Fumetti/Cartoni americani > My Little Pony
Segui la storia  |       
Autore: Alvin Miller    29/07/2017    0 recensioni
Questa storia parla di una terra lontana e perduta nel tempo, Uruma, patria di una piccola comunità di pony, ma anche habitat di feroci creature carnivore.
Ed era anche la sede della Congrega dei Cacciatori di Mostri, pony coraggiosi e dal cuore impavido, che mettevano in gioco la loro vita per la sicurezza della popolazione.
Ma da qualche anno le cose sono diverse: la Congrega è sfaldata, le condizioni di vita sempre più difficili, ed ora solo due Cacciatori sono rimasti a difendere la cittadina costiera di Capo Unicorn.
Quella che vi sto per raccontare è la loro storia. Io sono Liberty Spirit, sono un Cacciatore, e questa è la mia storia.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

EPILOGO – PASSATO

Catene

Mi svegliai con un gran mal di testa e metà del viso impregnato da qualcosa di appiccicoso. Alzandomi di poco, vidi una chiazza rossa nel punto in cui la mia guancia destra si era appoggiata al terreno. Mi ci volle poco per capire che quel sangue era mio e che mi era uscito da una ferita sulla fronte (un po’ come quella di mio Zio, capite che cosa intendevo prima?).

Tuttavia me ne dimenticai quasi subito, perché non appena la nebbia del risveglio si era allontanata, mi accorsi che per giunta avevo una frattura alla zampa anteriore (la destra). L’osso dello stinco si era rotto ed era uscito dalla sua collocazione, ma per fortuna non dalla carne. Non ce l’avrei mai fatta, altrimenti, se avessi dovuto combattere anche contro un’emorragia.

Nel mezzo del dolore che stavo provando, cercai di capire quanto tempo fosse trascorso da che persi coscienza, guardai in alto in cerca del sole, ma sinceramente non ricordavo in quale posizione si trovasse prima di svenire.

Questo però mi fece ricordare di mio Zio, che era chissà dove ad affrontare l’entità.

Ribadisco una cosa: ero tramortito, con in testa mille sensazioni diverse e nessuna delle quali piacevole, per questo non ero in grado di trarre le dovute conclusioni su cosa fosse successo. Sapevo che mio Zio mi aveva allontanato dallo scontro per risparmiarmi dal combattere, ma poi?

Avevo una grande confusione in testa. Era come se il ricordo della battaglia contro il Leviatano si fosse sostituito ai fatti di quel giorno, e pensai che se fossi tornato sui miei passi, avrei trovato Brave Lion intento ad aspettarmi in cima al corpo dell’entità, fiero del suo ultimo successo.

Avevo riconosciuto il paesaggio che mi circondava, perché mio Zio, nella sua scelleratezza, era stato abbastanza saggio da scaraventarmi proprio sulla stessa via che avevamo percorso all’andata, così pensai di riprendere il sentiero e raggiungerlo.

Liberai la zampa fratturata da una parte dell’attrezzatura da combattimento, tenendo solo la lama sinistra con me. Per facilitarmi nello spostamento, sfruttai la mia abilità tutta speciale di deambulare su due zampe e mi misi in cammino. Sarebbe stato un vero casino, altrimenti, se avessi dovuto attraversare quelle asperità rocciose su sole tre zampe.

Man mano che procedevo (non dovevo essere poi così distante da dove ci dividemmo), iniziai pian piano a riordinare parte dei fatti. Ora che avevo compreso ciò che aveva fatto Brave, beh, ero incazzato come non lo ero mai stato. Mi aveva fregato per l’ennesima volta, dimostrando quanto poco in verità si fidasse di me.

Il che era illogico, a pensarci un momento. Ero io quello che doveva essere diffidente, quello che non doveva dare retta alle sue promesse! Invece, come un povero mulo ingenuo, non facevo che dire “sì” ad ogni suo delirio, consentendogli di farsi beffe di me ogni volta che gli girava!

“Oh ma questa volta gliel’avrei fatta vedere!” pensai.

Gli avrei lasciato aggiustarmi la zampa, mi sarei fatto bastare che l’osso ritornasse alla sua collocazione originale (e delle eventuali ripercussioni postume me ne sarei occupato poi), e a quel punto, costasse quel che costasse, se anche la Dea stessa fosse scesa in campo per cercare di fermarmi, io lo avrei affrontato!

Ma ero arrivato in ritardo, ormai non c’era più nessuno su cui potessi accanirmi…

Prima di tutto tornai alla vallata e mi affacciai dal costone. Non c’era nulla di diverso a dispetto di come l’avevamo lasciata. C’erano, al più, le tracce lasciate da noi.

Scesi con attenzione, cercando di non sbilanciarmi, ed osai pure avvicinarmi al corpo del Cacciatore morto, che una probabile folata di vento aveva in parte scoperto dal mantello esponendone alcune parti, così che potei vedere con i miei occhi ciò che gli era successo.

Non fu un bello spettacolo. Un conato di vomito mi suggerì che forse era un buon momento per fare la femminuccia, ma lo respinsi con vigore. Allora cercai le tracce della nostra fuga, e provai a ripercorrerle sperando di trovare mio Zio (e a non incappare nell’entità).

Ci volle un po’. Non mi resi conto di quanto c’eravamo distanziati finché non mi ero messo a ripercorrere quella stessa strada.

Mi arrestai quando mi sembrò di essere ritornato nel punto in cui – allo stesso modo – c’eravamo fermati io e lui.

Non cercai tracce del passaggio dell’entità (anche se ce n’erano, i miei occhi le vedevano, ma non il mio cervello), invece, chiamai a gran voce mio Zio.

Una volta, e poi anche un’altra, ma l’eco che si ripeteva per tre-quattro volte dopo ogni mio richiamo mi suggerì che Brave Lion non era il solo che li avrebbe potuti udire.

Il problema principale era la conformazione del terreno, che con le sue scaglie di roccia appuntita non mi consentiva di vedere al di là di brevi distanze, e che quindi mi costrinse a muovermi per tentativi, sperando di non perdere la via.

Il silenzio tutt’intorno mi provocava più dolore mentale di quanto non ne facesse quello fisico alla zampa, e a esso si stava per aggiungere quello emotivo…

Trovai mio Zio a qualche decina di zoccoli più in là.

Può sembrare strano che non l’abbia visto da lontano, ma il fatto fu che la mia stessa mente non era pronta ad accettare una realtà in cui Brave Lion potesse presentarsi in quello stato…

Aveva combattuto contro l’entità, ed aveva… no, scusatemi… posso fare di meglio…

Prima gli corsi incontro, quando capii che era lui quello che giaceva in quella posizione.

Gli presi la testa tra le zampe e tentai di sollevargliela. Il mio braccio smise di essere un problema quando costatai le ferite che aveva riportato sul corpo.

Tumefazioni, gonfiori ed ecchimosi erano solo la facciata di ciò che aveva subito; mi bastò toccarlo un po’ per scoprire che probabilmente non aveva un solo osso integro. La faccia contorta in una smorfia, che mi risparmiò, per lo meno, l’orrore di osservargli gli occhi, che erano nascosti dietro le palpebre.

Fui davvero fortunato a non vederlo conciato allo stesso modo dell’ex-collega. Brave Lion, almeno, aveva dimostrato fino all’ultimo di che pasta era fatto. Forse era persino riuscito a ferire il mostro… forse perfino a ucciderlo, anche se non vedevo il cadavere.

Comunque sia, in quel momento non m’importò di niente.

Pensavo soltanto a gridare il suo nome, e a supplicarlo di svegliarsi. Lo scuotevo ripetutamente, ascoltando senza volerlo le sue ossa scricchiolare da dentro il corpo.

Poi gli aluscut… auscul… come si dice?! Va beh, provai a sentire se il cuore gli batteva ancora, o se stesse respirando, ma non ebbi notizia né di uno né dell’altro!

Provai a rianimarlo invano, col poco di competenza che mi aveva insegnato negli anni precedenti, e neppure questo servì a qualcosa per riportarlo da me.

Così mi misi a piangere…

Lasciai andare le emozioni e piansi. C’era un po’ del dolore, e c’era un po’ della rabbia. Poi c’erano le domande a cui non avevo avuto delle risposte, e c’era la consapevolezza che da quel momento in poi sarei rimasto da solo.

Tante piccole goccioline che m’inumidivano le guance, mi lavavano via un po’ del sangue che mi sporcava, e ognuna rappresentava, a modo suo, uno stato emotivo differente che mi scendeva giù dagli zigomi.

Che cosa avrei fatto adesso? Come avrei fatto ad affrontare quello che mi sarebbe aspettato? E poi che cosa mi aspettava? E quando? E perché? Perché non mi hai permesso di aiutarti, Brave?!?

Domande, domande e solo domande! Porca Dea Brave, perché?! Perché?!? Avevi detto che ci saremo guardati le spalle a vicenda, che saremo stati insieme per sempre!!

Non vogliatemene, ma devo finire alla svelta. Comincio ad averne davvero abbastanza.

Quindi…

Stetti per non so quanto tempo a piangere sulla sacca di carne che un tempo era stato mio Zio. Quando finalmente un barlume di lucidità tornò a illuminarmi la via, capii che non potevo starmene lì per sempre.

La cosa che chiamavo “l’entità” sarebbe potuta tornare da un momento all’altro, e io non avevo alcuna intenzione d’incontrarla. Per giunta, c’era la promessa che avrei cercato di non mettermi nei guai, e che avrei fatto di tutto per cercare di salvarmi. E allora dovevo muovermi.

Mi tolsi l’attrezzatura dall’altra zampa, e dopo aver recuperato delle forniture mediche da una delle sacche che portava indosso mio Zio, presi la sola cosa rigida che disponevo in quel momento – la mia lama gemella di sinistra, e la usai per bloccarmi la frattura.

Il lavoro che svolsi fu rozzo e approssimativo, e non avrebbe medicato neppure una piccola lussazione, ma questa fu la sola cosa che riuscii a fare.

Mentre giudicavo il risultato della fasciatura, osservando la punta della lama che sporgeva oltre le bende, mi ricordai solo allora che da quando avevo trovato il corpo, non avevo visto da nessuna parte che fine avesse fatto la Green Blade.

So che voi non avete idea di come fosse fatta, ma fidatevi se vi dico che non era il tipo di arma che passava inosservata.

Pensai di cercarla, almeno per onorare la dipartita di mio Zio, ma fu una causa persa in partenza.

Se non si trovava nei paraggi (e non si trovava), avrei potuto vagare per l’eternità attraversando quelle scaglie di roccia, e non ne sarei mai venuto a capo. “Un giorno forse sarei tornato, e allora l’avrei ritrovata” mi dissi in quegli attimi; forse quel momento sorgerà tra breve, quando avremo finalmente fatto ritorno sulla Schiena. Ma quando la cercai allora, mi arresi semplicemente troppo presto.

Ero stanco e distrutto, sconfitto nell’animo, ferito nell’orgoglio, come nel corpo, così nella mente. E privato dalle poche certezze che l’esistenza di Brave Lion poteva garantirmi quando trottavo al suo passo.

Tornai alle sue spoglie e gli feci l’onore di una sepoltura che sarebbe parsa dignitosa persino agli occhi della Dea.

Mi presi il tempo che serviva per raccogliere le pietre migliori e dall’aspetto più nobile. Fu un processo lungo e difficoltoso, svolto con una sola zampa e il viso perennemente segnato dal pianto opulento.

Gli lasciai addosso quasi tutti i suoi averi, scegliendo di recuperare per me solo le scorte di acqua, cibo e medicinali necessarie per il mio ritorno, e le Calzature per il Galoppo Verticale, che ritenni troppo importanti per lasciarle all’ingordigia del tempo.

Un cumulo di quelle pietre che io con tanto riguardo avevo scelto, ora copre i resti di quello che fu e sarà sempre il più grande Cacciatore di Mostri della storia di Uruma.

Senza più nulla, accettando che la Green Blade sarebbe giaciuta a lungo in un luogo sconosciuto della Schiena del Drago, insieme al ricordo di mio Zio, presi la direzione che avevo imparato a memoria, e dopo aver recuperato la spada gemella di destra dal luogo del mio schianto, mi avviai in silenzio nella direzione per Capo Unicorn.

Mangiai quando avevo fame, bevvi dalla borraccia e dal fiume quando avevo sete, e dormii accasciandomi a terra quando ero stanco.

Non c’era nessuno a vegliare su di me quando ero assopito, e la cosa non mi faceva alcun effetto. In ogni momento ripetevo a me stesso che se qualche creatura avesse voluto aggredirmi, per quanto m’importava, poteva benissimo farsi avanti e buon appetito.

L’universo che avevo intorno lo percepivo distaccato e inconsistente, come se io stesso non ne facessi più parte. Stavo sì tornando alla civiltà, ma non avevo ragioni concrete per volerlo fare. Nessuno stava lì ad aspettarmi con trepidazione.

E intanto piangevo, piangevo sempre, e anche quando ormai ero disidratato e completamente disinteressato dal rifocillarmi di fluidi, piangevo a occhi inariditi.

Si dice che le lacrime alleggeriscono il cuore, ma io più piangevo e più mi rendevo conto del perché continuassi a farlo, e così piangevo ancora di più, in un circolo vizioso che s’incatenava al mio collo e non mi lasciava andare.

Non seppi proprio quanti giorni trascorsero prima che Liberty Spirit, un tempo conosciuto come “il nipote di Brave Lion”, facesse ritorno alla soglia della civiltà, con un viso così cavo e macilento da sembrare, allo sguardo altrui, la descrizione di una pianta appassita, la ponyficazione della malattia stessa di Uruma.

Era un pomeriggio. Capo Unicorn mi sembrò così bella d’improvviso, anche con i suoi fuorilegge che impestavano le strade che un tempo erano appartenute ai discendenti di coraggiosi pionieri dei mari. Eppure non riuscii a sentirmi completamente lieto di avervi fatto ritorno. Tutto mi sembrava così diverso ora, così privo di colore e di scopo.

Doveva incutere una certa impressione vedermi attraversare le vie in posizione bipede e con una zampa sporca, gonfia e frollata, come una grassa spugna imbevuta di fango, fasciata con una spada che fungeva da sostegno. Chissà quanti, fermandosi ad osservarmi, non si fossero domandati “di chi era” quella povera anima sperduta e lercia, che vagava per la strada tutta sola e smarrita.

Sapete, no, che intendo? Quel genere di domanda che ti fa la gente di paese, che se tu rispondi “sono nipote di…”, loro ti diranno subito di aver capito chi sei, battendosi la fronte, solo perché si ricordano dei tuoi parenti.

Io li ignorai tutti uno per uno, mentre mi dirigevo verso il posto che allora reputai il più familiare di tutta Capo, il solo che ero capace di riconoscere in quella città guasta e affamata: Il Brocco Randagio.

Quando mi affacciai all’entrata, fui investito dagli schiamazzi della gente che stava gremendo la locanda già a quelle ore, ma tutto si silenziò quando ad entrare fui io.

Occhi di ogni tipo e di ogni statura morale si fermarono su di me, chissà che effetto dovrei aver suscitato a persone come loro.

C’era sempre un posto libero nel Brocco, anche quando la sala era piena, ed era il posto riservato a me e a Brave, che nessuno osava mai occupare. Fu lì che mi andai a sedere, e lo feci senza guardare in faccia nessuno.

Quando mi fui accomodato, con un gesto meccanico guidato principalmente dai sensi/non dalla testa, ordinai del whisky, domandandomi perfino se non stessi sognando tutto quanto… e il tono della mia voce suonò nella sala, ed era così simile a quella di mio Zio, che sentendolo non avreste notato la differenza.

Fu chiamato Colton Nyx per primo. Si sedette di fianco a me e mi tempestò di domande alle quali non provai neppure a rispondere.

Il Brocco fu chiuso, e i lamentosi clienti mandati via dall’oste a suon di parolacce. Due soli equini, oltre a noi tre, furono ammessi nella sala: Malaika e Duka vennero chiamati per curare le mie ferite e medicarmi il braccio, e mentre lo facevano, l’anziana zebra mi sussurrava all’orecchio frasi tipo: «Ora sei salvo, tutto si è aggiustato, oppure presto lo farà, che il ciel sia lodato!»

Già, ero salvo. Lode al cielo e lode alla Dea.

Ma vaffanculo.

Verso sera mi fu offerto di stare da loro, almeno fino a quando non mi fossi deciso a parlare e a dire chiaro e tondo cosa ci fosse accaduto. Cosa che feci la mattina seguente.

Avevo dormito su una stuoia ispida e pungente, portata direttamente dalla loro terra natia qualche migliaio di secoli prima (o che ne so io), eppure – o forse proprio grazie a questo – mi risvegliai finalmente con le idee chiare in testa. Forse avevo solo bisogno di trovare qualcuno che mi facesse tacere il dolore alla zampa, e ora che era fasciata per bene e gli impiastri lenitivi alle erbe della zebra stavano facendo il loro effetto, potevo finalmente spiegare i fatti e cominciare a riflettere sull’avvenire.

Andai da Colton Nyx e gli riassunsi del viaggio alla Schiena del Drago, e quindi di come trovai mio Zio ucciso dall’entità.

Mentre parlavo, lui mi ascoltava con le zampe anteriori afflosciate lungo i braccioli della sedia, scuotendo la testa di tanto in tanto, incapace di credere alla notizia che gli stavo dando (e come dargli torto).

Quando conclusi, trascorso un periodo in cui gli diedi tempo di mettere al proprio posto i vari pezzi dei suoi pensieri, lui balbettò un po’ di frasi che ora non ricordo, ma poi riuscì a finalmente a domandarmi: «E ora che cosa farai?»

E qui cascò l’asino.

Già, che cosa avrei fatto io?

Mio Zio era morto proprio nel momento in cui finalmente stavamo imparando a legare. Parlandone con voi in questi giorni, ho capito che in qualche modo quel rapporto interrotto mi aveva costretto a rimanere ad Uruma più di quanto potessi permettermi. Mi sentivo in debito verso di lui, sapete? Bisognoso di onorare la sua fama riprendendo da dove “Brave Lion il Cacciatore” aveva interrotto.

Consideratelo, se volete, il suo lascito. L’eredità data in dono alla generazione successiva; toccava a me riassestare la Congrega e far sì che vivesse negli anni a venire.

Dopo aver trascorso la convalescenza dalle zebre, quando la zampa era finalmente guarita, feci fagotto delle poche cose che mi ero portato dietro e decisi di tornare alla nostra baracca (che era diventata mia a tutti gli effetti). Non una sola volta avevo appoggiato le zampe anteriori a terra per più di qualche minuto, e questo aveva finito per influire in via definitiva sul mio modo di camminare futuro; la postura bipede era ormai diventata parte di me come il colore del mio manto, e mi riusciva quasi più spontaneo muovermi così che non trottando come gli altri a quattro zampe.

A Colton Nyx dissi che avrei continuato a lavorare come Cacciatore al suo soldo, quindi poteva parlare con me ogni qualvolta ci fosse stato un problema da risolvere. Non ne fu entusiasta, ma dopotutto avevo una licenza che mi consentiva di farlo. E per quanto riguardava la questione del vivere da solo, se potevo provvedere a me, potevo anche decidere di emanciparmi del tutto. C’erano crimini ben più gravi di cui preoccuparsi a Capo Unicorn, che non di lasciare un dodicenne a badare a se stesso.

Non posso dire che fu facile. Non lo fu neppure per un giorno. Io non ero Brave Lion, e il mio fianco non decantava le mie abilità nella caccia come invece faceva quello di mio Zio, anzi non decantava un bel niente.

Dovetti letteralmente campare sui suoi risparmi durante tutti i primi mesi. I soldi che aveva accumulato nel tempo e mai speso, come quelli della scommessa contro il pirata alla locanda, mi avevano garantito il sostentamento quando non avevo alcun incarico da svolgere.

Nel frattempo, ripresi anche a fare ciò facevo un tempo, dando uno zoccolo a chiunque garantisse qualche Argento in cambio di un po’ di sgobbo e qualche litro di sudore. E a questo riguardo, devo riconoscere che lavorare sui vascelli dei pirati, pagava lo sforzo.

Il diario di mio Zio, quello che era solito riempire di appunti e annotazioni sulle sempre più rare creature di Uruma, divenne il mio faro di speranza per tutti i Contratti che avrei dovuto svolgere in futuro. Da esso imparai tutto quello che so oggi, e ciò mi permise di andare avanti sebbene non avessi ancora scoperto il mio Simbolo di Virtù.

Forse un giorno, quando capirò come liberarmi delle catene che mi legano a Brave Lion, troverò anche il mio sentiero, e allora sarò finalmente libero.

Ma quel giorno deve ancora aspettare. Uruma mi sta ancora cercando. Il suo richiamo – quello che mio Zio chiamerebbe l’istinto del Cacciatore – mi mormora dentro la testa e mi dice di tenere duro e resistere.

E io non posso che annuire e dargli ragione. Ci sono delle cose che devo scoprire. Quei segreti che si sono uniti all’eredità di Brave, cui sento di dover rispondere per spezzare la catena che mi tieni imprigionato a queste terre brulle e dimenticate.

Quando finalmente saremo di nuovo alla Schiena, ho deciso che completerò ciò che a quei tempi lasciai in sospeso, e finalmente – forse – sarò libero di andarmene.

Fino ad allora, la mia attrezzatura sarà sempre pronta a combattere.



CONTINUA IN


THE GREEN BLADE: Legacy - PARTE 2: Il presente


   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > My Little Pony / Vai alla pagina dell'autore: Alvin Miller