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Autore: _Mhysa_    28/07/2017    2 recensioni
[13 Reasons Why - Tredici]
13 Reasons Why - Tredici | What if | One shot |
E se quella sera, alla festa di Jessica, Clay fosse rimasto? Se avesse, finalmente, scelto di scegliere?
Dal testo:
"L’indecisione lo invade peggio di una razza aliena, l’inadeguatezza batte come un tamburo sulle pareti dello stomaco: cosa diavolo deve fare? Ma soprattutto, qual è la scelta giusta? Questo quesito lo tormenta; nella maggior parte dei casi non lo capisce, e anche quando crede di averlo capito sceglie di non scegliere affatto. Semplicemente, si alza dal sul posto – lasciandolo vuoto – e si dirige altrove. È ciò che ha fatto ogni volta con Hannah Baker, nonostante sarebbe voluto rimanere lì, seduto, e offrirle il posto accanto alla sua sedia scomoda."
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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S
cegliere di scegliere

“Scegliere di non scegliere è comunque una scelta”.
È tutto il giorno che questa frase balena nella mente di Clay, deve averla letta nel libro di filosofia, o in una delle riviste letterarie che sua madre tiene sul tavolino di vetro in bagno.
Ad ogni modo, ci pensa costantemente. Perché tutto sommato è quello che sa fare meglio: non prendere posizione. Ogni qual volta si ritrova di fronte a una scelta da compiere una fastidiosa ansia da prestazione lo travolge, e allora gli sudano le mani, il cervello si sovraffolla di ragionamenti perlopiù illogici e banali e la gola gli si annoda più stretta di una cravatta. L’indecisione lo invade peggio di una razza aliena, l’inadeguatezza batte come un tamburo sulle pareti dello stomaco: cosa diavolo deve fare? Ma soprattutto, qual è la scelta giusta? Questo quesito lo tormenta; nella maggior parte dei casi non lo capisce, e anche quando crede di averlo capito sceglie di non scegliere affatto. Semplicemente, si alza dal sul posto – lasciandolo vuoto – e si dirige altrove. È ciò che ha fatto ogni volta con Hannah Baker, nonostante sarebbe voluto rimanere lì, seduto, e offrirle il posto accanto alla sua sedia scomoda.
“Scegliere di non scegliere è comunque una scelta”.
Eccola di nuovo, monito severo e giudizioso. Perché? Ma è chiaro, perché di nuovo non sa quale sia questa maledettissima scelta giusta, di nuovo si sente inadeguato per questo mondo che non riesce a comprendere. Andava tutto bene, fino a un attimo fa. Era su un letto comodissimo, in una stanza dalle pareti chiare, e stava baciando Hannah, finalmente; quante volte aveva immaginato il sapore di quelle labbra piene, labbra che credeva non avrebbe mai avuto il diritto di sfiorare. E invece era successo, incredibile ma vero. E le sue mani stavano scorrendo sulla sua pelle diafana e delicata, una pelle di cui desiderava esplorare ogni centimetro. Tutto era perfetto, ma poi deve aver commesso un grave errore, e allora si è ritrovato una Hannah Baker sconvolta e in lacrime, che per la seconda volta gli sta urlando rabbiosamente di andare via.
Clay si abbottona la camicia con mani sudate e tremanti. E pensa. Sta di nuovo strapensando. Deve ascoltarla? In fondo ci ha provato a calmarla, ma lei lo ha cacciato senza esitazione. La guarda, prova a dire qualcosa, schiude perfino le labbra ma non produce nessun suono.
Gli sta chiedendo di lasciarla sola perché lo vuole davvero? Cosa ha potuto fare di così sbagliato?
Per un attimo gli passa per la testa un pensiero strano, è veloce come un lampo e a stento riesce a coglierlo. E se fosse lei a sbagliare? Se fosse lei il problema, e non lui, per una volta?
No, si dà subito dello stupido. Non può essere così. Se ha una certezza nella sua vita è proprio questa: lui non sa come ci si comporta, con le persone, per questo di solito le evita. Ma non stavolta, con Hannah è stato diverso, quasi semplice; non lo ha mai trattato come se fosse invisibile, o inadeguato, o ridicolo. Ed è una frana, con le donne, ma con lei sembra non essere un problema.  Per questo si è permesso di andare fino in fondo, o almeno di provarci. Ma ha sbagliato, ancora.
Si dirige verso la porta, poggia la mano sulla maniglia; deve uscire, andare via, è ciò che Hannah vuole, e forse è la scelta giusta. Apre la porta, muove piccoli passi, l’attraversa, è fuori.
Dall’uscio sente nitidamente i singhiozzi che scuotono il petto della ragazza che sta lasciando sola. Non la smette di piangere; lui si sente morire dentro perché sa di aver causato quel pianto che mai avrebbe voluto vedere inumidire il suo volto perfetto.
Chiude gli occhi e cerca di respirare, piano. Deglutisce, la saliva passa appena, un nodo già gli stringe l’esofago.
E se tornassi? si dice. Mette pausa a tutto il resto e si focalizza sull’unico particolare che ha tralasciato: cosa vuoi veramente tu, Clay Jensen?
Non se lo chiede mai, ha sempre creduto che non fosse poi così importante. Questo forse è stato il suo più grande errore. Adesso lo sa, l’ha capito; all’improvviso, fare la scelta giusta non gli interessa più. Tutto ciò che desidera è stare con lei. Tutto ciò che importa è scegliere di scegliere.
Torna indietro, chiude la porta e poggia la schiena al legno; la osserva, quasi sente l’impulso di piangere a sua volta, ma si trattiene. Ha paura, paura di quello che accadrà, paura di non sapere come agire, ma se ne frega. Ha scelto di restare.
Hannah lo fissa.
“Ti ho detto di…”
“Non posso”
Si stupisce della sua audacia, di solito è un codardo.
“Io… non voglio lasciarti sola, Hannah. Non me ne andrò”.
Si avvicina e si siede sul letto, accanto a lei, dove ancora sulle lenzuola è impressa la forma del suo corpo. Baker pare volergli urlare ancora contro ma si ferma, sconvolta da una reazione che mai si sarebbe aspettata da lui; Clay è così buono, gentile, accondiscendente, rispettoso. Clay è tutto ciò che lei pensa di non meritare, non è come gli altri, eppure per un attimo, uno soltanto, ha creduto che fosse loro, tutti loro insieme, tutti quelli che l’hanno delusa, offesa, maltrattata.
“Cos’hai? Perché ti sei bloccata?” le chiede lui.
Hannah alza gli occhi al cielo, le lacrime ancora scorrono sui suoi zigomi tondi per poi finirle tra le labbra piene; un groviglio informe di sensazioni negative la invade schiacciandole il petto, prova a districarlo, a capirci qualcosa, a spiegare, ma è difficile, quasi impossibile. Si sente confusa, disorientata, persa.
“Perché tu… io non… lasciami, Clay, vattene…” biascica.
“Non me ne andrò né adesso, né mai. Io voglio stare con te Hannah, amo… stare con te, perciò ti prego, dimmi cosa c’è che non va”.
La sua è una supplica; una volta suo padre gli disse che la cosa peggiore in assoluto nella vita è vedere le persone che ami soffrire. Adesso Clay sa che suo padre aveva ragione, dannatamente ragione, e vuole aiutarla, vuole prendere un pettine e districare i nodi che le schiacciano il petto.
Hannah fa un sospiro profondo, poi si passa una mano sul volto bagnato.
“Non dovresti desiderare di stare con me, non sarebbe bello come credi. Dopotutto io sono la troia della scuola”.
Quelle parole sono dure e violente come un cazzotto sul naso; Clay si sente offeso, perché è una grossa e stupida bugia, non può pensare davvero questo di sé stessa.
“Ma che stai dicendo? Non è vero!”
“Per loro sì, e anche per te. La verità non importa a nessuno”.
Quest’accusa lo offende ancora di più, se possibile; non ha mai creduto davvero alle dicerie sul suo conto.  A differenza degli altri lui Hannah la conosce, anche se non sempre la comprende.
“Non ho mai pensato una cosa del genere”
Hannah scuote il capo.
“Anche tu hai guardato quella foto, e quando abbiamo parlato della lista…”
“Sono stato un coglione, lo ammetto. Ma ero… arrabbiato, ero arrabbiato con te perché avevi scelto Justin e non me, arrabbiato con me stesso perché non ero in grado di confessarti ciò che provo e… mi sono comportato da vero idiota, ti chiedo scusa per questo”.
Jensen fatica a credere che queste parole stiano uscendo davvero dalla sua bocca. La guarda, guarda il dolore che le increspa i tratti delicati e precisi e si sente uno schifo; vorrebbe lavare via tutta la sofferenza, ma non sa come.
“C’è dell’altro?” le chiede, con un filo di voce. Teme la risposta.
Hannah inizia a fissare un punto impreciso avanti a sé, sembra quasi andare in trance, il suo sguardo è completamente assente. Tira un altro sospiro, non di sollievo, ma uno di quelli che si tirano quando portiamo qualcosa di pesante sulle spalle e a un certo punto ci fermiamo, stanchi, per posare il carico a terra. Giusto un attimo, giusto il tempo di riprenderci prima di continuare a trasportarlo nel nostro cammino.
“Tutto è iniziato con …” comincia, ma qualcuno la interrompe. Justin e una Jessica ubriaca fradicia fanno irruzione nella stanza; lei sta quasi per cadere, così scoppia in una risata grossa e fragorosa. Non smette di ridere nemmeno quando Justin le fa notare che non sono soli.
“Uhhh abbiamo interrotto qualcosa” dice, sarcastico. All’unisono Clay e Hannah si alzano in piedi.
“No… ce ne stavamo andando” spiega Jensen; Jessica continua a ridere come un’idiota.
“Se volete possiamo fare qualcosa a quattro” azzarda Justin; i due lo guardano inorriditi. “Andiamo, stavo solo scherzando! Non condividerei mai la mia ragazza con un perdente come te, Clay”.
“Già… beh, noi togliamo il disturbo” e nel dirlo Clay afferra d’istinto la mano di Hannah; la ragazza la ritira, lui allora si gira e la guarda dritto negli occhi umidi.
“Va tutto bene” le sussurra, rivolgendole un lieve sorriso. Baker annuisce e gli prende la mano di sua iniziativa; attraversano la stanza, poi il corridoio, dove incrociano Bryce con un drink in mano, che li fissa stranito, per poi dirigersi verso la stanza da cui sono usciti.
Lasciano la casa e, prima di andare, Clay scambia un’occhiata veloce con Jeff, il quale al contrario sta entrando nella villa con in mano una cassetta di birre. L’amico gli fa l’occhiolino.
Si ritrovano a camminare soli, ancora mano nella mano, tra le strade vuote del quartiere; per fortuna non piove più, ma un odore di asfalto e erba bagnate inebria l’aria fresca della notte. Proseguono in silenzio per molto tempo, senza riprendere la conversazione di poco fa; quando arrivano a casa di Hannah, Clay si ferma e la osserva.
“Sei arrivata” mormora. Lei ha gli occhi puntati sulla sua abitazione; le luci sono spente, probabilmente i suoi genitori stanno dormendo.
“Vuoi… vuoi restare?” chiede al ragazzo che le tiene la mano. Lui crede di aver sentito male.
“Sei… sei sicura?”
 Hannah annuisce e lo tira a sé per condurlo al giardino nel retro dell’abitazione. C’è un piccolo dondolo in ferro battuto, così si lasciano cadere sui cuscini verdi e iniziano a dondolare piano; le loro dita sono ancora intrecciate. Per qualche minuto si lasciano cullare dal silenzio della notte; ogni tanto Clay lancia qualche occhiata fugace a Hannah, che invece fissa il cielo.
“Tutto è iniziato con Justin”.
Così, all’improvviso, senza alcuna richiesta o esortazione, Hannah riprende da dove è stata interrotta e comincia a raccontare la sua storia, quella che nessuno conosce. Gli racconta di Justin, di come abbia diffuso una versione fasulla di ciò che è accaduto, di come abbia rovinato la sua reputazione con una sola, stupida foto. E poi gli racconta la verità, gli racconta del timido bacio che si sono scambiati, il primo della sua vita. E continua, gli parla di Jessica, di Alex, della loro amicizia, di come l’abbiano abbandonata quando si sono fidanzati; gli racconta della lista, del litigio con Jessica perché credeva che se la intendesse con Alex. Gli racconta del suo stalker, Tyler Down, e della foto del bacio tra lei e Courtney che ha mandato a tutti senza il suo consenso. Gli parla di Courtney, di come l’abbia trattata da capro espiatorio per nascondere la sua omosessualità. Di Marcus, del suo modo squallido e viscido di approcciare con lei al loro primo appuntamento; l’ha trattata come una troia, perché crede che sia questo e nient’altro, un bel corpo pronto a prestarsi a qualsiasi richiesta sessuale. Così come Bryce, che le ha palpato il sedere in un negozio, perché convinto che ne avesse il diritto, che potesse fare di lei ciò che gli pareva, tanto non si sarebbe opposta, le sarebbe stato bene, in fondo lei è solo una puttanella senza sentimenti, senza personalità. Un bel corpo che cammina, una facile, una che ti fai quando ne hai voglia. Già, è convinta che pensi proprio questo di lei. La maggior parte dei ragazzi che conosce lo pensano, forse anche Zach; l’ha invitata ad uscire, ma temendo di essere nuovamente presa in giro l’ha rifiutato. Allora lui ha iniziato a giocare con la sua solitudine, rubando i bigliettini anonimi che qualcuno lasciava nel suo sacchetto, alle lezioni di comunicazione. Quando se n’è accorta ha lasciato nel sacchetto una lettera in cui confessava a Zach ciò che stava vivendo.
“Sai, gli ho detto che quei bigliettini erano fondamentali per me. Mi facevano… mi facevano sentire meno sola. Mi dicevano: ehi, esisti per qualcuno, mi aiutavano ad andare avanti. Sai cos’ha fatto? L’ha gettata via, ha buttato via la lettera, mi ha completamente ignorata, lasciandomi annegare nella mia solitudine”.
Hannah ricomincia di nuovo a piangere, senza riuscire a guardare il ragazzo che le siede accanto negli occhi; Clay le stringe di più la mano, mentre ad ogni sua parola la rabbia che gli è nata dentro cresce, forte e incontrastata.
Dopo un breve silenzio Hannah si asciuga le lacrime con la mano libera e riprende il racconto, parlandogli di Ryan e del club di poesia. Del fatto che Ryan abbia pubblicato la sua poesia nonostante lei fosse contraria, rubandola dal suo diario. Gli confessa la sua delusione, poiché lei ha aperto il suo cuore e per questo è stata derisa e umiliata.
Piange ancora, e Clay vorrebbe che smettesse, mentre la rabbia ruggisce nella sua gabbia toracica, bestia tremenda e implacabile.
 “Ti ricordi… ti ricordi quando mi hai letto la poesia?” gli chiede, spiazzandolo. “Hai detto che probabilmente non saresti voluto uscire con la ragazza che l’aveva scritta”.
Un sorriso amaro le fiorisce tra le lacrime.
“Mi sbagliavo” sussurra Clay.
Hannah finalmente si volta e lo guarda; il pianto si interrompe, lui allora estrae un fazzoletto dal pacchetto riposto nella tasca e glielo porge, poi la osserva mentre si asciuga il volto.
“Prima… quando… quando ci baciavamo, ho pensato che tu potessi essere come loro, come Marcus, Bryce, Zach, Justin…”
Le scappa una risata nervosa.
“Che stupida!” esclama.
Gli lascia la mano e incrocia le braccia sul petto, stringendole; si sente di colpo imbarazzata, ha spalancato di nuovo le porte del suo cuore e adesso si chiede se ha fatto bene. Teme che Clay abbia cambiato opinione su di lei, magari pensa anche lui che sia una troia, magari semplicemente ha capito che è una persona piena di problemi, problemi di cui non vuole farsi carico. Hannah si convince che a breve si alzerà, lasciandola sola, e non le rivolgerà più la parola.
“Ora sai tutto” mormora, in un soffio. “Puoi andare se vuoi, non c’è niente che tu possa fare per…” 
“Io non sono loro” sentenzia Clay. Non è incerto, la sua voce non trema. Ha un tono sicuro, determinato; deve essere a causa della rabbia. Vorrebbe prendere la sua bici, recarsi da ognuna delle persone che ha ferito Hannah e urlargli che questa volta non è lui a sbagliarsi, stavolta sono loro ad aver commesso degli errori. Vorrebbe urlare al mondo che Hannah non è una troia, una poco di buono, un oggetto, un corpo senza anima, ma è una persona, con i suoi pregi e i suoi difetti. Ed è bellissima, dentro e fuori, solo non è perfetta. Nessuno lo è, nemmeno loro. E vorrebbe che provassero la sofferenza che le hanno causato, almeno un po’, per rendersi conto delle persone che non dovrebbero essere, delle ferite che non dovrebbero infliggere. Ma non può, la sola cosa che può fare è restare.
“Non me ne andrò, se tu mi vuoi io non me ne andrò” sbotta, con troppo fervore, un fervore che solitamente non gli appartiene.
Hannah lo fissa, sente le guance andare a fuoco, un calore le sale dal collo e le arriva alla fronte. Si morde il labbro inferiore, non sa cosa dire; però sa che desidera che Clay la sfiori, che la stringa, che la tenga stretta contro il suo petto non molto ampio.
“Loro… hanno sbagliato, sono stati degli… stronzi ma, sai che ti dico? Non sanno quello che si sono persi. Non c’è niente che non vada in te, non sei niente di ciò che loro credono che tu sia e… devi fregartene di quello che pensano. Ti prometto che… non ti faranno più del male, non glielo permetterò”.
“Clay…”
Decide di azzardare, ormai quella rabbia deve sfogarla in qualche modo, deve trasformarla in qualcosa di diverso. Allunga una mano, si ferma, esita, poi con cautela, con delicatezza, sfiora la guancia della ragazza più bella che abbia mai visto, l’unica che abbia davvero guardato. L’unica che esista per lui.
“Vuoi che resti?”
Hannah lo guarda, si umetta le labbra, ha la bocca secca e la gola che le brucia.
“Sì” dice, semplicemente.
Clay continua ad accarezzarla perché lei non si sposta, non si ritrae; si avvicina, ormai i loro volti sono separati da pochi centimetri. Praticamente un soffio.
Lui vorrebbe baciarla, lo desidera così tanto, ma di nuovo il suo cervello inizia a strapensare; di nuovo si chiede se farlo sia la scelta giusta. Forse non dovrebbe, forse lei non lo vuole… stop. Preme il tasto pausa, tutto questo pensare gli fa venire mal di testa, per di più le mani stanno ricominciando a sudare.
“Ti amo”
Oddio? L’ho detto sul serio? Forse, mentre ha messo il cervello in pausa, deve aver premuto il tasto play della sua bocca.
“Clay no… io non so se… se potrò…”
Hannah balbetta, in preda al panico; merita quell’amore? È troppo per lei, dovrebbe alzarsi e correre in camera sua, dovrebbe allontanarlo per non trascinarlo nel baratro in cui sta precipitando.
Non ha tempo di fare niente, si ritrova le labbra di Clay sulle sue. Le schiude e lascia che la sua lingua si intrecci a quella di lui.
Questo bacio non è come quelli di prima, è timido, dolce, caldo; e baciandolo, avvicinandolo al suo volto quando cerca di staccarsi, Hannah Baker comprende che Clay non si farà trascinare da nessuna parte. Capisce che quel bacio è una mano tesa per salvarla, per portarla su, per evitarle la caduta. Capisce che non è sola, non lo era e non lo sarà mai, fin quando permetterà a Clay Jensen di rimanerle accanto.
E intanto lui le mette una mano sul fianco, poi si pente, la toglie, è sudata. Allora lei la afferra e la rimettere dov’era, dove vorrebbe che fosse.
Continuano a baciarsi per molto tempo; Clay ripensa alla frase che l’ha tormentato per tutto il giorno.
“Scegliere di non scegliere è comunque una scelta”.
Già, ma scegliere di scegliere è l’unica mossa che ti rende vivo. Clay ha scelto di scegliere, ha scelto di vivere. Ha scelto di guardare ciò che tutti hanno ignorato.
“Ehi, ragazzi, credo proprio che sia ora di andare a letto”.
La madre di Hannah fa capolino nel giardino, con un’espressione severa in volto e i pugni puntellati sui fianchi. I due si staccano immediatamente e si guardano carichi di imbarazzo e vergogna.
“Sì mamma ehm… torno… torno subito, okay? Ora vai dentro”.
“No, non entrerò fin quando non verrai!”
La ragazza sbuffa e si alza, Clay è già in piedi e cerca una qualche giustificazione plausibile, ma in realtà i fatti parlano da soli.
“Ehm mi dispiace signora Baker, noi stavamo solo… ehm…”
“So che stavate facendo, giovanotto… e non sono affari miei, ma è tardi perciò farai bene a tornare a casa”.
La donna gli rivolge un leggero sorriso e con le braccia incrociate e l’aria di chi la sa lunga attende la figlia.
“Buonanotte Clay” mormora la ragazza.
“Buonanotte Hannah, signora”.
Le osserva entrare in casa; lei si volta poco prima di sparire dietro la porta e gli mima con le labbra le parole: scrivimi domani. Lui alza la mano per salutarla e poi annuisce; quando la porta si chiude si decide a tornare a casa, incamminandosi con un sorriso da ebete a curvargli le labbra.
Intanto pensa che no, non aspetterà domani, le scriverà appena arrivato a casa.
Perché d’ora in poi sceglierà sempre e solo di scegliere.
 
                                                                            *****
 

Il cellulare di Hannah vibra sul comodino, mentre lei si gira e rigira nel letto incapace di dormire. Non riesce a smettere di pensare a ciò che è successo; si scopre dal lenzuolo che aveva tirato fin sopra la testa e afferra il telefono. Il suo sguardo si illumina quando legge la notifica di un messaggio da parte di Clay. Con sua enorme sorpresa non ha aspettato domani; apre il messaggio e lo legge.
 
Casco: Per la cronaca, i bigliettini erano i miei. Ehi, per me esisti.
Buonanotte <3
 













 Note d’autrice
Ehilà, gente!
Questi giorni estivi sono per me l’opportunità di mettere nero su bianco storie che avevo nella mia testolina e non trovavo mai il tempo di scrivere. In realtà ho iniziato questa one shot subito dopo aver concluso la serie, ma non riuscivo mai a terminarla.
Ad ogni modo, parliamo di Tredici. Dunque, è una serie molto controversa che ha diviso il grande pubblico in due fazioni: coloro che la amano e coloro che pensino faccia schifo. Diciamo che non appartengo a nessuno dei due gruppi; il prodotto mi è piaciuto per diversi motivi, ma sono consapevole che non sia perfetto e che poteva essere gestito meglio. Comunque devo dire che nel complesso mi sento molto più di mettermi tra quelli che la amano, perché devo dire che questa serie mi è rimasta dentro, tratta temi a me cari e ho apprezzato particolarmente la caratterizzazione dei personaggi. Al primo posto tra questi metto senza ombra di dubbio Clay; mi sono molto arrabbiata quando ho visto la sua cassetta poiché non mi è sembrato giusto che Hannah l’abbia inserito tra i motivi che l’hanno portata ad uccidersi. Lui non poteva sapere il dramma che stava vivendo e, invece di cacciarlo, avrebbe potuto semplicemente parlargli. Tuttavia devo ammettere che c’è una caratteristica di Clay che non amo: l’ignavia. Odio chi non prende posizione, chi non si espone troppo, chi tra tutte le opzioni a disposizione sceglie quella di non scegliere affatto, di non fare niente. E Clay è così, con Hannah non ha mai azzardato, non è mai stato capace di farle capire quanto gli piacesse. La puntata della sua cassetta mi ha fatto provare una rabbia infinita, perché se fosse rimasto, se avessero parlato le cose sarebbero andate in modo diverso e lei non sarebbe morta. Non è stato giusto affibbiargli questa grave colpa, eppure è vero che se lui quella sera non l’avesse lasciata sola sarebbero stati insieme. Perciò ho voluto realizzare questa versione alternativa in cui Clay Jensen sceglie di restare, sceglie di fare una scelta. Il dialogo tra i due è un po’ ispirato a quello che immagina lui dopo aver ascoltato la cassetta.
Spero che la storia vi sia piaciuta, se vi va lasciate una recensioncina!
Alla prossima!
_Mhysa_ 
  
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