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Autore: Mladen Milik    01/08/2017    3 recensioni
2006
Harry Potter è ormai convinto che la sua vita non possa più riservargli avventure ed emozioni, si sente ormai stagnante e troppo adulto per desiderare una vita diversa e più avvincente, così come Hermione affronta le difficoltà della sua carriera ministeriale.
Howgarts accoglie un nuovo Torneo Tremaghi che si intreccia con le disavventure di una nuova generazione di studenti alla prese con le ragnatele dell’amore e della giovinezza, ma mentre i ciliegi fioriscono trame sempre più ardite serpeggiano nell’ombra.
Gilderoy Allock ritorna alla ribalta più seducente che mai, così come un gruppo estremista chiamato le Colombe Rosse semina il panico in Gran Bretagna con l’obiettivo di sterminare gli ex Mangiamorte fuggiti alla cattura o rilasciati.
Una vampira ungherese si risveglia dal suo sonno centenario per avere la sua vendetta e altri misteriosi avversari tramano dietro le tende come falene svolazzano nella notte, pronte a stravolgere le leggi di un mondo magico che non smette mai di stupire.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gilderoy Allock, Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Inizi e ritorni

 

 

Con un colpo forte ed elegante allo stesso tempo lo spostò di lato, permettendole di passare, aggiungendo al gesto uno “Scusa” appena accennato e continuando il suo cammino verso la scaletta che conduceva alla carrozza dei prefetti.

Steven spostò lo sguardo dall’amico con cui stava parlando, pronto a inveire contro la persona che gli era appena passata davanti, ma il suo volto nervoso mutò totalmente in una dolce espressione persa non appena vide chi l’aveva toccato.

Persino di spalle l’aveva riconosciuta, l’avrebbe riconosciuta tra un milione di ragazze. Aveva i capelli di un biondo scuro con striature amaranto che facevano tendere i suoi capelli al rosso in alcuni periodi dell’anno, non era particolarmente alta, ma era considerata da tutti come la più bella ragazza dell’intera scuola, tanto che persino Steven non riusciva mai a toglierle gli occhi di dosso ogni volta che, per caso, la vedeva passare tra i corridoi.

Era il suo desiderio da quando aveva memoria, ma mai aveva trovato il coraggio di parlarne, non che la faccia tosta per fare le prima mossa con una ragazza non ce l’avesse, ma Eris era qualcosa di più, qualcosa di diverso, non era come le altre ragazze e non aveva ancora trovato il modo per approcciarsi a lei.

Questa volta però era stata lei a parlargli e aveva addirittura avuto l’onore di essere spintonato da Eris Keats.

“Valle a parlare, è la tua grande occasione, lo so che fremi dalla voglia di farlo, che cosa diamine ti trattiene?” gli disse il suo cervello, “Se conoscerla mi farà smettere di battere come gli zoccoli di un cavallo in corsa ogni volta che la vedi...almeno non perdere la dignità” gli disse il cuore, ma le sue gambe non si mossero, così come i suoi occhi che continuavano a fissare la figura di lei che camminava veloce tra un rivolo di studenti in festa.

“Ehi amico, ti ho già detto che non fa per te, non pensarci nemmeno” gli disse una voce accanto alla sua, una voce grave e maschile.

Eris salì le scalette della carrozza dei prefetti e uscì dal suo campo visivo. Steven tornò in sé, le sue membra si rilassarono e davanti ai suoi occhi ritrovò l’amico Alvaro che lo fissava divertito con i suoi occhi scuri.

“Cos...cosa hai detto?” chiese Steven.

“Non fa per te amico, credimi” ripeté lui, gettando un’occhiata alla carrozza dei prefetti.

“E cosa te lo fa credere? Magari sono il suo tipo”

“O magari no. Credimi, meglio stare lontani da Eris Keats, ne parlo per esperienza”

“Non mi hai mai raccontato perché vi siete lasciati, ha un carattere così acido come dicono?” chiese Steven leggermente avvilito.

Alvaro che era molto più alto di lui si limitò ad alzare le spalle e a sorridere. “Diciamo che non è il massimo della compagnia, ma non intendo andare oltre in questa conversazione” rispose lui.

“Sei comunque stato il suo unico fidanzato da quando è ad Hogwarts, per noi comuni mortali sei una leggenda”

“Ci sarà un motivo se sono l’unico e per così poco tempo che non lo considererei un fidanzamento...comunque penso che mi tocchi raggiungerla, tutti i prefetti sono già saliti, non vorrei fare la figura del solito ritardatario”

“L’anno scorso ci lasciasti senza portiere contro i Corvonero, abbiamo schierato Annie e abbiamo perso 250-170, se Pam non avesse preso il boccino d’oro, sarebbe stata una sconfitta ancora più bruciante” gli disse Steven, guardandolo male.

“Quest’anno non succederà, la pantera nera sarà sul campo e la coppa non ci sfuggirà dalle mani!”

I due si salutarono e Alvaro salì sulla carrozza, pronto per frequentare il suo ultimo anno ad Hogwarts come prefetto di Grifondoro. Steven l’aveva sempre visto come il suo mentore, un maestro di vita che era sempre riuscito a ottenere il massimo risultato con il più infimo sforzo a e che lo aveva preso sotto la sua ala sin dal primo anno. Erano stati compagni di squadra, di casata e diventarono presto amici, nonostante i due anni di differenza si rispettavano moltissimo anche perché erano molto simili e Steven non riusciva ancor a pensare che presto gli avrebbe detto addio.

Il treno fischiò, rumore che segnalava l’imminente partenza. Steven si guardò intorno con un ghigno maligno, poi vedendo che nessuno lo stava fissando, notò un gruppo di graziose corvonero e le seguì, salendo gli scalini e entrando nell’espresso per Hogwarts. Era pronto a presentarsi e passare l’intero viaggio con loro, quando la sua spalla venne raggiunta da una mano.

Steven si girò, pronto a gelare con lo sguardo chiunque gli stesse facendo perdere un gruppo così succulento di giovani e ingenue prede, quando si ritrovò davanti due grandi occhi marroni, inclinati in un cipiglio violento e accompagnati da due guancia rossastre che lo fissavano a due centimetri dal suo naso. Steven riconobbe subito il pericolo e mutò il suo volto in una innocua immagine di sorpresa e confusione.

“Avevi detto che saremmo andati insieme, ti ho aspettato per mezz’ora, rischiando di arrivare in ritardo” gli disse Annie, con tono alterato.

“Non crederai mai a quello che sto per dirti...” iniziò a dire lui, ma venne subito fermato dalla voce della ragazza che si era fatta normale visto che sul treno aveva attirato qualche sguardo curioso.

“Infatti non ci credo e a giudicare da quelle tre gallinelle che ci fissano divertite, forse ho capito anche il motivo”

“No, ma come puoi pensare una cosa simile, tesoro! Saranno sì e no del secondo anno, sono colpito dalla tua mancanza di fede, e mi ritengo offeso” replicò lui, cercando di sembrare il più convincente possibile.

Annie dal canto suo aveva rilassato il suo viso e ora guardava un punto indistinto del treno, come se da un momento all’altro potesse mettersi a piangere. Steven allora colse la palla al balzo. “Annie, mi sono dimenticato dell’appuntamento, giuro che non c’è altro motivo. Io...ehm...io ti amo, e non c’è nessun’altra...” ma ancora una volta il suo discorso venne interrotto, questa volta da una risata.

Steven fu costretto a voltarsi ancora una volta e questa volta davanti a sé si trovò Trixie Skinkler e Eric Vetsin, due serpeverdi del suo stesso anno che lo fissavano particolarmente interessati.
“Tesorino, io ti amo, amo solo te, perdonami per essere un demente” disse Trixie prima guardando Eric e poi fissando Steven con occhi seducenti.

“Che hai da ridere, Trixie? Non sei rimasta coinvolta in qualche incidente quest’estate, che magari ti abbia tagliato la lingua? Posso provvedere nel caso” disse lui alla ragazza che continuava a fissarlo con i suoi soliti e belli occhi verdi smeraldo.

“Per tua sfortuna no, Sfighen e devo dire che non potevo sperare in un inizio migliore, con del bel materiale per distruggere la tua dignità...ah ops te la sei già distrutta da solo quando sei nato” replicò lei.

“Gira al largo e torna dalle tue amiche serpi, non ti conviene farmi perdere la pazienza”

“Ohoh che stai cercando di fare? Spaventarmi? Se il tuo cranio avesse un cervello forse ti fermerebbe...è un consiglio”

“Vattene viscida puttana!” le disse quindi ad alta voce Annie, mettendosi davanti a Steven.

“Come mi hai chiamato?!” sbraitò Trixie e il capo di alcuni curiosi uscì dalle cabine per assistere alla scena. Trixie prese mano alla bacchetta, ma Eric, il suo compagno di casata che lei amava definire il suo ragazzo le fermò la mano, fissandola con il suo solito sguardo spento, ma che bastò per fare rimettere a Trixie l’arma nella tasca della mantella.

Steven era pronto a inveire di nuovo sulla coppia di serpeverde, ma Annie ebbe l’intelligenza di prendere la mano del fidanzato e voltare le spalle ai due inserendosi nella prima cabina vuota che trovò.

Era bella anche se Steven non lo notava spesso, forse perché era stato così tante volte vicino a lei che ormai si era fatto l’abitudine, ma in un’estate intera era diventata ancora più attraente e questa volta, guardando il suo viso che fissava fuori dal finestrino, la trovò stupenda. Avevano lo stesso colore degli occhi e dei capelli, chiunque li avesse visti insieme avrebbe detto che erano fratelli da tanto erano simili, il suo viso era rotondo, ma grazioso e sottile ai bordi, aveva due grandi occhi marroni e i capelli castani erano pettinati in un caschetto che le copriva la fronte fino alle sopracciglia. Indossava un maglione rosa con la v del collo ampia che le arrivava fino all’ombelico, scoprendo la maglietta fuxia che aveva sotto, i pantaloni lunghi invece erano bianchi.

Quando il treno partì lei non gli aveva ancora dato nemmeno uno sguardo e Steven si sentì un po’ in pena per lei. Si conoscevano da quando erano bambini, erano vicini di casa e persino i loro genitori erano molto amici e in tutta la loro storia insieme lei aveva deciso di dichiarare il suo amore solo l’anno prima, amore che nutriva da sempre e che non riusciva più a trattenere.

Lei sapeva che per quanto fossero amici Steven era una persona pericolosa a cui fare una simile dichiarazione, ma non ce la faceva più e l’inizio della loro relazione fu per lei una sorpresa, sorpresa che si rivelò però meno idilliaca di quanto potesse immaginare. Annie amava Steven, ma lui non amava lei, o almeno, non abbastanza per evitargli di provarci con altre ragazze.

Era sempre stato così Steven Lineker, ossessionato dalle ragazze, non passava ragazza attraente che Steven aveva già dimenticato Annie e il fidanzamento e i suoi occhi erano tutti per la nuova arrivata. Non lo faceva con cattiveria, Annie era importante per lui, ma era la sua natura e certo faceva fatica a controllarla.

Annie lo sapeva, amava credere che lui l’amasse comunque e che fosse solo molto ingenuo, ma tre mesi senza quasi mai vedersi non avevano certo aiutato il suo stato d’animo e sapeva che l’anno seguente sarebbe stato importante per la loro relazione che lei non voleva affatto finisse.

“Mi dispiace” disse quindi Steven guardandola con occhi di sincero rammarico. Lei spostò lo sguardo verso di lui e gli sorrise, annuendo, all’improvviso la porta della cabina si aprì.

“Ehi! Vi ho colti nel momento intimo sbagliato?” disse una voce forte e squillante.

“Pam!” esclamò Annie, alzandosi e andando ad abbracciare l’amica, dietro di lei c’era Andrej, il migliore amico di Steven e questa volta fu il ragazzo ad alzarsi e stringere l’amico dopo averlo salutato calorosamente.

“Com’è andata l’estate, la Russia è fredda come la ricordavi?” gli chiese Steven sedendosi, mentre l’amico si posizionò davanti a lui.

“Non più di tanto, era afosa San Pietroburgo questa estate e poi con tutto il ben di Dio che c’è lì, come si fa ad essere freddi, non so se mi spiego” rispose lui facendo l’occhiolino.

“Ma parlate solo di questo voi due? Siete noiosi” intervenne Pam che si era seduta accanto ad Andrej, mentre Annie si era messa accanto a Steven.

“Mai noiosa quanto tu che parli del Quidditch” le disse quindi Steven e ad Andrej scappò una risatina.

“Ah, a proposito, avete visto chi ha acquistato l’Arsenal?” chiese lei con gli occhi che si erano spalancati al massimo, con scure dilatate.

“Te pareva” sbuffò Andrej che non andava certo matto per il quidditch dato che aveva paura persino a salire su una scopa.“Sentiamo, che grande campione avrà preso la tua squadra del cuore...con cui ci martelli le palle ogni singolo anno?”

“Tenetevi forte...” Ma proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta.

“Chi è?” chiese Steven a gran voce, mentre Pam sbuffava annoiata.

“Sono Penelope, ehm...ecco, volevo solo salutare”. Annie si alzò e andò ad aprire la porta, abbracciando l’amica. “Oh, hai tagliato i capelli, stai benissimo!” disse Annie alla ragazza dai capelli neri che aveva una frangia molto simile alla sua. Pam la canzonò facendo finta di vomitare, generando le risate di Steven.

Le due parlarono per qualche minuto del più e del meno, poi si salutarono e nell’andare Penelope esclamò un silenzioso “Ciao Steven” a cui lui non rispose.

“Perché non l’hai salutata?” gli chiese Annie “E’ sempre così gentile con te, ti passa sempre i compiti di trasfigurazione e incantesimi”

“Solo perché non me li passi tu” replicò lui cercando di guardarla con occhi lusinghieri che lei non apprezzò particolarmente.

Penelope era una ragazza corvonero particolarmente brava a scuola, tanto che alla fine della scorso anno era la migliore in quasi tutte le materie, era amica di Annie e di Steven anche se lui tendeva a tenerla a distanza, trattandola più come una risorsa che come un’amica.

Il treno procedeva spedito tra la campagna inglese, superando colline, oltrepassando gallerie e attraversando fiumi, mentre i i ragazzi grifondoro continuavano a parlare.

“E tra voi due?” chiese Pam con sguardo curioso e tono indagatore.

“Tra me e chi?” chiese Steven confuso.

“Trixie, chi secondo te?” si intromise Andrej.

“Non stavi dormendo tu?” gli disse Pam.

“Se abbassassi quel tuo starnazzare forse potrei riposare” Pam lo colpì con uno schiaffo sul callo che risuonò forte in tutta la cabina, prima di spostare lo sguardo nuovamente su Steven.

Lui fissò Annie che dormiva sulla sua spalla e rispose: “Cosa volete che vi dica...va avanti”

“E’ sempre un piacere parlare con te, grazie dei dettagli. Cambiando argomento chi sono i prefetti per quest’anno?” chiese quindi lei.

“Alvaro per Grifondoro sicuramente e mi sembra Eris Keats per Tassorosso” il suo corpo ebbe un tremito quando pronunciò quel nome.

“Eris Keats!” esclamò con forza Andrej “Quegli occhi violacei”

“Le labbra sinuose” aggiunse Steven.

“I capelli dorati”

“E un gran bel paio...”

“Non andate oltre...è un ordine” disse loro Pam con rabbia.

“Ehm...comunque” disse quindi Andrej, spaventato dal tono dell’amica “Per Corvonero dovrebbe essere Thomas”

“Quel pallone gonfiato” disse quindi Steven gettando uno sguardo sprezzante fuori dal finestrino.

Steven odiava Thomas, lo odiava dal primo giorno che lo aveva conosciuto e i due erano sin da subito diventati nemici e rivali per l’unico obiettivo che li avvicinava, le ragazze. Thomas era il più bello, il più ricco e non faceva altro che sottolinearlo in tutto quello che faceva, il più amato tra le ragazze e persino il più abile giovane mago della scuola, tutto quello che Steven non era, o almeno non era al suo livello.

La sua rabbia era data sopratutto dal fatto che lui fosse il preferito di tutto il genere femminile ad Hogwarts non solo per la sua bellezza, ma anche per i suoi modi sempre cordiali e cavallereschi che Steven sapeva fossero una maschera, visto che di cordiale aveva solo le scarpe e l’unico suo obiettivo era quello di aggiungere più ragazze possibili alla sua collezione e magari rubare a Steven la sua amata di un particolare periodo, togliendosi la soddisfazione di averlo umiliato.

“Toccato un tasto dolente?” esclamò Pam sorridendo maliziosamente. “Thomas Shelley prefetto, sarà quindi vicino vicino con la bella Eris, e Dio non voglia che i due si mettano insieme, sarebbero davvero perfetti”

“Mai!” urlò Steven alzandosi di scatto e facendo sbattere a Annie la testa sul cuscino del sedile, svegliandola. Pam e Andrej scoppiarono a ridere, mentre Annie si rialzava frastornata e il treno continuava a sfrecciare, mentre il sole calava e la campagna si tramutava sempre più in collina boschiva, accompagnandoli al loro quinto anno ad Hogwarts, un anno che sarebbe stato solo l’inizio della loro avventura.

 

Le sue gambe si muovevano veloci tra gli arbusti e tra i bassi cespugli del bosco, cercando in tutti i modi di uscirne il più presto possibile. Il suo passo si trasformò velocemente in una corsa isterica quando sentì un ululato in lontananza e dopo aver emesso un urletto moto poco virile superò un piccolo torrente andando a sbattere contro un albero e finendo con la schiena dentro l’acqua.

Dopo aver gettato qualche bestemmia e alcune imprecazioni ad alta voce, insultando la natura e le sue creature, si alzò cercando di strizzare il mantello e constatò con rabbia e terrore che tutto il percorso che aveva fatto nelle ultime ore era stato inutile, visto che era tornato al torrente a cui si era abbeverato al tramonto.

Ora era notte inoltrata e la luna bianca e piena splendeva sopra la sua testa. Non aveva controllato le calende lunari prima di partire, ma non si aspettava certo che sarebbe rimasto nella foresta per tutto quel tempo. Era due giorni ormai che vagava nei boschi senza riuscire a trovare una via di uscita e nemmeno i segnali di richiesta di aiuto avevano funzionato, non aveva idea di dove fosse e la cosa lo terrorizzava, i boschi ungheresi non erano certo famosi per la loro ospitalità e anzi, al contrario, erano famosi per essere la meta di famosi lupi mannari erranti durante le notti di luna piena.

Oswald, riempì per la quinta volta la stessa borraccia dallo stesso torrente e continuo, con la bacchetta in pugno il suo percorso, questa volta andando verso un ipotetico sud, diverso dal sud scelto la volta prima. Non sapeva se i lupi fossero attirati dalla luce della sua bacchetta, ma la teneva comunque accesa perché altrimenti avrebbe rischiato l’infarto ad ogni rumore.

Un altro ululato lo fece trasalire e ancora una volta si mise a correre non accorgendosi che il terreno finiva in un precipizio e facendo un volo di due metri. Cadde rovinosamente a terra con la caviglia dolorante, mentre continuava a sentire ululati alle sue spalle, farsi sempre più vicini. Si mise nuovamente in posizione eretta, ma sentì un terribile dolore alla caviglia che lo costrinse a rimettersi seduto.

Fu in quel momento che avvertì uno strano rumore.

Era come un tamburo, che lentamente continuava a bussare e pulsare in lontananza. Oswald, nonostante la caviglia, probabilmente rotta, si rialzò e iniziò a camminare lentamente e con fatica verso il rumore, quasi attirato dal suono tambureggiante che si faceva sempre più forte. Superò un gruppo di alberi, mentre il suono si faceva più vicino fino a quando non toccò con il piede dolorante qualcosa di duro.

Una bestemmia uscì con un sussurro dalla sua bocca, si abbassò e con la punta della bacchetta fece luce, trovando un piccolo bauletto di legno che a quanto sembrava era la fonte di tutto quel rumore. Non appena lo toccò i battiti si fecero violenti tanto che sembrava che lui stesso stesse suonando un enorme timpano, ormai spinto da una curiosità insaziabile aprì il bauletto che all’improvviso gli sfuggì dalle mani con forza facendolo cadere a terra sul fondo-schiena.

Da bauletto di legno uscì quindi un fumo nero e denso che iniziò a roteare su sé stesso, iniziando a formare sempre di più quella che sembrava una figura umana. Oswald puntò velocemente la bacchetta sulla figura che ora aveva assunto l’aspetto di una donna in carne ed ossa.

Non era particolarmente alta, aveva i capelli folti e neri, spettinati, gli occhi rosso scuro, la pelle molto pallida e indossava un lungo abito verdognolo talmente antico che sembrava uscita da un’altra epoca.

“Puoi abbassare quella cosa, o devo levartela con la forza?” le disse la donna e lui subito spense la bacchetta, mentre le sue mani e le sue gambe tremavano dalla paura. “Non puoi immaginare, cosa debba essere stare in questo orribile pezzo di legno, scomodo e senza nemmeno un cuscino” continuò lei e Oswald poté sentire il bauletto venire distrutto dal suo piede.

“Comunque ti ringrazio, non sai per quanto ho aspettato un inetto che si addentrasse in questa foresta. Con tutta la fatica che facevo per fare rumore”

“Ehm ehm. Beh, mi sono perso qui dentro...ecco…forse lei potrebbe aiutarmi ad uscire” disse quindi lui, estremamente impaurito dalla situazione.

“Tranquillo piccolo, la mamma è qui per riportarti a casa. Questa foresta è stregata, è impossibile uscire se si entra al suo interno. Hai avuto però la fortuna di liberare Elspeth Karolyi, non capita a chiunque, la maggior parte di voi viene mangiata”

“Mangiata da cosa?”

Un ululato molto vicino si sentì e subito Oswald scattò in piedi per correre, finendo con la faccia a terra per via della caviglia dolorante. Si sentì un violento rumore di passi in corsa, poi un ringhio minaccioso e infine un “Avadakedravra!”.

Il lupo cadde a terra senza esprimere nemmeno un lamento, né un ululato, mentre sopra di lui si ergeva Elspeth con la bacchetta di Oswald nelle mani che ancora scintillava di verde.

“Sono veramente libera allora! Non credevo sarei potuto diventarlo di nuovo e tutto per colpa di quel biondino bastardo...Ehi!” disse lei prima di girarsi e rivolgersi ad Oswald che se l’era letteralmente fatta addosso dalla paura ed era rimasto pietrificato. “Sai dirmi per caso dove posso trovare quello stronzo infame di Gellert Grindelwald?”

“Grindelwald? Ma…credo sia morto...bah lo presumo almeno”

“Che significa? E chi l’avrebbe ucciso sentiamo? Quel buono a nulla di Stormfront? Uno dei pagliacci dell’Oblansk?”

Oswald si limitò a fissare i suoi occhi rossi che si vedevano al buio con un espressione a metà tra il terrorizzato e il confuso. “Ma tu sai di essere al mondo per caso? Non sai chi sono io? Non hai paura di me?” chiese lei quasi stizzita e sicuramente arrabbiata.

“Veramente non l’ho mai sentita nominare...ma ho molta paura di lei comunque”

“Come? Io sono la vampira più famosa d’Ungheria, la persona più ricercata dell’Est Europa dal 1814 al 1896, non puoi non conoscermi!”

“1896...Ma siamo nel 2006”

Le palpebre di lei si chiusero due volte e la ragazza rimase in silenzio per un buon minuto intero.

“Mi aiuta a uscire dalla foresta adesso?” chiese quindi Oswald.

“Quel bastardo e il suo bauletto di merda...Sì, tra poco ti faccio uscire da qui, ti sono grata per avermi liberata. Perché eri nella foresta, tra l’altro?” disse quindi lei con il tono che si era fatto stranamente rilassato.

Lui deglutì violentemente, poi rispose: “Beh...ecco...Girava voce che ci fosse un oggetto magico molto potente nella foresta, speravo di poterlo trovare, vorrei diventare un mago potente un giorno”

“L’hai trovato...credo. Bene, ti vorrei chiedere se, per caso, mi aiutassi appena usciti di qui, sai, sono passati un po’ di anni da quando metto piede nel mondo reale...mi servirebbe una guida. Anche se prima ti chiederei di aspettare un momento, vedi non bevo da molto e ho molta sete”
“Ah...ehm...sì. Non c’è problema.” replicò lui, prima di comprendere meglio le parole di Elspeth.

“Spero sia femmina” disse lei, mentre i suoi denti si conficcavano nel collo del mannaro appena morto.

 

 

   
 
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