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Autore: Carme93    29/07/2017    3 recensioni
Phoenix, Arizona, Stati Uniti d'America, futuro prossimo.
Ogni famiglia ha un segreto, che nasconde gelosamente.
La famiglia Freeland non fa eccezione.
Gabriel Freeland, appassionato di videogiochi, comincia a porsi sempre più domande sulla lontananza della sorella maggiore, Alex. Intanto è preso dalla sua vita di adolescente. Farebbe di tutto pur di partecipare alla fiera dei videogiochi, che si svolgerà a breve nella sua città. Qualcosa andrà storto e con il suo migliore amico si ritroverà a scoprire il segreto dei suoi genitori.
Come se la caveranno Gabriel e il suo migliore amico, una volta coinvolti negli intrighi dei nobili francesi?
Troyes, Francia, 1242.
La corte di re Luigi IX si riunisce a Troyes in attesa della nascita di Gael, primo maschio di Marc de Ponthieu e madama Alexandra Freeland.
Hyperversum è tornato. Preparatevi per una nuova partita.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Henri de Grandpré, Ian Maayrkas aka Jean Marc de Ponthieu, Isabeau de Montmayeur, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Daniel/Jodie, Etienne/Donna, Geoffrey/Brianna, Ian/Isabeau
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo I
Phoenix, Arizona, Stati Uniti d’America, fine marzo, giovedì pomeriggio
 
 
«Matt, c’è il tuo amico» disse affannato Seby, mentre con una mossa improvvisa lo disarmava cogliendolo completamente di sorpresa. Credeva di essere in vantaggio. Per una volta.
Matt riprese la spada che il ragazzo più grande gli porgeva e si voltò, incrociando gli occhi del suo migliore amico. Il ragazzino lo salutò con la mano, ma non si mosse. Seby l’aveva rimproverato tante di quelle volte che ormai aveva compreso che non doveva avvicinarsi ai quadrati di allenamento.
«Puoi andare se vuoi, per oggi abbiamo fatto abbastanza. E poi non devi fare i compiti per la scuola?».
«Ok, grazie. Sì, in effetti dovrei» rispose vago. Il suo tono insospettì senz’altro Seby che, però, non fece domande. Matt sospirò, ormai nessuno gli poneva domande. Credevano di leggergli in volto ogni pensiero. E forse era vero, ma aveva poca importanza se le persone che avrebbero dovuto comprenderlo, non potevano più farlo. Avrebbe continuato volentieri ad allenarsi. La scherma lo aiutava a sfogarsi, ma se Gabe era arrivato fin lì, significava che aveva bisogno di qualcosa di importante. In teoria nessuno dei due aveva il permesso di stare in quella zona abbondonata della città, ma a suo zio importava solo che stesse fuori dai piedi il più a lungo possibile e Gabe di certo non l’avrebbe raccontato ai suoi genitori.
«Cavoli, sei sempre più bravo!» lo accolse quest’ultimo sinceramente ammirato.
«Non quanto Seby, però» ribatté Matt dirigendosi verso la panchina su cui aveva appoggiato lo zaino.
«Vabbè dai, lui ha molta più esperienza. Tu ti alleni solo da due anni!».
«Sarà… Andiamo?» disse dopo aver messo lo zaino in spalla.
«Dovresti metterti il giubbotto. Sei anche sudato» disse Gabe indicando il suo maglioncino.
«Ti sei fatto contagiare da tua madre?» replicò scontroso. Gabe se ne rese conto e non insisté. «Allora, che succede? Perché sei venuto fin qui?» gli chiese Matt, mentre uscivano dall’ampio spiazzo dove il gruppo di rievocazioni medievali si allenava.
«Devo assolutamente prendere una A o una B al test di storia di domani».
Matt lo fissò interrogativo. «Perché?».
«Sabato ci sarà la fiera dei videogiochi! Qui a Phoenix, ricordi? Per la prima volta! Non posso perdermela!».
«Continuo a non capire che cosa c’entri il test di domani» disse Matt nel tentativo di comprendere la logica dell’amico.
«I miei. Se dico loro che ho preso una A o una B non potranno trovare scuse per non darmi il permesso».
«Sì, ma domani arrivano le pagelle del secondo trimestre. Non credo che la Tarner ti metterà più di C. Ci arrivi a una C?».
«No. Se mi mette D è già un miracolo. È questo il problema. Dopo i risultati del primo trimestre i miei mi avevano avvertito che non volevano vedere voti inferiori a C. Se io li dico che il test è andato bene, è fatta».
«E la pagella?» ripeté Matt, continuando a non comprendere.
«La nascondo prima che tornino da lavoro. Gliela farò vedere domenica. Sabato ce ne andiamo alla fiera. Poi mi potranno recludere in casa fino a giugno».
«Ah» commentò solamente Matt. «Ti uccideranno, lo sai? Delle detenzioni con la Tarner e la Matthews gliene hai parlato?».
«No. Scopriranno anche questo domenica. Tu aiutami».
«Come?» chiese lievemente spaventato Matt, intuendo dove l’amico stava andando a parare.
«Come facevamo gli anni scorsi».
«Ma avevamo la Michaelson! Era vecchia e rimbambita! Potevamo metterci a ballare davanti a lei senza che capisse!».
«Ce la possiamo fare. E poi la Tarner ti adora!».
«Ciò non significa che non sia severa. Non ci lascerà copiare facilmente».
«Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego…» iniziò Gabe con voce lamentosa.
«Va bene, va bene» si affrettò a ribattere Matt, conoscendo la tenacia dell’amico.
«Evviva!» strillò Gabe saltellando.
In quel momento Matt non si stupì che le ragazzine del loro anno lo ritenessero uno dei più carini: corti capelli biondi, occhi azzurri e un sorriso furbo e sbarazzino dipinto in volto.
«Gabe, posso cenare da te? Non mi va di tornare a casa» disse Matt, mentre prendevano posto sul primo autobus che trovarono, diretto in centro città.
Gabe lo scrutò per un attimo, soppesando un livido scuro sullo zigomo destro che Matt il giorno prima non aveva e su cui quella mattina non aveva voluto dare spiegazioni neanche alla Matthews, che era sempre molto premurosa con tutti (tranne quando la facevano arrabbiare, s’intende). Sorrise e annuì. «Certo. Stasera cucinerà mia madre, sei fortunato».
«Tua sorella quando torna dalla Francia?».
«Non lo so. Sai, non credevo che l’avrei mai detto: mi manca».
«Ora sai che cosa significa essere figli unici».
«I miei sono sempre vaghi quando faccio domande su di lei. Non riesco a capire perché non la posso chiamare o mandarle una mail!».
«Neanche via Skype?».
«In nessun modo. Sono trascorsi mesi, ormai. Non capisco che abbiano di più le università francesi rispetto alle nostre! La Sorbona! Chissenefrega?!».
Matt fece spallucce, sapendo che l’amico più passava il tempo più diventava suscettibile sull’argomento.
«Ho anche proposto ai miei un accordo. Se a fine anno avessi portato loro una pagella con tutte A, mi avrebbero permesso di andare in Francia a trovarla».
«Addirittura? E loro? Avranno acconsentito…».
«No. Hanno iniziato ad accampare scuse: sei troppo piccolo per andare da solo, noi dobbiamo lavorare, devi studiare per te stesso e non per ottenere qualcosa ecc. Mi nascondono qualcosa» concluse serio Gabe, guardando la strada che sfrecciava davanti ai suoi occhi oltre il finestrino.
«Tipo?» indagò Matt, mentre Gabe si incupiva sempre di più.
«Ci ho riflettuto a lungo. Credo che sia in carcere».
«Cosa?!» sbottò Matt sorpreso.
«E sennò perché tutti questi misteri?».
«E cosa avrebbe fatto Alex per finire in prigione?».
«Non lo so. Magari ha ucciso qualcuno» buttò lì Gabe. Per tutta risposta Matt gli tirò un pugno sulla spalla abbastanza forte da farlo strillare per il dolore e far brontolare qualche vecchietta per la maleducazione dei giovani d’oggi.
«Scusa» disse immediatamente Gabe, pentendosi delle sue parole. «Non avrei dovuto dirlo».
«Non scherzare su queste cose!» lo redarguì Matt, chiudendosi in un silenzio mesto e teso per il resto del tragitto. Arrivati alla villetta in cui abitava Gabe, fu quest’ultimo a spezzarlo. «Sarei dovuto essere già a casa» mormorò preoccupato fissando le luci accese.
«Dirò che è colpa mia. Che hai aspettato che finissi il corso di tedesco».
«Non ce l’hai oggi» replicò Gabe.
«Ti si è inceppato il cervello? Mica loro conoscono il mio orario!».
«Ah, giusto. Allora, grazie. Entriamo».
«Aspetta, per favore dici ai tuoi che mi hai invitato tu a cena? Mi vergogno troppo ad autoinvitarmi».
«Sì, non c’è problema» disse Gabe. «Sono a casa» urlò dopo essere entrato in casa.
«Alla buon’ora» rispose una voce d’uomo dal piano di sopra.
«Andiamo, mio padre sarà nel suo studio».
Salirono al piano di sopra e lasciarono gli zaini in camera di Gabe. «Ciao, papà» disse quest’ultimo facendo capolino sulla porta dello studio.
«Dov’eri? Iniziavo a preoccuparmi» chiese con severità l’uomo, di cui Gabe sembrava essere la fotocopia. Matt ne rimaneva sempre impressionato.
«È colpa mia, signor Freeland. Gabe, ha aspettato che terminassi il corso di tedesco» disse facendosi vedere.
«Ciao, Matt. Non ti avevo visto».
Il ragazzino entrò nello studio e gli strinse la mano. Il signor Freeland era il Direttore dell’Istituto Nazionale di Fisica. Era un vero genio, dal suo punto di vista. D’altronde Matt odiava le materie scientifiche, per quanto se la cavasse egregiamente a scuola.
«Papà, ti dispiace se Matt rimane a cena?».
«Matt è sempre il benvenuto» replicò il signor Freeland.
«Bene, allora noi andiamo a giocare un po’ prima di cena» disse Gabe pentendosene subito. Perché non pensava mai prima di aprire la bocca?!
«Giocare? Non dovreste fare i compiti?» chiese, infatti, suo padre.
«Ah… ehm…».
«Sì, signor Freeland. Non si preoccupi, andiamo a studiare» gli venne in aiuto Matt.
«Mi raccomando» sentirono dire al signor Freeland mentre si allontanavano.
 
   
 
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