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Autore: Hi Asija    31/07/2017    0 recensioni
«Se mi ami, lasciami andare. Scappa prima che lo venga a sapere» sussurrò Hailey.
Ma ora, ora non provo più nulla. Il mio cuore è troppo oscuro per provare qualcosa. Il suo ricordo è più grande di tutto il resto. Un resto che vorrei distruggere per arrivare a lei.
Ma non posso distruggere ciò che non è qui.
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Shady Jones è una diciassettenne di Johannesburg con aspirazioni molto alte: diventare una bassista professionista.
Non parla molto e tende a non fidarsi delle persone. Nonostante la sua origine, stringe solamente amicizie con coetanei neri, mai con gli Afrikaner. Fa parte di una gang, nella quale sono presenti due bianchi, Ninja e Gerhard.
Shady è una persona tranquilla, ma la sua città la contraddice. Negli ultimi anni, al cospetto di Johannesburg sono stati costruiti robot consenzienti e dalle sembianze umane, i quali dovrebbero proteggere la contea.
Un semplice microchip ed un semplice e sottile endoscheletro ricoperto da uno strato di pura verità. Pelle, organi, sangue. Ma nessun battito cardiaco.
Genere: Horror, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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~~Un maestoso silenzio inebria la stanza calda e sporca nella quale sono distesa da chissà quanto tempo. Guardo il soffitto e ascolto il rumore di una gocciolina d'acqua che continua a cadere a terra.
Decido di alzarmi dal pavimento umido e ormai fradicio, appoggiandomi all'unica finestra presente nella stanza. Il mio sguardo si punta sulla vista mozzafiato che mi si para davanti agli occhi: Robben Island.

Rimango ad osservare per un poco quelle onde salate scontrarsi contro la sabbia scura e umida dell'isola. È molto diversa rispetto alla classica Johannesburg industrializzata.

Lo scenario è monotono e rilassante, ma l'utilità di questa isola è sempre stata tutt'altro che i due aggettivi appena nominati. Sin dalla fine del XVII secolo, Robben Island fu definita dai coloni europei come un carcere; tra i suoi primi ospiti fissi c'erano capi politici provenienti da varie colonie olandesi, inclusa la mia famiglia.

Prendo un forte respiro, tremando. In questa stanza c'è un odore di morte, il quale mi ricorda che l'isola fu utilizzata come colonia per la lebbra.

Mi guardo attorno, alla mia destra ritrovo un poster di Nelson Mandela. Un poster che inneggiava alla sua vittoria.
Robben Island è effettivamente nota per essere stata il carcere per prigionieri politici nel periodo dell'apartheid.
Appunto, Nelson Mandela.

Mi avvicino con innocenza al poster, così mi accorgo di un foglietto attaccato alla parete. Lo stacco – tentennante –, ma capisco che è scritto in xhosa.

«Hai bisogno di un traduttore?» mi chiede una voce alle mie spalle. Lentamente mi giro verso di essa, riconoscendo la figura di fronte a me.
Una ragazza dai capelli azzurri e corti mi scruta da capo a piedi. Posso notare i suoi occhi scuri e dannatamente vivi, nonostante la sua anima dica il contrario, o semplicemente riveli la sua parte meno umana e sensibile.

«Che fai, non parli?» mi chiede lei, avvicinandosi a me. Faccio uno scatto felino, allontanandomi goffamente. Lei mi guarda, ridacchiando. In seguito, prende in mano il foglietto che avevo scrutato poco prima, cominciando a leggerlo.

«Sai leggerlo?» le chiedo solamente. La senza cuore alza lo sguardo, sorridendomi.

«Sono programmata per sapere tutte le lingue... » mi dice sincera.

Annuisco, poi alzo lo sguardo, cercando un modo per distrarla e scappare. «Come ti chiami?» chiedo, invece.

Lei continua a leggere il foglio che ha in mano, poi punta i suoi occhi scuri nei miei, di un verde scarlatto. «Hailey» dice, con uno strano sorriso in volto.

Annuisco. «Hailey.»

Lei fa lo stesso. «Shady.»

Mi giro, verso la finestra di prima. «È...» comincio, cercando di uscire dalla situazione imbarazzante «è sempre stato così?» chiedo, spaventata.

Hailey annuisce, avvicinandosi a me. «Nel periodo in cui l'isola fu una prigione, le misure di sicurezza erano molto rigide ed era vietato l'accesso a quasi tutti i civili» annusa l'aria, poi tossisce «lebbrosi inclusi.»

Il pensiero di non essere in carcere mi rende più tranquilla, ma non capisco, ancora.

«Negli anni i prigionieri si organizzarono molto bene... Insomma, lo sai, fondarono perfino delle squadre di calcio» ridacchia, indicandomi un campo da calcio a pochi metri da noi. «Prima del 1980, quasi nessun capetoniano aveva mai visto l'isola. Figuriamoci una ragazzina di Johannesburg come te.»

Tossisco, poi abbasso lo sguardo. «Perché sono qui?»

Hailey sorride, poi punta i suoi occhi su di me. «Sei qui perché te e i tuoi amici avete commesso il furto più grande di tutta l'Africa. Sai, ci sono svariate isole quaggiù, siete stati destinati a un mese di isolamento, ognuno in una di esse» mi dice. «Quest'isola era patrimonio dell'umanità, prima che arrivassimo noi. Lo sai, non starò qui a raccontartelo. La guerra del '77 è stata più dura di quanto tu possa mai credere» m’indica un albero abbattuto «È stata tutta colpa nostra. È, è andato tutto in fumi» dice lei. È impressionante come un robot possa avere sentimenti così forti e sensi di colpa così logoranti.

«Però voglio aiutarti...» comincia «Insomma, so che sei nei guai, ed io, come dire...» si interrompe.

La guardo.

«Sì, voglio aiutarti con le tue cose: il disegno, la musica...» sussurra, «e poi ho un compito specifico.»

Annuisco, sapendo che allude alla mia duratura segregazione qui. «Capisco...»

Hailey si allontana da me, uscendo dalla stanza.

«Ah, Shady.» mi chiama.

Mi giro.

«Xa umntu ahluthwe ilungelo lokuphila ubomi ukholwayo, uye nyanzelekile ukuba niphumele isihange» mi dice, ma io non la capisco.

Balbetto qualcosa. «Hailey, io...» provo a dire «Io non parlo xhosa...»

Mi interrompe. «Quando a un uomo è negato il diritto di vivere la vita in cui crede, questo non ha altra scelta che diventare un fuorilegge.»

«Azzeccato», penso.

  
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