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Autore: Rinalamisteriosa    30/07/2017    2 recensioni
[Ripubblicata come one-shot | Slice of life | Pre-anime (Infanzia di Yuuri) | Alternanza momenti canonici, citazioni in corsivo e missing moments]
Minako lo condusse per mano e superarono un’altra porta prima di trovarsi in un ambiente completamente diverso, ampio e spazioso. Yuuri ne rimase totalmente stupito e i suoi occhietti rimasero incollati al pavimento al centro della pista, che non era affatto normale.
«Minako-sensei, m-ma… è bellissimo! Guarda, guarda, è tutto bianco, così liscio, come uno specchio! E perché ci sono tutte quelle linee sopra? Chi le ha disegnate?» pronunciò tutte queste domande con genuina meraviglia e la donna percepì un nuovo progresso in Yuuri, era la prima volta che il piccolo non riusciva a tenere a freno la lingua, di solito se ne stava zitto e al massimo snocciolava pochissime parole e balbettii.
«Un giorno saprai rispondere da solo. Inizia a pattinare, Yuuri».

{Ha partecipato al concorso "Il pezzo mancante [Missing Moments contest]" indetto da AleDic sul forum di EFP}
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Minako, Takeshi Nishigori, Yuuko Nishigori, Yuuri Katsuki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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L’ambiziosa Minako Okukawa aveva girato il mondo, si era confrontata con le migliori ballerine, aveva vinto numerosi trofei e ottenuto svariati riconoscimenti prima di ritirarsi per dedicare la sua vita unicamente all’insegnamento della danza classica.

Quando Hiroko, una kohai affezionata a lei dai tempi delle scuole superiori e contenta per il suo ritorno ad Hasetsu, le aveva affidato il figlio minore, non l’aveva fatto perché fosse realmente interessata alla danza classica o allo sport in generale, bensì per alimentare la flebile speranza che Yuuri non crescesse pieno di paure e di timidezza. Ad appena quattro anni, il piccolo era sensibile e timidissimo a livelli esagerati, tanto da rispondere balbettando e da nascondersi alla vista dei clienti, anche di quelli abituali.

La giovane trentenne, da brava senpai, prese a cuore la questione, come una sfida personale. Non che andare a prendere ogni giorno all’asilo il bambino paffutello per portarselo dietro, verso il locale al secondo piano dell’edificio in cui stava la sua piccola scuola di danza, fosse servito poi a molto. Le altre bambine che si approcciavano alla sublime arte sembravano metterlo ancor più a disagio, Minako lo capiva dai suoi movimenti, goffi e insicuri, e dal fatto che si distraeva spesso a lezione, anche se poi bastava che rimanesse solo, supplicandola infantilmente di ripetere più lentamente i passi, per farle intravedere dei leggeri miglioramenti alla sbarra. Forse fu per questo che alla donna sorse un’idea improvvisa, nacque un’intuizione geniale che secondo lei l’avrebbe davvero aiutato ad aprirsi. Raggiungere la soglia dei trentuno anni la induceva, in fondo, a desiderare un allievo volenteroso di cui poter essere fiera e vantarsi con chiunque. Quel bambino introverso dimostrava invero una buona propensione a imparare i passi fondamentali, però in qualche modo lei sentiva che la sua disciplina rischiava di mettere a Yuuri dei limiti, gli tarpava le ali, non stimolava al meglio la sua immaginazione e che quelle quattro pareti in cui lo rinchiudeva quotidianamente lo soffocassero.

Per questo, un bel giorno, gli propose di seguirla in un luogo nuovo, un posto in cui sicuramente il piccolo non era mai stato prima d’ora. La cosa parve incuriosire parecchio il bambino, però Minako-sensei non gli anticipò nulla, si limitò a trascinarlo letteralmente lungo il ponte di Hasetsu e poi sulle scale che conducevano verso un’immensa struttura rettangolare.

Yuuri spostò gli occhi castani per fissare con uno sguardo confuso e interrogativo la sua maestra; questa lasciò la presa ferrea sulla sua manina, s’inginocchiò di fronte a lui, per essere alla sua altezza, artigliandogli con inconsueta dolcezza le spalle.

«Yuuri, sai cosa significa “pattinare”? Hai mai visto delle persone indossare delle scarpe speciali che scivolano sul pavimento?» chiese tranquillamente.

Il bambino dai capelli neri fece di no con la testa, non capiva cosa intendesse, era davvero possibile quello? E poi, se scivolavano, non si facevano la bua?

«Allora, adesso proverai queste scarpette speciali e mi dirai se ti piacciono oppure no, d’accordo?» concluse, compiaciuta di se stessa e dell’intuito femminile, che di solito non sbagliava mai.

«D’accordo», ripeté Yuuri in un mormorio sottile, «sì, Minako-sensei, voglio provare le scarpette che scivolano!».

Detto questo, Minako lo accompagnò dentro e dopo aver attraversato due porte scorrevoli a vetri, essere entrati in una stanza con un bancone e degli scaffali più alti di lui, aver seguito negli spogliatoi un uomo, membro dello staff, che gli aveva attaccato degli strani gusci duri sui gomiti e sulle ginocchia, un casco sulla testa allacciato delicatamente sotto il mento, vide che alla maestra vennero consegnate due paia delle scarpette di cui parlava – ma cosa avevano sotto la suola? Una piccola lama?

Minako lo condusse per mano e superarono un’altra porta prima di trovarsi in un ambiente completamente diverso, ampio e spazioso. Yuuri ne rimase totalmente stupito e i suoi occhietti rimasero incollati al pavimento al centro della pista, che non era affatto normale.

«Minako-sensei, m-ma… è bellissimo! Guarda, guarda, è tutto bianco, così liscio, come uno specchio! E perché ci sono tutte quelle linee sopra? Chi le ha disegnate?» pronunciò tutte queste domande con genuina meraviglia e la donna percepì un nuovo progresso in Yuuri, era la prima volta che il piccolo non riusciva a tenere a freno la lingua, di solito se ne stava zitto e al massimo snocciolava pochissime parole e balbettii.

«Un giorno saprai rispondere da solo. Inizia a pattinare, Yuuri».

Minako non avrebbe smesso di supportare e consigliare il bambino, in quel preciso momento e nel suo futuro, pensò sorridendo intenerita, prima di lasciare che lui calzasse i pattini e li provasse per la prima volta. Lo scricciolo, proprio come Hiroko, sì che sapeva come farsi benvolere!

 

 

 

 

 

“Quando ero più piccolo, passavo più tempo alle lezioni di danza che a casa. Sono stati proprio i consigli di Minako-sensei a spingermi a iniziare a pattinare”. [Yuuri, dal secondo episodio]

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

Una consuetudine comune dei bambini piccoli, quando trovavano qualcosa di piacevole e divertente da fare, consisteva nel passarci giornate intere, poiché giocare era più importante di tutto il resto.

Se una bambina amava lo scivolo, vi saliva sopra e scendeva giù innumerevoli volte, senza mai stancarsi; se un’altra preferiva l’altalena, si dondolava avanti e indietro, indietro e avanti, in un incessante moto.

Se un bambino adorava l’acqua dell’oceano, in estate impiegava tutto il tempo concessogli dai genitori stando ammollato, spruzzando, giocando e nuotando con altri bagnanti, piccoli o grandi.

 

 

 

Per Yuuri, l’attrazione principale non era uno scivolo, un’altalena, una bicicletta oppure l’acqua dell’oceano, anche se in un certo senso l’acqua centrava lo stesso. No, lui voleva fortemente andare all’Ice Castle di Hasetsu, sulla pista di pattinaggio sul ghiaccio, attendeva con impazienza l’orario prenotato per lui, facendosi accompagnare sempre e comunque da Minako-sensei o, talvolta, anche dalla sua mamma e da Mari-neesan.

Al piccolo Yuuri, quella pista magica piaceva tantissimo, l’adorava. Scivolando alacremente sui pattini da ghiaccio, a dispetto dell’immancabile timidezza che lo caratterizzava, era riuscito a farsi la sua prima amica, una graziosa bambina con i capelli marroni e un codino laterale, di sette anni, che gli rivolgeva spesso dolci sorrisi e complimenti spontanei. Lei si chiamava Yuuko.

«Ta-da!».

Una semplice esclamazione seguì la posa finale, infatti, dopo aver compiuto un lungo giro per la pista muovendo mani e gambe un po’ a caso, il bambino si era fermato divaricando le gambette di fronte a Yuuko, posta fuori dal ghiaccio, oltre le barriere di metallo che limitavano il circuito.

Lei sembrò entusiasta, mentre portava le manine a coprirsi le fossette sulle guance rosate. «Bravo, Yuuri-kun».

 Il più piccolo spostò le proprie dita, prima tenute stese, dietro la nuca ed esibì un sorriso imbarazzato, prima di venire improvvisamente spintonato da un altro bambinone che i due riconobbero. Aveva scuri capelli ispidi, sembravano gli aculei di un porcospino. Yuuri non si fece male, ma si ritrovò inginocchiato sulla superficie ghiacciata.

«Fuori dalla palle, lardello!».

«È appena arrivato, Takeshi-kun, non prenderlo in giro!» lo difese Yuuko, visibilmente contrariata con il nuovo arrivato.

«Lardello lardelloso!» continuò il bambino di nome Takeshi, deridendolo di nuovo, mentre l’altra allargava le braccia in alto, strizzava gli occhi e pareva sul punto di esplodere, difatti tempo qualche secondo e partì all’inseguimento del robusto e irriverente compagno di pattinaggio, che frattanto continuava a ridere sguaiatamente.

Il piccolo Yuuri, nonostante stringesse i minuti pugni coperti dai guanti e tenesse ancora un broncio offeso, in fondo ammirava sinceramente quei due bambini per il loro essere così diversi e più schietti rispetto a lui.

In particolare, vedeva lei come il suo punto di riferimento all’interno dell’Ice Castle di Hasetsu, l’unica con la quale si trovasse completamente a proprio agio a spiccicare parola, oltre alla sua famiglia e a Minako-sensei.

Era ancora troppo piccolo per capire cosa provasse esattamente nei suoi confronti, se si trattasse di una prima cotta, se la vedesse più come un’altra sorella, ma Yuuri rimase colpito nel vederla muoversi con genuina disinvoltura e grazia naturale sul ghiaccio artificiale, nonostante fosse ancora arrabbiata con Nishigori Takeshi e intenzionata ad acchiapparlo, forse per obbligare l’amichetto a scusarsi per il comportamento da bullo di poco prima.

 

 

 

E andò effettivamente così. Con Yuuko a fare da collante, in qualche modo, passarono i mesi e Yuuri iniziò pian piano a vedere anche Nishigori come suo amico.

I tre bambini trascorsero anni più o meno sereni e spensierati a pattinare insieme, dato che non si vedevano quasi mai fuori da quel determinato contesto.

Secondo Yuuri, che non mancava giammai di sminuirsi, tanto per lui il pattinaggio artistico, per quanto lo adorasse, rimaneva ancora un piacevole gioco, un passatempo costruttivo, Yuu-chan diventava sempre più brava, sempre più aggraziata, sempre più il suo idolo.

Quando la Dama dell’Ice Castle di Hasetsu – così gli piaceva definirla – iniziò a interessarsi alle gare regionali organizzate dai vari club di pattinaggio delle medie, il bambino fu tra i primi a incoraggiarla a prendervi parte, si offrì persino di accompagnarla insieme a Nishigori ed entrambi esultarono felici, quando ella riuscì a piazzarsi sul podio con un meritatissimo secondo posto.

«Yuuri-kun, grazie mille, però promettimi che l’anno prossimo gareggerai pure tu! Sento che puoi farcela, anche Takeshi-kun è d’accordo con me. Lui non te lo dice apertamente, ma fidati, noi crediamo in te!» sostenne con spontaneo fervore la tredicenne, dopo averlo abbracciato di slancio. Era molto carina. Indossava il costume di scena, un vestitino rosa con le spalline fatte di velo, e aveva raccolto i lunghi capelli castani in una coda di cavallo. La piccola medaglia d’argento pareva brillare intorno al suo collo e il mazzolino di fiori bianchi emanava un gradevole profumo.

«Mi dispiace, Yuu-chan. Io pattino perché mi piace, non per competere con altri», dichiarò subito l’undicenne, sfuggendo al suo abbraccio affettuoso e allo sguardo amichevole della ragazzina, la quale non capiva ancora come mai uno che amasse tantissimo il pattinaggio artistico come lui, non potesse mostrare la sua profonda passione a un pubblico più numeroso e interessato.

Promise a se stessa che avrebbe continuato a seguire il pattinaggio internazionale trasmesso in televisione e che, se necessario, avrebbe acquistato una marea di giornali sportivi, nella speranza di riuscire a vedere qualcuno che potesse convincere il suo migliore amico a cambiare idea, anzi, meglio, a prendere sul serio quell’idea stupenda!

Giurò solennemente di non arrendersi mai nell’importantissima ricerca che le toccava, stringendo forte fra le dita il suo premio, fissando determinata l’altro suo migliore amico, che levò gli occhi neri al cielo e sollevò le spalle larghe, rassegnato di fronte alla testardaggine dilagante delle femmine.

 

 

 

 

 

“Yuu-chan era la mia compagna di pattinaggio artistico, e ha due anni più di me. Quando eravamo piccoli, lei era davvero bravissima. Era il mio idolo, la Dama dell’Ice Castle di Hasetsu.” [Yuuri, dal primo episodio]

 

 

 

 

 

*

 

 

 

Era mezzanotte passata nella pittoresca cittadina di Hasetsu, nel Kyushu, in Giappone, ma dalla finestra della cameretta di una casa, al primo piano, si poteva scorgere la luce soffusa di una televisione accesa.

Era passato all’incirca un anno e la quattordicenne Yuuko aveva atteso con ansia e trepidazione il giorno in cui la ricerca di un idolo, per sé e per Yuuri-kun, avrebbe portato i suoi frutti e sembrava che il giorno, finalmente, fosse arrivato.

Non riuscì a trattenere le lacrime di gioia mista a commozione che le piovvero dagli occhi. Smaniò sui tasti del suo Samsung per digitare il numero di Takeshi, che le rispose con voce abbastanza strascicata e insonnolita dopo almeno cinque squilli.

«Takeshi-kun! Indovina!» esclamò, fingendosi vaga, anche se in realtà stava fissando gongolante le immagini in movimento sullo schermo, strabuzzando adorante gli occhi ramati quando vennero inquadrati i tre giovanissimi pattinatori sul podio della finale, alla quale aveva appena assistito con grande attenzione.

«Non sono in vena – sbadigliò – sono stanco. Lasciami indovinare domani. Buonano-».

«Ma è lui!!!» strillò, per poi ricordarsi che era tardi, moderando la propria voce. «Takeshi-kun, finalmente l’ho trovato, deve essere per forza lui! Il pattinatore che farà cambiare idea a Yuuri-kun. Non è una notizia meravigliosa? Se aspettavo domani per comunicartelo, non sarei riuscita a dormire. E pensa, non è nemmeno tanto avanti con l’età, ha solo un paio d’anni più di me! Sento che questo ragazzo non mi dispiace…» confessò quasi senza fermarsi un attimo a respirare, facendo avanti e indietro dal letto alla porta, dalla porta al letto. Takeshi si schiaffò una mano in viso, infastidito. Non gli interessava sapere che aspetto fantastico avesse questo campione perché Yuuko dichiarasse apertamente di essersene invaghita. Non gliene fregava assolutamente nulla, eppure se ne sentì improvvisamente geloso. Un po’ come quando conobbero Yuuri, lui lo infastidiva e lo provocava apposta, dato che prima era l’unico a girare intorno alla bambina, il solo ad avere un’intesa e una complicità speciale con lei, malgrado gli occasionali bisticci e le discussioni animate, infatti, andava tutto a meraviglia fra loro.

«Allora, Takeshi-kun, domani faremo così…» riprese a parlare lei, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Lui si stese di fianco e sbadigliò di nuovo, chiudendo gli occhi e annuendo di riflesso.

«È semplice, dobbiamo trattenere Yuuri-kun negli spogliatoi, davanti al televisore al plasma, e attendere il notiziario», lo informò spiccia, anche perché capiva la stanchezza del compagno, non era mica così insensibile. Si salutarono dandosi appuntamento di mattina al solito incrocio, allora Yuuko spense la televisione, slegò i capelli e si coricò, incrociando speranzosa le dita sopra al cuscino.

 

 

 

Davanti al distributore di bibite, Yuuri assottigliò gli occhi castani dietro le lenti degli occhiali, indeciso su quale bevanda prendere.

Premurosa, Yuuko si offrì di scegliere al posto suo, inserì le monetine, si piegò e raccolse due lattine. Poi, lei si voltò appena per incrociare intenzionalmente lo sguardo di Takeshi, che prese il telecomando per accendere la tv.

«Carota e sali minerali. Provala, è buona!» disse a Yuuri, porgendogli la lattina chiusa. Per sé aveva preso la stessa marca, solo che conteneva succo d’arancia al posto di quello alla carota.

«Grazie».

Il dodicenne la ringraziò in un mormorio educato e rispettoso, per poi sedere sulla panca. Avevano appena finito di bere chiacchierando del più e del meno, quando il conduttore del notiziario annunciò i primi riferimenti alla finale dei campionati mondiali Juniores di pattinaggio artistico nelle varie categorie, disputati a Sofia, in Bulgaria, finché non comparve lui, finché non mostrarono una parte dell’esecuzione del suo programma breve.

«Victor Nikiforov, il russo… Ha vinto i mondiali Juniores con il punteggio più alto della storia! È fantastico!» commentò entusiasta la ragazza, che si pose dinnanzi alla tv al plasma, senza ovviamente coprire tutta la visuale ai due compagni, per poi fare esaltata una giravolta e osservare la reazione dell’amico. Takeshi, di fronte a quell’euforia esagerata, spostò il viso dall’altra parte e tirò fuori la lingua, invece Yuuri schiuse appena le labbra e non nascose un’espressione meravigliata, che gli faceva brillare le iridi.

Il ragazzino riteneva oramai che l’Ice Castle di Hasetsu gli riservasse sempre grandi sorprese e piacevoli scoperte, ma questa sicuramente le batteva tutte quante!

L’astro nascente della Russia, lo straniero longilineo e talentuoso che catturò totalmente la sua attenzione in quei pochi minuti concessi dal notiziario, lo stava ispirando, gli faceva quasi desiderare un futuro in cui lui potesse rappresentare il Giappone e pattinare sullo stesso ghiaccio di colui che pareva incarnare alla perfezione il suo ideale di pattinaggio artistico.

Seduto su quella panchina rivestita di azzurro, si coprì le ginocchia con mani tremanti e sentì che voleva immediatamente esprimere cosa stesse provando in quel momento sulla sua pista magica, la sensazione indescrivibile dei pattini che scivolavano leggeri sul ghiaccio segnandolo con cerchi bianchi ed ellissi sbilenche, bramare la medesima postura, la stessa eleganza e musicalità di… Victor? Era Victor il suo nome?

«Yuu-chan, ricordi i movimenti che abbiamo appena visto?» la percezione della sua voce che pronunciava quella domanda gli sembrò quasi ovattata, lontana e allo stesso tempo vicina.

Yuuko stava rimproverando Takeshi per qualcosa che aveva detto o fatto, non aveva seguito per nulla la loro conversazione in realtà, ma la ragazza fu molto felice di venirgli incontro.

«Certo che li ricordo. Non sottovalutarmi, seguo sempre l’intera stagione dall’inizio alla fine e ho osservato il bellissimo Victor più di una volta! Perché?» s’interessò lei, disponibile e affabile come al solito.

Alla parola bellissimo, Takeshi sbuffò, però venne ignorato.

«Ecco… Se non ti dispiace, vorrei copiarli. Insomma, imitarli, riprodurli, mi capisci?» chiarì Yuuri, levandosi di colpo in piedi per nascondere il velato imbarazzo sorto sulle gote e per dirigersi verso il proprio armadietto.

 

 

 

Sequenze espressive di passi, trottole, salti non troppo complicati, piroette, voli dell’angelo, movimenti con le braccia. Arti flessi, piegati ad angolo o estesi, allungati.

Armonia espressa da un corpo dinamico e tecnicismi messi da parte.

Una delle prime lezioni impartite sottolineava lo sviluppo graduale della coordinazione, dell’equilibrio, dell’elasticità, per questo il pattinaggio veniva spesso considerato uno sport divertente, coinvolgente, fantasioso e completo.

Tutti i bambini che si cimentavano in questo sport accettavano la spiegazione senza ribattere, facendo tesoro dell’esperienza acquisita.

 

 

 

Yuuri e Yuuko provarono la medesima coreografia per ore, serenamente, per nulla provati dalla fatica dovuta alla danza e dai piedi indolenziti.

«Victor la farebbe così!».

Lei mostrò e suggerì quello che ricordava, mentre lui l’affiancava, la seguiva e si correggeva, si migliorava, acquisiva sicurezza.

Per la prima volta nella sua vita, Yuuri fece propri i movimenti di un altro e si sentì benissimo, nessuna inadeguatezza o paranoia poteva distoglierlo dal raggiungimento dell’obiettivo, tutto parve dissolversi nell’aria in virtù della soddisfazione personale di dissetarsi a una nuova fonte di ispirazione.

Anche quando si fece tardi e l’altro compagno li richiamò, poiché dovevano sbrigarsi a uscire oppure li avrebbero cacciati in malo modo per aver sforato sull’orario di chiusura del palazzetto del ghiaccio, la sensazione di benessere mista ad affaticamento fisico non scomparve e li fece sorridere con leggerezza finché non si salutarono, imboccando le vie per le rispettive case.

 

 

 

 

 

“Allora avevo appena dodici anni, ma Victor, quattro anni più grande, era già il numero uno al mondo. Ho provato e riprovato a imitarlo, cercando di arrivare al suo livello”. [Yuuri, dal secondo episodio]

 

 

 

 

 

*

 

 

 

Pensare, parlare o soltanto accennare a Victor, divenne presto parte della routine quotidiana dei due ragazzi.

Essendo curiosa di natura, Yuuko era la prima a spettegolare riguardo a ogni curiosità che le giungesse all’orecchio, oppure alla sua vista da vera fangirl.

Un giorno, per esempio, all’interno del familiare spogliatoio nell’Ice Castle, seduti uno di fronte all’altra, le gambe che quasi si sfioravano, Yuuko mostrò a Yuuri una rivista, dove una pagina in particolare riportava un articolo sul loro idolo; in testa al foglio, vi era stampata una fotografia colorata del giovane campione russo, vestito come una persona normale, che stringeva in un abbraccio affettuoso un cane dal pelo color sabbia e dall’aria simpatica.

Victor e l’animale costituivano davvero un bel quadretto, adorabile a vedersi.

Takeshi dava le spalle a entrambi, più interessato alla lettura di un manga che alle chiacchiere frivole da fans.

«Ho letto qui che Victor ha un barboncino», puntualizzò Yuuko, felice e intenerita, tenendo un dito sulla foto. «Guardalo, è carinissimo!».

«Oh, è davvero un bel cagnolino!» enfatizzò Yuuri, prendendo la rivista tra le mani.

L’unica esperienza che aveva vissuto con un animale era avvenuta l’anno precedente, quando volle provare a dar da bere del latte fresco a un gatto soriano, che talvolta visitava l’onsen di famiglia, per ritrovarsi pieno di graffi sulle mani e su una coscia.

Malgrado il ricordo non proprio positivo, pensò che prendere un cane doveva per forza essere figo. Quella tenera creatura non avrebbe soffiato contro di lui rizzando il pelo e non l’avrebbe assalito ingiustamente. Chiese a Yuuko se poteva portarsi a casa la rivista e lei acconsentì senza problemi.

Tempo una settimana, dopo averne disquisito davanti ai suoi genitori e a sua sorella maggiore, la decisione di prendersi cura di un cagnolino divenne un fatto concreto.

Yuuri ne approfittò per portare il nuovo membro della famiglia Katsuki, il suo cucciolo di barboncino, nei pressi della pista magica, perché voleva mostrargliela.

Quando sopraggiunsero anche Yuu-chan e Nishigori, dopo essere usciti da scuola, la ragazza in divisa rimase piacevolmente sorpresa nel vederlo in così tenera compagnia.

«Hai preso anche tu un barboncino?» constatò l’amica, piegandosi leggermente e tendendo l’unica mano libera dal peso della borsa scolastica, con l’intento di accarezzare il cagnolino.

«Già, si chiama “Victor”», rispose seraficamente Yuuri, sempre tenendo la piccola palla di pelo riccioluto fra le braccia, mentre il cucciolo ansimava con la linguetta di fuori, voltando curioso la testolina da una parte all’altra, come se volesse fissare tutti e tre gli amici.

«Victor ti piace proprio, eh? Spero che presto potrai misurarti con lui», ribatté lei, fiduciosa, incrociando il suo sguardo incredulo.

“È così evidente, Yuuri-kun, in ogni singolo gesto che compi. Per te non si tratta semplicemente di un gioco, di un passatempo, ma di una cosa seria. Tu ami così tanto il pattinaggio, ma temi la competizione. Ti accontenti di avere solamente noi due come tuoi amici, senza  credere che con il tempo, magari, le cose cambieranno. Non proverò più a forzarti, ti lascio libera scelta, nella ferma speranza che tu diventi pronto e consapevole delle tue capacità innate e del tuo talento, che supera il mio. Diventa padrone del tuo destino, lo so che puoi farcela!” considerò lei, nella sua mente, rimanendo piuttosto indietro rispetto ai due compagni che la precedettero all’interno della struttura sportiva. Si voltò abbastanza per fissare il panorama incantevole della loro bella cittadina, e infine, con un sorriso gioioso, fece la sua corsetta per raggiungerli dentro.

 

 

 

 

 

“Guardandolo, ho sempre pensato che doveva amare tantissimo il pattinaggio. Non giocava nemmeno con gli amici”.

“Beh, non è che sia mai stato bravo a farsene, di amici. Pattinaggio escluso, lottare per ciò che gli interessa non è il suo forte”. [Yuuko e Takeshi, dal secondo episodio]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

______

Disclaimer: I personaggi citati non mi appartengono e non ho scritto a scopo di lucro, ma solo per puro piacere personale.

 






  
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