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Autore: Alvin Miller    29/07/2017    0 recensioni
Questa storia parla di una terra lontana e perduta nel tempo, Uruma, patria di una piccola comunità di pony, ma anche habitat di feroci creature carnivore.
Ed era anche la sede della Congrega dei Cacciatori di Mostri, pony coraggiosi e dal cuore impavido, che mettevano in gioco la loro vita per la sicurezza della popolazione.
Ma da qualche anno le cose sono diverse: la Congrega è sfaldata, le condizioni di vita sempre più difficili, ed ora solo due Cacciatori sono rimasti a difendere la cittadina costiera di Capo Unicorn.
Quella che vi sto per raccontare è la loro storia. Io sono Liberty Spirit, sono un Cacciatore, e questa è la mia storia.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6: Viaggio alla Schiena del Drago

La scorsa volta mi ero dimenticato di dirvi che quel giorno, quando mio Zio uccise il Leviatano, gli Skinflai svanirono di nuovo alla stessa velocità con cui erano apparsi.

Non so esattamente cosa spinse le creature a manifestarsi in quel determinato momento, ma dopo la caduta del loro “sovrano”, la situazione di Uruma tornò come prima. La pioggia aveva dissetato la campagna, rallentando la siccità, ma non passò molto prima che il deserto riprendesse ad avanzare.

Poco dopo i fatti della Gola del Mostro Titano, io avevo una nuova attrezzatura, e stavo giusto facendo ritorno alla baracca, trasportando con me un carretto carico di legna (era destinata alle riparazioni della nostra casa) quando ecco che una nuova figura fece capolino nella mia vita.

Ciò che sto per raccontarvi rappresenta l’epilogo della storia.

Avevo detto a più riprese quanto la mia vita fosse cambiata nel corso delle varie tappe che vi ho riassunto, ma nessuna di queste, neppure sommate, potrebbe rapportarsi alla gravità dei fatti di quei giorni.

È il periodo in cui mio Zio morì, ed io dovevo ancora compiere dodici anni.

Mi ero fermato alla base del pendio che porta alla baracca, volevo solo riprendere un po’ il fiato prima di iniziare la salita.

Non mi ero accorto della presenza di quel pony prima che mi parlasse.

«Ohilà, si lavora?» Mi fece lui, ed io m’impennai per lo spavento che mi fece prendere.

Lo esaminai: aveva delle ghette di spessa pelle di drago alle zampe, un piccolo tricorno in testa, e il suo corpo era stretto in un intreccio di cinturini, fibbie, cinghie e bandoliere, pieni di fodere e guaine vuote, pronte ad accogliere ogni genere di armi bianche, non in quel momento, però.

Il suo manto era giallo, con uno schema di colori rossi e verdi su criniera e coda, ed era un pony di terra.

Rimasi a fissarlo in silenzio mentre lui si avvicinava.

«Ti dispiace se ti chiedo una cosa?» Recitarono le sue labbra. «Sai nulla dello stallone che vive lì sopra.»

Io gli rivelai che era mio Zio, e il pony di terra fece un sobbalzo all’indietro, come se volesse ostentare sorpresa. Mi disse che era sorpreso di scoprire che Brave Lion avesse addirittura una famiglia.

«È un suo collega?» Gli chiesi io, essendo stata la prima cosa che mi era venuta in mente.

«Lo ero.» Mi rispose. «Sono stato suo principale commilitone fino a quindici anni fa.»

Il mio cuore si dimenticò di pompare quando sentii quel numero. Lo spettro del Leviatano continuava a perseguitarci.

Lui mi chiese se mio Zio fosse in casa. Io gli risposi di sì e gli spiegai cosa stavamo facendo. Avevo un brutto presentimento su quel tipo, ma non avevo timore per come lo avrebbe affrontato Brave. Mi chiese se potevo fargli strada, e si offrì di portare il carretto per me, offerta che declinai, non volevo che mio Zio pensasse che stessi battendo la fiacca.

Quindi salimmo insieme il pendio.

Trovammo Brave che stava piantando i nuovi pali della recinzione, quindi potete capire che lui si accorse del nuovo arrivato prima ancora che avessi tempo di annunciarlo.

Fermò ciò che stava facendo e fissò il pony di terra a bocca spalancata.

«Che la Dea mi affoghi nel sonno… »

«Da come reagisci, devo pensare che ti ricordi di me.» Disse l’altro.

Spiegai in quale modo c’eravamo incontrati, ma le mie parole lasciarono il tempo che trovarono.

«Dopo tutto questo tempo… perché sei tornato?» Chiese mio Zio, a voce cupa.

«Avevo fatto un giuramento, se ti ricordi. Sono qui solo per questo.»

E ne seguì un silenzio incolmabile.

«Spirit, vai ad allenarti da basso, ora.» Mi ordinò Brave, ma questa volta io non volli ascoltarlo: «No, io resto qui!» Battei lo zoccolo a terra. Insomma, dopo ciò che era successo alla Gola del Mostro Titano, non avrei accettato di essere messo all’angolo per l’ennesima volta!

Per un attimo mi guardò torvo e pensai che stesse per farmi lo Sguardo, ma poi si convinse a non insistere.

Tornò al pony di terra e lo invitò a sedersi. Gli chiese se poteva offrirgli qualcosa da bere. Non avevamo molto in dispensa, ma c’era ancora qualche sorso di whiskey in una bottiglia che si era salvata dal nubifragio.

Eravamo seduti intorno alle braci spente del focolare, dove di solito cucinavamo. Io ero di fianco a mio Zio ad ascoltare.

Il pony di terra vuotò il bicchiere prima di mettersi a parlare: «non hai qualcosa di meglio? Con questo non mi ci pulisco neppure il rasoio con cui mi rado.»

«La situazione è cambiata da quando cacciavamo insieme, anche se il lavoro non manca, il numero d’incarichi importanti è calato drasticamente. I soldi non crescono sugli alberi. Non da queste parti almeno.»

«Sì, Colton mi ha aggiornato sui recenti sviluppi. Sembra che finalmente sia riuscito a diventare borgomastro, eh?»

Andarono avanti con chiacchiere di questo tipo per diversi minuti. In apparenza poteva sembrare una rimpatriata qualsiasi tra vecchi compagni di ventura, ma c’era qualcosa che chi come me era abituato a osservare, poteva scorgere attraverso le rughe d’espressione. I muscoli si tendevano, come se fossero pronti a saltarsi addosso a vicenda, ma gli anni di distanza li stavano trattenendo dal farlo.

«Ho saputo del ritorno del Leviatano.» Disse il pony di terra. Questo diede loro tempo di divagare ancora un po’ sulla questione. Ma il punto si stava ormai avvicinando con urgenza, e fu sempre il pony di terra a scoprire le carte per primo. Naturalmente, Brave avrebbe fatto di tutto per non parlare di quella storia:

«Te lo ricordi quindici anni fa?» Cominciò il terrestre, facendo sospirare mio Zio.

«Non ho mai smesso di pensarci da quando siamo tornati… » Brave spiegò ciò di cui ero già a conoscenza: di come avevano inseguito il Leviatano fino a dove la mappa di Uruma estendeva i suoi confini, e di come avevano assistito alla dipartita dei loro compagni senza poter fare nulla per evitarlo.

«E del “dopo”, Brave? Ci pensi mai al dopo?» Proseguì l’altro.

Ora, giustamente vi domanderete se “c’era un dopo??”… beh sì, c’era, ed io in quel momento ero tipo “senti senti, questa non me la perdo”. Della cosa era anche consapevole mio Zio, che a quel punto non aveva altra scelta che lasciare che ascoltassi. Si potrebbe insinuare che lo stallone giallo stesse facendo tutto ciò di proposito: far sì che io sapessi ciò che Brave mi teneva nascosto da anni. Per ripicca forse, per far sì che gli arrecasse fastidio.

Ma Brave Lion, per buona pace del pony terrestre, era sempre un combattente, e non avrebbe mai mancato di rispondere per le rime a un attacco alla sua persona. «Ricordo bene le tue farneticazioni.» Disse. «Ricordo che eri stato tra i primi a fare fagotto e ad andartene.»

Questo scatenò le ire dell’altro stallone. «Idiozie! Ancora insisti a negare i fatti! Per quanto ancora andrai avanti a nasconderlo?!»

«Fino a quando ci sarà qualcuno che mi accuserà di cose che non ho fatto.» Gli rispose così, o perlomeno, mi pare di ricordare che rispose così.

Mi ci volle un po’ per mettere insieme i vari tasselli di quella conversazione. Se, in effetti ve li riportassi per filo e per segno, così come li ascoltai allora, voi probabilmente fatichereste a seguire il discorso.

Per semplificare la faccenda e andare avanti veloci, credo che potrei proseguire così: il pony terrestre, dopo aver capito che la strategia iniziale non era stata sufficiente per oltrepassare le forti difese di Brave Lion, si alzò sugli zoccoli e dopo aver guardato non so cosa verso l’orizzonte, in un modo solenne che per inciso era ridicolo proprio come può sembrare, iniziò questo monologo, che anche stavolta, proverò a recitarvi così come me lo ricordo:

«Lascia che ti rinfreschi la memoria Brave: avevamo appena perso il Contratto di caccia, e il Leviatano era volato via svanendo nel nulla. Del nostro gruppo, chi non era morto, era disperso per tutto l’entroterra, e noi due, che eravamo rimasti insieme fino alla fine, così come sempre restavamo insieme (questo te lo ricordi, vero Brave?) avevamo deciso – insieme – di fare ritorno attraversando la Schiena del Drago. Seguire il fiume era sempre stata la scelta migliore per fare ritorno alla costa… »

Fermandoci un momento, vi avviso che mio Zio cercò di dissuaderlo dal proseguire oltre. Gli disse: «So che cosa cerchi di fare, è meglio per te se ti fermi.» Ma per il pony di terra, a quel punto, era un po’ come tentare di spegnere un falò gettandovi dentro dell’olio di alghe. Continuò stoicamente come se dalla bocca di Brave non fosse scaturito alcun suono:

«… stavamo attraversando la Schiena, quando ecco che d’un tratto mi giro, e scopro che anche tu sei sparito. Ti ho cercato per delle ore, ricordi? E ti ricordi che ti ho detto che avevo anche provato a gridare il tuo nome? Ma niente, di te non c’era traccia! Non avevo neppure il modo di seguire le tue impronte, perché non sapevo in quale punto ti avessi perso. E quando, dopo un’attesa interminabile, finalmente ti sei fatto vivo da non so dove, sei scappato via senza preoccuparti di tornare indietro a cercarmi. Io ti chiamavo, e tu non sei venuto a recuperarmi. Mi lasciasti tornare a Capo Unicorn da solo, e mentre viaggiavo, ho riflettuto a lungo su quali fossero le motivazioni che ti avevano spinto a comportarti così. Poi finalmente avevo capito. Mi ci era voluto un po’ per arrivarci, perché ti consideravo un amico, e non avrei mai sospettato che ti saresti spinto a tanto per avidità… la verità, Brave, è che quel giorno tu trovasti la Camera del leggendario Tesoro, e una volta trovato, avevi deciso di tenerlo per te! Il fatto stesso che vivi ancora in questa topaia mi dà da pensare che non hai ancora avuto modo di recuperarlo… o forse temi solo di rivelarlo. La gente accorrerebbe in massa se scoprissero cosa nascondi!»

C’ero io che fissavo rimbambito mio Zio, in attesa della sua contro-risposta, e c’era lui che scuoteva la testa ghignando sottovoce.

«Quindici anni, e ancora non ti sei lavato la testa da queste cazzate?» Disse proprio così, imprecare davanti a me, e questa volta da una distanza molto ravvicinata. Poi continuò: «Non c’è NESSUN Tesoro laggiù! Te lo dissi allora e te lo ripeto anche adesso!»

«Ciò non di meno Brave, da quel niente te ne sei uscito con un omaggio.» Il pony di terra mi aveva guardato, e mi aveva confessato questa cosa: «quella spada lì» indicò la Green Blade, posta in un angolo all’esterno della baracca «lo sai che tuo Zio trovò la materia prima per forgiarla proprio quel giorno?»

Continuò rivolto a lui: «Un materiale che non si scalfisce nel tempo, e che spuntò fuori, guarda un po’ il caso, proprio quando io ti avevo perso di vista!»

«Sì, e questo secondo te prova che abbia trovato una camera piena di oro e gioielli?»

«Spiegami allora questa: perché quando eri riapparso quel giorno, avevi quella ferita sul ventre? Chi è stato a procurartela?!»

La cicatrice! Stava proprio parlando di QUELLA cicatrice!

«Ho seguito la scia del tuo sangue praticamente fino in paese.» Insistette il terreste. «Mi sarei aspettato di trovare il tuo cadavere disteso per strada, ed ero pronto a caricare su di me la tua salma, ma tu ti salvasti! Eri vivo e vegeto, ti eri fatto curare, e quando ci ritrovammo, avevi iniziato a comportarti in modo elusivo, come se stessi nascondendo qualcosa. Non era proprio da te, ed io non me ne accorsi subito. Tu non sei tipo da rivelare così distrattamente quando stai mentendo. Se quella volta ti trovai così, è chiaro che ti era successo qualcosa, e oggi come allora, io avevo giurato che sarebbe arrivato il giorno in cui sarei tornato e ti avrei fatto sputare la verità, a costo di farmi divorare l’anima dalla Dea! Voglio sapere, Brave, che cosa trovasti alla Schiena del Drago?! Chiunque si sia mai spinto abbastanza all’interno da arrivare dov’eravamo arrivati noi, ha finito per non fare più ritorno, e noi le avevamo attraversate quelle montagne! Negli stessi posti dove altri erano morti! Che cosa c’è veramente alla Schiena del Drago? CHE COS’È IL TESORO, BRAVE LION?!?»

Ok… scusatemi. Forse… mi sono lasciato trasportare. Non fu proprio così che lo disse. Credo che buona parte di questa invettiva me la sia inventata di sana pianta, ma del resto tutti noi meritavamo una risposta da parte sua, non solo il pony giallo.

Quel giorno sperai che rispondesse, lo volevo con tutto me stesso, e davo fondo a tutta la mia fede affinché ciò accadesse.

Credo che dopo quelle accuse (qualunque sia la forma in cui furono dette) lui ci abbia pensato a fondo e avesse deciso che non aveva senso dire semplicemente “no, non è vero”, e aspettare che noialtri ci stancassimo.

Lo avevo già visto, in altre occasioni, lasciarsi trasportare per alcuni secondi nei suoi pensieri, mentre dava forma a qualche idea di cui si sarebbe servito una volta sceso in battaglia. Non aveva tic di nervosismo, non mostrava segni corporei che qualche professionista poteva contraddistinguere tra “verità” o “menzogne”, era semplicemente neutrale e privo di emozioni. E quando terminò di riflettere (che come l’atto di oscillare la spada, poteva essere considerato alla stregua di uno dei suoi riti di preparazione) arrivò il suo turno di parlare, e lo fece senza manifestare agitazione o alcun tipo di turbamento.

«Non so esattamente cosa accadde quel giorno.» Cominciò, capitalizzando la nostra attenzione. «Ti confesso che buona parte della mia memoria ha dei vuoti per quanto riguarda quei fatti. Ricordo per esempio che questa cosa mi mise sotto pressione, ed è per la stessa ragione che probabilmente ero così indisponente verso gli altri. Quando eravamo ancora insieme e stavamo attraversando le montagne, mi era sembrato, per un momento, di aver scorto qualcosa dietro una collina, così ero andato a controllare. Ero certo di non metterci più di qualche secondo per tornare, e devo aver supposto che ti avrei raggiunto poco dopo aver verificato. Poi… non ricordo quanto tempo sia passato, né che cosa aveva provocato il mio ritardo. Forse ero inciampato da qualche parte e avevo sbattuto la testa, perdendo la memoria. Ho qui tra i peli della criniera proprio una cicatrice frutto di una ferita che non avevo prima di quel giorno… »

Qui mi prendo una pausa, e vi dico che effettivamente una cicatrice in quel punto ce l’aveva eccome. Anche se non so da che cosa fosse dovuta.

In effetti è buffo, ma ciò che disse assomiglia tantissimo a qualcosa che successe anche a me qualche tempo dopo.

Poi vi dirò.

Intanto riprendiamo:

«… questa ferita, sì. Ricordo che a un certo punto stavo galoppando via. Avevo paura di qualcosa, anche se non so per quale ragione. Era come se mi stesse inseguendo un mostro, forse un’allucinazione. Ma è anche vero che tu non hai visto niente, quindi forse era davvero una fantasia prodotta dal trauma. Non saprei dirti, invece, dove trovai la lastra da cui poi avevo forgiato la Green Blade, né che cosa mi aveva, a momenti, aperto in due la pancia. Però ti posso rivelare che dentro di me sentivo il bisogno di conservarla, mi piace pensare che dopo essere caduto – se ero caduto – devo essere atterrato proprio su questa cosa (la misteriosa lastra della Green Blade), e che il trauma mi aveva spinto a prenderla e portarla con me. Quando ripresi il senno, ero già arrivato in paese. Cercai qualcuno che mi potesse guarire, e da quel momento in poi non ho più pensato a cosa mi fosse successo alla Schiena del Drago. Forgiai la Green Blade solo perché pensai che un materiale così poteva tornarmi utile in battaglia.

Questo fino a quando tu non sei tornato e hai cominciato ad accusarmi di stare nascondendo il Tesoro (di cui io non ne sapevo assolutamente nulla). Avevamo discusso, e io volevo spiegarti la situazione per filo e per segno, per farti capire. Ma quando ti cercai, scoprii invece che te ne eri già andato per mare. Allora ho deciso di andare avanti per la mia strada, e fare quello che da sempre sapevo fare meglio: cacciare per vivere. Questa è la sola verità che posso darti. Tutto il resto, il Tesoro, un tempio ricolmo di ricchezze, una mappa con una X contrassegnata in un luogo segreto della Schiena del Drago, sono solo fantasie da marinai ignoranti. Niente di reale, niente di niente!»

Finito il discorso, beh, non c’era molto altro da aggiungere. Brave Lion era stato convincente, in un modo che la mia interpretazione probabilmente non sarebbe mai riuscita ad eguagliare.

A conferma di ciò, il pony di terra non aveva più tentato di mettere in discussione le sue parole (e vorrei ben vedere), e infatti, dopo averci riflettuto per un tempo sufficiente e stabilire come comportarsi, disse a mio Zio: «Voglio crederti, Brave. In memoria dei vecchi tempi e della nostra amicizia, voglio farlo.»

Sarebbe potuta finire così, e in effetti DOVEVA finire così. Ma un punto in comune a tutti membri della Congrega dei Cacciatori di Mostri era la determinazione, che era vitale per uscire salvi dagli scontri più estenuanti, ma che spesso implicava il non sapere mai fino a che punto spingersi prima di mollare.

A conferma di ciò, lo stallone giallo gli porse uno zoccolo per consolidare un’intesa reciproca, e quindi gli propose: «Ti va di scoprirlo insieme?» Voleva che partissero per un viaggio, la cui meta sarebbe stata la Schiena del Drago. Voleva che tornassero in quel posto in cui tutto era iniziato, e svelare il mistero che si celava nelle montagne di Uruma.

Brave lo fissò a lungo e con grande intensità, e alla fine rifiutò l’offerta.

Io non mi ricordo se litigarono ancora o se invece fu un allontanamento spontaneo.

Il pony di terra pieno di cinture se n’era andato, questo era evidente. E nel frattempo io ero quello che covava più di tutti delle riserve, sulle parole di mio Zio. Vi avevo spiegato che non si era tradito in alcun modo. Se anche lo avesse fatto, era successo in un modo talmente sottile e velato, che di certo io non fui in grado di notarlo.

Eppure c’era qualcosa in tutta quella faccenda che continuava a puzzarmi, come una carogna lasciata a marcire al sole. Chiamatelo intuito, chiamatelo esperienza o istinto, chiamatelo come volete, ma Brave non l’aveva raccontata giusta, e questo nonostante si fosse dimostrato abilissimo a contarla. Ma quali prove avevo a sostegno della mia tesi? Non avevo neppure degli indizi, a parte la mancanza di fiducia, che a sua volta poteva essere associata al risentimento per il suo comportamento recente.

Un errore del genere non lo farei oggigiorno, ma allora ero giovane e molto meno cauto. Sì, insomma, andai da lui e gli chiesi: «È vero quello che hai raccontato a quel pony?»

Lui stava proseguendo nelle ristrutturazioni in casa nostra. Credo che stesse applicando una copertura di rinforzo su uno dei muri, quando sentendo la domanda che gli rivolsi, gettò via il martello che stava reggendo magicamente e mi rispose: «Oggi vi siete messi d’accordo per farmi impazzire?»

Temevo che se la sarebbe presa di brutto, invece tornò subito alla sua opera.

Io allora gli feci: «Voglio solo essere sicuro di sapere cosa è successo, credo di avere il diritto di chiedertelo!» Non rispose, così insistetti. «Insomma, ho sempre fatto quello che mi dicevi di fare, non c’è stata mai una volta che abbia protestato! Perché non puoi essere onesto con me, almeno per un giorno?!»

«La storia ve l’ho già raccontata, Spirit. Non ti basta quello che hai già sentito? Non sei stato attento prima?»

Mi mozzò la parola in quel preciso istante.

Sì, io ero stato attento, anche troppo in effetti. Allora perché ero così sicuro che Brave Lion stesse mentendo. “Forse perché gli riusciva così facile e naturale?” Pensai.

Cosa c’era di vero io ciò che ci aveva raccontato, dove si nascondeva il falso?

«Che problema hai, Spirit?» Mi chiese poco dopo.

Lo guardai, senza però dirgli niente. Al posto di rispondergli, cercai di eludere il discorso andandogli a prendere un po’ della legna che avevo portato per le ricostruzioni. La presi con le zampe anteriori. Cercavo di sfruttare ogni occasione che potevo per tenermi in posizione bipede ed evitare così di perdere l’abitudine a quel particolare modo di ambulare.

Girandomi, me lo trovai davanti al muso. Se stavo su due zampe le nostre altezze si eguagliavano.

Il bagliore della sua magia mi accecò la vista per un istante, prima di comprendere che se n’era servito per sottrarmi la legna ed adagiarla a terra.

«Ok, parliamo.» Mi disse, ma se pensate che si riferiva a quella verità che ero convinto ci stesse nascondendo, devo darvi una delusione: voleva che parlassimo d’altro, e forse era proprio quello di cui io avevo veramente bisogno.

Gli dissi che ero deluso dal come mi aveva lasciato in disparte nel corso della battaglia contro il Leviatano, e gli dissi che ero ancora più deluso del fatto che mi avesse coinvolto in qualcosa di così illecito.

Lui inizialmente si prese gioco di me, facendomi notare quanto sia stato buffo il fatto che mi fossi appena contraddetto (perché se avessi voluto prendere parte allo scontro con il titano sarei per forza dovuto diventare suo complice), e di risposta lo beccai su tanti altri piccoli punti, come quelli che vi raccontai nei giorni scorsi. In poco meno di mezz’ora avevo vuotato il sacco su tutto ciò che mi ero tenuto nascosto in quattro anni di carriera come Cacciatore di mostri al suo fianco: le volte che mi costringeva a fare ciò che non volevo, quelle in cui mi attribuiva meriti che sentivo non appartenermi. Gli dissi questo e tanto altro.

Non era cattivo, mio Zio, ma era uno stronzo, del tipo peggiore. Non di quelli che nascondono la bontà d’animo dietro una maschera di acidità, ma quelli che mettono se stessi al primo posto, e gli altri in fila alle loro spalle.

Finii di protestare quando sul suo viso si manifestò una desolazione che non mi sarei mai aspettato.

Lo avevo ferito?” Chiesi a me stesso, mentre riflettevo se rincarare la dose o farmi bastare ciò che gli avevo già detto.

Rimasi ancora più perplesso quando cominciò a scusarsi con me. Iniziò con un mai troppo stantio: «Scusami, hai ragione su tutto.» E lo sapete, quando uno fa così, voi di solito lo lasciate parlare. «Non me ne ero mai reso conto… perché non me lo hai detto prima?»

E io giustamente: “Eggià, perché non l’ho fatto?”

«Non lo so… » gli risposi. “… avevo paura di te, o ti rispettavo troppo? Ero solo uno stupido?

Boh.

Continuò lui: «Senti, non è mai stato facile prendersi cura di te. Ho fatto del mio meglio per quel che potevo, ma io non sono mai stato un buon genitore…» e poi si corresse «anzi, per la verità non sono mai stato affatto un genitore!»

Forse gli chiesi qualcosa riguardante la mia famiglia, ma non ricordo cosa rispose, comunque non è importante.

«Anch’io credo di avere delle responsabilità.» Gli confessai. «Non mi sono mai voluto impegnare per davvero a fare il Cacciatore.»

«È un lavoro difficile, specie per chi inizia così giovane.» Ricominciò lui. «Ma sbagli a pensare di non esserci portato. Insomma, guardati…» (parlandogli, stavo ancora in posizione bipede) «… guarda dove sei arrivato dopo quello che hai passato! In questi anni ti ho visto crescere e completare imprese nelle quali qualsiasi altro pony sarebbe finito all’altro mondo, eppure te ne sei uscito incolume! E probabilmente sei perfino migliore di me su questo!» (Era inevitabile che alludesse alla sua cicatrice).

«Allora perché io non ho ancora un Simbolo di Virtù?» Chiesi a testa bassa, cercando di non dare a vedere quanto stessi male per questa mancanza.

«Forse sei solo tardivo.» Mi rispose. «Magari hai solo bisogno di fare pace con la metà insicura di te. Ma non ti preoccupare per questo» appoggiò i suoi zoccoli sulle mie spalle. «Ricordi cosa ti dissi quella volta al Brocco Randagio? “Guardami le spalle, Spirit…” »

«“E tu le guarderai a me.”» Terminai la sua frase.

«Esatto!» Annuì lui con un sorriso che gli sbocciava sulle labbra. «Facciamo che da oggi in poi si cambia di nuovo: ricominciamo da capo! Cerchiamo di collaborare come si deve! Ti prometto che da oggi non ti lascerò mai più da solo!»

Quelle parole mi avevano scaldato il cuore e – inconsapevolmente – mi avevano intrappolato per sempre. Senza che me ne rendessi conto, me ne stavo fermo e in silenzio, mentre Brave Lion finiva di forgiare intorno al mio collo le catene che ci avrebbero tenuti legati per sempre.

Gli ho voluto bene, e sono certo che anche lui me ne voleva molto, ma quando era arrivato il momento, quelle parole m’impedirono di capire quale fosse la strada giusta da prendere.

In ogni caso, ormai il nostro tempo era scaduto.

Ora vi racconterò di come Uruma si riprese ciò che Brave Lion le aveva sottratto per anni.

Allora, io… non è facile parlare di questo, ragazzi…

Il luogo dove stiamo per andare è lo stesso in cui lui perse la vita quel giorno. Ripensarci mi fa male ancora oggi, quindi cercate di essere comprensivi, e vi avviso: voi siete gli unici a cui abbia mai raccontato questi fatti.

Erano trascorse due settimane dall’incontro con lo stallone giallo.

Ero sempre in casa quel giorno, un pomeriggio che non preannunciava niente di fenomenale. Non ricordo neppure cosa facessi, quando Brave Lion salì il percorso manifestandosi di fronte a me.

Lo vedevo nervoso e agitato, e sapevo che non aveva motivo di esserlo, perché era andato in paese solo per fare rifornimenti, approfittando della giornata di libertà per sbrigare le faccende. Probabilmente aspettavo il suo ritorno per proporgli di accompagnarmi agli allenamenti giornalieri, ma dopo di quello dovetti cambiare i miei piani.

Trottava di qua e di là in maniera sconclusionata, con lo sguardo assorto in pensieri che solo la Dea conosceva.

Così feci la cosa più naturale che potevo, gli chiesi «Zio, che succede?», e lui mi rispose «Un casino, uno di quelli VERI!», o comunque qualcosa del genere. Gli chiesi di parlarmene, così forse avrei potuto aiutarlo, e lui – che ricordava il nostro recente battibecco – stavolta lo fece senza esitare un istante.

Del suo racconto ho finito per plasmare col tempo una sorta di rappresentazione personale di ciò che poteva essere successo. Ora non so se quello che sto per raccontarvi ha una qualche valenza nella realtà, ma i dialoghi sono autentici, o perlomeno, le informazioni contenute in essi (perché me li ripeté lui stesso poco tempo dopo, quindi so per certo che sono corretti!).

Se siete d’accordo, ho messo nero su bianco questa parte della storia, per essere sicuro di non trascurare niente. Da parte vostra, fate finta che tutto quello che vi leggerò da questo momento in poi, fino alla prossima pausa, sia l’avvenuta realtà. Ciò ci condurrà al momento topico della storia, quindi fate attenzione:

Dopo essere uscito dalla bottega di Malaika, a Brave Lion non restò altro da fare che tornare a casa con le scorte appena acquistate.

Sulla via incontrò Colton Nyx, che salutò cordialmente, malgrado gli attriti che dividevano i due.

«Non mi aspettavo di vederti da queste parti oggi.» Disse il borgomastro, restituendo al Cacciatore solo una cortesia di facciata.

«Mi conosci, non sono in grado di starmene fermo in un posto senza far niente, a dispetto di qualcuno di nostra conoscenza.»

«Ognuno ha il lavoro che si merita, Brave.» Controbatté fulmineo lo stallone dal manto onice. «Sai, mi domandavo se hai notato che ultimamente il tempo sembra essersi fatto particolarmente bello. Non lo trovi curioso?»

«Può darsi, forse la Dea è di buon umore questo mese.»

Il borgomastro abbozzò un finto sorriso, che non avrebbe ingannato nessuno. «Magari sta festeggiando la dipartita del Leviatano.»

All’affermazione, Brave Lion esitò. «Il Leviatano?»

«Beh, è da un po’ che non lo si vede in giro, e un animale come quello, insomma, non scompare facilmente.» Quindi strizzò gli occhi con atteggiamento sospetto. «Tu ne sai qualcosa, non è vero Brave?»

L’effetto della domanda fu lo stesso di un chiodo in una ferita, che inasprì l’animo del Cacciatore di mostri.

«Non saprei. Come hai detto tu, se fosse ancora nei paraggi sarebbe impossibile non vederlo. Dev’essere volato verso nord, magari ne risentiremo ancora parlare tra quindici anni.»

«Il tempo ce lo dirà, immagino.»

«E in effetti anch’io ora devo andare.» Si affrettò a dire. «Mio nipote mi aspetta a casa, dobbiamo proseguire gli allenamenti oggi.»

«Chi sono io per interferire con lo sviluppo delle nuove leve? Vai, vai pure e fammi sapere se scopri qualcosa.»

Il Cacciatore si girò, e a quel punto nulla gli avrebbe impedito di tornarsene verso la sua dimora e riprendere come se non fosse successo nulla.

Il borgomastro mantenne lo sguardo su di lui, ma sicuramente non lo avrebbe fermato. Niente sarebbe cambiato, se avessero deciso di agire così. Ma Brave ricordava la disputa con suo nipote, e di seguito anche le promesse che gli aveva sancito quel giorno; malgrado tutto, era un pony d’onore, e non sarebbe venuto meno alla parola data.

Cambiò la sua idea iniziale e fece ritorno dallo stallone onice. Questi non si era allontanato di un passo. «Ti va se la smettiamo di fare i puledrini e cominciamo a fare un discorso da adulti? »

Colton Nyx mostrò finalmente una reazione sincera, era sorpreso della decisione del pony. «Allora sei stato tu? Ci sei andato nonostante te l’avessi proibito?»

Brave Lion annuì contrito. «Non voglio giustificarmi per quello che ho fatto. Ho lasciato che il rancore prendesse le decisioni al posto mio, e mi sono lasciato trascinare dal momento. Ma è stato come se un pezzo di me sapesse che cosa stavo facendo. Lo sai? Spirit mi aveva accompagnato quel giorno, ma durante lo scontro ho fatto sì che stesse alla larga dal pericolo. È stata dura, ma alla fine sono riuscito a sconfiggerlo. Non sentiremo più parlare del Leviatano, da oggi in poi.»

Finito di parlare, se ne stette in silenzio, accettando con riluttanza il biasimo rivoltogli dal capomastro.

«Seguimi, Brave» Lui gli fece cenno, e insieme camminarono fino al porto, dove si fermarono a osservare a distanza di discrezione l’attività sui pontili.

«Apprezzo la tua sincerità, sul serio. Di questi tempi non è facile per me trovare qualcuno di cui mi possa fidare, e sono lieto che tu sia uno di loro.»

«Sei preso così male?» Domandò il Cacciatore, pensando così di scioglierlo un po’.

«Tu ci scherzi, ma io non la vedo con il tuo stesso spirito. Sì, è vero, potrei rinchiuderti in gabbia per quello che hai fatto. Con la morte del Leviatano forse hai condannato tutto il paese alla carestia. Non avrei nemmeno bisogno di prove per sistemarti, se volessi farlo.»

«E allora perché non lo fai?»

«Dovrei in effetti.» Rispose sospirando «Potrei metterti alla gogna e dire a tutti per quali colpe ti condanno, e godermi la reazione della gente quando sapranno che li hai rovinati. Ma sinceramente… »

«Sinceramente?»

«Il problema è che non c’è più un paese a cui rivolgersi, Brave. Certo una volta era diverso. C’erano contadini, artigiani, c’erano medici. Potevi uscire di casa e salutare con un cenno la massaia che stendeva il bucato; i puledrini correvano per le strade e tu dovevi rimproverarli di fare attenzione. Avevamo addirittura una piccola testata giornalistica! Lo sai che come primo lavoro a Capo Unicorn feci lo strillone?…»

Piccola precisazione, poi continuerò: questa cosa la appresi anni dopo la morte di Brave. Mi piace pensare che in un momento di condivisione il nostro borgomastro gli abbia rivelato questo piccolo particolare su di sé, ma proseguiamo.

«Ma adesso… » per un breve istante lo stallone onice guardò i marinai chiassosi sulle navi, e nitrì dolente «la brava gente di qui se ne va, e a noi ci tocca badare a questi ronzini. Sesso, alcol e razzie. Ecco quali sono i temi caldi della nuova Capo Unicorn. Ed io sono quello che ha lasciato che tutto ciò accadesse.»

Brave Lion guardò lo stallone con la coda dell’occhio, cogliendo le delusioni che si tracciarono sul suo viso. «Non è stata colpa tua, Colton.» Disse a bassa voce, e il borgomastro lo ascoltò taciturno «la verità è che questo posto stava andando allo sfascio da prima che arrivassimo noi. Uruma è sempre stata così, fa quello che vuole lei. E i pony, per abitarla, possono solo accettare di sottostare ai suoi vincoli.»

«Pena: il fallimento?»

Brave Lion scosse la testa. «Pena: la morte. È questa la filosofia dei Cacciatori. Viviamo per affrontare questa terra, e sappiamo che il giorno in cui falliremo, sarà il giorno in cui torneremo alla Dea.»

Colton Nyx, quindi, sbuffò di nuovo. Al contrario di Brave Lion, la sua storia sarebbe continuata ancora per diversi anni. Doveva accettarlo e abituarsi ai cambiamenti.

«Il tuo vecchio amico ti manda i suoi saluti.» Bofonchiò di sfuggita lo stallone onice, facendo per tornare in paese.

«Chi?»

«Quello con cui hai lavorato anni fa, e che poi è salpato dopo che siete tornati dalla Schiena. Vi siete già incontrati se non sbaglio. Pony di terra, manto giallo. È arrivato con un galeone due settimane fa.»

Brave Lion aggrottò la fronte. «Credevo che fosse ripartito da un pezzo!»

«Tutt’altro. È rimasto qui per alcuni giorni e per tutto il tempo non ha fatto che rompere le scatole ai bottegai. Credo che si stesse preparando per un viaggio importante. Ora ricordo! Mi ha detto di dirti che “La sua proposta è ancora valida”. Mi ha detto che avresti capito, di più però non so dirti». Mentre attendeva la sua risposta, notò due cose: la prima fu che Brave Lion sbiancò di colpo, quasi che il suo manto avesse perso colore, la seconda, che d’improvviso sembrò avere una gran fretta di andare da qualche parte.

«È partito due giorni fa. Chissà, forse fai ancora in tempo a raggiungerlo, se ti affretti… » aggiunse, sperando così di potergli essere d’aiuto.

«Grazie.» Si limitò ad esclamare il Cacciatore, tenendo però dentro di sé la maggior parte delle emozioni.

Dopo quell’annuncio, i due si separarono.

Brave Lion galoppò di gran carriera verso le varie botteghe. Dalle domande che fece a ciascuno degli esercenti, apprese che il pony di terra aveva acquistato un quantitativo considerevole di pozioni curative, veleni e altri impiastri dalla bottega di Malaika; da Cuttersmith scoprì che ne era uscito con diverse attrezzature fatte apposta per combattimenti privi di magia, più una scorta di coltelli da lancio, sufficienti per abbattere il volo uno stormo medio di Skinflai; infine, Dirty Rag gli rivelò che nel corso di quelle giornate lo stallone era uscito più volte dalla stanzetta che aveva affittato al Brocco Randagio, portando con sé di volta in volta le attrezzature che acquistava. Solo due giorni prima, così come dichiarato da Colton, aveva restituito la chiave e saldato il debito residuo assicurando che da quel momento poteva liberare la stanza.

A quel punto Brave Lion non aveva più dubbi su quali fossero le intenzioni del suo ex-collega. Uscì dalla città e corse a tutta lena fino a casa, dove lo attendevo io, e dove adesso riprenderemo alla maniera tradizionale ciò che ci rimane del racconto.

Parte di quello che vi ho letto mi fu ripetuto da lui dopo il suo ritorno. Il resto lo appresi nei giorni seguenti, quando per passare il tempo, ci facevamo compagnia parlando di questo e tant’altro.

Ma torniamo all’inizio, quando lui era appena rientrato alla baracca.

«Un casino!» continuava a ripetere, e dal suo modo di fare capii che era indeciso sul come comportarsi. Doveva corrergli dietro (al pony di terra) e tentare di fermarlo, oppure lasciarlo andare, lasciando che se la vedesse da solo con i guai che lo attendevano?

Come già vi dissi prima, sospettavo che Brave Lion non era stato del tutto sincero quel giorno di due settimane prima, e ora quel piccolo dubbio era tornato ad incalzare proprio come allora.

Mi guardò con occhi angosciati, che supplicavano sostegno. Non sembrava nemmeno “Brave Lion, che sconfisse il Leviatano tutto da solo”. Era invece, “Brave Lion della Schiena del Drago”, terrorizzato da un segreto che solo lui conosceva. «Non so che fare, Spirit.» Mi ripeté di nuovo «Capisci che lui era stato il mio fedele compagno, proprio come ora lo sei te? Lui era la mia famiglia, proprio come ora lo sei te!»

Non posso biasimarlo, probabilmente anch’io mi sarei comportato così se avessi saputo per tempo a cosa saremmo andati in contro. Ma allora avevo con me solo la fiducia che riponevo in lui. Forse non come pony, ok, ma come Cacciatore, Dea Santissima, era pur sempre il Grande Cacciatore Brave Lion!

Sapere di avere lui al mio fianco mi faceva sentire come se nessuna minaccia al mondo potesse rappresentare un problema per noi, e se quindi da me voleva solo il mio sostegno, Dea Santissima, avrei fatto qualsiasi cosa per farglielo avere!

Andai da lui, lo colpii delicatamente con lo zoccolo – un gesto molto affettuoso – e una volta fatto questo gli ricordai una frase sentita qualche anno prima, e che aveva pronunciato lui stesso: «Una volta mi avevi detto che i Cacciatori devono stare in prima linea» lui mi guardò ed ascoltò con attenzione «non è importante chi di noi vivrà e chi morirà. Se ci sono dei pony da difendere… o anche muli, o mucche… abbiamo il dovere di proteggerli!»

Mi rivolse uno sguardo i cui occhi erano lucidi e tremavano da dentro le cavità. In effetti anch’io fui sorpreso dalle parole che pronunciai.

«Quello che ci aspetta laggiù è diverso, ragazzo. Ce la seria probabilità che da questo viaggio non torneremmo mai più. Io sarei anche pronto a morire, se è così che la Dea vorrà, ma tu?»

Internamente deglutii un quantitativo impressionante di bava, ma da fuori feci lo sforzo di non darlo a vedere. «Guardami le spalle, Zio!» Gli dissi, mettendomi in posizione eretta, sguardo fisso sul suo.

«E tu le guarderai a me… » completò lui, da prima mostrandosi indeciso, ma quando gli vidi incurvare le labbra in un solido sorriso, capii di averlo convinto del tutto. «È deciso! Andiamo a recuperare quell’imbecille!»

«E poi ce ne torneremo a casa?»

«Sì cazzo, e fanculo questo cesso di posto!» Esclamò. «Appena torniamo, prendiamo le nostre cose e ce andiamo, fanculo Uruma, fanculo ‘sto schifo!»

«Sìì cazzo!!» Sbattei le ali per la gioia, e per un momento riuscii quasi a sorreggermi in volo.

Questo… a modo suo, è stato il momento più bello che trascorsi con lui…

Trovammo tracce del nostro stallone durante le prime ore del viaggio. Si facevano più o meno nitide a seconda della composizione del terreno, ma anche così, studiandole attentamente, mio Zio era in grado di constatare che il pony aveva trottato con un’andatura regolare e spedita.

Aveva decisamente fretta di arrivare a destinazione, e non sembrava particolarmente disposto a farsi raggiungere, malgrado in principio avesse dichiarato l’esatto contrario. Anzi, secondo Brave cercava in tutti i modi di nascondere il suo passaggio. Forse, alla fine, aveva intuito che non lo avremmo lasciato proseguire, qualora lo avessimo raggiunto, e allora aveva cercato di confonderci.

In diverse occasioni incontrammo piste sbagliate e svolte che lui stesso aveva preso per depistarci, camminando poi a ritroso sulle sue stesse impronte.

In certi punti, addirittura, svanivano del tutto, e non potevamo capire se avesse guadato la Lacrima del Drago, oppure se aveva trovato altri metodi per nascondere il suo passaggio.

In ciascuno dei casi, non aveva importanza ciò che faceva, e anzi, la cosa andava a nostro favore. Mio Zio sapeva che la sua meta finale era quel punto preciso tra le montagne della Schiena del Drago, dove quindici anni prima le loro strade si erano divise. Lo stallone giallo avrebbe anche potuto ricorrere ai metodi più raffinati per portarci sulla strada sbagliata, ma alla fine avrebbe solo accorciato il distacco che lo divideva da noi.

Marciammo per due giorni e mezzo, durante i quali coprimmo la distanza che ci separava dalla nostra destinazione in metà del tempo che avrebbe richiesto di solito.

Per essere più precisi, la mattina del giorno seguente alla partenza, eravamo arrivati alla Gola del Mostro Titano, e lì fui ghermito da un senso di déjà vu, che riguardava la battaglia tenutasi con il Leviatano, la metà di un mese prima; il suo cadavere giaceva come lo avevamo lasciato allora, in stato di decomposizione e liberando nell’aria una cortina di gas venefici. Quella fu senz’altro la parte più sgradevole del viaggio, e l’unica in cui ci trovammo costretti a interrompere il nostro regolare ritmo per prendere le distanze dal fiume.

Era veramente insopportabile quell’odore, difatti nella zona non ci fu traccia degli Skinflai più piccoli, che sarebbero riapparsi in piccoli stormi solo dopo che il cadavere si sarebbe ridotto a un cumulo di ossa.

Per cercare di muoverci quanto più velocemente possibile, facemmo veramente poche pause durante il viaggio. Di solito marciavamo per tutto il giorno consumando i nostri pasti in movimento. Se dovevamo bere, avevamo alla nostra sinistra la Lacrima del Drago, e per bisogni più impellenti, lasciavamo semplicemente che uno si distanziasse dall’altro, per quindi espletare…

Non so perché ve l’ho detto…

Ok, comunque… dormimmo solo poche ore per notte, durante le quali ci dividemmo in due turni di guardia, fino a quando la Dea non avesse deciso di levare sull’orizzonte i primi sfavilli del sole, quindi riprendevamo.

Arrivati al tardo pomeriggio del primo giorno completo, capimmo che oramai non c’era più speranza di trovare lo stallone. Mio Zio contava sul fatto che la nostra velocità ci avrebbe permesso di ridurre la distanza tra noi, ma arrivati a quel punto, sapevamo che anche volendolo con tutte le nostre forze, non saremmo mai riusciti a raggiungerlo in tempo.

Di galoppare non se ne poteva nemmeno parlare. Già a quel punto eravamo provati ed eravamo a poco più di metà del viaggio, e anche se io stavo tenendo duro cercando di fare PIÙ di quanto Brave Lion si sarebbe aspettato da me, le difficoltà che ci attendevano alla Schiena – secondo lui – non avremmo dovuto affrontarle con il fisico prostrato dal viaggio.

Così, di comune accordo, decidemmo di continuare mantenendo un ritmo più equilibrato, senza affaticarci più del necessario.

Parlare con mio Zio fu molto piacevole quei giorni. Lui rispondeva alle mie domande ed era disponibile a darmi spiegazioni, ma non gli chiesi nulla sulla Schiena del Drago o sulla Green Blade, né sulla cicatrice. Ero convinto che a queste domande avrei trovato una risposta una volta arrivati a destinazione, e temevo di spezzare quel clima idilliaco qualora mi fossi spinto troppo in là del famigerato muro.

Programmammo le ore di riposo e il ritmo di traversata in relazione alla strada che ci mancava, in modo che alla fine potessimo giungere alle montagne con il favore della luce.

Per la prima volta in vita mia, avevo modo di vedere da vicino come fosse la Schiena del Drago. Era nettamente diversa da come me la immaginavo: tra le vette più alte era nascosto un paesaggio fatto di asperità di ogni tipo, punte rocciose che s’innalzavano da terra come se volessero toccare il cielo. Capivo perché i pony avessero deciso di chiamare quel posto così, sembrava davvero di trovarsi sul dorso di un enorme dragone addormentato.

Quando entrammo nel territorio, e quindi circondati da cunei e speroni rocciosi, Brave si fermò e mi disse che potevo riposarmi, lui nel frattempo usò le calzature per il galoppo verticale per salire su una ripida parete e studiare il paesaggio dall’alto.

Non gli ci volle molto, e infatti quando scese stavo a malapena riprendendo il fiato dal viaggio.

«Da questa parte.» Disse con aria ansiosa, e allora ci addentrammo più a fondo in quel labirinto roccioso.

C’erano delle ossa di pony, ma prima di allarmarvi, vi dico subito che non appartenevano al nostro Cacciatore. Erano pallide e levigate, totalmente prive di carne, e prova che si trovavano lì da molto tempo (trenta o quarant’anni, a giudicare dalle condizioni dei pochi rimasugli di tessuto che gli restavano attaccati). Avevamo scoperto uno dei tanti viaggiatori che avevano trovato la morte dopo essersi avventurati in quel territorio sperduto. Lo scheletro aveva delle ali, ma Brave mi fece subito notare che le ossa erano crepate, e che dal modo in cui l’omero era spezzato, la frattura doveva essere avvenuta prima della morte (e probabilmente era stato proprio questo a impedire la fuga al povero bastardo). Non ci era stato possibile identificare chi poteva essere in vita, e per giunta non avevamo tempo da dedicargli.

Lo lasciammo lì, a rimuginare per l’eternità sui suoi errori.

Stavamo ancora marciando, quando notai qualcosa di particolare incastonato tra due sassi. Subito chiamai mio Zio.

Ci fermammo entrambi a esaminarla, e cosa scoprimmo? Che era uno dei pugnali da lancio in possesso del pony terrestre. Lo si capiva di certo, poiché la lama – al contrario dello scheletro di poco prima – era chiaramente nuova e ancora lucida, priva di scalfitture, con i bordi che non presentavano segni di usura del tempo.

«Probabilmente gli è caduto dalla cintura.» Suppose Brave, mentre nel frattempo – notai – si guardava intorno, costantemente in allerta.

«Credi che ce la faremo a trovarlo?» Chiesi invece io.

«Dipende se lui vuole farsi trovare da noi.»

Stavo per chiedergli se avesse qualcosa in mente, quando lo vidi estrarre dal mantello una Rosa della Vittoria. Non provai nemmeno a pormi il problema di come avesse fatto ad averla.

La lanciò in cielo e quindi aspettammo che svolgesse il suo compito.

«Adesso sa che stiamo arrivando.» Spiegò. «Spero per lui che non abbia voglia di giocare a nascondino.»

Proseguendo, notai che mio Zio sapeva esattamente come muoversi. Conosceva i sentieri più praticabili, prendendo le direzioni sicuro di sé, e ogni tanto si fermava solamente per verificare se c’erano segni lasciati sul terreno, degli indizi del passaggio dello stallone giallo, o se invece si trattava dell’opera di qualche creatura. Ma non era mai così, non c’erano tracce di altre creature, non un nido d’uccello, né un piccolo mammifero, o qualche animale comparabile al tipico bestiario di Uruma. Per la verità non c’erano neppure piante, a parte qualche ciuffo d’erba qui e lì che andava bene come stuzzichino per distrarsi mentre trottavamo.

Ciò ci portò al passo successivo, quando trovammo una pista d’impronte di zoccoli fresca. Si vedeva come il contorno delle zampe avesse scavato nel terriccio riarso, segno che chiunque le aveva fatte (e le circostanze auspicavano al nostro stallone) si era messo a correre a perdita di fiato, inseguendo (o inseguito da) qualcosa. Il “cosa” lo avrei scoperto tra non molto.

Scendemmo in un breve avvallamento.

Se prima eravamo leggermente in apprensione, ora eravamo agitati. Le impronte erano diventate un’ampia striscia di terreno, dove il pony, discendendolo, doveva probabilmente aver perso stabilità ed essere rotolato giù in modo brusco.

Vidi Brave che tremava sotto il manto, nonostante s’impuntasse di sembrare impavido e coraggioso come sempre.

Lo chiamai per sincerarmi del suo stato.

«Siamo vicini al punto in cui c’eravamo separati quindici anni fa.» Spiegò, con la voce che a malapena riusciva a non vacillare, e poi: «Laggiù, oltre quel costone, è dove mi sono allontanato da lui.»

Scendemmo giù a passo lento, stando attenti a non ripetere l’esperienza del fuggiasco.

Il cuore di entrambi si fermò, quando scorgemmo delle macchie di sangue secco che rigavano la terra sotto alle nostre zampe, e che seguivano come un’inquietante ombra le tracce del pony.

Ma non erano solo queste a inquietarci: qualcosa di più grande aveva lasciato segni del suo passaggio in quella valle; una serie d’impronte enormi, della taglia di un Rogueshar direi io, circoscritte in quei dintorni. Come se chi le avesse lasciate fosse piombato dal cielo, oppure chissà… comparso dal nulla?

Io e mio Zio ci guardammo a vicenda. Poi ci fu dell’altro.

A distanza di trenta zoccoli dietro una formazione rocciosa c’era qualcosa, a malapena visibile, che sporgeva da un lato.

«Resta qui.» Mi disse Brave, costringendomi a stare fermo a guardarlo, mentre si avvicinava lento e rigido alla cosa che sporgeva.

Era lui, era il nostro pony di terra, l’ex-commilitone e vecchio e caro amico di mio Zio.

Io… non vidi subito ciò che invece vide Brave, il mio turno sarebbe arrivato più tardi, quando una circostanza particolare mi avrebbe costretto a doverlo fare.

Comunque sia, eviterò di descrivervi in che condizioni vessava il corpo. Mi limito a spiegarvi che qualcosa aveva combinato lo scempio con il suo cadavere. Non un altro equino, non la conseguenza di una qualche sventura, ma bensì un animale che, dalla ferocia con cui si era accanito, doveva sprizzare puro odio da tutte le parti… ammesso e non concesso che questa cosa ce l’avesse un naso. Non so che cosa poteva essere stato, ma nessun predatore mostrava mai tanto risentimento verso gli altri esseri viventi. Gli Shar, i Gor, i Tygrus, loro uccidono per mangiare, la loro natura li spinge a comportarsi così per sopravvivere, ma non si sarebbero mai accaniti deliberatamente per far soffrire la loro vittima. Questa cosa invece, beh, sembrava proprio non avesse puntato ad altro che a fare del male al nostro pony.

Era ciò che terrorizzava mio Zio? Ora capivo perché avesse tanta paura di tornare sulla Schiena.

Non disse una parola mentre gli occhi si fissavano sul suo vecchio amico, non un’emozione sul suo viso freddo, neppure quando lo chiamai per vedere come avrebbe reagito.

Chi lo sa che cosa stava pensando in quel momento.

A un certo punto fece qualcosa di inaspettato, si sfilò il suo mantello e lo usò per coprire il corpo. Non so cosa significasse esattamente quel gesto, ma doveva essere importante. Voi direste che l’avrà soltanto usato solo per coprirlo? Io non ne sarei così sicuro invece. Secondo me doveva significare qualcos’altro. Forse dietro quel mantello c’era una storia che non conoscevo?

Ad ogni modo, dopo di questo si piegò sulle ginocchia in silenzio, e si mise a fare qualcosa che io interpretai come una preghiera.

Mi sembrò sbagliato rimanere lì a fissarlo, così decisi di fare un giro dei dintorni, aspettando che finisse.

“Non mi sarei allontanato più di tanto” dissi a me stesso.

Camminavo bipede, la mia attrezzatura da combattimento sguainata. Ero pronto a reagire se la situazione me l’avesse richiesto, ma speravo in cuor mio di poterlo evitare. Che speranze avrei potuto avere contro un nemico che a quanto pareva, neppure Brave Lion aveva il coraggio di affrontare?

Poi a un tratto, la mia attenzione fu richiamata da un fruscio che mi mise in allerta. Mi voltai verso la sorgente del suono, e fu allora che mi accorsi che qualcosa di piccolo mi stava osservando da dietro le rocce.

Prudentemente, con molta attenzione mi avvicinai, le lame puntata in avanti in posizione di guardia. Ma prima che potessi avvicinarmi abbastanza, la piccola cosa sgattaiolò via impedendomi di esaminarne anche di poco le forme.

Un po’ ingenuamente le gridai «Aspetta!», e mi lanciai al suo inseguimento.

Era stato molto poco prudente da parte mia, ma non credevo che quella piccola creaturina potesse mai essere stata la responsabile del ponycidio dello stallone giallo (almeno sulla base della taglia delle impronte che avevamo trovato). E poi ero troppo curioso di vedere quella cosa da vicino. Non avevo mai visto niente di simile, su questo ne avevo la certezza assoluta!

La seguii fino a quando non la bloccai in una gola cieca, circondata da alti scogli, dove la creatura si nascose nello spazio tra alcuni massi rotondi. Non sarebbe mai riuscita ad uscire da lì, pensai.

Allora mi mossi con calma. Prima di tutto tirai in dentro le lame, e mi misi a quattro zampe gattonando quatto quatto verso di essa. Le parlai, come penso si farebbe ad un cucciolo spaventato, pensando di convincerla in questo modo a fidarsi di me (posto che non fosse essa stessa la minaccia).

La creatura cacciò fuori la testa dal suo nascondiglio e mi guardò, poi si nascose di nuovo, e poco dopo ci riprovò. Non mi ero mosso di un solo centimetro mentre questo succedeva.

Quando la sua testa fece capolino la seconda volta, potei esaminare poco meglio com’era fatta. Un corpo stranissimo, vi dirò, che assomigliava a tante cose diverse e allo stesso tempo a nessuna.

Ma no, non era una chimera. Non mi riferisco a specifiche parti di animale assemblate insieme in un corpo condiviso. Sembrava piuttosto un ibrido a livello evolutivo, un animale adattatosi per apparire bizzarro agli occhi di chi lo guarda.

Aveva grandi occhi e una testa simile a un puledrino, ma senza pelliccia. Era poco più bassa di me, e sembrava a sua volta giovane, date le proporzioni della testa rispetto al corpo. E che altro? A un certo punto emerse leggermente di fuori dal rifugio, e allora vidi le zampe e capii che non poteva essere una mutazione: erano composte e segmentate come quelle degli insetti. Eppure non erano zampe da insetto, non vi saprei proprio dire di che genere di animale fosse.

Le dissi qualcosa sperando così di allacciarvi un contatto. Non mi sembrò una creatura tipica di Uruma, i suoi occhi erano molto fluidi e vivaci, ed erano a dir poco espressivi, pur appartenendo a una bestia selvatica. Ciò le conferiva un’aria molto acuta, e non escludo che fosse pure dotata d’intelletto (per questo provai a parlarci).

Stavo per fare qualcos’altro, forse cercare di toccarla, e credo che pure la creatura stesse per fare altrettanto, quando la voce di mio Zio mi fece arretrate.

«Allontanati subito!!» Gridò a squarciagola, e quando mi girai, lo vidi lanciarmi contro la Green Blade.

Fu così veloce il suo gesto, così rapido, che se anche fossi stato preparato a evitarlo, non avrei potuto fare nulla per deviarne la traiettoria. Ma la Green Blade – mi accorsi dopo – non voleva me. Certo mi passò a un tiro di schioppo dalla spalla, ma questo, se vogliamo, poteva essere imputabile a me, che tentai inutilmente di farmi da parte.

Allora sentii uno strillo, e girandomi vidi che la lama aveva mozzato con un taglio netto e preciso una delle zampe anteriori dell’animaletto. Questi corse subito dietro le pietre, dove teneva il nascondiglio, e mio Zio rincarò poi la dose lanciandogli addosso una mitragliata di Colpi Magici Dirompenti, che finirono per sbriciolare le rocce (alcuni frammenti colpirono anche me) e sollevare per aria un cumulo di polvere che per un po’ m’impedì di vedere le conseguenze della sua azione.

Aspettammo in silenzio che il pulviscolo si disperdesse.

Ora al posto delle rocce c’era solo un cratere e qualche piccolo cumulo di pietruzze. Fino a poco prima mi sarei aspettato di trovarmi a quel punto una carcassa carbonizzata e probabilmente fatta a pezzi dai colpi magici, invece non ci fu proprio nulla (a parte, questo sì, ciò che restava della zampetta dell’esserino).

Era svanito nel nulla, così come hanno dimostrato di saper fare le altre forme di vita di Uruma.

«Dannazione, Dea lo maledica, dannazione!!» Mio Zio imprecò furiosamente, pestando il terreno con le zampe.

Richiamò a sé la Green Blade e quindi, subito, mi disse che dovevamo andarcene. Me lo impose. «Muovi il sedere, corri!»

Lo seguii.

Certo, mi fidavo di lui, considerando ciò che aveva passato (e ciò che avevamo trovato dentro quella vallata), e se era giunto alla conclusione che quello strano animale rappresentasse una minaccia che richiedesse un uso così massiccio della magia per essere annientata, allora dovevo prendere per buone le sue azioni e prestargli il beneficio del dubbio.

Ma se di dubbio vogliamo proprio parlare, che cos’era quell’essere? E perché Brave Lion si era scaldato così tanto non appena lo aveva visto? “Non sarà stato lui ad averlo quasi ammazzato quindic’anni prima?” Mi domandai correndo. No, non poteva esserlo, non con quelle enormi tracce, almeno. “A meno che non sia stata la sua Mamma a farlo. In fondo quell’essere sembrava un cucciolo, no?”

Abbiate pazienza ancora per un po’, che tra poco ci arriviamo.

«Da adesso in poi, ti proibisco di allontanarti da me. Almeno finché non saremo fuori dalla Schiena. Sempre insieme, ricordi?»

Io annuii, in silenzio e frastornato.

Sebbene accettassi tutto ciò che mi succedeva intorno, dentro di me uno stallone imbizzarrito stava scalciando nel suo recinto per liberarsi.

Risposte, volevo delle cazzo di risposte!

Volete scusarmi un minuto? Mi… mi serve una pausa. Devo riordinare le idee.

Allora, siete pronti? Riprendiamo da qui:

A quel punto non era più importante cosa eravamo andati a fare alla Schiena del Drago. Il pony che cercavamo era morto, e quindi la nostra “missione” era da considerarsi fallita e stracciata.

Iniziammo a galoppare di gran fretta, o sarebbe meglio dire, correvo ansimando, mentre mio Zio galoppava come un ratto in fuga.

Mentre gli chiedevo, con la bocca impastata, «ti prego, rallenta!», lui mi faceva intendere che non aveva alcuna intenzione di farlo, e che anzi avrei dovuto allungare le falcate. Dovetti farlo per forza, richiamare a me il ricordo di tutte le volte che avevamo corso insieme per allenarci.

Se anche avessi voluto porgli delle nuove domande, non sarei riuscito in quelle condizioni a mettere insieme neanche una frase.

Stavamo per allontanarci dalla zona, quando udimmo entrambi un suono, non poi così distante: un verso prodotto da un essere vivente. Qualcosa di veramente gigantesco, perché l’eco inondò tutto territorio, rimbalzando tra le montagne per poi giungere, alla fine del viaggio, nelle nostre orecchie. Se dovessi descriverlo, direi che era molto acuto e con delle modulazioni metalliche.

Conoscete qualche creatura che fa versi del genere? No, eh?

Mio Zio si stoppò, ed io per poco non gli andai a sbattere contro.

Ricordo che lo guardai negli occhi, e vidi che le sue pupille si erano ristrette. Dalla bocca spalancata non stava emettendo neppure un fiato.

Scrutai insieme a lui il paesaggio. Non vi saprei dire se c’era qualcosa, non so se stava udendo dei passi, o se invece aveva riconosciuto – in qualche modo che solo lui sapeva – l’avvicinarsi dell’ entità ignota.

Avevo il respiro affannato e tutta la mia attenzione era occupata da quello.

«Spirit» bisbigliò coi nervi a fior di pelle «ora ti chiederò due cose. Quando avrò finito, devi assicurarmi che manterrai la promessa!»

«Zio?» Lo interpellai, ma la mia voce, apparentemente, non arrivò alle sue orecchie.

«Promettimelo!» Lui incalzò, e allora che altro potevo fare io, se non fare un cenno e rispondere: «S-sì, lo prometto…»

Il suo corno si circondò di magia, e quindi avvolse anche me sollevandomi da terra.

«Prima richiesta: giurami che farai di tutto per restare al sicuro. Sfrutterai le conoscenze che ti ho donato per sopravvivere, e non ti farai schiacciare dalle minacce che incontrerai. Giuramelo!»

«Sì, sì lo giuro! Combatterò, non deluderò le tue aspettative!»

Quando gli risposi, lui mi regalò un sorriso meraviglioso.

«Lo so che lo farai. Sei un bravo nipote.» Poi si acquietò, allarmato dal rumore di qualcosa che stava caricando verso di noi, qualcosa che io non riuscii a vedere.

«La seconda promessa che mi devi fare, piccoletto… è che volerai.»

Ogni cosa nella mia testa si arrestò in quell’attimo, e con la voce del pensiero chiesi a me stesso: “Aspetta, che cosa?!”

«VOLA, SPIRIT, VOLA COME NON HAI MAI VOLATO IN TUTTA LA TUA VITA!!»

E quando terminò di dirmi questo, prima che potessi obbiettare, mi lanciò per aria spedendomi lontano. Attraverso il vuoto dei cieli della Schiena.

Così di fretta e senza alcun preavviso…

Gridai «NOO!» con tutto il fiato che tenevo nei polmoni.

Per un po’ mi ritrovai tutto in subbuglio, ruotando su me stesso senza essere in grado di trovare una stabilità, ma poi compresi che stavo via via perdendo quota, e che la spinta della catapulta magica si era ormai esaurita. Stavo precipitando!

Guidato dall’istinto, spalancai le ali, e cercai di sbatacchiarle per riprendere il controllo della discesa, ma il problema era un altro: non sapevo come sfruttare le correnti del vento, e anche se lo avessi saputo, in ogni caso non sarei mai riuscito a volare come avrei dovuto!

Così la mia azione si limitò a un disperato tentativo di planare, nel quale mi prese pure il dubbio che forse, agitandomi, avrei solo accelerando la velocità con cui scendevo. Rimpiansi come non mai di non avere già brevettato l’Attrezzatura per le Planate. Quel giorno mi sarebbe stato molto utile. Forse avrebbe pure cambiato il corso degli eventi.

Ma no, invece non potevo fare niente. Potevo solo precipitare e cercare di rallentare la discesa attutendo la velocità. Erano così sotto sforzo i miei muscoli, e così fuori allenamento per giunta, che non me lo spiego come non si siano strappati per lo sforzo.

Dopo un po’ ottenni quel tanto di bilanciamento che mi serviva per schiarirmi le idee e mettere a fuoco, per lo meno, l’area sotto di me in cui alla fine mi sarei schiantato.

Sapevo che mi sarei fatto male ancora prima che succedesse, e temevo che dall’impatto non ne sarei uscito vivo. Le mie ali ronzavano disperate, come quelle di una mosca che si mette in salvo dopo essere miracolosamente scampata a un tentativo di schiacciarla.

Chissà che sarebbe successo una volta toccato terra? Che sensazioni avrei provato? E che cosa avrei fatto poi? Ma poi, era mai giusto che queste domande dovessero scaturire proprio dalla mente di un pegaso? Che fine di merda sarebbe mai stata quella del “pony alato che perde la vita cadendo”? Potrei raccontarla a qualche fesso pirata al Brocco Randagio, e probabilmente lo farei smascellare dalle risate. Allo scheletro del pony morto, incontrato poco prima, non avrebbe certo dispiaciuto avere un po’ di compagnia.

Ora, non ha senso che la tiri per le lunghe, tanto lo sapete com’è andata a finire. Sono ancora qui, no?

Alla fine, come potete immaginare, la mia faccia incontrò il suolo roccioso.

Le ali sfibrate e ormai in fiamme avevano rallentato la caduta quel tanto che bastava per salvarmi la pelle e impedirmi di restare paraplegico a vita, ma di quello che successe quando smisi di cadere, ricordo solo vagamente il flash che precedette l’impatto, e il buio assoluto che seguì subito dopo.


   
 
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