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Autore: FairyCleo    29/07/2017    10 recensioni
Storia partecipante al contest Music Volume is OVER 8000! indetto da nuvolenere_dna sul forum di EFP
"Ci aveva provato.
Aveva provato con tutto se stesso a seppellire il dolore nell’angolo più recondito del suo spirito, cercando così di ignorarlo, di allontanarlo, di non lasciarsi intossicare dal potente veleno che rilasciava in dosi sempre più letali, finché non aveva capito di non essere minimamente in grado di sconfiggerlo".
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Freezer, Goku, Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nickname su EFP e sul forum: Fairycleo
Titolo: TOURNIQUET
Personaggi principali: Vegeta, Goku, Freezer
Traccia scelta: 19. Tourniquet - Evanescence
 
 
I tried to kill my pain (Ho provato ad uccidere il mio dolore)
But only brought more, so much more (
Ma ne ho ottenuto solo di più, molto di più)
I lay dying (
Giaccio a terra morente)
And I’m pouring crimson regret and betrayal. (
E da me sgorgano rimpianti cremisi e tradimenti)
I’m dying (
Sto morendo)
Praying (
Pregando)
Bleeding (
Sanguinando)
And screaming (
E urlando)
Am I too lost to be saved? (
Sono troppo perso per essere salvata?)
Am I too lost? (
Sono troppo perso?)
 
***
Ci aveva provato.
Aveva provato con tutto se stesso a seppellire il dolore nell’angolo più recondito del suo spirito, cercando così di ignorarlo, di allontanarlo, di non lasciarsi intossicare dal potente veleno che rilasciava in dosi sempre più letali, finché non aveva capito di non essere minimamente in grado di sconfiggerlo.
Aveva agito in quel modo per anni, sperando di poter vedere, un giorno, le luci della ribalta brillare solo ed esclusivamente per lui. Aveva persino provato a fare di quel dolore il motivo propulsore di quella che sarebbe stata la sua futura rivalsa, cercando così di trarne la forza necessaria per andare avanti, per lottare, per mostrarsi orgoglioso e forte agli occhi di chi lo chiamava principe nonostante le perpetue umiliazioni, nonostante le continue sconfitte.
Ora, nessuno più si sarebbe rivolto a lui con quell’appellativo usato sin troppe volte per schernirlo e poche per mostrare il timore che avrebbero dovuto provare nei suoi riguardi. Nessuno lo avrebbe mai guardato con rispetto, con invidia, con deferenza. E questo perché suo padre gli aveva mentito, alimentando in lui sin da quando era solo un bambino le false speranze che lo avevano condotto sull’orlo del baratro, questo perché lui non era e non sarebbe mai diventato il super saiyan di cui parlava la leggenda.
Avevano paura.
Il namecciano, l’umano e il mezzosangue che si trovavano a poche decine di metri da lui, il suo pubblico, avevano paura.
E ne aveva anche lui, tanta, più di quella che avrebbe mai creduto di poter provare. Sapeva che quello, un giorno, sarebbe stato il suo destino, che a uno come lui, sarebbe toccato di morire in battaglia. Anzi, lo sperava ardentemente, come ogni saiyan che provasse anche solo lontanamente a farsi rispettare. Ma quella non era stata una battaglia. Per lui non ci sarebbero stati encomi, non ci sarebbe stato onore. Non ci sarebbe stato niente all’infuori della certezza dell’oblio.
Stava morendo, soffocato dal suo stesso sangue, dalle sue stesse lacrime e dalla potenza distruttrice di chi aveva decretato la sua fine, di chi, sin dal primo giorno, era stato padrone della sua vita e del suo destino.
Non pensava che avrebbe tremato, non pensava che si sarebbe sentito svuotato, privato di ogni stimolo, di ogni tratto che lo aveva contraddistinto sin dalla più tenera età. Dov’erano finiti il suo orgoglio, il suo coraggio, la sua ferocia saiyan?
Non ne aveva idea.
Da quando aveva acquisito la consapevolezza che per lui non ci sarebbe stata vittoria, tutto era diventato sfocato, lontano, quasi ovattato.
Il suo corpo urlava per i colpi ricevuti, la sua mente tremava al pensiero della fine, ma il suo spirito… Il suo io, in qualche modo, aveva accettato quella nuova condizione, perché qualcun altro aveva scelto per lui, trasformandolo in una cavia, in un giocattolo su cui sfogare ogni frustrazione, ogni noia, ogni perversione.
La sua intera esistenza era stata una galoppata verso una fine ingloriosa, ormai era chiaro. Peccato solo che lo avesse capito troppo tardi.
Pugni crudeli si erano riversati sulla sua schiena parzialmente nuda. Le nocche di quella viscida, abominevole creatura avevano sgretolato le sue scapole e spezzato in più punti la sua spina dorsale. Si muoveva ancora, sì, ma presto, anche quella sorta di riflesso incondizionato lo avrebbe abbandonato, mostrando ancora una volta a se stesso e ai presenti com’era realmente: impotente e inerme al cospetto di quel dio della morte che aveva deciso di punirlo per aver osato sfidarlo, che aveva deciso di abbracciarlo con la sua morsa letale.
La coda candida, stretta attorno al suo collo, gli aveva impedito di respirare per un tempo che gli era parso interminabile. Il dolore era cresciuto in modo smisurato, e solo sotto i colpi sferzanti che aveva ricevuto era stato finalmente in grado di comprendere la verità, una verità venuta a galla all’improvviso, che faceva più male di qualsiasi ferita mai ricevuta dal suo fisico temprato: aveva finalmente compreso che per lui non ci sarebbe mai stata alcuna pietà.
E poi… Poi, lui era arrivato.
Fiero, imponente, proprio come si addiceva agli eroi, lui era sopraggiunto, rendendolo ancora più consapevole di quanto miserabile fosse la sua condizione.
Era esploso. La sua risata isterica aveva improvvisamente riempito l’aria, attirando maggiormente l’attenzione su di sé, su quel suo corpo straziato che giaceva sul suolo brullo, su quell’ammasso di ossa fratturate e organi lacerati, su quella mente ormai divenuta troppo instabile per formulare pensieri coerenti, pensieri degni di un uomo come lui. Era stato egli stesso il primo a pensare di essere impazzito. Non stava solo ridendo, stava tessendo gli elogi di chi aveva osato battersi contro di lui ad armi pari, di chi gli aveva donato lo scontro più esaltante e allo stesso tempo più avvilente di tutta la sua vita.
Era stato battuto. A livello fisico, emotivo, e non ci sarebbe mai stato modo, per lui, di salvarsi. Si era perso nello stesso istante in cui si era arreso all’evidenza dei fatti, quando aveva capito che anche quell’ultima carta giocata si era rivelata fallace, che quella scala reale di fiori era stata battuta nonostante pensava che ciò fosse impossibile.
Non era lui il super saiyan della leggenda. Lui non era niente. Non era nessuno, e solo quella risata isterica avrebbe potuto lenire quella ferita molto più profonda e dolorosa di quelle subite dal suo corpo.
Lui credeva di non averlo, un cuore, eppure si era ritrovato ad ammettere non solo di possederne uno, ma a scoprire che il suo era stato trafitto dalla consapevolezza di veder sgretolato il suo sogno di bambino, e da qualcosa di più reale, di più concreto. Era accaduto tutto in meno di un secondo, ma a lui, era parso il secondo più lungo di tutta la sua vita. Un freddo fascio di luce accecante lo aveva spiazzato, scrivendo la parola fine a quel dramma iniziato in un tempo ben preciso.
Aveva sputato sangue, sbattendo con violenza le spalle e la nuca sul freddo terreno sottostante.
Aveva tremato, scosso da fitte incontrollabili, da quegli spasmi di dolore tramutatisi in agonia.
E poi, aveva pianto. Per la prima volta in vita sua, aveva pianto per la frustrazione, per il dolore, perché si era smarrito in un mondo di lupi, dopo aver scoperto, suo malgrado, di essere alla stregua di un tenero agnellino.
No, non c’era e non ci sarebbe mai stato modo, per lui, di salvarsi.
Ormai lo sapeva: l’unica soluzione, l’unica salvezza, per lui, sarebbe stata la morte. Ma qualcuno, dall’altro lato, lo avrebbe mai aspettato? Ci sarebbe stato un dio, pronto a giudicarlo per le sue azioni, o avrebbe vagato in eterno nel buio, in attesa di qualcosa che non sarebbe mai avvenuto? La sua morte, a quel punto, sarebbe stata uno spreco, così com'era stata tutta la sua vita?
Lo leggeva ormai morente, negli occhi di quella nullità che, suo malgrado, continuava a supplicare. Lo vedeva chiaro come mai prima di allora. Aveva sfidato la morte e aveva perso. Esattamente come suo padre, quel suo gesto, quell’estrema voglia di rivalsa, di vendetta, di giustizia, non si era rivelato altro se non un mero, autentico suicidio.
Era morto così, Vegeta. Sapendo di non essere stato in grado di salvarsi dall’orrore di una vita, di non aver potuto fare niente per riscattare il suo orgoglio, il suo nome, il suo onore.
Solo di una cosa, non era stato consapevole perché avvenuta dopo che le sue palpebre si erano chiuse per sempre. Non avrebbe mai saputo che, alla fine, la pietà era apparsa, e non sotto forma di donna dal capo velato e dallo sguardo mesto.
La pietà era apparsa con le sembianze di colui che aveva definito suo rivale, aveva assunto le fattezze di colui che, dopo il suo ultimo strascico di agonia, aveva avuto il buon cuore di dare degna sepoltura all’ultimo principe della stirpe dei guerrieri saiyan.

 
Fine
   
 
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