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Autore: missredlights    29/07/2017    15 recensioni
Avevo quasi due anni quando tutto ebbe inizio. I miei genitori non sapevano che cosa fare. Erano preoccupati per me, cercando di trovare una soluzione al “male” che mi aveva colpito. Ogni medico della regione fu chiamato al castello per cercare di trovare una cura, ma nessuno riuscì a fare qualcosa. A tutti i medici fu proibito di parlare di ciò che avevano visto, nessuno doveva sapere ciò che era successo. Mia madre piangeva in continuazione, i capelli scombinati, sussurrando perché proprio a suo figlio fosse capitata una disgrazia del genere. Mio padre, dal canto suo, non sapeva che cosa dire. Io ero il suo erede maschio, ero io che dovevo ereditare tutto quanto, ma come potevo con un simile problema?
"7° posto al contest "Of Monsters and men" indetto da Haykaleen sul forum di EFP"
"11° posto al contest “Cuore d’Ombra” e vincitrice del Premio “Regina della Notte” indetto da Laodamia94 sul forum di Efp"
"5° posto al contest "Buona la prima! La sfida" indetto da Lady.EFP sul forum di EFP"
Genere: Angst, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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cap

Yorkshire, anno 1602

 

 

Avevo quasi due anni quando tutto ebbe inizio. I miei genitori non sapevano che cosa fare. Erano preoccupati per me, cercando di trovare una soluzione al “male” che mi aveva colpito. Ogni medico della regione fu chiamato al castello per cercare di trovare una cura, ma nessuno riuscì a fare qualcosa. A tutti i medici fu proibito di parlare di ciò che avevano visto, nessuno doveva sapere ciò che era successo. Mia madre piangeva in continuazione, i capelli scombinati, sussurrando perché proprio a suo figlio fosse capitata una disgrazia del genere. Mio padre, dal canto suo, non sapeva che cosa dire. Io ero il suo erede maschio, ero io che dovevo ereditare tutto quanto, ma come potevo con un simile problema?

Tutti in quel castello mi rivolgevano occhiate strane, come se da un momento all’altro dovessi diventare pazzo, urlare a squarciagola e sbavare come un cane rabbioso. Io non capivo, ero troppo piccolo per poterlo fare. L’unica cosa che riuscivo a capire era il mio disagio, la sensazione di essere diverso da tutti gli altri, come se io fossi stato quello sbagliato. L’unica persona che mi trattava in maniera umana era mia sorella Luna, l’unica alla quale non importava niente di tutta la situazione che si era creata. Io non capivo perché ne stessero facendo una simile tragedia. Ai miei occhi di bambino tutto appariva normale, come se tutto fosse al suo posto, come se fosse nell’ordine naturale delle cose. Mi fu proibito vedere altri bambini, e l’unica persona con la quale potessi giocare fu la mia gemella Luna. Piano piano cominciai a chiudermi in me stesso. Non mi sentivo accettato per quello che ero veramente.

“A me piaci così come sei, sei speciale. Perché ti chiamano mostro?”

Quelle furono le parole più consolanti che ricevetti da mia sorella e che non mi fecero diventare pazzo col passare del tempo. Lei mi riteneva normale, come lei e come tutte le altre persone che abitavano sulla faccia della terra. L’ultimo medico che mi visitò disse ai miei genitori che non c’era nessuna speranza che io potessi guarire. Un giorno mio padre venne nella mia stanza e si sedette sul mio letto. Io leggevo un libro di favole, o per meglio dire, guardavo le illustrazioni di quel bellissimo libro. L’ultima volta che avevo avuto un dialogo con lui, era stato prima che venissero tutti quei medici a farmi visita. Mi sentivo a disagio in sua presenza. Prima che succedesse tutto questo, lo avevo amato veramente tanto, stravedevo per lui, ma tutto era cambiato da quel giorno, come se qualcosa si fosse incrinato e infine rotto. Mi sentivo ferito, tradito da lui.

“Forse è meglio che io ti spieghi che cosa sta succedendo. Forse non sarai abbastanza grande da capire, ma fidati che lo faccio per il tuo bene, figlio mio.”

E io ascoltavo in silenzio le sue parole, cercando finalmente di capire i comportamenti delle persone che mi stavano vicino. Mi avvicinai cautamente a lui, ma lui, come se non si fosse accorto di me, continuò a parlare.

“Purtroppo i medici hanno riscontrato in te una grave malformazione all’occhio destro. Tutte quelle persone che sono venute al castello a visitarti hanno cercato di guarirti, ma senza successo. L’unica cosa che possiamo fare è bendarti l’occhio malato, in modo tale che nessuno noti questa cosa.”

Cosa c’era che non andava ai miei occhi? Io ci vedevo, non capivo dove stesse il problema, ma se mio padre lo faceva per il mio bene, allora dovevo sottostare al suo volere. Feci un cenno d’assenso col capo, non riuscivo a spiegare a parole ciò che mi passava per la testa, non riuscivo a trovare le parole per poterlo esprimere. Ero troppo piccolo perché ci riuscissi. Mio padre mi prese per mano e mi condusse in una stanza, dove vi era l’ultimo medico che mi aveva visitato. Cosa volevano farmi? Quando fui abbastanza vicino a lui vidi sul tavolo delle bende. Mi fecero sedere sulla sedia e guardai prima mio padre e poi il medico.

“Andrà tutto bene, non ti faremo del male.”

Quelle bende furono appoggiate al mio occhio, coprendolo. Istintivamente portai la mano sulla benda, ma subito la ritrassi. Uno strano senso di angoscia si era impossessato di me. La cosa che più mi frustrava era il fatto che non riuscissi a capire il motivo di tutta quella situazione.

“Quando sarà più grande, gli farete crescere i capelli, in modo tale che gli possano coprire l’occhio. Levategli le bende la sera, quando è solo nelle sue stanze. A tutti dirò che sono riuscito a guarirlo.”

Da cosa mi dovevano guarire? Che malattia avevo? Le mie mani si andarono a posare sulla fronte, come quando faceva la mia balia per vedere se avessi la febbre o meno. I miei occhi si inumidirono e cercai di asciugare quelle lacrime di frustrazione con la mano.

“Non piangere figlio mio, quando sarai più grande ti spiegherò ogni cosa. Ti chiedo solo di rispettare tutti gli ordini che t’imporrò. Starai meglio, vedrai.”

E io gli credetti, in fondo non avevo altre alternative. Il medico andò via di casa, dicendo a tutti che ero guarito, che era riuscito a liberarmi dal “male”. Tutti si congratularono con lui, i domestici cominciarono a vedermi di buon occhio. Mio padre sorrideva compiaciuto che tutti credessero a questa bugia. Questo doveva rimanere un segreto fra i quattro componenti della mia famiglia e il dottore. Nessuno doveva sapere come stavano realmente le cose.

Il tempo passava e tutti dimenticarono ciò che mi era successo. Tutti consideravano normale il fatto che portassi un ciuffo di capelli davanti agli occhi, come a coprire una cicatrice di guerra, non sapendo che io ci vedevo benissimo da tutti e due gli occhi e che non avevo niente che non andasse. Quando ebbi cinque anni, i miei genitori ci diedero la notizia che la mamma aspettava un bambino. George nacque qualche mese più tardi, dopo che io e Luna compimmo sei anni. Era un bel bambino, ma io vedevo dallo sguardo di mio padre tutta l’ansia e tutta l’agitazione che poteva provare. Aveva paura che avesse il mio stesso identico problema, un problema che nessuno mi spiegò mai. Non chiesi più niente ai miei genitori, non avevo nemmeno il tempo di vederli, dato che stavo quasi sempre con il mio precettore. Era una persona amabile, che mi spiegava le varie nozioni con somma pazienza. Lui diceva sempre che io ero il suo allievo prediletto, un bambino dall’acume fuori dal normale, capace di comprendere anche le nozioni più difficili, e tutto questo prima che io compissi i sette anni. Mio padre era fiero di me, e lo dimostrava con lo sguardo. Agli occhi della gente ero diventato un bambino normale.

Tutti in quel castello cominciarono ad amarmi, tutti dicevano che ero un bambino dai modi garbati e gentili, un bambino intelligente e buono. Ero io quello stesso identico bambino che chiamavano “mostro”. Luna era sempre al mio fianco e noi condividevamo un segreto troppo grande. Varie volte mi chiese di mostrarle i miei occhi, e io glieli mostravo quando sapevo che in quella stanza non c’era nessuno a parte noi. Rimaneva sempre affascinata.

“Perché non chiediamo a papà che cosa hai di preciso? Sono così belli.”

Io ogni volta negavo con un cenno del capo. Mio padre aveva detto che mi avrebbe spiegato tutto quando sarei stato abbastanza grande da poter capire. Ero grande, ma non lo ero per lui. Ai suoi occhi ero un bambino di quasi sette anni. Quando avevo sette anni mia madre diede alla luce un altro figlio, David. La mamma ogni volta scuoteva il capo, dispiaciuta che tutti e quattro i suoi figli avessero ereditato i capelli biondi del padre e non quelli neri della madre. Da lei avevamo ereditato unicamente gli occhi blu. Gli anni trascorsero velocemente, fino a quando non compii dodici anni. Luna quel giorno venne nella mia stanza e chiuse la porta a chiave, guardandomi con uno strano scintillio negli occhi.

“Ho capito perché ti chiamavano mostro.”

Balzai a sedere quando disse quelle parole e mi avvicinai a lei, prendendole dalle mani il libro che teneva. Era un bel libro, dalla rilegatura in oro. Luna lo riprese in mano e lo sfogliò, fin quando non trovò la pagina che cercava. Lessi velocemente, tanto che dovetti rileggere una seconda volta per poter comprendere appieno quelle parole stampate su quel foglio di carta. Tutto mi fu chiaro, ma per me era una cosa alquanto insensata. Non riuscivo davvero a capirne il senso, così andai da mio padre e da mia madre insieme a Luna. George e David erano con la balia nell’altra stanza. L’unico in famiglia ad avere questo problema ero io. Mio padre prima guardò il libro, e poi guardò me e mia sorella. Eravamo due gocce d’acqua, lo stesso colore dei capelli, di quel biondo grano, e lo stesso colore degli occhi, o quasi.

“È assurdo! Non potete considerarmi un mostro solo per questa cosa! Non è mia la colpa!”

Ero arrabbiato col mondo intero. Mi avevano attribuito una colpa che non avevo, come se io avessi voluto tutto questo. 

“Nella società di oggi coloro che hanno questa malformazione vengono considerati dei mostri. Se te lo avessi spiegato quando eri più piccolo non avresti capito.”

Per lui non avrei mai capito, era questa la verità. Cercai di trattenere le lacrime e guardai male mio padre, scostandomi il ciuffo di capelli davanti l’occhio destro.

“Sono un mostro per te?” 

La mia voce era stranamente calma, glaciale, tagliente. Lui mi guardò per un attimo, per poi dirigere il suo sguardo alla finestra dove stava tramontando il sole.

“No. Se lo fossi stato ti avrei ripudiato anni fa. La questione si chiude qui. Solo io, tua madre, tua sorella e quel medico sappiamo la verità. Nemmeno i tuoi fratelli lo sanno, quindi evita di fare scenate o dei gesti avventati.” 

Due lacrime scesero dal mio volto. Quelle sarebbero state le ultime lacrime che avrei versato. Col tempo compresi perché mio padre avesse preso una decisione di tale importanza, ma lo capii molti anni dopo. Il tempo passava e io divenni un signorotto rinomato e apprezzato. Quel ciuffo davanti agli occhi mi donava, a parer del gentil sesso, un’aria misteriosa, cosa che piaceva particolarmente. Feci in modo che la cosa ricadesse tutta a mio vantaggio.

All’età di sedici anni mi innamorai della ragazza più bella che ebbi mai visto in tutta la mia vita. Successe una sera d’estate. Passeggiavo per le strade della città con altri ragazzi, tutti figli di baroni, duchi e lord, tutti figli di amici di mio padre. In città si sarebbe celebrata una festa, e noi eravamo lì a divertirci, in fondo non c’era niente di male. La festa iniziò poche ore dopo. La gente ballava, cantava, mangiava ed era intrattenuta da artisti di strada. Noi eravamo seduti ad un tavolo con qualche alcolico davanti a noi. Ridevamo guardandoci in giro, cercando qualche ragazza, quando ad un certo punto la vidi davanti a me. Non avevo mai visto una ragazza più bella. Aveva i capelli neri come l’ebano, la pelle candida come la neve che cade giù dal cielo, le labbra rosse come le fragole. La cosa che mi colpì in assoluto furono i suoi occhi, di un grigio intenso. Non riuscivo a staccare lo sguardo da lei, ero come ipnotizzato. Quando sorrise, non potei fare a meno di arrossire. Non avevo mai visto un sorriso più bello. I miei amici se ne accorsero e cominciarono a ridere.

“È la figlia del duca. È la cugina di William, venuta appositamente dalla Francia.” 

“William! Non mi avevi mai detto che avevi una cugina tanto bella. Dovrei ripudiarti per questa mancanza.”

Non riuscivo a capacitarmi di come William avesse una cugina di tale bellezza. Perché me lo aveva nascosto?

“È la promessa sposa di un signorotto del Galles. È venuta qua in vacanza, nulla di più. Ti prego di non corteggiarla.”

“Di chi è promessa sposa?” 

Il mio cuore palpitava. Chi aveva osato tanto da chiedere la sua mano?

“Il figlio di Sir Giles, Arthur.” 

Non potevo credere alle mie orecchie. Lei sarebbe stata la promessa sposa del mio acerrimo nemico? Cercai di assimilare la notizia e di stare calmo. Arthur non poteva battermi, non aveva di certo la mia bellezza e il mio acume. Inoltre la sua famiglia era meno potente della mia, tutti fattori che andavano nettamente a mio vantaggio. Bastava solamente che io la corteggiassi e far fallire il matrimonio per averla tutta per me. Ero così assorto dai miei pensieri che non mi accorsi in un primo momento che proprio quella fanciulla, con altre ragazze, si era avvicinata a noi e salutò suo cugino. I nostri occhi si incrociarono per un momento, il mio corpo fu percorso da brividi. Mi sarei perso dentro quegli occhi. Erano così limpidi, così pieni di vita e ti rivelavano, come un libro aperto, i suoi sentimenti. Mi alzai e le presi una mano, baciandogliela. Vidi le sue gote assumere una graziosa tonalità rosea e le sorrisi.

“Aster, lei è mia cugina Virginia.” 

“È un vero piacere conoscerla, mio signore.”

La sua voce era melodiosa, così armoniosa che avrebbe fatto impallidire anche la musica più celestiale. Era questo quello che la gente chiamava infatuazione? Era una sensazione così piacevole! Mi scaldava il petto, mi sentivo stranamente felice quando Virginia mi rivolgeva uno sguardo o qualche parola. Mi era bastato un solo sguardo per esserne completamente infatuato. Si muoveva in maniera leggiadra. Tutte le ragazze, messe a confronto, perdevano di valore, di importanza. Nessuna aveva il suo portamento, le sue maniere, le sue gote rosate. Mi aveva stregato e poteva fare di me ciò che voleva. 

I giorni si susseguirono diventando settimane e infine mesi. La partenza di Virginia era sempre rimandata per motivi a me sconosciuti. Ogni giorno ero a casa di William, dove alloggiava Virginia. Stetti più tempo possibile con lei, passeggiando in riva al lago o sul cavallo. Imparai a conoscerla, scoprendo che era una ragazza semplicissima, obbligata a sposare un uomo che conosceva a stento. E io non potevo farmi avanti. Avrei scatenato una vera e propria guerra se lo avessi fatto. E se fossimo diventati amanti? La mia mente era così piena di questi pensieri, di tutte queste congetture che formulava, per cercare di trovare una soluzione, qualcosa che mi facesse stare accanto a lei, che nemmeno mi accorsi che mi stava guardando inclinando leggermente la testa.

“Qualcosa non va, mio signore?”

“Per favore! Quante volte devo dirti di chiamarmi per nome?”

“Avete ragione, ma sono sempre stata abituata a dare del Lei e non del tu, come Lei mi sta chiedendo di fare.”

Ormai eravamo arrivati vicini alla riva del lago. I cavalli avevano immerso i loro zoccoli in quella spuma. Erano settimane che avevo voglia di rivelare i miei sentimenti a Virginia ma le parole di William ogni volta mi bloccavano.

“È un vero peccato non averti conosciuto prima, Virginia.”

Le parole erano uscite dalla mia bocca di getto ma non me ne ero reso conto se non in un secondo momento. Mi voltai verso di lei. Un leggero venticello accarezzava le nostre guance arrossate dal caldo e dall’imbarazzo. Portai il mio ed il suo cavallo lontano dall’acqua e poi scesi, facendo scendere a mia volta Virginia. Era così morbida e candida la sua mano. Incrociai il suo sguardo e respirai a fondo. Non sapevo se stavo facendo la cosa giusta, ma se non le avessi detto del mio amore per lei, avrei avuto il rimpianto per tutta la vita.

“Virginia, per favore ascoltami.”

Come dovevo continuare? Che cosa avrebbe detto? 

“Io ti amo. Ti ho amata dal primo momento che ti ho vista quel dì di festa. Tuo cugino mi ha espressamente vietato di corteggiarti, ma è stato più forte di me. Non riesco a starti lontano e il solo pensiero che sarai la sposa di un altro, mi spezza il cuore.”

Non riuscivo a spiegarle appieno ciò che provavo per lei, nessuna parola che mi veniva in mente poteva anche solo avvicinarsi a quello strano sentimento che mai prima di allora avevo provato. Le presi le mani e le intrecciai con le mie. 

“Lo sa che devo sposare un altro uomo. Non posso tirarmi indietro.”

Le sue parole erano tante pugnalate al mio petto. Doveva esserci una soluzione, doveva. 

“Lo sfiderò a duello per avere la tua mano. Solo così potremo stare assieme. Devo saperlo Virginia. Tu mi ami?”

Il cuore cominciò a battere velocemente. Attendevo ansiosamente una sua risposta. Tutto perdeva d’importanza quando stavo con lei. Esisteva solo lei e la risposta che mi avrebbe distrutto o fatto vivere. Il vento cessò di soffiare e le mie speranze, a poco a poco, cominciarono a svanire. 

“Finché sarò promessa a un altro uomo, non potrò amarvi.”

Quelle parole ravvivarono in me la speranza. Se non mi avesse amato, se ne sarebbe andata non appena le ebbi dichiarato il mio amore per lei. L’abbracciai d’impulso, respirando il suo odore. Non so per quanto tempo rimanemmo abbracciati ma, quando l’accompagnai a casa era già buio. Il giorno dopo dissi a mio padre di voler sfidare a duello Arthur. Lui mi guardò severamente, gli occhi stretti a fessura, come quando facevo qualcosa di sbagliato.

“Non è abbastanza ricca per noi quella ragazza. Inoltre non sa del tuo segreto.”

“Lo sfiderò a duello qualunque cosa voi diciate, padre. Amo Virginia e ho intenzione di sposarla, con la vostra benedizione o senza.”

Uscii dalla stanza e mi diressi a casa di William, dove vidi una carrozza diversa da tutte le altre. Salii i gradini ed entrai dentro il maniero, dove vidi Arthur con suo padre. Parlava sommessamente col padre di Virginia e con suo zio. Quando si accorsero della mia presenza, interruppero la conversazione e mi guardarono. Che cosa aveva lui più di me?

“Signori. Mi dispiace interrompere la vostra conversazione, ma ho urgente bisogno di parlare con il padre di Virginia.”

“Mi dispiace ma stiamo per partire.”

“Io, Aster Blacksword, sfido a duello Arthur Giles per la mano di Virginia Florant.”

Buttai un guanto ai piedi di Arthur in segno di sfida. Non riuscivo nemmeno io a capacitarmi del mio gesto. La mia parte razionale diceva che ero stato troppo avventato, ma quella istintiva mi incitava a proseguire e a battermi per conquistare la donna che amavo. Arthur prese il guanto e mi guardò con uno strano scintillio negli occhi. 

“Accetto. È la resa dei conti.”

Un mormorio si diffuse in tutto il castello e in breve tutti seppero della mia sfida. Prima che il duello iniziasse, vidi Virginia venire verso di me e condurmi dentro una stanza, chiudendola. Le presi le mani e le portai alla mia bocca, baciandole, come se quel gesto mi potesse dare la forza di andare avanti. 

“Non morire.”

“Non lo farò, non adesso che sto per averti. Ma prima voglio che tu sappia una cosa che non ho mai detto a nessuno. Solo la mia famiglia sa di questa cosa e voglio renderti partecipe.” 

Mi scostai il ciuffo di capelli davanti l’occhio destro e lei poté vedere con chiarezza i miei occhi di diverso colore. Era questo il segreto che avevo custodito tanto gelosamente per tutta la mia vita. Era per questo motivo che le persone mi davano del mostro. Tutte le persone che avevano gli occhi di due colori diversi venivano visti come dei demoni, come se fossero stati marchiati dal Diavolo in persona. Io non avevo colpa in tutto questo, non avevo deciso io il colore dei miei occhi. L’occhio che nascondevo tanto gelosamente era di colore verde chiarissimo, in netto contrasto con il mio occhio blu scuro. Quegli occhi per i quali le persone mi chiamavano mostro e mia sorella mi reputava speciale. 

Vidi nei suoi occhi la sorpresa per ciò che stava vedendo, ma subito dopo vidi la paura. Le sue mani cominciarono a tremare e cercare di divincolarsi dalle mie. Non poteva finire tutto in questo modo. La sua bocca si apriva e si chiudeva, cercando di dirmi qualcosa che mai mi disse. Non uscivano parole dalla sua bocca, ma solo piccoli rantoli seguiti subito dopo dai singhiozzi.

“Non reputarmi un mostro, sono solo un uomo innamorato che ha trovato il coraggio di non nascondersi dalla donna amata. Ti amo Virginia, sarei disposto a fare qualsiasi cosa per te.”

Il ciuffo di capelli ricadde di nuovo davanti l’occhio. Un rumore ci fece voltare entrambi e lei si allontanò da me. La porta si aprì ed entrò William.

“È il momento.”

Guardai per un breve momento Virginia e poi seguii William. Sentivo un peso sul cuore. Avevo sperato con tutto me stesso che lei non avesse quella reazione. Ai suoi occhi, adesso, avevo l’aspetto di un mostro? Cercai di regolarizzare il mio respiro e uscii fuori dal maniero, dirigendomi verso il cortile dove mi aspettavano mio padre, che era stato avvertito, e tutti gli altri signori.

Quando fui di fronte ad Arthur, ci diedero le spade e ci mettemmo in posizione. La mia mente era altrove, a Virginia e ai mille atroci dubbi che affollavano la mia testa. E se mi avesse rifiutato? Non dovevo pensarci, dovevo concentrarmi sul duello e vincere per me, per lei, per un futuro assieme.

Il mio corpo si mosse come se avesse avuto vita propria, cercando di parare e di affondare per colpirlo, per poter vincere. Non ero abbastanza concentrato, tanto che cominciai a perdere terreno. Nella mia mente vidi con chiarezza tutti i momenti più importanti della mia vita, fino a giungere al ricordo del volto di Virginia. Era come se il mio corpo avesse avuto la forza necessaria per riprendersi. Lo stavo facendo per Virginia, mi stavo battendo per lei e per il suo amore. Riuscii a disarmare Arthur, puntandogli la spada sul cuore. Avevo vinto il duello. Virginia sarebbe stata mia. Mi voltai per cercarla con lo sguardo, ma non la vidi, sentii solo un urlo indistinto provenire dal maniero. Corremmo verso le urla, e il mio cuore si fermò per qualche secondo. Virginia era stesa per terra, in una pozza di sangue. La mia mente registrò un secondo dopo le immagini che stavo vedendo, ma poi mi mossi verso di lei. Le serve piangevano spaventate e, a chi chiedeva che cosa fosse successo, rispondevano fra i singhiozzi che avevano visto la signorina buttarsi dal tetto del maniero.

Lei si era suicidata, si era tolta la vita. Perché? La mia mente urlava il suo nome, ma io ero incapace di parlare in quel momento. Cercarono di fare qualcosa per lei, ma era troppo tardi. Lei mi lasciò senza una spiegazione, nemmeno un pezzo di carta nella quale spiegava le ragioni di quel suo folle gesto. Con lei era morto il mio cuore e tutti i buoni sentimenti che potevo provare. Prima di tornare a casa, sentii qualche serva parlare sommessamente della morte di Virginia. Mi avvicinai senza che loro se ne accorgessero.

“Parlava di un mostro. Che si riferisse al figlio di Sir Giles? Dicevano che abusasse dell’alcool.”

“Chi può mai dirlo a chi si riferiva quella ragazza. Che riposi in pace.”

Me ne andai dal maniero, salutando tutti, ma prima che potessi fare un altro passo, venni bloccato da mio padre, che mi prese per un polso, strattonandomi verso di lui.

“Ti rendi conto di quello che hai appena fatto? Parlavano di un mostro! Le hai rivelato la verità, Aster?”

“Sì.”

Una semplice sillaba che conteneva tutto il mio dolore e il mio disprezzo.

“Per colpa tua quella ragazza si è tolta la vita. Sei un mostro, un assassino.”

Per anni avevo sentito quella parola, per anni ero stato considerato tale e per cosa, poi?

Mi ritrovai a ridere di fronte a mio padre, una risata folle, priva di qualsiasi cosa.

“Forse non lo sai, ma gli assassini non sono mostri, sono uomini. E questa è la cosa più spaventosa per loro.”

Era come se in quel momento non provassi più niente. Nessun dolore, nessun sentimento. Solo il vuoto più totale. Si era suicidata per colpa mia. Ero io il mostro che aveva menzionato, avevo assunto quelle sembianze non appena le mostrai il mio segreto. La rabbia cominciò a pervadere il mio corpo.

“Adesso voglio chiederti una cosa. Chi è il vero mostro? Chi è brutto dentro o chi è brutto esteriormente?”

Mio padre non mi rispose, e io lo lasciai lì, solo con le sue domande, andando dall’unica persona che mi aveva sempre accettato, mia sorella.
 

Reputavo Virginia diversa, le avevo donato il mio cuore incondizionatamente, e lei lo aveva gettato per paura di tutte quelle congetture. Non avrei più amato nessuna. Nessuna era degna del mio amore e della mia attenzione. Quel giorno cambiai, tutto cambiò ai miei occhi. Se prima vedevo uno sprazzo di luce, adesso le tenebre mi avrebbero avvolto completamente.

 

   
 
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