. Camminare e pensare erano due attività per lei incompatibili. L'una toglieva risorse all'altra. 
Scelse quindi un albero, ai piedi del quale ammucchiò alcune pietre, e sopra quelle pietre si sedette. 
Prese a contemplare la natura, magnifica nella sua perfezione, ma nel contempo sentiva, assordanti, le grida della sua anima lacerata... le urla di un cuore, il suo, al quale ancora una volta aveva negato la possibilità di trovare la propria dimensione ed una propria, meritata pace. Un cuore al quale aveva, insensatamente, tolto ciò, anzi colui, che - in quel momento - aveva piena certezza essere stato (ed essere pure in quell'istante), la dolce realtà, il tenero sollievo e la concreta, amorevole presenza, di quegli ultimi anni della sua complicata vita. 
Era arrabbiata con se stessa e con quella sua innata capacità di rendere ogni cosa bella della sua esistenza, un inferno senza fine. 
Guardava quei raggi di sole filtrare tra le cime, respirava l'aria fresca mattutina, carpiva ogni più piccolo particolare di quella vita pulsante e dinanzi a tale scenario, nel quale qualsiasi creatura non avrebbe potuto che sperimentare il sereno abbandono dei sensi, sentiva ancor più profonda e dolorosa la propria inadeguatezza, il proprio intimo tormento, di fronte alla consapevolezza di aver reso ancora una volta il proprio cammino, non una passeggiata rigenerante tra i colori ed i profumi della primavera, bensì un percorso in salita, costellato di pericoli e di piccole e grandi perdite ed insidie.
Restò seduta su quel mucchio di pietre fino a che, lucidamente consapevole e discretamente rassegnata, meditò di rimettersi in cammino, già pensando ad una successiva meta, seppur non prestabilita né tantomeno conosciuta. 
Raccolse quindi le forze, le ultime rimaste, e dopo aver fissato nella memoria quel preciso albero, che le aveva dato riparo, e quel mucchio di pietre da cui - seppur un po' scomoda - aveva donato all universo i suoi sconsolati pensieri, "salutò" con un cenno del capo quel luogo e ripartì... Non prima però di aver pronunciato, involontariamente e a voce alta, queste precise parole: 'ti amerò sempre e aldilà di tutto... sii felice amore mio'...."
S.P.