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Autore: alaskainblack    30/07/2017    2 recensioni
- Okay. Okay. Scusa. Lo so. Sono fastidioso. Ma la mia domanda è lecita. Ammetto di essere terribilmente curioso del perché una ragazza possa essere in un parco con una sigaretta spenta mentre piove -.
Sospirai, in effetti non era una cosa del tutto normale.
- Non hai tutti i torti -.
- Lo so - sorrise il ragazzo.
Nemmeno sull’essere fastidioso -.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il ragazzo del parco

Capitolo 1

 

 

Ero ad occhi chiusi, seduta sul pavimento in legno della mia stanza, da quella distanza potevo sentire il vetro gelido e il piacevole rumore del vento.

Avevo lasciato la finestra aperta perché era una giornata di pioggia, di quelle che mi rilassano, adesso aveva smesso ma sapevo che avrebbe ripresa tra qualche minuto e per fortuna mia madre era uscita e mio padre era di sotto a vedere gare di sci.

Quindi era il mio momento di pace.

Nelle orecchie suonava lentamente il ritornello di Asleep degli Smiths, la canzone che più si addiceva a quel tipo di giornata, o meglio questo era quello che avevo sempre pensato.

Rigirai la sigaretta spenta in bocca, l’avevo presa dal pacchetto nascosto di mio padre.

Teneva quel pacchetto nel cassetto delle sue magliette di basket, sotto quella dei Mets.

Per quanto potesse sembrare un luogo scontato, e per quanto lui potesse sembrare un uomo ingenuo, quello era senza dubbio il posto perfetto.

Mia madre inorridiva alla vista delle sue magliette del basket, e aveva a lui proibito di indossarle (e guardare il basket) da quando stavano insieme, il basket come il fumo e tante altre cose che lei aveva bandito da casa nostra.

Quel cassetto dunque rimaneva sempre chiuso, ma io ero più furba di lui ed avevo intuito.

Io però non fumavo, e mai l’avrei fatto, ma mi piaceva darmi un’aria particolarmente drammatica in certi momenti.

Era come sentirsi la protagonista di un libro e per un attimo riuscivo anche a crederci.

- Claire vuoi rispondere? – fu il tono di incredibile dolcezza di mia madre che mi portò a stoppare la musica con l’accompagnamento di uno sbuffo scocciato.

Ovviamente con “incredibile dolcezza” stavo facendo dell’ironia.

- Dove vuoi che io sia se non in camera? – sospirai voltandomi verso di lei e dimenticandomi della sigaretta che avevo ancora in bocca.

Di fatti inizialmente non capii il perché della sorpresa, più precisamente terrore, nei suoi occhi quando mi guardò.

Gli occhi neri di lei erano fissi sul mio volto, e per quanto io possa essere una persona tranquilla, mi allarmarono.

Mi alzai e mi posi di fronte a lei – Ho qualcosa sulla faccia? – chiesi toccandomi la guancia.

Lei sembrò riprendere vita per allungare la mano e con un gesto veloce sfilarmi la sigaretta dalla bocca – Hai anche la sfrontatezza di avvicinarti a me con quell’oggetto assassino in bocca? – disse alzando la voce.

Ci misi un secondo a capire quello che era appena successo.

- Oh no – sospirai mordendomi le labbra con forza ed evitando il contatto degli occhi corvini di mia madre.

Avevo poche mosse per uscirne indenne, e mentre arrivavo alla soluzione dovevo usare il solito metodo dei giri di parole per prendere tempo.

- Però guarda che non è come pensi – dissi alzando le spalle in segno di innocenza e sforzandomi di assumere l’espressione più sincera che potesse riuscirmi, ma poiché la sincerità non era una delle mie qualità dubitai che avrebbe funzionato.

Fissai mia madre che, segno che si stava arrabbiando, aveva smesso di sbattere le ciglia e stringeva le labbra già sottili tra loro.

- L’unica cosa che penso è che ho appena visto mia figlia con una sigaretta in bocca! – disse, iniziava ad urlare, e per quanto non avrebbe aiutato la situazione, sperai con tutta me stessa che arrivasse mio padre a chiedere cosa stesse succedendo e spostasse così il nervosismo di quella donna da me a lui.

Era sempre così che mi salvavo la pelle, mio padre e la sua solita ingenuità attraversavano la stanza e qualsiasi cosa stesse succedendo quell’uomo aveva la solita aria confusa, il che mandava mia madre in bestia, a quel punto iniziavano a litigare ed io passavo in secondo piano, terzo, quarto, quinto, e poi potevo tornarmene in camera.

Mia madre non mi allarmava, mi irritava solo, aveva bisogno di qualcuno con cui prendersela ma io non ero nata per fare da bersaglio, mio padre…lui si. 

- Una sigaretta spenta – precisai io, ma lei non sembrò ascoltarmi, infatti riprese il suo discorso con, se possibile, ancora più enfasi.
- Hai tredici anni. Tredici. Ti sembra mai possibile fumare a questa età? E io che faccio di tutto per farti restare sana, voi ragazzini non avete una minima idea di quanto sia importante preservare il vostro sistema immunitario, spendo soldi in più solo per darti un’alimentazione che farebbe invidia a chiunque e tu cosa fai? Immetti nicotina nel tuo corpo – mi trattenni dallo scoppiare a ridere.

Per lei ogni scusa era buona per introdurre nella conversazione il cibo e soprattutto la qualità del cibo che si impegnava a comprare, o comunque tutte le scemenze che sentiva dalle sue compagne di yoga.

- Da chi le hai prese? Te le se fatte comprare da uno più grande? Di sicuro non le vendono a ragazzine come te – ora aveva messo le mani sui fianchi e qualche ciuffo le era sfuggito dall’acconciatura perfettamente ordinata.

Ovviamente mia madre nemmeno immaginava che in una città come Bristol le sigarette, e anche altro, venivano vendute anche ai bambini delle scuole elementari.

Ma poiché la sigaretta era stata segretamente sottratta all’unico membro restante della famiglia, ed io non ero un’infame, decisi di optare per un silenzio che poteva essere interpretato come pentimento, un atteggiamento che poteva piacerle.

Mia madre era assolutamente contro le sigarette e ogni tipo di dipendenza, diciamo che il suo attuale obbiettivo era essere il modella della milf che vive una vita sana, con la collaborazione dei giornali che leggeva stava compiendo il suo percorso.

Mio padre invece…lui era americano. Un cliché in realtà. Padre americano di buona famiglia, l’unico problema era che noi vivessimo in Inghilterra.

Ultimamente i miei genitori non andavano particolarmente d’accordo e io decisi di non infierire.

- Vuoi rispondermi? – insistette lei, non aveva alcuna intenzione di lasciar perdere l’argomento.

Sbuffai un’ulteriore volta – Era spenta, mamma! – protestai stanca della sua presenza nella mia camera.

- Perché stavi per accenderla! Non sono certo una stupida – ribatté a sua volta, probabilmente si sentiva molto soddisfatta di avermi incastrata, peccato che fosse ben lontana dal farlo.

Mi misi una mano sulla fronte esasperata e pensai ad una scusa – L’ho costruita io per divertirmi, se me la dai ti faccio vedere che è finta – inventai al momento fiera della mia originalità da quattro soldi, lei sembrò quasi convinta, del resto ero sicura non toccasse una sigaretta da qualche decennio.

Afferrai la sigaretta rendendomi conto di essermi appena incastrata quando giusto in quel momento entrò mio padre in camera.

Mia madre si voltò verso di lui con un volto speranzoso - Allora, hai sentito? - chiese cercando appoggio.

Lui guardava il pavimento con un’aria confusa, dopo qualche secondo di silenzio si mise una mano sulla barba curata e sospirò.

- Beth, non riesco a trovare quelli snack energetici che mi hai comprato ieri -.

Come al solito mio padre non aveva idea di ciò che stava succedendo, e non solo, non aveva sentito una sola parola di quello che era appena successo.

Fiutai il disastro.

Mia madre ci mise pochi secondi per scaricare tutto il nervosismo accumulatosi su di lui, il mio essere stata trovata con una sigaretta in mano venne del tutto tralasciato per dare spazio ad una lite strettamente personale su come mio padre non fosse presente abbastanza nella mia vita, passando al - Sei un rozzo esattamente come il posto da cui vieni -.

Quando si iniziava a parlare dell’America, odiata da mia madre, la conversazione diventava un serio litigio a cui io non volevo assistere.

Tastai la tasca posteriore dei jeans assicurandomi che le dieci sterline fossero ancora lì da quella mattina, non dovetti nemmeno preoccuparmi di essere notata o meno da loro, troppo presi dal loro discorso, così mi allontanai con nonchalance dalla camera con la sigaretta in mano afferrando distrattamente le chiavi lasciate sulla scrivania.

Scesi le scale infilandomi la cuffietta che mi ero sfilata da quando mia madre era entrata in camera.

Con un movimento veloce aprii la porta, e senza curarmi di chiuderla attraversai il giardino non prestando attenzione all’evitare di calpestare l’erba bagnata.

Scavalcai la staccionata con un gesto veloce e, particolarmente fiera di me stessa, mi ritrovai nella strada della mia noiosa zona residenziale, ovvero un ammasso di casette identiche ad eccezione del colore.

Misi le mani nelle tasche della mia confortevole felpa blu elettrico e mi incamminai veloce dannandomi di non aver portato con me alcun giubbotto.

Guardai in alto, il cielo sembrava ci avrebbe regalato nuovamente della pioggia a momenti, la cosa mi fece sorridere, mi piaceva la pioggia, mi metteva i capelli fuori posto e dava una certa aria poetica anche alla cosa più banale.

Ormai avevo svoltato il vialetto, proseguii per la mia strada e solo dopo qualche minuto mi accorsi di non avere idea di dove stessi andando.

Sapevo che arrivata nella piazzola a destra ci sarebbe stato il supermercato e la fermata dell’autobus, ma non avevo voglia di mangiare, e nemmeno di spingermi troppo lontano da casa, così andai a sinistra.

Mi ricordavo alla perfezione che in quella direzione, continuando per qualche minuto, si poteva raggiungere il parco dei bambini, quello in cui andavo sempre quando ero piccola.

Pensai che sarebbe stato rilassante sedermi su una panchina ad osservare le giovani e poco promettenti generazioni giocare col fango suscitando la rabbia delle madri, era il tipo di cosa che mi divertiva, specialmente con un paio di cuffiette infilate nelle orecchie e della buona musica.

Solo pochi minuti più tardi mi trovavo seduta a gambe incrociate sulla panchina che volgeva a guardare la mia città, la sigaretta spenta in bocca e gli occhi che scattavano per il panorama alla ricerca di qualcosa di interessante che sicuramente non avrebbero trovato.

- Hai bisogno di un accendino? - uno sconosciuto mi aveva appena interrotto, nell’istante esatto in cui mi voltai a vedere chi avesse osato interrompere il mio momento di intensa riflessione una goccia mi sfiorò i capelli, aveva ripreso a piovere.

Lo sconosciuto era magro, lo si vedeva dalle gambe poiché il giubbotto militare che indossava lo ingrassava, i capelli abbastanza folti di un banalissimo castano scuro erano per metà bagnati e coperti dal cappuccio, il naso all'insù annientava ogni possibilità, che invece la sua altezza gli dava, di sembrare più grande di un ragazzo da scuola media.

- A dir la verità no - dissi sfilandomi uno degli auricolari e fissandolo, probabilmente con il mio solito sguardo profondamente cinico.

Era dopotutto carino, ma la cosa non mi toccava, se ne vedevano in giro di ragazzi carini.

Lo sconosciuto mi guardò a sua volta con aria decisamente stranita, aggrottò le sopracciglia marcate e socchiuse un occhio, aveva un'aria più amichevole della mia.

- Posso sedermi? - chiese, quando sperai si fosse deciso a continuare la sua passeggiata per il parco.
- Fai pure - lo invitai di malavoglia spostandomi dal centro al fianco della panchina chiedendomi che cosa avesse intenzione di fare quel ragazzo sedendosi accanto alla sconosciuta dall'aria meno socievole che potesse incontrare.

Rimisi entrambe le cuffiette e, cercando di dimenticarmi dell'intruso alla mia destra, alzai il volume al massimo così da avere una scusa per non sentirlo se eventualmente avesse avuto ancora intenzione di parlarmi.

La mia pace durò per meno di mezzo minuto, perché lo sconosciuto decise di parlarmi ancora una volta.

- Scusa - probabilmente stava urlando visto che non sentivo nemmeno il rumore della pioggia che stava invece iniziando a diventare particolarmente forte - Lo so che sembrerò fastidioso ma perché hai una sigaretta in bocca senza fumarla? -.

Alzai gli occhi al cielo e lui lo notò.

- Okay. Okay. Scusa. Lo so. Sono fastidioso. Ma la mia domanda è lecita. Ammetto di essere terribilmente curioso del perché una ragazza possa essere in un parco con una sigaretta spenta mentre piove -.

Sospirai, in effetti non era una cosa del tutto normale.

- Non hai tutti i torti -.
- Lo so - sorrise il ragazzo.
- Nemmeno sull’essere fastidioso -.

Questo lo fece ridere, socchiuse gli occhi e notai il suo naso arricciarsi - Allora? Sono degno di un’illuminazione? -.

- Ti interessa così tanto? -.
- Come vedi non ho niente da fare - ammise con un sorriso.

Io sospirai - Mi piace far finta di fumare -.

- Interessante - il suo tono era difficile da interpretare, ma era probabilmente un’affermazione sarcastica, il che mi innervosì.
- Mi prendi in giro? - strinsi gli occhi e lo guardai con fare scontroso.

Lui scosse la testa aggrottando le sopracciglia, aveva un sorriso confuso sulle labbra.

- A me sembra interessante considerando che non ho mai sentito nessuno dirmi una cosa del genere, le persone che conosco fumano tutte, è una cosa banale, invece non fumare è interessante -.
- Ma tu fumi - ribattei io con un mezzo sorriso sulle labbra, non sapevo perché contraddire le persone mi aveva sempre dato una certa soddisfazione.

Lui rise - Dio, sembro davvero così ordinario a vista d’occhio? -.

- No, ma non sei stato attento, mi hai chiesto se volessi un accendino, il che significa che fumi -.

Lui scosse la testa e con quel gesto fece andare un paio di gocce che si erano depositate sul suo cappuccio sul mio viso - Sbagliato -.

- Dammi una spiegazione, allora -.

Lui sospirò con aria innocente - Questa giacca è di mio fratello grande, lui fuma -.

- Ecco perché ti sta così male -.
- Ehi, non ci conosciamo da un po’ troppo poco perché tu possa insultarmi? - rise lui, stranamente il mio umorismo non gli dava fastidio, il che mi colpì.

Io alzai le spalle - Sono solo onesta - mi giustificai - E anche priva di tatto - questo lo fece sorridere.

Lo sconosciuto mi porse la mano ed esclamò con un sorriso - James -.

Io aggrottai la fronte squadrandolo - Scusami se interrompo questo momento magico, ma perché vuoi sapere il mio nome? - sospirai, sarà stato pure un ragazzo dall'aria normale ma non avevo la minima idea di chi fosse, per quanto ne potessi sapere poteva essere Harry Potter come poteva essere uno psicopatico appena fuggito dall'ospedale psichiatrico.

Dopo aver analizzato i miei pensieri arrivai alla conclusione che decisamente avrei dovuto farmi una vita sociale e guardare meno serie tv.

- Non lo so, probabilmente perché sei la persona più interessante che io conosca - spiegò con molta tranquillità.

Era innegabilmente carino e quindi il suo modo tranquillo di rapportarsi mi portò a pensare che era solito a piacere alle ragazze che incontrava.

- Per la verità noi non ci conosciamo - precisai, ovviamente il termine "socievole" non faceva parte del mio vocabolario, per quanto impegno potessi metterci risultavo sempre distaccata.

Però lo facevo ridere, di solito la gente finiva di parlarmi, ma il ragazzo era più determinato a conoscermi di quanto io lo fossi di non farlo.

- A questo punto dovresti dirmi il tuo nome, dato che io ho riso alle tue battute - sospirò cercando di convincermi senza successo ad iniziare un indimenticabile amicizia con lui.
- Certo, e anche innamorarmi di te. Se solo fossimo in un film d'amore - conclusi rimettendo gli occhi sul mio cellulare per rimettere la canzone da capo, senza accorgermene ero rimasta a parlare con lui piuttosto che avere il mio momento di pace.

Tutto ciò era decisamente strano.

- E quindi suppongo che io dovrei raccontarti la terribile storia della mia vita - mi voltai verso lo sconosciuto e mi ritrovai mio malgrado con un sorriso sulle labbra e divertita dalla sua frase.

Cercai di ignorare la pioggia che ormai aveva quasi completamente bagnato la mia felpa e gonfiato i miei capelli al loro limite di esplosione - Va bene allora, accetto di parlare con il ragazzo del parco - mi arresi - Jack, giusto? -

- James - mi corresse lui - Perché sei venuta qui? - chiese ancora una volta.
- Ho semplicemente litigato con i miei genitori - ammisi, non mi andava di dirgli di qualcosa di non vero, a che scopo poi? Io e il ragazzo del parco non ci saremmo visti mai più con ogni probabilità - In realtà non è esatto, diciamo che i miei genitori hanno litigato e io ho litigato con mia madre, storia noiosa -.
- Non ci credo, e io che venivo qui ad ammirare la pioggia in tutta la sua bellezza scomposta pensando al significato della vita - questa volta non riuscii a trattenermi dallo scoppiare a ridere, era esattamente il tipo di umorismo che mi piaceva, e stranamente veniva adoperato da una persona diversa da me.
- La ragazza senza nome ha riso, datemi una medaglia - sospirò divertito guardandomi negli occhi.

Avevo ancora il sorriso sulle labbra e per quanto lo stessi evitando continuavo a voler ridere - Questa devo scrivermela da qualche parte - mormorai - Comunque, seriamente, perché sei venuto qui? -

Lui scrollò le spalle - Sono stato fuori con alcuni miei amici, poi tornando a casa mi sono fermato qui - spiegò con semplicità, quasi dimenticavo che l'avere una vita normale comprendesse uscire con degli amici e quindi anche tornare a casa a orari come questo.

- Tutto qui? - chiesi.
- Già -.
- Non è possibile, c’è qualcos’altro. Non sei un tipo così banale -.

Questi sospirò - Ti ringrazio per avermi elevato ai comuni mortali ma non puoi pretendere che io scenda nei dettagli, non mi hai nemmeno detto il tuo nome e vuoi che io ti racconti tutto -.

- Hai ragione, pretenzioso da parte mia - ammisi, già era abbastanza che non se ne fosse già andato.
- Senti sai che ore sono? - chiesi al ragazzo, ormai il tramonto iniziava a sparire lasciando spazio a un cielo di un azzurro chiarissimo ma spento.

Il ragazzo sfilò il cellulare dalla tasca - Quasi le otto -.

Scattai immediatamente in piedi dalla panchina e notai con divertimento la reazione dispiaciuta di lui del mio gesto - Devo assolutamente andare o i miei mi uccideranno - mormorai e nell'istante in cui conclusi la frase mi chiesi perché mai lo stessi dicendo allo sconosciuto del parco…Jack…James!

Lui si alzò a sua volta - Quindi vai via? -.

Stranamente notai una nota di dispiacere, sgranai gli occhi appena, per quanto odiassi ammetterlo non essere odiati da una persona era…bello.

- Dovere -.
- Giusto -.

Sorrisi appena, mi soffermai un attimo a guardarlo un’ultima volta, tanto per ricordarmelo bene.

Quello era un bel ricordo che stava per finire, pazienza.

Gli feci un cenno di saluto e mi voltai per un ritorno alla mia vita quotidiana, stavo per rimettermi le cuffiette quando mi accorsi di non voler andarmene come ero venuta, volevo che fosse cambiato qualcosa.

Una cosa stupida da parte mia ma non avevo intenzione di tornarmene a casa con le cuffiette come avrei fatto se non l’avessi incontrato.

Doveva essere cambiato qualcosa.

Così infilai il cellulare in tasca e inizia a camminare verso casa ascoltando il piacevole suono della pioggia.

- Ehi - sentii chiamare dietro di me.

Voltandomi trovai il ragazzo del parco giusto dietro di me, aveva le mani in tasca e un’aria imbarazzata.

- Uhm…ehi - lo salutai io di rimando aspettandomi una spiegazione del suo rincorrermi.
- Io…beh - rise per coprire l’imbarazzo - Sarebbe tanto strano se ti dicessi che mi piacerebbe conoscerti? -.

Guardai in basso per la prima volta davvero imbarazzata.

Voleva conoscermi, non mi detestava, voleva conoscermi.

E io…io volevo conoscere lui, l’avevo appena ammesso.

- Sei molto formale - commentai io divertita.

Lui rise - Ha ragione signorina, lo sono, se solo lei mi concedesse il privilegio di sapere il suo nome la smetterei di usare questo linguaggio forbito - si chinò e finse di baciarmi la mano - Posso avere l’onore? -.

- Claire Davis -.
- James Grays -.
- Quindi possiamo…sai…rivederci? - chiese rialzandosi, era decisamente più alto di me, lo notavo solo ora.
- Il prossimo Lunedì, a quest'ora, se vuoi - proposi.

Lui si morse appena il labbro - Io veramente Lunedì ho un corso di fotografia - disse con tono dispiaciuto.

Lo invidiai subito, avevo sempre sognato partecipare ad un corso di fotografia 

- Allora che ne dici di Martedì? -.

Io scossi la testa con prontezza - No, devo andare a mangiare da mia nonna e restare con lei tutto il pomeriggio - sospirai - E' noioso, ma devo farlo - ancora non capivo perché continuavo a parargli di fatti personali come se potesse essere di suo interesse.

- Giovedì va bene? Mercoledì non posso - chiese infine speranzoso, per quanto potessi ricordarmene quel giorno non avevo nulla da fare, non che gli altri giorni della settimana avessi l'agenda piena di impegni, anzi.
- Bene allora, a Giovedì…-.

Il ragazzo mi strinse la mano con fermezza e un sorriso sulle labbra, sembrava non aspettasse altro che quel momento - E’ stato un piacere fare la sua conoscenza -.

- Il piacere è solo mio -.

Si poteva quasi dire che mi fossi finalmente fatta un amico.

 

 

  
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