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Autore: Echocide    28/07/2017    7 recensioni
[Sequel di Miraculous Heroes e Miraculous Heroes 2]
La minaccia di Maus è stata sventata, ma non c'è pace per i nostri eroi: il mistero dell'uccisione degli uomini del loro nemico non è stato risolto e un nuovo nemico trama nell'ombra...
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quantum Universe'
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Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.127 (Fidipù)
Note: Secondo appuntamento della settimana con Miraculous Heroes 3 e con questo ritornano anche le informazioni su Parigi e precisamente sul ristorante 58 Tour Eiffel, che si trova al primo piano del monumento simbolo di Parigi, e accoglie i suoi clienti tutti i giorni per un pranzo veloce e ludico: una hostess vi guiderà verso il tavolo e il pranzo sarà servito in cestini per il picnic, per un pasto assolutamente originale.
E con ciò le informazioni sono finite e posso passare tranquillamente alle classiche informazioni di rito: come sempre vi ricordo la pagina facebook dove essere sempre aggiornati su capitoli, anteprime e coming soon, senza contare i miei disagi.
Vi ricordo che domani sarà aggiornata Lemonish, a conclusione della settimana.
Detto ciò, come sempre, voglio ringraziarvi tantissimo per il fatto che mi leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

Il suono della sveglia risuonò nella stanza, strappandola al sonno e facendole aprire pigramente un occhio, mentre allungava una mano con fatica e la spegneva, abbassando di nuovo le palpebre e lasciandosi tentare dal calore delle coperte e dell’altro occupante del letto: Adrien dormiva ancora profondamente, del tutto ignaro che la sveglia aveva imperiosamente messo inizio a una nuova giornata, e la stringeva per la vita, il respiro che le solleticava la pelle del volto e della spalla.
Sarebbe voluta rimanere lì per tutta la giornata, cullata da lui e protetta in quell’abbraccio, ma doveva alzarsi.
Si mosse leggermente, avvicinandosi al bordo del letto e stando attenta a non svegliarlo, riuscì a mettere fuori le gambe e poi, con molta fatica, si liberò dalla stretta e sgusciò completamente fuori dal letto, rimanendo un attimo in piedi e osservando il marito ancora immerso nel sonno: «E’ carino. Quando dorme e sta zitto» commentò Plagg, volandole attorno al volto e posandosi sulla sua spalla: «Il problema è che lo fa poco.»
«Ti sento, Plagg» borbottò Adrien con la voce impastata dal sonno, mentre si voltava e, con un lungo e profondo sospiro, si abbandonava nuovamente alle spire del sonno.
«Mi domando se mi ha risposto perché mi ha veramente sentito oppure perché mi sta sognando» decretò il kwami nero, scuotendo la testa e lasciando andare un lungo sospiro: «Colazione, signorina?»
«Colazione sia» dichiarò Marinette, osservando il kwami volare fuori dalla camera e seguendolo fino alla cucina, con Tikki appreso: «Adrien non ha lezioni stamattina. Potevi dormire tranquillamente, Plagg» mormorò, iniziando a recuperare dai pensili ciò che le serviva per il primo pasto della giornata e fissando Plagg scuotere la testa, mentre recuperava la forma di camembert dal frigo.
«Plagg sta dormendo poco ultimamente.»
«Tikki…»
«E’ la verità.»
«C’è qualcosa che ti preoccupa?»
«C’è qualcosa che non preoccupa nessuno ultimamente?» domandò Plagg di rimando, tenendo lo sguardo verde in quello di Marinette e vedendola annuire: «Non è niente di grave, signorina. Non mi piace questa situazione, tutto qua.»
«Non piace a nessuno, Plagg.»
Il kwami annuì, sistemandosi sul tavolo e aprendo la scatola di formaggio, afferrando poi un triangolo dall’interno e portandoselo alle labbra, sotto gli sguardi di Marinette e Tikki: la kwami sorrise, scuotendo il capino e iniziando ad aiutare la ragazza nella preparazione della colazione, fino a quando la suoneria del cellulare di questa non disturbò il silenzio della casa.
«L’ho lasciato in camera.»
«Vado a prenderlo» dichiarò Tikki, schizzando verso il corridoio che portava alla zona notte della casa e tornando poco dopo, con l’apparecchio fra le zampette: «Marinette, è Nathaniel» dichiarò, posando il cellulare sul tavolo vicino a Plagg: tutti e tre rimasero a fissare lo schermo illuminato e il nome del mittente della chiamata, fino a quando il telefono smise di suonare.
«Sta diventando insistente» commentò il kwami nero, masticando lento il formaggio e fissando lo schermo ormai spento e nero: «Che farai?»
«Immagino che l’omicidio sia ancora illegale, vero?»
«Sì, signorina. Almeno l’ultima volta che ho controllato io.»
«Marinette, non è la soluzione questa.»
La ragazza piegò gli angoli della bocca in un sorriso senza allegria, posando le mani ai bordi del cellulare e fissando lo schermo, che rimandava il riflesso poco chiaro di lei: «Non permetterò che faccia del male ad Adrien» dichiarò, facendo scivolare le dita sul tavolo e stringendo le mani a pugno: «Nathaniel non si avvicinerà mai più a lui. Sono pronta a tutto pur di difenderlo.»
Plagg la fissò per un momento, annuendo poi con un sorriso pieno di divertimento in volto: «Mi ricordi qualcuno, sai?» buttò lì, prendendo un nuovo triangolo di formaggio e addentandolo, masticando poi lentamente il boccone.
«Chi?» chiese la ragazza, inclinando la testa e fissando con curiosità il kwami, mentre questo si prendeva tutto il tempo del mondo per mangiare e deglutire.
«Me stesso.»


Sarah recuperò i libri dalla borsa, osservando Mikko sbadigliare e ricambiò il sorriso della piccola kwami, prima di chiudere la borsa e sistemarla al suo fianco, guardandosi poi attorno e notando una certa confusione nell’aula: la lezione sarebbe iniziata a breve, eppure nessuno era intenzionato a prendere posto.
Prese nuovamente la borsa, recuperando l’agendina dove si era segnata gli orari dei corsi e l’aprì velocemente, sotto lo sguardo confuso di Mikko che, in silenzio, osservava ogni sua mossa; Sarah picchiettò l’indice sulla lezione che doveva esserci, alzando poi la testa verso la cattedra vuota e respirando lentamente.
Il professor Fabre non ci sarebbe stato quella mattina o sarebbe arrivato semplicemente in ritardo?
Si voltò, alla ricerca di un volto familiare fra quelli dei suoi colleghi e sorrise nel vedere una ragazza con cui aveva studiato assieme per gli esami appena passati: «Letitia?» mormorò, piegandosi verso di lei e attirando l’attenzione dell’altra: «Sai per caso se il professor Fabre farà lezione oggi?»
Letitia scosse il capo, facendo ondeggiare i corti ricci ramati: «E’ venuto un professore poco prima che tu arrivassi» le spiegò, catturando una ciocca e rigirandosela attorno al dito: «Il professore sarà assente e qua si sta decidendo che fare. Noi andiamo in biblioteca, ti vuoi unire?»
Sarah annuì con la testa, senza prestare troppa attenzione alle parole e poi riscuotendosi improvvisamente: «Ah. Sì, certo. Dove andate?»
«Non so, pensavamo una qui vicino.»
«Ok.»
Si voltò nuovamente verso la scrivania, lasciando andare un sospiro e socchiudendo le palpebre, mentre tamburellava le dita sui libri e poi recuperando il cellulare dalla borsa e mandando un breve messaggio a Rafael, informandolo della nuova possibile sparizione del padre.

 

Bridgette sorrise al cameriere, mentre le scostava la sedia dal tavolino e lei si accomodava, passandosi le mani sulle natiche e tenendo così la gonna scura, impedendo a questa di risalire e spostando poi lo sguardo sul panorama parigino immerso nella luce del sole e poi dando un’occhiata distratta alla struttura metallica della Dama di Ferro: «Fra tutti i ristoranti di Parigi…» mormorò Felix, accomodato davanti a lei, attirando così la sua piena attenzione: l’uomo era rigido sulla sedia, le mani che tenevano il bordo del tavolo e lo sguardo celeste che sembrava volersi calamitare ovunque tranne che sul panorama.
«Soffre di vertigini, sergente Norton?» domandò Bridgette, notando come l’uomo aveva serrato la mascella e gli occhi si erano posati su di lei con una luce omicida: «Come facevi a Nanchino? Abbiamo sempre…»
«Erano più bassi» bofonchiò Felix, prendendo il tovagliolo e spiegandolo, posandoselo poi sulle gambe: «E non soffro di vertigini, amo solo stare su strutture stabili.»
«La Tour Eiffel è stabile.»
«Dillo a Le mime.»
«Chi?»
«Uno degli akumatizzati di Gabriel» Felix sospirò, scuotendo leggermente il capo: «Non ti sei mai informata di quello che aveva fatto da Papillon?»
«Giusto il minimo. Non che mi interessasse.»
«Bri…»
«Ehi, ero venuta qua per prendere i Miraculous, non per studiare le mosse di Papillon ai tempi in cui era cattivo» borbottò la donna, incrociando le braccia al petto e voltandosi di lato, osservando il cameriere giungere verso di loro con il loro pasto: sorrise, mentre lo guardava posare un cestino di metallo davanti a loro, pieno di prelibatezze: «Grazie mille» mormorò al ragazzo che li aveva serviti, osservandolo poi andarsene e spostando l’attenzione su Felix, che fissava dubbioso ciò che era stato portato loro.
«Cosa è?»
«Chic Picnic» decretò Bridgette, poggiando i gomiti sul tavolo e prendendosi il volto fra le mani, osservando Felix allungare il collo e studiare il contenuto del cestino, mentre il loro cameriere tornava con una bottiglia di vino rosso: «Per quanto tu abbia abbracciato il tuo lato felino…» iniziò, una volta che furono nuovamente soli: «Ho notato che mangi sempre a casa o, comunque, in ristoranti abbastanza classici, caro il mio sergente Norton.»
«Blanchet. Mi chiamo Blanchet.»
«Anch’io adesso mi chiamo Willhelmina, ma tu continui a chiamarmi Bridgette.»
«Forse perché Willhelmina è un nome orrendo?»
«Era il nome di mia madre.»
«Tua nonna doveva volerle veramente male.»
Bridgette sospirò, contando mentalmente fino a dieci e poi riprendendo a parlare: «In ogni caso, vista la tua classicità nel consumare i pasti, ho pensato che questa sarebbe stata un’alternativa interessante» dichiarò, sorridendo allo sguardo celeste: «Fidati, è tutto buono» allungò un dito, indicando i contenitori di vetro e le pietanze che contenevano: «Abbiamo zuppa di funghi con crema di funghi, formaggio di capra ed erba cipollina; insalata di fagioli con baccalà in camicia, mandorle tostate e panna acida…» si fermò, mordendosi il labbro inferiore e spostando la mano: «Questo dovrebbe essere pollo arrosto, poi il puré di patate con erbe e crema di porto; infine i dolci: mousse di cioccolata con praline e scelta di formaggi con marmellata. Ho imparato il menu.»
«Sono allergico ai funghi.»
«Cosa?»
«Sono allergico ai funghi» ripeté Felix, indicando la zuppa: «Se vuoi uccidermi è il modo migliore. Xiang ci ha provato a Shangri-la.»
«Come Xiang ci ha provato…» Bridgette si fermò, scuotendo il capo e socchiudendo gli occhi, mentre si mordeva il labbro inferiore e apriva la bocca, richiudendola e dando poi voce ai suoi pensieri: «Puoi spiegarti?»
«Ho scoperto di essere allergico quando vivevo a Shangri-la» iniziò Felix, poggiandosi con le spalle allo schienale della sedia e intrecciando le mani in grembo: «E diciamo che i ristoranti lì scarseggiano, quindi cucinavamo a casa; un giorno Xiang trova questi funghi e fa una bella zuppa…» si fermò, storcendo le labbra e annuendo al ricordo di ciò che era avvenuto e di come si era sentito male: «Kang mi ha salvato anche quella volta.»
«Non lo sapevo…»
«Pensavo fosse un modo per vendicarti del fatto che io mi sia preso delle libertà.»
«Ti prendi sempre delle libertà» bofonchiò Bridgette, scuotendo il capo e lasciandosi andare sulla sedia: «Inoltre, pensavo che avevamo messo in chiaro ciò che era successo a Nanchino.»
«Sai com’è…» Felix alzò le spalle, infilando una mano nella tasca della giacca e tenendola lì, quasi come se stesse giocherellando con qualcosa: «Tutto questo chiamarmi ‘sergente Norton’, i ricordi di Nanchino…» si fermò, sorridendo appena: «Mi ha fatto notare come io non abbia mai cercato di riparare a ciò che ho fatto e ho pensato che…»
«Maxime?»
Felix si fermò, osservando la donna poggiare i palmi sul tavolo e osservare un punto nella stanza alle sue spalle, si voltò e guardò i pochi avventori del locale, senza riconoscere nessuno: «Maxime?» domandò, tornando a guardare Bridgitte e osservandola sedersi, mentre si portava una mano alla fronte e massaggiava la pelle: «Non è il nome del tuo assistente?»
«Sì»
«Era qui?»
«Non lo so» dichiarò Bridgette, scuotendo il capo e guardando Felix negli occhi: «Ultimamente lo intravedo molto spesso ma…» si fermò, scuotendo la testa e abbassando lo sguardo sul cestino fra loro: «Alle volte penso di avere le allucinazioni: un momento c’è, quello dopo no. Forse i miei duecento anni si iniziano a far sentire, oppure è il post-possessione di Chiyou. Non so proprio…»
«Oppure potrebbe centrare qualcosa con il nostro nemico, non credi?»
«Maxime? Andiamo, Felix!»
«E’ un’eventualità, Bridgette.»
«Ma non avrebbe senso.»
«Il padre di Rafael e l’amico di Marinette e Adrien hanno senso, secondo te?»
Bridgette scosse nuovamente il capo, quasi a commentare così l’idea di Felix: «Che stavi dicendo prima?» domandò, mentre ripercorreva con la mente la conversazione e si rendeva conto che l’aveva interrotto: «Stavi parlando di Nanchino e poi io ti ho fermato.»
Felix sorrise, allungando una mano nel cestino di metallo e recuperando i vari contenitori, iniziando a dividerli fra loro due: «Non è il momento adatto» dichiarò, strizzandole l’occhio e ridacchiando di fronte all’espressione confusa di lei: «La prossima volta.»
«Sai che dire così stimola la curiosità?»
«Lo so.»
«Sei perfido.»
«Lo so.»


Qionqgi osservò la donna che camminava attorno alla pozza d’acqua, accorgendosi di come Hundun non aveva prestato molta attenzione alla sua presenza; rimase immobile nel cono d’ombra creato da una delle colonne dell’androne dell’abitazione, studiando i movimenti lenti e cadenzati dell’altra, mentre un’idea gli accarezzava la mente.
Stavano rischiando tutti e quattro.
Troppe volte avevano deluso il loro signore ed erano su quella che si poteva tranquillamente dire ‘essere la stessa barca’: allora perché non gettare via i pezzi più deboli? Perché non lanciare un piccolo seme, instillare un’idea e rimandare il momento inevitabile dell’affondamento?
Annuì a se stesso, uscendo dal suo nascondiglio e osservando Hundun di spalle: si avvicinò silenzioso, posandole le mani sulle spalle tirandola contro di sé, stringendola in una presa ferrea: «Cosa stai pensando?» le domandò, carezzandole il lobo con le labbra e guardando distratto la polla d’acqua.
Una ragazza dai lunghi capelli castani e la pelle olivastra.
Un volto non propriamente familiare ma nemmeno sconosciuto.
«Chi è?»
«Non lo so» mormorò Hundun con la voce spezzata e il petto che si muoveva ansante: «Voglio solo…»
«Cosa vuoi?»
«Toglierla di mezzo.»
«E allora perché non lo fai?» le sussurrò, mentre la tirava leggermente contro di sé, mentre un sorriso gli piegava le labbra di fronte all’agitazione della donna: «Potresti usare il tuo potere e liberarti da questa catena» si fermò, leccandole il contorno dell’orecchio con la punta della lingua: «E’ questo quello che vuoi, non è vero. Togliere questa catena della tua vecchia vita, essere libera…»
«Sì.»
«E allora fallo. Non indugiare. Liberati.»


Le risatine l’accolsero non appena mise un piede fuori dalla scuola e furono il suo accompagnamento per tutto il tragitto fino al cancello: da quando aveva iniziato a frequentare Thomas e Jérèmie, Noemie attendeva sempre i momenti in cui era da sola per prenderla di mira o ridere di lei assieme alla sua corte di amichette.
Manon doveva ancora comprendere il motivo di tale trattamento, ricordando ancora i tempi in cui la ragazzina era stata la sua migliore amica
Noemie era cambiata molto da quando erano entrate al collége e quasi le sembrava che solamente vedendola, Noemie, ricordasse qualcosa che voleva dimenticare: che cosa c’era di così profondamente sbagliato nel periodo che avevano condiviso assieme, lei doveva ancora comprenderlo.
Avevano giocato, avevano riso assieme, si erano divertite.
C’era forse qualcosa di sbagliato in tutto questo?
Forse c’era qualcosa che lei non comprendeva, che sfuggiva alla sua logica e che, invece, era ben saldo in quella di Noemie.
Una nuova ondata di risatine si levò dal gruppetto e Manon resistette alla tentazione di voltarsi e fissarle, sentendo la mancanza dei suoi due fidi cavalieri: si era abituata fin troppo alla presenza dei due ragazzini e adesso trovava difficoltoso proteggersi da sola, anche da delle semplici risatine.
Si fermò fuori dal cancello, voltandosi e trovando Noemie completamente rivolta verso di lei, con lo sguardo pieno di risentimento e odio: che cosa le aveva fatto per farla diventare così? Ogni volta che cercava di trovare il motivo di tutto ciò, non riusciva a comprendere alcunché.
Non si era comportata male con lei.
Non le aveva fatto nessun torto.
Si era semplicemente comportata da Manon, come sempre.
Eppure…
«Missione: salviamo la principessina di Thomas iniziata» decretò una voce femminile, prima che una presa ferrea l’avvolgesse e la sollevasse da terra: Manon annaspò, muovendo mani e braccia nell’aria, prima di venir messa nuovamente giù e si voltò, osservando le quattro ragazze che erano lì davanti a lei.
«Ma cosa…?»
«Thomas ci ha mandato un messaggio» le rispose Sarah, sorridendole con dolcezza e allungando una mano, sistemandole una ciocca di capelli. «Ha detto che oggi aveva gli allenamenti e non poteva aiutarti a uscire da scuola.»
«Perché avrebbe problemi a uscire da scuola?» domandò Xiang, voltandosi verso colei che aveva assaltato Manon e osservandola indicare il gruppetto di Noemie: «Che ti hanno fatto quelle ragazzine, Lila?»
«Penso che quelle ragazzine siano il motivo per cui Manon ha bisogno di aiuto, futura signora Simmons.»
«Piantala di chiamarmi così.»
«Dire così spezza il cuore ad Alex, sai?»
Marinette sospirò, alzando gli occhi al cielo e, avvicinatasi a Manon, le passò un braccio attorno alle spalle, dando un’occhiata al gruppetto: «Ma quella non è la tua amica?» domandò, inclinando la testa e studiando la ragazzina dall’aspetto familiare: «Avete litigato per caso?»
«Non lo so.»
«Come non lo sai, Principessina di Thomas?»
«Lila, puoi piantarla con questi soprannomi?»
«Mancano il micetto e piumino, Sarah. Devo fare le veci.»
«E chi l’ha detto?»
«Io.»
Sarah sbuffò, scrollando le spalle e fissando l’amica: «Andiamo da Starbucks?» domandò, sorridendo quando vide lo sguardo dell’italiana illuminarsi: «Così mettiamo sotto torchio Manon per quanto riguarda l’amica e tu la pianti di dare soprannomi.»
«Pensi davvero che così si fermerà?»
«Ci spero, Marinette.»


Balzò sul piccolo davanzale della finestra, mentre un sorriso vittorioso gli piegò le labbra quando poggiò la mano sul vetro e lo spinse verso l’interno, saltando poi dentro l’abitazione e non trovandola poi tanto cambiata dall’ultima volta che era stato lì: il caos regnava ancora sovrano e molti fogli erano sparsi qua e là, mentre il laptop era abbandonato sul tavolino davanti al divano.
Niente di diverso, se non l’assenza del proprietario della casa.
Peacock fece alcuni passi, guardandosi attorno e fermandosi poi nel punto più centrale della stanza, senza sapere esattamente cosa fare.
Cosa aveva pensato quando era giunto lì?
Di trovare suo padre e parargli tranquillamente, quella era la risposta.
Non aveva pensato che l’uomo potesse essere nuovamente scomparso e che, in quel preciso momento, si trovasse chissà dove.
Si lasciò andare sul divano, fregandosene altamente di spiegazzare i fogli che vi erano stati appoggiati e piegando la testa all’indietro, mentre socchiudeva gli occhi, mormorando il nome del suo potere speciale: la visione arrivò improvvisa come sempre, strappandolo dal luogo in cui era e mostrandogli ciò che non voleva vedere.
Come sempre, quando cercava di usare il potere per scopi personali.
Xiang, fallo!
La voce maschile, l’ordine perentorio, arrivò alle sue orecchie e Peacock poté vedere l’amica avvicinarsi a un monile che risplendeva di luce ocra e galleggiava a mezz’aria: la ragazza allungò le mani, circondando con le dita il gioiello e l’energia tremolò, prima di risplendere in tutta la sua potenza.
Peacock si piegò in avanti, il respiro ansante e il corpo completamente dominato dai brividi.
Cosa aveva visto?
Chi aveva ordinato a Xiang di fare qualunque cosa avesse fatto?
La voce maschile aveva un che di familiare e, allo stesso tempo, a Peacock sembrava che fosse la prima volta che la sentiva.
Il monile, il gioiello che aveva visto, poteva essere quello di Routo? Ma allora perché Xiang avrebbe dovuto usarlo?
Ciò che aveva visto era forse un brandello di quello che sarebbe successo nel futuro? Un dato certo di qualcosa che sarebbe accaduto oppure qualcosa di incerto come la visione che Kang gli aveva propinato più e più volte?
Si portò le mani alla testa, portandosi indietro i capelli scuri e socchiudendo gli occhi, mentre il suo Miraculous iniziava ad avvisarlo del conto alla rovescia che lo avrebbe portato a essere di nuovo Rafael: cosa aveva visto?, si domandò nuovamente mentre apriva le palpebre e fissava il suo riflesso nella televisione spenta, dall’altra parte della stanza.

 

   
 
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