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Autore: MySkyBlue182    02/08/2017    4 recensioni
Le persone che amava, Gerard le amava sul serio.
Seguito di Trust me
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bob Bryar, Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Ray Toro | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao ragazze!
Non so nemmeno se qualcuno stia più aspettando un aggiornamento, e sinceramente capisco che è pure un momento di merda. Cioè ancora non ci riprendiamo mentalmente per Chester che si toglie la vita di punto in bianco, mi viene da dire "sti cazzi delle ff"!
Eppure sono qui, perché quando mi sento triste e sconfitta scrivere è l'unica via che riesce a svuotarmi e a farmi sentire leggermente meglio.
Io credo che in ogni esperienza brutta, se ci soffermiamo a guardare bene oltre, possiamo sempre trovare dei piccoli lati positivi, tipo insegnamenti, o comunque qualcosa che ci illumina, che ci fa capire qualcosa che prima ci sfuggiva ed era semplicemente davanti al nostro naso.
Eravamo giusto ciechi, perché le esperienze questo fanno: ti fanno conoscere i sentimenti, le emozioni. Sia belle che brutte.
 
Tra le cose che ho imparato come fan dei My Chem c'è questo: prendi il brutto e trasformalo in bello. Resta brutto, ma fai del tuo meglio per continuare ad essere bello. Lo so, frasi contorte quelle di Gerard, eppure io mi sono sempre sentita in sintonia con lui, con i testi delle canzoni, con quello che aveva da dare e da dire.
Non vergognarti mai di quello che sei, anche.
Quindi eccomi qui.
Dopo un anno senza aggiornamenti a questa storia. Non mi vergognerò di dirvi chi sono, anzi, mi fa più piacere scriverlo qui che, per esempio, su fb dove ci sono molte persone che mi conoscono anche realmente.
Credo che chi ha letto le mie storie ne sappia molto di più, rigo dopo rigo voi avete scoperto chi sono dentro, quello che sento e non solo quello che sono esteriormente e chiunque potrebbe vedere.
Anzi, come sono esteriormente non c'entra neanche per sbaglio con chi sono dentro. Con la mia personalità. I capelli assurdamente colorati, perché forse dentro sono troppo cupa e scura, e allora cerco di compensare. La mia parlantina e la risposta sempre pronta non sono altro che metodi per non permettere agli altri di farsi domande su di me, di chiedermi chi sono io davvero e rischiare di dover stare in silenzio, di non saper proprio che cazzo dire.
Da poco ho scoperto le canzoni dei 21 pilots e c'è questa parte di car radio che mi tatuerei in fronte "sometimes quite is violent", poche persone sanno realmente cosa può significare ciò. Comunque, io sono questa ragazza emozionalmente mooolto immatura, una che si stupisce per come gira il mondo, a volte, come se venisse da un altro pianeta.
Sono quella che sa scrivere, che ce la mette tutta, ma la malattia che ha non le permette di essere stabile, concentrata e continua nelle cose che fa. Anche quelle a cui tiene.
Il motivo è questo. Non scrivo da un bel po' perché non sono stata bene.
 Vi ho sempre detto che non sono il ritratto della salute, ma forse dirvi "epilessia" il mio eterno problema potrebbe farvi capire meglio. Così magari mi odierete anche di meno per la mia discontinuità!!
Io non mi vergogno di quello che sono, cerco solo di parlarne poco perché non voglio che gente che non capisce sappia e spari sentenze senza nemmeno conoscere il problema.
Il fatto è che ho imparato a capire che in ogni esperienza, come dicevo prima, c'è sempre qualcosa da capire e da imparare. Io ho capito che non è colpa mia se sono così, e forse era il caso di smetterla di prendermela così tanto con me stessa, poi ho capito che non deve essere una fonte di vergogna, questa, e la sofferenza che tutto ciò ha portato nella mia vita avrei potuto trasformarla in qualcosa di bello, come trstme, come le altre mie storie, come prtgmoi, anche se è ancora agli inizi.
Poi okay, non sono perfetta e se qualcuno non mi beta i capitoli faccio cumuli di errori, ma io almeno ci provo!
Il brutto cerco di renderlo bello. Mi sono resa conto che questa malattia mi ha tolto tanto, ma in un certo qual modo mi ha donato gli "occhi empatici" che non avrei se fossi sana come un pesce e con una vita normalissima.
Soffrire rende forti, e okay, sarebbe meglio essere felici, ma possiamo esserlo anche se succede qualcosa di brutto, forse possiamo esserlo anche di più, perché sappiamo da dove veniamo, abbiamo attraversato l'inferno, in certi casi, e ne siamo uscite. Forti, vincenti e con molte più consapevolezze.
Non bisogna mai non accorgersi delle piccole cose che abbiamo intorno ogni giorno, perché sono preziose, perché ci rendono ricche dentro. E perché, se poi ne succede una bella e grandissima sapremo trattarla con cura e vivercela con quanta più felicità possediamo.
Poi Gerard mi ha insegnato un'altra cosa che consiste in due semplici parole:
KEEP RUNNING
E io continuo a farlo ogni giorno, a dispetto delle avversità. Spero che lo facciate anche voi e che questo discorso vi abbia quanto meno incoraggiate.

Siete delle piccole cose nella mia vita, sottoforma di recensioni, complimenti e like, ma non avete idea di quanto valete.

Scusate per la lunghezza di tutto questo, ne avevo bisogno, e spero che possa essere servito a qualcosa.

Scrivetemi dove e quando volete, vi lascio il mio twitter anche @MySkyBlue182.


Vi blu💙


-SkyBlue-
 
 
 
 
 
PRTGMOI CAP 5
 
 
My Blue Supreme
 
 
A Gerard sarebbe piaciuto con tutto se stesso tornare indietro nel tempo.
Non avrebbe preteso nemmeno di rivivere un giorno in particolare, oppure un momento bello che ormai poteva solo ricordare, no, sarebbe stato disposto ad essere catapultato in un giorno qualsiasi, sera, mattina, anche in uno dei quei momenti in cui era stato malissimo. Avrebbe dato ogni cosa, anche la sua salute mentale e fisica pur di trovarsi sperduto in qualcuna di quelle città in cui avevano fatto tappa durante il tour precedente. Tutto pur di avere Frank sotto gli occhi e non dover essere lì, chiuso in macchina, sul sedile posteriore, seduto accanto a suo fratello, con la mente bloccata in un loop di apprensione febbrile che rasentava la disperazione.
Qualche minuto prima Mikey gli aveva detto che gli avrebbe finalmente spiegato tutto, qualcosa che avrebbe sicuramente avuto a che fare con “il brutto periodo di Frank” a cui aveva accennato giorni prima.
Gerard si sarebbe volentieri aggrappato con entrambe le mani alla t-shirt di suo fratello per scuoterloe fargli sputare tutto e subito, ma una parte di lui non avrebbe mai voluto iniziare quella conversazione. Il solo pensiero che Frank avesse trascorso un periodo brutto, di qualsiasi tipo, lo schiacciava. Già percepiva il peso del senso di colpa avvicinarsi sottoforma di una grossa lama affilata che presto si sarebbe abbattuta all’altezza del suo collo, decapitandolo, e tutto questo accadeva  nonostante non sapesse affatto se in quella questione lui c’entrasse o meno.
Mikey non gli diede scelta, iniziò a parlare ancora prima che Gerard decidesse se fosse una buona idea conoscere quella vicenda o meno.
-Vedi…- iniziò suo fratello sospirando. Fece una pausa e Gerard immaginò che stesse scegliendo le parole più adatte per non sconvolgerlo troppo.
Di solito cadeva sempre dalle nuvole, ma aveva questo sesto senso che gli suggeriva che un racconto intitolato “il brutto periodo di Frank” lo avrebbe sconvolto e ferito senza ombra di dubbio.
-Non appena tornati dal tour, quando tu sei entrato nel centro di riabilitazione, lui…- prese ancora un altro sospiro, sistemandosi gli occhiali in un gesto agitato.
-Scompariva.- intervenne Bob.
Gerard si voltò a guardarlo spalancando gli occhi.
-Non lo trovavamo per l’intero week-end, ricompariva il lunedì e non sapeva dirci nemmeno dov’era finito, in quei giorni, e cosa aveva fatto.- aggiunse Ray chiarendo i vari dettagli.
-Si… si…- Gerard singhiozzò shockato.
-Si drogava.- si decise a dire, sentendo quelle parole lacerargli la gola, mentre le pronunciava.
-Noi crediamo di sì.- rispose suo fratello osservando il suo viso con inquietudine.
-E cosa avete fatto?- chiese senza pensarci neanche. Ora che aveva iniziato ad ascoltare voleva sapere tutto.
Ray si espresse in una risata amara.
-Lo abbiamo seguito, un venerdì sera dopo essere stati insieme in un pub.- ammise, ma si notava la tristezza nella sua voce.
-E si è diretto in questa fabbrica abbandonata di cui dicevamo prima, è poco fuori città, ed era lì che avevano inizio i suoi fine settimana di sballo. Conosceva qualcuno, forse qualche suo amico già la frequentava e si davano appuntamento. Forse si incontravano lì e basta, questo non lo sappiamo.- spiegò ancora e poi si fermò affinché Gerard apprendesse quelle informazioni e avesse il tempo di elaborarle.
E Gerard immaginava tutto.
Riusciva a vedere Frank lasciare i propri amici fingendo che andasse tutto bene, riusciva a figurarselo in macchina, mentre raggiungeva la fabbrica che lui non aveva mai visto, lo immaginava depresso, triste, bisognoso di qualcosa che lo facesse stare meglio, o forse peggio, ma non in sé.
Gerard ne sapeva qualcosa, di quelle sensazioni e di quelle necessità che sembravano più impellenti dell’ossigeno stesso. Provava un dolore sordo a livello dello stomaco al pensiero che Frank avesse dovuto averne a che fare. Si sentiva triste.
-Comunque, quella sera lo abbiamo seguito e poi riportato a casa, il giorno dopo abbiamo aspettato che si riprendesse e gli abbiamo parlato. Non è più successo, dopo quella chiacchierata, ma, da come stanno andando le cose, sembra una di quelle volte.- concluse Bob.
Nell’automobile si respirava un’aria pesante, anche se Gerard non era sicuro di star respirando. Aveva una gran voglia di piangere ed una fottuta paura di ciò che sarebbe potuto accadere a Frank.
 
Socchiuse gli occhi e sospirò fortissimo, ricacciando indietro le lacrime.
Gli stava bene.
Sentiva di meritarsi ogni singolo sentimento di terrore e paura che stava provando in quel momento.
In fondo Frank c’aveva convissuto interi anni con quelle emozioni che gli mangiavano il petto e gli toglievano il sonno. Era giusto che soffrisse così anche lui, gli si stava ritorcendo contro tutto ciò che lui stesso aveva fatto patire ai suoi amici e a suo fratello. E a Frank, soprattutto.
Frank credeva nel destino e anche lui, più o meno, gli dava credito, ma sopra ogni cosa pensava che il Karma influissesulla sua vita e sulle sue azioni. Evidentemente era arrivata l’ora che tutte le brutte sensazioni che aveva suscitato negli altri tornassero al destinatario.
Era arrivato il suo momento e l’avrebbe accettato, a condizione che Frank stesse bene.
L’unica cosa importante e fondamentale era quella, voleva il suo bene e se il suo caro Karma gli stava facendo capire di dovergli stare lontano, lo avrebbe fatto e senza battere ciglio, ma voleva qualcosa in cambio ed era il benessere di Frank. La sua unica preoccupazione.
Di solito impiegava tempo infinito prima di prendere una decisione e reputarla sensata, ma stavolta la decisione aveva scelto Gerard, questa volta non ammetteva repliche e Gerard non si sarebbe opposto, perché era quella la cosa giusta da fare. Doveva lasciare stare Frank.
Il discorso di Mikey aveva avuto un principio ben definito, facendo cenno a quando Gerard era entrato nel centro di riabilitazione, quindi, come aveva sospettato, lui c’entrava. C’entrava eccome.
Non spese nemmeno un secondo a riflettere sull’ipotesi che quel dettaglio che aveva detto suo fratello fosse soltanto per dare una cronologia agli eventi del racconto. Era successo tutto per colpa sua, a causa della sua debolezza che l’aveva portato a mollare e a non farcela da solo, era successo perché aveva lasciato Frank in solitudine in un momento in cui, magari, sarebbe servito a lui un aiuto. Frank c’era sempre stato, Gerard non ricordava una singola occasione in cui si era risvegliato abbandonato a se stesso, anche quando era certo di essere stato male unicamente per sua colpa e volontà. Frank era stato sempre al suo fianco. Aveva tentato di aiutarlo, lo aveva rassicurato, aveva provato a proteggerlo dagli altri e da se stesso, lo aveva nascosto al mondo, quando aveva creduto che quel mondo sarebbe stato troppo duro con lui. Anche se se lo sarebbe meritato.
Gerard, al contrario, sapeva di non essergli mai stato d’aiuto.
Lui era stato quello che gli aveva creato ansia e preoccupazione, quello che lo aveva fatto arrabbiare, quello che lo aveva portato ad attacchi d’ira e a malumori che gli avevano rovinato intere giornate. Ed ora… ora era certo addirittura di averlo abbandonato nel momento in cui lui avrebbe avuto bisogno che una piccola parte del bene che gli aveva fatto gli tornasse indietro.
Sospirò fortissimo, ricacciò tutta quella triste e cruda realtà nel fondo dello stomaco, che sentiva annodato su se stesso, ripromettendosi che avrebbe affrontato tutto in seguito, perché in quel momento l’unica cosa che gli premeva era trovare Frank e assicurarsi che stesse bene.
-No, Bob, era la traversa dopo.- sentì dire dalla voce di suo fratello. Evidentemente neanche loro sapevano niente delle fabbriche abbandonate appena fuori Belleville.
-Okay, torno indietro.- gli rispose.
Gerard guardò di nuovo Mikey, forse per trovare un po’ di speranza e forza che non aveva, o forse semplicemente perché era questo che sapeva fare, appoggiarsi agli altri, farsi aiutare, cibarsi dei sentimenti degli altri pur di non affrontare tutto da solo. Vigliacco e codardo.
 
Alla fine, la vecchia fabbrica in disuso si stagliò come uno spaventoso spettro davanti ai loro occhi.
Sembrava davvero come una di quelle location perfette per un film horror e se Frank fosse stato lì, seduto al suo fianco, lo avrebbe detto e sarebbe stato eccitatissimo al pensiero di doverci entrare.
Bob parcheggiò e Gerard afferrò con rapidità la maniglia dello sportello, pronto a scendere e ad andare a perlustrare ogni millimetro quadrato di quel dannato posto.
Suo fratello lo trattenne per la spalla.
-Gee, andiamo noi, tu aspetta qui.—provò a dire e Gerard venne invaso da una furia cieca.
-Tu! Tu sei vuoi resti qui, io devo trovarlo.- quasi gridò. Si sentiva disperato, ecco tutto.
-Ma Gee, calmati, era solo per… ah, ‘fanculo, andiamo.- liquidò la faccenda.
Cazzo, anche quando c’era da risolvere qualcosa di serio ed importante Mikey si metteva a pensare a lui e a ciò che era meglio. Certo, pensò, perché è ciò che sono: il cucciolo indifeso e da proteggere.
E forse, guardando la questione da un certo punto di vista, poteva anche sembrare una cosa dolce da parte di Mikey, ma la verità era che,per come la vedeva Gerard, era una situazione orrenda ed umiliante e, anche qui, la colpa era solo sua.
Lui aveva fatto in modo di far sentire in dovere i suoi amici ditrattarlo così, come quel ragazzo troppo fragile, da salvaguardare, quello a cui, in casi estremi, nascondere addirittura i fatti pur di tenerlo al sicuro.
Anche se Gerard non era proprio certo che tutte quelle accortezze lo mettessero davvero al sicuro.
Trovarsi davanti ad un fatto compiuto e non saperne niente lo aveva fatto ritrovare, molte volte, catapultato direttamente in situazioni a lui sconosciute, completamente ignaro di problemi o difficoltà che accadevano mentre lui dormiva sonni tranquilli. Al sicuro.
E non era affatto vero che si era sentito in quel modo. Non aveva mai provato quel  senso di tranquillità che i suoi amici probabilmente si erano auspicati, anzi, si era sentito tagliato fuori, messo da parte. Si era sentito misero, come se non fosse degno di essere d’aiuto a qualcuno, come se non fosse in grado di tenere i nervi saldi e affrontare le avversità che fanno parte della vita.
Ma, come al solito, riusciva a rendersi lucidamente conto che la responsabilità dei loro modi di fare era la sua e della sua fragilità che induceva chi gli stava intorno a tenerlo all’oscuro di tutto, convinti che fosse troppo debole per  sostenere qualunque peso.
Si odiava. Ecco cosa aveva costruito nei suoi quasi trent’anni di vita, non era stato in grado nemmeno di risultare credibile agli occhi dei suoi amici.
Sentiva l’odio divampare nel petto e la tentazione di autodistruggersi scorrergli nelle vene.
Uscì dall’abitacolo con decisione, chiuse lo sportello con forza, la stessa con cui si sarebbe schiaffeggiato.
-Da che parte si entra?- chiese con ansia, voltandosi a guardare i suoi amici che avevano fatto i suoi stessi movimenti.
-Vieni Gee, da questa parte.- rispose Ray iniziando a muovere i primi passi verso la parte frontale di quell’edificio ingrigito.
Gerard lo seguì senza battere ciglio, sentiva il cuore in gola. Pulsava così velocemente che non riusciva a respirare regolarmente.
Chiuse gli occhi per una frazione di secondo, sospirando per scaricare la tensione e la sua mente gli giocò uno scherzo dal dubbio gusto; gli apparve un’immagine di Frank sorridente e non seppe valutare se gli fece piacere o no. Sapeva soltanto che l’amava, quel viso e quel sorriso dolcissimo.
Sarebbe stata la sua missione far in modo di vederlo risplendere, se lo meritava.
 
Per entrare nell’edificio si doveva fare un giro intorno al suo perimetro, finendo quasi dalla parte opposta e attraversando una vecchia recinzione completamente ricoperta da piante rampicanti, che a tratti nascondevanoanche il ferro della rete. Poi, appena prima di svoltare l’angolo che portava sul retro, c’era un varco nel muro, un vero e proprio buco della grandezza di un paio di metri, che consentiva il passaggio auna persona per volta.
Ray entrò per primo, Gerard percorse i suoi passi senza provare alcuna emozione. Non aveva paura e non temeva ciò che vi avrebbe trovato all’interno, la sua unica preoccupazione era che, tra tutto il resto, ci fosse Frank.
Un odore pungente di fumo fu il primo dettaglio che colse. La visione dell’interno non era chiara, regnava più che altro la penombra e ovviamente non c’era illuminazione, solo varie candele sparse qua e là da chi era presente lì dentro.
C’era un gran vociare, come se fosse legale occupare una fabbrica abbandonata e fare ciò che quelle persone stavano facendo lì dentro. Gerard vide passare un ragazzo con i capelli lunghi che ne teneva uno moro per un braccio che evidentemente non stava bene e, in un velocissimo flashback, gli venne in mente Bert, le serate passate in sua compagnia, quelle nei posti strani e delle quali non ricordava niente.
Quelle che facevano infuriare Frank, quelle durante le quali non faceva altro che pensarlo ed era l’unico pensiero che riusciva a trattenerlo precariamente ancorato alla realtà.
Rivolse a quei due ragazzi uno sguardo un po’ compassionevole e pensò che l’unica cosa che lo tratteneva dall’essere schifato era che un tempo uno di quei due ragazzi era stato lui, precisamente quello senza conoscenzache veniva trascinato via.
Mikey gli posò una mano sulla spalla e incrociò rapidamente il suo sguardo, Gerard lo guardò confuso prima di rivolgere la sua attenzione a terra, provando disagio per i pensieri che gli stavano passando per la testa.
Continuò a procedere, ripromettendosi di non soffermarsi ad osservare ciò che gli faceva venire in mente la vista di quei ragazzi che erano lì, evidentemente, per drogarsi e sballarsi.
Iniziarono ad aggirarsi intorno ai gruppi di persone che sembravano ignorarli del tutto ed evidentemente era così, non gliene importava nulla di chi altri, oltre loro stessi e i loro compagni di trip, fosse presente. Gerard era certo che non si sarebbero scomposti nemmeno se avesse fatto irruzione la polizia, tanto erano sconvolti.
Mentre perlustravano angoli e volti, Gerard ne notò di molte caratteristiche. Ne vide alcuni agitati, altri visibilmente preoccupati dagli effetti che il loro corpi stavano subendo, ne vide di rilassati, alcuni addirittura estasiati.
Si perse per un attimo negli occhi vuoti di una ragazza e desiderò per un momento essere senza senso e perso come quegli occhi. Oh, sarebbe stato così facile, così comodo…
L’esatto comportamento che aveva assunto negli anni passati, tutto pur di non dover affrontare situazioni complicate o problemi che gli creavano ansia. Era così naturale scappare e perdersi nel paese delle meraviglie… ed erano meraviglie sul serio, non esistevano preoccupazioni, non c’era l’ansia che gli procurava la vista di tante persone, non c’erano i giudizi, i pregiudizi, gli sguardi penetranti che lo facevano sentire nudo, quelli eloquenti che gli facevano capire chiaramente di non valere niente.
Poi tornava tutto come  prima, anzi, forse la situazione crollava ancora più a picco, la delusione che le persone che amava provavano per lui cresceva e gli veniva scagliata contro con ramanzine e strigliate, ma Gerard per un certo periodo aveva pensato che ne valesse la pena, che in fondo non tutti potevano capire come si sentiva e sarebbe stato ridicolo raccontare che aveva paura della gente, che si sentiva troppo misero per essere il frontman di una band, che non si piaceva come persona e che la fine che loro si auguravano non gli capitasse, forse lui l’aveva desiderata fin troppe volte.
Pensò a talmente tante cose tutte insieme che uscì da quelle riflessioni quasi stordito.
Quello era il passato, lui era cambiato. Non era più quella persona, Gerard stava lavorando per tornare ad essere forte, anzi, per essere forte per la prima volta nella sua vita.
-Mamma mia che puzza.-  sbottò Bob.
-Questo è crack, stanno fumando crack!- gli rispose Ray spalancando gli occhi stupito.
-Chiediamo a qualcuno, magari facciamo prima.- propose Mikey per tirarsi fuori da quel posto in fretta.
-Eh, infatti.- convenne Ray rivolgendosi anche a Bob.
-È che volevo vedere se c’era uno di quei ragazzi che erano con lui l’altra volta.- gli spiegò voltandosi, ma continuando a camminare.
-Addirittura?!- domandò suo fratello con quell’aria un po’ scherzosa, riferendosi al fatto che Bob fosse convinto di poterli riconoscere.
La situazione era surreale, ma quel momento, senza considerare ciò che aveva intorno, poteva sembrare una di quelle occasioni in cui erano insieme e andavano avanti a parlare a suon di battute e scherzi.
-Ehi, io ho una buona memoria fotografica!- proclamò Bob con un piccolo sorriso vittorioso sul volto.
Un ragazzo gli finì addosso mentre rideva.
-Scusa amico.- disse continuando a ridere. Barcollò continuando a guardarlo e continuò a ridere ancora più forte. Gerard lo osservò impassibile.
-Ecco!- urlò Bob.
-È lui! Uno di quelli che erano con Frank la scorsa volta.- si agitò voltandosi a guardare tutti, mentre indicava un ragazzo con una cresta verde, seduto in un angolo con altre persone, a pochi metri da loro.
-È vero!- confermò Mikey.
-E avrei saputo riconoscerlo anch’io senza avere la memoria fotografica, ha i capelli verdi!- aggiunse con una smorfia, alleggerendo la tensione e riferendosi al discorso di poco prima.
Gerard invece non stava più nella pelle dall’ansia e quindi allungò il passo e superò tutti, dirigendosi verso il ragazzo che gli avevano indicato.
-Scusa?- cercò di attirare la sua attenzione avvicinandosi.
-Ehi, amico.- lo chiamò di nuovo e notò di aver singhiozzato. Era in preda al panico, aveva paura di ciò che gli avrebbe detto quel ragazzo, avrebbe voluto trovare immediatamente Frank e allo stesso tempo avrebbe voluto non vederlo mai. Aveva il terrore di trovarlo stordito, paura di vedere Frank non in sé.
Sarebbe stato un incubo trovare delle similitudini con se stesso.
Il ragazzo gli prestò attenzione ed incrociò il suo sguardo. Sorrise, forse perché quando hai in corpo droghe pesanti ti illudi di essere felice.
-Cosa ti serve?- gli domandò e sarebbe potuta apparire una richiesta brusca, ma sorrideva e quindi Gerard non si scoraggiò. Aveva quasi le parole pronte ad uscire dalla gola quando questo parlò di nuovo.
-Cocaina, eroina e LSD. Non ho nient’altro stasera.- spiegò affabile.
E lì, Gerard non ebbe più dubbi, la domanda di prima era stata amichevole, lui era un pusher ed era abituato a chiedere agli sconosciuti cos’è che volevano. Ma lui non voleva niente di tutta quella merda, lui voleva Frank.
-Ehi, no, io non voglio niente. Frank, Frank Iero lo conosci? So che lo conosci, puoi dirmi se l’hai visto? È importante, per favore.- vomitò quell’ammasso di richieste e forse avrebbe aggiunto anche qualche preghiera, ma decise di fermarsi.
Non osò nemmeno voltarsi a guardare suo fratello e i suoi amici, non voleva vedere il loro sguardo compassionevole:doveva sembrare proprio patetico mentre parlava con il ragazzo dalla cresta verde. E poi voleva prestare attenzione ad ogni minima smorfia del viso di quel ragazzo, voleva sapere la sua risposta.
-Frank… mh, ne conosco parecchi, con questo nome. Non saprei, magari descrivimelo.- il ragazzo lo scrutò mentre gli rispondeva, forse gli era sembrato così disperato che voleva aiutarlo, nonostante fosse evidentemente sotto effetto di qualche droga.
-È… lui è…- doveva descriverlo, ma il primo aggettivo che gli venne in mente fu “bellissimo”. Non sarebbe servito per descriverlo, non avrebbe aiutato il ragazzo a capire chi era e soprattutto Gerard si rese conto di non essere lucido, non riusciva a ragionare, era solo preso dal panico e dalla frenesia di sapere dove fosse Frank e se stesse bene. Si sentiva così abbattuto, così scoraggiato, così impaurito…
Ray gli si affiancò mentre Gerard era ancora perso a guardare il viso del ragazzo senza sapere come continuare.
Ray iniziò a spiegare caratteristiche oggettive di Frank e Gerard si limitò ad ascoltare, continuando ad osservare in modo maniacale il volto del ragazzo, che ora prestava attenzione a Ray, auspicandosi di vedere esplodere un lampo di consapevolezza nella sua espressione.
Il lampo di consapevolezza continuò a non manifestarsi, Ray ormai gli aveva detto di tutto e Gerard, troppo concentrato a guardare il ragazzo dalla cresta verde, non si era accorto nemmeno dei suoi amici che gli si erano affiancati e forse volevano aiutarlo a capire di quale Frank volevano notizie.
-Ah, il chitarrista!- si intromise un ragazzo facendo un cenno a cresta verde.
-Pansy!- quasi urlò una ragazza attirando la completa attenzione di Gerard.
Chi era, ora, quella sconosciuta che osava riferirsi al suo Frank in quel modo?
-Ah!- fece il pusher, finalmente illuminato.
-Sì, cazzo, potevate dirmelo subito!- disse schioccando le dita.
-È venuto ieri sera, però poi non l’ho più visto.- raccontò.
-Beh, si è ben rifornito, non lo vedremo per un po’!- precisò scoppiando a ridere come se si trattasse di qualcosa di divertente. I suoi amici lo seguirono a ruota e Gerard si sentì avvampare da un’ondata di rabbia, provocata dall’immaginare Frank comprare droga e addirittura in gran quantità.
-Dov’è andato?- chiese bruscamente.
-E chi può dirlo.- fece criptico cresta verde, senza togliersi quel maledetto sorrisino dalla faccia.
-Dimmi dove cazzo è andato!- sbraitò Gerard avvicinandoglisi di colpo. Sentiva di dover dare in escandescenze, di doversi lasciare andare, altrimenti sarebbe scoppiato.
-Ehi, amico, stai calmo. Non lo so sul serio dov’è.- rispose tornando serio.
-E se l’interrogatorio è finito, io avrei da fare.- aggiunse con uno sguardo torvo.
Forse non gli era piaciuta l’uscita rabbiosa di Gerard.
-Aspetta, ti chiedo scusa.- sentì di dirgli Gerard. Tutto pur di farsi dare qualche indizio.
-È che siamo preoccupati, non riusciamo a trovarlo, forse gli è successo qualcosa. Se tu potessi dirci qualcosa… almeno con chi era, se magari sai dove potrebbe essere.- gli spiegò in modo agitato.
-Ti prego.- sì, lo pregò sul serio, stavolta.
Cresta verde cambiò espressione, forse gli aveva fatto pena, perché il suo viso mostrò un po’ di comprensione.
-Era solo. Se n’è andato, ma non so dove. Veramente, questo è tutto ciò che so.- rispose deciso.
-Ora ho da fare.- lo liquidò senza replica e tornò a voltarsi verso i suoi amici.
Gerard restò per qualche secondo impalato a guardare le spalle di quel dannato stronzo che si occupava di assicurare merda a ragazzi come lui, come se il divertimento fosse quello.
Si stupì di star facendo un pensiero del genere, si stupì di avere una folle voglia di spaccargli la faccia. Se non per quel motivo, almeno per il fatto che non gli era stato d’aiuto nel trovare Frank.
-Va bene, andiamo via.- sentenziò Mikey e a passo veloce si diressero tutti fuori da quell’edificio infestato. Non da fantasmi, ma da morti viventi.
 
Mentre erano in marcia verso la macchina di Ray, Gerard continuò ad accumulare odio verso cresta verde che non gli era servito ad un cazzo, continuò a disprezzarlo per il ruolo che aveva nella società, lo invidiò per aver potuto vedere Frank.
Poi, come se se ne fosse reso conto soltanto in quel momento, gli tornò in mente la ragazza che aveva urlato “Pansy” e rapidamente condensò tutto il suo odio verso di lei, scordandosi completamente di cresta verde.
Perché aveva detto quel soprannome? Con quella naturalità, poi. Forse conosceva bene Frank, forse le aveva detto lui di chiamarlo così, forse avevano fatto sesso…
C’era stato un periodo, tempo prima, in cui Gerard aveva beccato Frank a limonare, o pronto ad andare oltre, con un sacco di ragazze.
Era capitato che lo vedesse anche tutte le sere con una diversa.
Quel periodo era quello in cui Gerard aveva capito che Frank gli piaceva decisamente troppo, che avrebbe voluto sapere in ogni momento dove fosse e con chi. Coincideva esattamente col periodo in cui aveva cercato di stargli lontano con tutte le sue forze, e per “sue forze” intendeva scolarsi un’intera bottiglia di vodka oppure prendere pasticche e bere alcool fino a perdere i sensi.
In quel momento aveva creduto che non fosse normale provare un’attrazione così forte verso Frank e aveva avuto paura di essere scoperto da Mikey, dai suoi amici. Nello stesso tempo viveva attimi in cui non gliene fregava assolutamente nulla degli altri e dei loro giudizi, così rincorreva Frank e lo baciava, trovava il coraggio di farci sesso senza nemmeno pentirsene.
Non era a conoscenza di cosa pensasse Frank di tutta quell’ambiguità ed incoerenza. Lo aveva visto incazzarsi così tante volte…
Non era mai riuscito a capire se si arrabbiasse perché Gerard lo trattava male e bene a seconda del suo umore, oppure perché gliene importava davvero qualcosa del loro rapporto. Non aveva mai osato chiederglielo, ma cercava di capirlo dai gesti. Erano state conferme quando lui accettava di passare la notte insieme, anche dopo aver litigato. Erano state maledizioni a se stesso e notti in bianco ad auto commiserarsi quando se ne andava o sclerava contro di lui come fosse il suo peggior nemico.
In pratica, non capiva. Non aveva avuto certezze, finché Frank non gli aveva detto chiaro e tondo che lo amava.
In tutto quel tempo però, Gerard era stato talmente tante persone diverse che non riusciva nemmeno più a trovarsi da sé, quindi come aveva fatto Frank ad innamorarsi di lui? Di chi si era innamorato? Di quale Gerard?
Poi l’alcool e le droghe lo avevano preso troppo, non riusciva a farne a meno e, anche quando sapeva che avrebbe deluso Frank, suo fratello e i suoi amici, non era riuscito ugualmente ad astenersi dal fare cazzate. La dipendenza era stata troppo forte e sembrava che ne valesse sempre la pena, anche se poi l’avrebbero guardato male e l’avrebbero insultato.
Forse, la sua unica giusta decisione l’aveva presa quando aveva accettato di essere ricoverato nel centro di disintossicazione. L’unica cosa era che aveva capito di non aver eliminato tutti i problemi, anche essendosi liberato dalle sue dipendenze.
Il fatto era che, il passato, non avrebbe potuto cancellarlo, che la sofferenza che aveva causato a tutti non sarebbe mai stata dimenticata. I problemi c’erano stati prima della droga e dell’alcool e c’erano ora, pulito come un infante.
L’ondata di gelosia verso quella troia che aveva urlato il nomignolo di Frank si era affievolita e, nel frattempo, erano saliti in macchina, senza una meta, né la minima idea di dove poter iniziare a cercare Frank.
Si concesse soltanto un ultima considerazione mentale, tra tutti quei pensieri: una volta aveva detto a Frank che avrebbe fatto qualunque cosa per lui, anche cambiare identità, Frank gli aveva risposto, raggiante, che in quel modo sarebbe stato il suo supereroe.
I supereroi sono quelle persone comuni dotate di forze speciali, forze che non derivano soltanto da armature o da modifiche genetiche, sono energie che tengono i fili delle azioni e delle decisioni che non hanno nulla di fisico, sono forze derivate da ideali di giustizia e di libertà. Di amore.
E i supereroi salvano la vita di chi amano, anche rinunciando alla propria.
 
 
 
 
Continuarono a girare come trottole per tutta la sera.
L’orario di cena era passato da un pezzo, nessuno aveva fame e i telefoni erano quasi tutti scarichi, l’unico che sembrava sopravvivere a quegli attacchi continui di chiamate disperate era quello di Mikey, che improvvisamente squillò.
Sopraffatti da un’ondata di speranza si guardarono l’un l’altro con sguardi spauriti e fiduciosi.
Ray accostò senza pensarci e Mikey rispose al volo senza nemmeno controllare il numero che lo stava chiamando.
-Sì, pronto.- pronunciò agitato.
-Ehi, sì, ciao. No, non è con noi.- rispose confusamente roteando gli occhi al cielo.
-Calmati, sono ore che lo cerchiamo, siamo preoccupati anche noi.- disse un po’ indispettito.
-Sarà Jamia.- sussurrò Bob con convinzione. Forse era solita telefonare a qualcuno di loro per sapere dove fosse Frank.
E non era nemmeno la sua fidanzata, pensò Gerard provando un moto di gelosia.
-Sì, sicuro.- convenne Ray guardando Bob, il tono piatto, sembravano quasi infastiditi.Mai quanto lo era Gerard però, che avrebbe voluto strappare di mano il telefono a Mikey e urlare a quella stronza di tornare a farsi i cazzi suoi e dimenticare l’esistenza di Frank. Il suo Frank.
Immaginò che forse era troppo incoerente, che non solo agiva in modi sbagliati, ma addirittura pensava in maniera contraddittoria.
Aveva deciso di stare lontano da Frank, di concedergli la possibilità di essere felice, anche se quella felicità non sarebbe stato lui a donargliela, eppure eccolo lì, col viso arrossato dal fastidio che stava provando nell’immaginare Jamia come la fidanzata di Frank, lei che si comportava come se avesse diritti su di lui.
Scosse la testa e sospirò profondamente, tornò a prestare attenzione alla telefonata che intanto stava procedendo.
-No, ehi, non uscire, tanto è inutile. Per il momento abbiamo provato in ogni posto che ci è venuto in mente.- la rassicurò Mikey.
-Sì, siamo stati anche alla fabbrica.- aggiunse sommessamente, abbassando lo sguardo.
Gerard spalancò gli occhi stupito: non immaginava che anche lei sapesse certe cose, non credeva che facesse parte della vita di Frank a tal punto da essere a conoscenza anche di dettagli del genere.
Percepì lo stomaco bruciare e un lamento gli sfuggì dalle labbra. Forse avrebbe voluto urlare, forse avrebbe voluto non essere lì a rendersi conto di certe realtà così fastidiose.
Sentiva di stare per crollare schiacciato dal peso della consapevolezza di non essere abbastanza, non lo sarebbe mai stato.
-Non lo sappiamo, magari è con qualche amico che noi non conosciamo.- provò a dire Mikey, ma lei rispose velocemente perché suo fratello si zittì di nuovo e Gerard poteva sentire fin lì la voce della ragazza che parlava in modo agitato.
-Dai, cerca di stare calma, lo troveremo.-
-No. Ehi, no, non si può fare.- sentenziò deciso.
Il tono di voce di Jamia si fece ancora più alto, tanto che Gerard riuscì ad afferrare anche qualche parola, come “non ce la faccio” e “amo”. Molto astutamente arrivò a decifrare che avesse detto di amare Frank e ancora sentì caldo e il battito del cuore un po’ più veloce del normale. Le mani gli si strinsero a pugno automaticamente.
-Va bene, sì, okay. Stiamo arrivando.- acconsentì Mikey e poi si tolse il telefono dall’orecchio, schiacciando il pulsante per porre fine alla chiamata, sfinito.
-Ray, vai da Jamia.- disse con un filo di voce.
-Cosa?!- urlò Bob.
-Perché?- chiese Ray di rimando.
Gerard decise di non infierire su suo fratello, che già si trovava in una posizione evidentemente scomoda.
-Ragazzi è preoccupata, sapete che ci tiene.- spiegò guardandoli e sfuggendo agli occhi di Gerard.
-Ha chiamato a casa e Linda le ha detto che forse era con noi. Noi non sappiamo dov’è, come minimo vuole partecipare alle ricerche. Ha detto che non ce la fa a restare a casa con le mani in mano. Se non andiamo a prenderla uscirà da sola.- spiegò Mikey in modo agitato. Era in difficoltà ed era combattuto tra la preoccupazione che lo aveva legato a Jamia durante la conversazione e la voglia di non averla tra i piedi, come fosse di troppo.
-Va bene.- concesse Ray e ripartì senza aggiungere altro.
Bob disse qualcosa a Ray e nel mentre Mikey gli toccò una spalla facendolo voltare in sua direzione.
-Io, Gee… scusa, mi dispiace. Non avrei voluto, ma non sapevo che dirle… io—Gerard lo bloccò.
-Mik, è tutto okay. Non c’è problema.- lo rassicurò, non era di certo colpa sua. E nemmeno della ragazza se teneva a Frank e voleva trovarlo e assicurarsi che stesse bene.
Per tutta la durata del viaggio fino a casa di Jamia, convinse se stesso che si sarebbe comportato bene e si sarebbe trattenuto dal crollo emotivo da cui si sentiva attaccato con potenza. Avrebbe resistito e si sarebbe sfogato una volta solo.
Lui era una persona forte.
 
 
Quando arrivarono fuori casa di Jamia, parcheggiarono accostati al marciapiede e Gerard si accorse della merdosissima vicinanza della sua abitazione rispetto a quella di Frank. La poteva raggiungere a piedi in pochi passi. E curioso era il fatto che per diciotto anni non si erano mai incontrati, pur abitando così vicini, e poi grazie ad una delle serate alternative di Gerard, quelle che facevano infuriare Frank, avevano avuto l’occasione di conoscersi a chilometri da casa. Maledizione.
Magari il fatoin cui Frank credeva così tanto aveva deciso che non li avrebbe mai fatti incontrare, dati i fatti, ma poi aveva voluto punire Gerard per i suoi pessimi comportamenti e gli aveva giocato quel brutto scherzo.
Ma gli scherzi sono belli quando durano il tempo giusto, la presenza di Jamia era fuori tempo massimo e, forse, qualcuno si era reso conto che valeva la pena rendere felice Frank e gli aveva donato questa ragazza innamorata, non Gerard e le sue cazzate.
‘Fanculo.
 
Lei arrivò con una velocità incredibile. Sembrò volare dalla porta all’automobile e quando salì a bordo salutò tutti con un ciao tremante, che arrivò disperato anche alle orecchie di Gerard.
Risposero tutti senza entusiasmo e anche Gerard ci provò, sul serio, ma aveva la gola secca. Le parole non fuoriuscirono e per fortuna il saluto collettivo, che era arrivato alle orecchie della ragazza, non le diede modo di accorgersene. Forse.
-Avete provato a controllare al parco?- esordì Jamia arrivando dritta al punto.
-No.- rispose Bob pensieroso, erano stati in così tanti posti…
-Beh, in effetti è una buona idea, andiamo a vedere.- Ray pensò ad alta voce e riaccese il motore dell’auto.
-Frank ci va spesso quando è triste.- sospirò la ragazza.
Li separava Mikey che era finito nel posto centrale e Gerard non ce la fece nemmeno ad alzare lo sguardo su di lei. Si sentiva responsabile, aveva paura di essere accusato, come era capitato altre mille volte.
Forse Jamia gli dedicò uno sguardo accusatorio, per mettere in chiaro che quando Frank era triste c’entrava sempre Gerard, ma lui non se ne accorse perché avrebbe dato di matto per una cosa simile e la immaginò soltanto, arrabbiandosi lo stesso.
Gerard non si capacitava di quali diritti si sentisse di avvalere su Frank. Insomma, lei non era nessuno, non era la sua fidanzata, Frank aveva scelto Gerard rispetto a lei già in altre occasioni. Eppure era ancora lì. Cazzo, era masochista! O forse troppo interessata ed innamorata…
Pensò che non gliene fregava nulla del suo amore, che non se ne faceva nulla del suo interesse. Si sentiva ancora una volta derubato della sua persona speciale. Come se il tempo della sua assenza le avesse dato qualche vantaggio, qualcosa di speciale. In realtà questa cosa del vantaggio degli altri nei rapporti interpersonali era una delle sue preoccupazioni da sempre, fin da quando era adolescente e tentava con molto impegno di tenersi quei pochi amici che aveva. Cercava sempre di esserci quando facevano qualcosa, usciva anche quando in realtà non ne aveva assolutamente voglia, perché temeva che quella sua assenza sarebbe potuta essere fatale per il precario legame che li teneva uniti. Il giorno dopo avrebbero potuto parlare e fare riferimento a qualcosa successo appunto il giorno prima e se Gerard fosse mancato sarebbe rimasto tagliato fuori da quei discorsi. Tagliato fuori da quelle amicizie.
Pensandoci, era un ragionamento davvero stupido, rivalutando quella riflessione da adulto gli era sembrata una cosa così insensata ed inutile. Quei suoi amici avrebbero potuto tagliarlo fuori lo stesso e comunque non era un motivo valido per cui fare uscite ed essere sempre presente. Se quelle persone avessero tenuto a lui e all’amicizia che li univa, allora lo avrebbero reso partecipe lo stesso dei loro discorsi.
Ma da adolescente certe cose non le pensi, ti concentri soltanto a non restare solo, a tenerti strette le persone che ti degnano un minimo di interesse, anche se quelle persone, in fin dei conti, non saranno mai amici veri.
Quel ragionamento, però, in quel momento era tornato prepotentemente a prendere il sopravvento. Proveniva da un’epoca di insicurezze e timori, arrivava direttamente dalla parte di lui in cui vivevano le paure e il timore dei giudizi e del rifiuto. In quel momento, forse, quella preoccupazione era fondata e il ragionamento era calzante.
Perché Frank non era uno di quegli stupidi ragazzi pronti a voltarti le spalle alla prima occasione, Frank non lo avrebbe mai tagliato fuori, anche se fosse mancato mesi… Nonostante ciò, Jamia aveva avuto quel dannato vantaggio. Se lo era conquistata in sua assenza, per colpa della sua assenza.
Era entrata in punta di piedi nella vita di Frank, aveva avuto libero accesso alla sua vita e alla sua compagnia. Lo aveva vissuto per mesi senza intralci, lo aveva visto sorridere, magari anche piangere. Gli era stata vicina in qualche bel momento e, per essere a conoscenza anche del dettaglio della fabbrica abbandonata e tutto il resto, probabilmente gli era stata accanto anche nei suoi momenti tristi. Era entrata in casa e nella stanza di Frank. Forse… forse gli era entrata anche nel cuore e nei pensieri.
Faceva un male indescrivibile pensare tutte quelle cose e tutte insieme. In quel momento poi…
Gerard si augurava con tutto il cuore di poter avere la possibilità di rivedere Frank, ché glielo voleva dire che gli dispiaceva immensamente di non esserci stato per lui, come invece, al contrario, lui c’era sempre stato per Gerard. Magari gli avrebbe anche detto che gli dispiaceva del vantaggio che Jamia aveva accumulato in sua assenza.
-Frank di solito va in quello con gli alberi di quercia.- disse ancora Jamia, probabilmente rivolgendosi a Bob o a Ray.
-Vabbè, eravamo di strada, ci fermiamo prima qui.- rispose Bob un po’ stizzito senza nemmeno voltarsi a guardarla. Forse la consideravano un po’ invadente, forse gli stava antipatica.
Scesero tutti quanti e si incamminarono verso il cancelletto arrugginito e cigolante d’entrata.
Gerard era l’ultimo della fila e Mikey gli stava appena davanti. Si fermò guardandolo e Gerard, talmente perso a sperare e pensare, per poco non gli andò addosso prima di accorgersi che si era fermato.
-Ops.- gli sfuggì istintivamente fermandosi appena in tempo.
Suo fratello non ci fece caso e gli disse ciò che evidentemente gli premeva dire.
-Non preoccuparti, okay? Sono certo che presto lo troveremo, il quartiere è questo e il mio sesto senso mi dice che è tutto a posto, Frank sta bene. Però tu stai tranquillo. Sei pallido, ti vedo troppo agitato, cerca di rilassarti. Si sistemerà tutto.- gli disse e guardandolo in faccia, dalle sue espressioni sembrava che glielo stesse giurando e che sapesse sul serio che le cose sarebbero andate esattamente così.
L’espressione di Mikey era dolce, con la mano gli stava accarezzando la spalla sinistra e Gerard per un attimo si sentì al sicuro. La voce di suo fratello gli faceva quell’effetto, era rassicurante, era un punto fermo, uno dei pochi che aveva avuto in vita sua. Lui era il suo eroe.
-Certo. In tutto questo casino, l’importante è che stia bene Vostra Maestà.- pronunciò Jamia ironicamente, immischiandosi indiscretamente in quel momento così intimo e che non le apparteneva. Emise una risata nervosa e poi si voltò senza attendere nessuna risposta e accennò a camminare di nuovo.
Gerard era rimasto di stucco e un mix di nervosismo e rabbia si stava espandendo dal suo stomaco verso il petto. Era talmente arrabbiato che si sentiva il fiato spezzato, se avesse provato a parlare avrebbe balbettato. Sicuro come la morte.
-Jamia, ehi, piantala.- le intimò Bob, anche lui a pochi passi da loro.
-Siamo tutti agitati e nervosi, prendertela con Gerard non ti porterà da nessuna parte.- le consigliò prima ancora che suo fratello sbottasse.
Perché era così prevedibile che Mikey sbottasse…
-Beh, se cercavi di farci ridere hai sbagliato battuta.- scattò Mikey, visibilmente trattenuto.
-Ehm…-Ray si schiarì la voce con fare sicuro, pronto per intromettersi e non far degenerare la situazione. Il fatto era che non sapeva cosa dire e si notava. Voleva intervenire giusto per far in modo che Jamia e suo fratello smettessero di parlarsi in modo diretto, non voleva vederli litigare, ecco tutto.
Gerard notò tutto questo, cercò di concentrarsi in quello scambio di battute piuttosto che pensare a ciò che aveva detto Jamia sarcasticamente.
Affilò lo sguardo, soffermandosi a scrutare i gesti nervosi con cui si muoveva anche Bob, ma non riuscì più a seguire il filo del discorso…
Non riusciva a farsi uscire qualche suono dalla gola, non era capace di parlare e, anche volendo, non sarebbe stato in grado di difendersi o discolparsi. Se quella situazione fosse accaduta mesi prima era certo che ne sarebbe venuta fuori una gran bella scenata avvincente. Avrebbe risposto per le rime a quella stronza e le avrebbe ripetuto che non doveva intromettersi tra lui e Frank, ché non ne sapeva niente e non contava nulla; né lei e tantomeno il suo parere.
Ma ora era diverso. Sapeva perfettamente che le cose non stavano così, che lei c’entrava in quella vicenda e che sapeva molto di Frank. Molto probabilmente, in quel momento, ne sapeva molto più lei che Gerard di come stava Frank. Forse lei odiava Gerard per il male che aveva fatto a Frank e che Frank le aveva raccontato in qualche momento di solitudine. Forse faceva anche bene ad odiarlo.
Jamia aveva ragione, in quel momento non avrebbe dovuto importare a nessuno di come stava lui, dovevano concentrarsi solo su Frank, ma pensò che Mikey era suo fratello e non sarebbe mai riuscito a smettere di stare in pensiero per lui. Forse ne aveva più diritto Mikey di essere arrabbiato con lei, anziché Gerard.
-Mi sto pentendo di essere venuto a prenderti.- stava quasi urlando suo fratello e questo fece in modo di farlo riconnettere alla realtà.
-Tanto sarei uscita da sola, possiamo anche dividerci, per me non c’è problema.- gli urlò Jamia di rimando.
-Dai, ragazzi… basta.- Bob cercò di calmare gli animi, -Domani dovrò tornare a casa e non lo farò prima di essermi assicurato che Frank stia bene. Concentriamoci sulle cose importanti, litigare non ci aiuterà.- aggiunse con convinzione.
-Giusto, hai ragione.- confermò Ray, dandogli una pacca amichevole sulla spalla.
Tutti rivolsero la propria attenzione su Mikey e Jamia che non accennavano a smettere di fissarsi in cagnesco. Forse se fosse intervenuto Gerard sarebbe servito a qualcosa, forse avrebbe potuto peggiorare ulteriormente la situazione… non lo sapeva e quindi decise di restare in silenzio. Non si sentiva abbastanza forte da sostenere una discussione, non con qualcuno che avrebbe potuto accusarlo dei problemi di Frank.
-Dai, andiamo.- li sollecitò Ray e Jamia, dopo aver scoccato un’ultima occhiata infuocata a suo fratello, fece come le era stato detto.
Mikey lo guardò premurosamente, gli sorrise senza aggiungere parole inutili e riprese a camminare. Gerard li seguì come un automa, troppo perso in se stesso per capire cosa sarebbe stato giusto fare.
 
Era notte fonda quando attraversarono il cancelletto arrugginito del parco. Gerard guardò verso il cielo e cercò di dedurre che ora fosse, poi si ricordò dell’orologio che ne se ne stava inutilmente agganciato al suo polso e controllò. Mezzanotte e tredici.
Non avevano mangiato, né bevuto, avevano fatto sopralluoghi ovunque senza preoccuparsi minimamente del tempo che inesorabile scorreva. Erano tantissime ore che cercavano Frank senza sosta, ricapitolò.
Dov’era?
I muscoli del suo viso si contrassero in una smorfia sofferente e tirò un sonoro sospiro, tentando invano di scaricare lo stress.
Quando lo avrebbe trovato gli avrebbe fatto una bella ramanzina.
No, non era vero, non lo avrebbe fatto. Non lo avrebbe fatto in nome di tutte quelle volte che le avrebbe meritate lui stesso e Frank gliele aveva amorevolmente risparmiate. E poi, si sentiva davvero fuori luogo a fare il giudice, dopo aver trascorso la sua vita al banco degli imputati.
Allora, quando lo avrebbe rivisto gli avrebbe parlato. Anzi, prima lo avrebbe abbracciato di nuovo per dimostrargli che era felice di vederlo. Pensò che avrebbe tanto voluto sapere perché aveva reagito in quel modo, cosa gli passasse per la testa per cercare di risolvere i propri problemi in quel modo, quello che aveva sempre schifato e odiato.
In realtà, forse, non gli avrebbe detto niente. Gli avrebbe posato gli occhi addosso e avrebbe tirato un sospiro di sollievo. Lo avrebbe amato e sarebbe stato felice da lontano, lo avrebbe saputo soltanto lui.
-Io vi dico che stiamo perdendo tempo. Non è qui, Frank non ci viene mai qui.- ripropose Jamia con aria scocciata.
-Cazzo, che palle che sei.- sbuffò Mikey.
-È mai possibile che tu debba essere così negativa? Stiamo guardando ovunque, okay? Questo parco fa parte della lista.- spiegò frustrato.
-Non sono negativa, io so dove va Frank.- mise in chiaro con aria saccente.
-Jamia, ti assicuro che sappiamo anche noi dove va Frank. Lo conosciamo da una vita.- le rispose Ray.
Mikey era rimasto impietrito a guardarla senza saper articolare nessun commento che non fosse un insulto.
-Sì, ma io vi dico che qui non ci viene mai.- continuò imperterrita.
-Facciamo un giro veloce e ce ne andiamo, però togliamoci il dubbio e controlliamo anche qui.- la rassicurò Bob, mantenendo la calma e parlandole pazientemente.
La ragazza sbuffò e tra il lungo e rumoroso sospiro che emise Gerard riconobbe il suono tipico dei singhiozzi di un pianto represso troppo a lungo.
Infatti dopo qualche secondo iniziò a piangere.
Si mise a sedere su una panchina lì vicino e nascose il viso tra le mani. La sua schiena si muoveva ritmicamente a causa del pianto violento che l’aveva colta irrimediabilmente.
In un attimo le furono tutti accanto. Ray si abbassò e le prese le mani per guardarla in faccia e magari dirle qualche parola rassicurante. Lei non mollò la presa e non si lasciò consolare, alzò il viso dopo qualche minuto, guardandoli con rabbia. Poi posò esattamente lo sguardo su Gerard e lì iniziò il suo vero sfogo.
-È colpa tua!- gli gridò in faccia.
Gerard sbarrò gli occhi.
-È colpa tua, solo tua!- urlò di nuovo mentre singhiozzi accorati le deformavano la voce.
-Quando fa così è sempre perché è arrabbiato con te, o perché gli manchi!- continuò a sfogarsi urlando a tutta  gola.
-“Gerard di qua, Gerard di là”- iniziò ad imitare mentre gesticolava furiosamente.
-“Gee avrebbe detto questo, a Gee sarebbe piaciuto”- elencò in modo isterico.
-Gee, sempre Gee.- sfiatò prima di zittirsi per qualche secondo.
-Più tu lo ignori o lo fai soffrire e più lui andrebbe anche nello spazio a prenderti una stella, se sapesse che potrebbe farti felice.- disse con rabbia.
A Gerard si bloccò il respiro in gola a sentire certe cose. Frank parlava di lui, Frank lo voleva. Soprattutto, Frank sfogava la rabbia nei suoi confronti così, sparendo per giorni e sballandosi fino a perdere i sensi.
Era colpa sua, aveva immaginato bene. Colpa dei suoi errori ricaduti su Frank, colpa di quel loro rapporto così sbagliato e doloroso. Quella fu la cosa che lo colpì di più, averne la conferma lo fece sentire ancora più male di come si era sentito nell’ipotizzarlo.
-Jamia, calmati.- la rassicurò Bob.
Erano un momento ed una situazione così disperati che nessuno sapeva bene cosa fare. Gerard guardò suo fratello che sembrava una perfetta statua di sale dall’espressione indistinguibile. Forse avrebbe voluto strozzare Jamia per ciò che aveva appena detto, ma magari invece gli faceva tenerezza. E il motivo di questo conflitto interiore era che, in fondo, Jamia stava dicendo la verità.
-Come posso calmarmi?!- tornò a gridare la ragazza.
-Come posso?! Io lo amo, lo volete capire? Sono mesi che gli sto dietro, che mi accontento di quello che riesce a darmi, che umilio me stessa, a volte, pur di rimanergli accanto. Ho sempre questo continuo paragone, questa certezza che non sarò mai abbastanza per lui, che lui non mi amerà mai!- raccontò scossa da nuovi singhiozzi disperati e da lacrime che scendevano senza sosta.
-O almeno non mi amerà mai quanto ama Gerard…- sussurrò sfinita, pronunciando il nome di Gerard con amarezza, con rabbia, forse con disgusto.
Più passava il tempo e più il suo nome diventava un insulto.
-Ehi, lui ci tiene a te.- Ray tentò di rassicurarla.
- Non è vero! Non ci tiene, mi vuole bene, è vero, ma non gliene importa nulla di me. Lui vuole qualcun altro…- disse ancora con rabbia, piantando gli occhi sulla figura di Gerard.
- Qualcun altro che invece pensa solo a se stesso e gli fa soltanto del male.- aggiunse sfidandolo con lo sguardo.
- Sta zitta—cominciò suo fratello, ma Gerard intervenne stavolta. Non poteva più ascoltare simili cazzate.
- Non sai nulla di me e di noi, non permetterti di—
-E invece ne so più di quanto pensi, ci sono stata io in questi mesi con Frank, l’ho visto struggersi e piangere per te. L’ho visto sopravvivere, non vivere. L’ho visto odiarti come solo una persona innamorata totalmente riesce a fare.-rispose furiosa senza far finire a Gerard il suo discorso.
-Ma non ne sai niente di quel che abbiamo passato, di quello che io ho passato.- provò a cominciare di nuovo.
-“Io, io e ancora io”, sei capace a pensare solo a te stesso.- lo accusò duramente, mentre non la smetteva di piangere.
-Io…beh, io… non è vero. Tu non mi conosci, non devo giustificarmi con te. Non è vero!- terminò alzando la voce, così, perché forse anche lui aveva bisogno di sfogarsi e lei gli stava facendo perdere la pazienza.
Forse si era comportato male con tante persone, soprattutto con Frank, ma lei non aveva il diritto di rinfacciarglielo, lei non avrebbe mai saputo abbastanza per capire quello che c’era stato, quello che era successo tra loro. Non voleva difendersi, era già abbastanza sconvolto da quello che aveva sentito dirle.
-Lascialo in pace.- gli intimò puntando un dito verso il punto in cui era in piedi, fermo, cercando di mantenere la calma che non gli apparteneva.
-Me l’hai detto tu la prima volta che ci siamo incontrati, e io l’avrei fatto se avessi capito che Frank era felice con te. Ma non è così, questo vostro…- ci pensò un attimo per trovare la parola giusta.
-Questo vostro legame non è sano, non vi dà niente, vi distrugge e basta, lascialo stare, io penso di poterlo rendere felice. Io lo amo. Lascialo in pace, ti prego.- terminò sommessamente, supplicandolo di dare a Frank quella possibilità, la stessa che anche lui stesso avrebbe voluto per Frank. Forse era davvero giusto così.
Lei poteva renderlo felice e Frank meritava di esserlo.
-Va bene.- acconsentì sentendo il cuore che andava in pezzi.
-Adesso basta, non si prendono decisioni per le vite degli altri, tantomeno lo farete voi due per quella di Frank, almeno non di fronte a me. Dovete smetterla, abbiamo una cosa importante da fare, innanzitutto, ed è trovarlo. Quindi non voglio assistere a nessun’altra discussione, da adesso in poi.- sbottò Mikey in preda a troppi sentimenti da tenere a bada.
-Andiamo.- ordinò a tutti prendendo a camminare.
 
Fare il giro del parco gli fece perdere più tempo del previsto. Di notte non era come quando lo si frequenta di giorno, ci si incontrano comitive di ragazzi in alcuni punti e nella parte delle rampe da skate sembrava esserci una specie di festa. Gerard non immaginava che quel parco fosse così pieno di vita nei finesettimana.
La preghiera di Jamia gli risuonava ancora in testa e, nonostante non avrebbe mai voluto dargliela vinta e lasciarla vivere in pace con Frank, iniziò a valutare l’opzione di smettere di fare l’egoista immaturo e concedere alla persona che amava così tanto di essere felice e spensierato, di vivere una quotidianità normale con una persona equilibrata e che l’amava senza se e senza ma.
Forse avrebbe potuto funzionare e quel pensiero doloroso gli teneva la mente occupata, non facendolo soffermare a pensare che ancora non l’avevano trovato. Erano scoccate le due e stavano uscendo dal parco, attraverso il cancelletto di prima, pronti per andare a perlustrare il parco di querce di cui aveva parlato prima Jamia, colei che conosceva tutto di Frank.
La disperazione lo stava portando all’isterismo, pensava cazzate su cazzate e addirittura faceva ironia da quattro soldi riguardo al fatto di aver ceduto di fronte a Jamia e averla rassicurata che con Frank non avrebbe più avuto niente a che fare.
Non vedeva l’ora di baciarlo, pensò. E, anche se era certo che non lo avrebbe mai fatto, poterlo immaginare era così bello che non riuscì ad impedirsi di pensarlo. Gerard e la sua indomabile incoerenza…
 
In effetti si trovava molto a suo agio a sguazzare nell'incoerenza, forse era per il fatto di non essere mai stato una persona decisa, uno che restava fermo nelle proprie decisioni; lasciarsi andare semplicemente all'istinto era uno di quei comportamenti che l'avevano sempre caratterizzato, era quasi scontato per gli altri non riuscire mai a prevedere cos'è che avrebbe fatto.
Era un segreto che custodiva quasi con vergogna, ma a volte si era stupito da solo... Dopo aver preso qualche decisione o aver agito in un determinato modo era rimasto basito, colpito da se stesso. Non aveva mai immaginato di potersi comportare nella maniera con cui poi aveva gestito una determinata situazione.
Era sconvolgente e fastidioso, a volte, ma in certi casi aveva completamente adorato essere guidato soltanto dall'istinto cieco.
In ogni caso, chiunque lo conosceva poteva tranquillamente dire che Gerard non fosse un tipo in grado di pianificare, tantomeno che riuscisse a sottostare a delle regole.
Non teneva conto nemmeno di quelle della moralità o delle azioni socialmente accettabili. Era fatto così: incomprensibile.
La droga e l'alcool non avevano fatto altro che accentuare questo modo d'essere e questa era solo una piccolissima parte del carattere di Gerard. Era fatto talmente tanti aspetti che non osava neppure cercare di contarli, lasciava molto al caso, come andava, andava. Forse era per questo motivo che non era capace di decidere preventivamente come comportarsi. Non era certo delle proprie reazioni fin quando non si ritrovava nella situazione e veniva colpito ed investito dagli eventi.
Tornarono alla macchina e mentre erano in procinto di partire il telefono di Mikey cominciò a squillare. Gerard non riusciva nemmeno a capacitarsi di come la batteria potesse essere ancora carica.
-Oh dio!- esclamò Mikey prima di rispondere, dopo aver guardato il display del telefono.
-Cosa?- chiese Bob d’istinto cercando di farsi spiegare.
-È Frank.- proclamò con gli occhi spalancati e la voce strozzata.
Gerard boccheggiò, forse era sollievo quella sensazione che percepiva bloccargli il respiro, forse stava morendo di paura. Sentì le voci dei propri amici esclamare delle frasi, e anche se non riuscì a concentrarsi per capire cosa avessero detto, avrebbe potuto giurare che i loro toni erano uno più preoccupato di un altro.
Mikey non fece caso a nulla e si affrettò a rispondere.
- Frank, dio mio, dove sei?- chiese apprensivo senza nemmeno salutarlo.
Gerard studiò le smorfie del suo viso cercando di capire che cosa stessero ascoltando le sue orecchie.
La voce di Frank era un suono bellissimo da ascoltare, per telefono riusciva a piacere a Gerard ancora di più. Chissà cosa stava raccontandogli quella voce meravigliosa.
-Sì, sono io. Beh, ecco, sono il suo migliore amico.- sentì spiegare a suo fratello.
Gerard scattò sul sedile come se avesse ricevuto un input. Aveva paura, sentiva le mani tremare e la gola era secca. Mikey stava parlando con qualcuno che aveva chiamato dal telefono di Frank, ma non era Frank, questo si era capito benissimo, ma Gerard non capiva bene le dinamiche o forse non voleva credere alle proprie orecchie, alla realtà, perché altrimenti avrebbe dovuto ammettere a se stesso che qualcosa di importante era accaduto, avrebbe dovuto rendersi conto che qualcosa di grave era accaduto.
In un attimo gli piombò addosso una sensazione di paura mista a terrore, mista a rabbia, curiosità. Non avrebbe mai saputo spiegare cosa sentiva, aveva bisogno di sapere, ma lo preoccupava quel racconto, perché avrebbe potuto trattarsi di qualcosa di brutto e non voleva nemmeno prendere in considerazione un’opzione del genere.
Per tutto il tempo aveva cercato Frank con tutte le sue forze, ripetendosi in testa che avrebbe dovuto renderlo felice e lasciarlo stare, dopo aver discusso con Jamia aveva addirittura acconsentito di fronte a lei e ai suoi amici a smetterla di stare dietro a Frank e alla loro relazione così dolorosa.
E se non avesse potuto avere avuto una seconda possibilità? E se le ultime parole che si fossero scambiati sarebbero state quelle del giorno prima?
Il “ti odio” che Frank gli aveva sputato contro iniziò a risuonargli nelle orecchie, il suo “ti amo” represso e ingoiato nel fondo del proprio stomaco iniziò a bruciarglielo, cominciò a pesare come se fosse un qualcosa di materiale e fosse estremamente pesante.
Era stato uno stupido, avrebbe dovuto cogliere il momento, avrebbe dovuto dirgli ciò che sentiva. Aveva sbagliato tutto nella propria vita, pensieri, azioni, comportamenti, perché invece, ora, era così fermamente convinto di fare la cosa giusta reprimendo i suoi sentimenti e trattenendosi con Frank?
Se quella del giorno prima sarebbe stata la loro ultima conversazione Gerard non se lo sarebbe mai perdonato.
Si passò una mano sul viso mentre ascoltava la voce di suo fratello e lo trovò completamente bagnato di lacrime.
- Sì, dammi l’indirizzo, veniamo subito.- stava dicendo Mikey con il volto dipinto di un’espressione estremamente preoccupata ed agitata.
-Sì, so dove si trova. Bene, ci vediamo tra poco. Grazie.- aggiunse serio, poi pose fine alla chiamata.
-Ray, sbrigati, vai verso la gelateria del delfino, quella dove andiamo sempre. Frank è da quelle parti, a casa di un suo amico, presumo.- spiegò suo fratello in velocità.
Ray partì in fretta e nel frattempo tutti iniziarono a sommergere Mikey di domande.
-Dov’è? Ma chi era al telefono? Perché non ha parlato Frank? Cosa gli è successo?- le domande piovvero su Mikey. Gerard non si rese nemmeno conto di chi avesse chiesto cosa. Jamia stava piangendo di nuovo, comunque. Di questo se ne accorse, perché singhiozzava rumorosamente.
-Ragazzi era un amico di Frank. Ha detto che ha trovato il mio numero tra le chiamate recenti del telefono di Frank. Ha detto che non sta molto bene e se possiamo andarlo a prendere.- riassunse Mikey cercando di non far apparire la situazione troppo tragica, anche se in realtà lo era davvero.
Gerard si prese il viso tra le mani e tentò di respirare regolarmente. Fece dei respiri lunghi e calibrati mentre cercava di tenere a bada altre lacrime che cercavano di scendere e sfuggire al suo controllo.
Avrebbe tanto voluto teletrasportarsi da Frank e sincerarsi che stesse bene, avrebbe tanto voluto baciarlo e dirgli che lo amava.
Sentiva il suono delle voci dei suoi amici sovrapporsi senza saper dire che cosa stessero dicendo. La voce di suo fratello, ad un tratto, spiccò sulle altre e lo sentì parlare con Jamia.
-Dai, calmati, non è niente di grave. Magari si è sentito male e sta riprendendosi. Non piangere.- cercò di consolarla e se questo non dimostrava che Mikey era il ragazzo più dolce che poteva esistere, Gerard non avrebbe saputo in che altro modo avrebbe potuto palesarlo. Avevano litigato furiosamente appena poco prima ed ora era lì a consolarla, abbracciandola anche, notò Gerard.
Nessuno disse più nulla per il resto del viaggio, ognuno perso in se stesso , ognuno impegnato a mantenere una calma che non possedeva. Il viaggio parve lunghissimo. Ad un certo punto Gerard iniziò a convincersi che avevano fatto prima ad arrivare in Giappone, quella volta in tour, che a percorrere quei dannati isolati che li separavano da Frank. Gerard percepiva soltanto il pianto mal trattenuto di Jamia e si voltò a guardarla fulminandola, avrebbe voluto strozzarla, odiava vederla così coinvolta.
Quei tre mesi lontano da casa non avevano permesso a Gerard di abituarsi alla sua presenza, per cui se l’era ritrovata tra capo e collo – e tra i piedi, soprattutto. E più veniva a conoscenza del feeling che aveva con Frank, più si innervosiva; più si accorgeva di quante cose lei sapeva di lui e più si rendeva conto che aveva accumulato quel dannato vantaggio rispetto a Gerard. Odiava tutto quello, se il mondo fosse stato giusto avrebbe dato modo a Gerard di rendersi conto di certe cose poco alla volta, di abituarsi all’idea di Jamia che faceva parte della vita di Frank, alla sua presenza, ma forse Gerard non meritava proprio niente e anche il mondo gli si stava ritorcendo contro.
Poi la paura lo pervase di nuovo ed iniziò a pregare mentalmente che Frank stesse bene. Non che avesse in mente qualcuno di preciso a cui rivolgere quelle richieste, quindi si raccomandò un po’ a tutti i vari dèi che conosceva. Che poi magari era sempre la stessa persona chiamata in modi diversi, ma nel dubbio non volle rischiare e li menzionò tutti, dentro di sé. E Gerard, peraltro, non era nemmeno una persona religiosa, anzi, ma la disperazione lo stava portando a tutto quello. E sinceramente avrebbe fatto anche riti satanici pur di assicurarsi il benessere di Frank.
Stava cercando un pensiero su cui fissarsi e non immaginare scenari tragici, così si era concentrato a pregare, ma il suo cervello decise che era ora di smettere di condensare l’attenzione su certe cazzate che non avevano mai fatto parte del suo essere ed iniziò a proporgli varie scene, una peggiore dell’altra, tutte più o meno con lo stesso finale: una vita senza Frank.
Il cuore probabilmente gli arrivò in gola e le mani tornarono a tremare di nuovo, non riuscì a trattenersi e lasciò via libera a quelle lacrime che aveva bisogno di piangere. Lo fece in silenzio, senza singhiozzi che avrebbero potuto attirare l’attenzione. Sentì una quantità abbondante di lacrime scivolargli sulle guance e arrivargli sulle labbra. Le assaporò e nel mentre alzò lo sguardo e lo puntò accanto a sé, dove c’era Mikey che però era piegato con la testa fra le mani e così il suo sguardo si scontrò rovinosamente contro quello di Jamia, che aveva sul viso le sue stesse manifestazioni di dolore, per lo stesso identico motivo, tral’altro. Per un attimo si sentì così simile a lei che l’avrebbe abbracciata, poi pensò di distogliere lo sguardo perché erano soltanto la paura e la disperazione a fargli pensare certe assurdità.
Prima che compisse quel gesto, la ragazza gli sorrise. Un sorriso piccolo, quasi inesistente. Quei sorrisi che si fanno tra le lacrime, in certe circostanze dolorose, rivolti a qualcuno che sta vivendo le tue stesse emozioni, qualcuno che può capirti. Jamia aveva avuto gli stessi pensieri di Gerard ed evidentemente non lo odiava davvero, la sfuriata di prima e le cose pessime che gli aveva detto erano state soltanto una conseguenza dell’attacco di nervi e frustrazione che provava nel non trovare Frank. Forse un po’ l’odiava per via dell’amore che Frank dimostrava provare per lui e magari era gelosa, magari avrebbe tanto voluto che Gerard non esistesse. Senza cattiveria, solo per poterlo amare ed essere ricambiata.
Gerard sospirò continuando a piangere tutte le lacrime che sentiva di dover lasciare andare e pensò che forse, se fosse stato in lei, anche lui avrebbe voluto che non esistesse. C’erano un bel po’ di persone che avevano quel desiderio e probabilmente lo pensava anche Frank, dopo tutto quello che aveva passato a causa sua. Ma poi i suoi gesti non corrispondevano mai a ciò che diceva con le parole, alla fine Gerard non riusciva mai a credergli, quando gli diceva che lo odiava e che lo voleva lontano. Pensò che con le parole non ci avevano mai saputo fare e Frank glielo aveva detto un mucchio di volte. Sperò che stesse bene e che magari, presto, avrebbero potuto parlare seriamente.
Finalmente Ray posteggiò la macchina nel piccolo parcheggio della gelateria e tutti scesero frettolosamente dall’auto.
-Ha detto palazzo giallo.- comunicò Mikey guardandosi intorno.
-Eccolo!- gridò Gerard, che riuscì a localizzarlo anche con la vista offuscata dalle lacrime, forse sarebbe stato in grado di trovarlo anche senza indizi. Bastava che si concentrasse, loro due si attiravano l’uno all’altro, riusciva sempre a percepire dove fosse.
-Sì, dai, sbrighiamoci.- Bob incitò tutti e con passo svelto si diressero verso il palazzo.
Come al solito non avrebbe saputo dire come, ma disse a Mikey di suonare a quelparticolare citofono e quando la voce di un ragazzo rispose, Mikey disse il proprio nome e quello gli disse che era al terzo piano.
Forse c’entrava la telepatia o forse era stata questione di pura fortuna.
Per le scale sembrava fossero cinque maratoneti antagonisti tra loro, si scapicollarono su ogni singola rampa e arrivarono di fronte alla porta col fiatone. Qualcuno suonò il campanello e Gerard si accorse di essere l’ultimo della fila, o del gruppo sparso di persone che si erano formate di fronte all’uscio marrone scuro dell’appartamento dell’amico di Frank.
Il ragazzo aprì e li guardò sconcertato per un istante, probabilmente non si aspettava tutta quella folla, forse Mikey capì e gli spiegò la situazione.
-Ciao, sono Mikey. Vedi noi… ecco, noi lo stavamo cercando da ore.- riassunse agitato.
-Beh, sì, immagino.- farfugliò il ragazzo guardandoli stralunato.
Gerard avrebbe voluto superare tutti e togliere di mezzo quel rincoglionito che se ne stava di fronte alla porta senza decidersi a farli entrare. Erano passati pochi istanti, ma a Gerard sembrava che fossero lì ad aspettare da secoli.
-Entrate, vi porto da lui.- disse voltandosi di spalle e addentrandosi nell’appartamento.
Tutti lo seguirono come fosse la loro guida spirituale, Gerard si rese conto che ognuno di loro avrebbe fatto qualunque cosa per ritrovare Frank, come aveva già pensato un mucchio di volte tutti lo amavano, nessuna eccezione. Era impossibile che qualcuno non amasse Frank, lui era speciale, faceva breccia nel cuore di chi lo conosceva quasi immediatamente. Era un ragazzo dolce e solare e magari era ripetitivo anche nei pensieri, ma non si capacitava di come avesse fatto ad innamorarsi proprio di lui.
-Che cosa gli è successo?- Gerard domandò con urgenza al proprietario di casa. Gli altri erano entrati e il ragazzo -Tom, così si chiamava- gli aveva indicato una stanza in fondo al corridoio.
-Vedi, noi… lo so che è sbagliato- mise in chiaro alzando le mani e facendo quella premessa.
-Abbiamo preso dell’erba e delle pasticche. Lo avevamo fatto altre volte, a Frank non era mai accaduto niente.- spiegò agitato.
-Cioè, insomma, si sballava, ma poi si è sempre ripreso. Stavolta non lo so… sembra delirare. Dice cose senza senso.- raccontò facendo avanti e indietro nei i pochi metri quadri di cui era composta la cucina.
-Forse ha la febbre, la sua fronte brucia.- proclamò cercando di darsi una spiegazione. E quella spiegazione poteva essere verosimile, Frank si ammalava con estrema facilità, forse sommato a tutta la merda che aveva preso era entrato in una condizione di confusione.
-E poi non faceva che ripetere il nome- si bloccò fissandolo in modo strano.
-Tu chi sei, come ti chiami?- chiese come se stesse attendendo una rivelazione importante.
-Io mi chiamo Gerard.- rispose un po’ in imbarazzo. Non sapeva perché, ma si sentiva strano.
-Cazzo. Lui non ha fatto che ripetermi di chiamarti, di dirti di venire. “voglio Gee” mi chiedeva, ma sinceramente non sapevo come fare. Il tuo numero sul suo cellulare non c’è. L’ho cercato, davvero.- gli spiegò animato, come se davvero avesse fatto di tutto per assecondare le richieste di Frank.
Gerard si accorse di essere rimasto immobile e sconcertato. Frank non aveva il suo numero: perché?
Evidentemente lo odiava così tanto che aveva voluto cancellare ogni traccia di lui, sicuramente aveva deciso, giustamente, di farlo fuori dalla sua vita e il suo numero di telefono faceva parte di quel piano.
Frank voleva salvarsi da lui, Gerard ne era certo. Magari stava usando metodi un po’ sbagliati, ma il fine era quello.
Sentiva un vociare lontano e incomprensibile. Gerard avrebbe voluto far parte di quelle conversazioni, eppure non aveva le forze di raggiungere quella dannata stanza e assistere alla visione di Frank totalmente sconvolto. Avrebbe visto se stesso attraverso uno specchio, un vecchio specchio che lo avrebbe potuto scioccare.
Ma Frank lo aveva cercato, Frank voleva che Tom lo chiamasse e Gerard sapeva spiegarselo benissimo quel comportamento, c’era già passato, sapeva quali meccanismi atroci si attuavano quando la propria mente non era lucida. Ci si attacca ai ricordi, si creano realtà alternative in cui tutto è perfetto e i ricordi brutti non esistono, come se non sia mai accaduto nulla. L’effetto della droga induce soltanto a trovare ogni modo possibile per soddisfare i propri desideri ed era proprio per quello che Gerard aveva deciso di non cadere mai più in quello stato, di non prendere mai più la merda che aveva avuto nel sangue per anni.
Gerard doveva proteggersi dai suoi desideri.
I suoi desideri erano pericolosi e avrebbero portato solo dolore, avrebbe dovuto imparare a vivere una vita senza aspirazioni, almeno non quelle sentimentali.
Tom lo prese per il polso destro e lo trascinò verso la stanza in cui aveva indicato stesse Frank.
-Ma cosa- provò a chiedere Gerard mentre procedeva a passi insicuri, rischiando di inciampare nei suoi stessi piedi.
-Devi vedere Frank, lui non faceva altro che cercarti, te l’ho detto, credo debba dirti qualcosa di importante, o forse è solo uno dei suoi deliri, ma penso che si calmerebbe se ti vedesse.-
Gerard sospirò sentendosi la pancia tremare, era agitato e confuso. Era felice di aver ritrovato Frank e moriva dalla voglia di rivederlo, anche se la paura di trovare troppe somiglianze con se stesso lo aveva ghiacciato. Forse stava provando troppe emozioni e probabilmente era preoccupato per l’ipotetica reazione di Frank nel vederlo.
-Dov’è Gee?- sentì domandare dalla voce rauca –più del solito- del suo chitarrista.
- È… Eccolo!- esclamò suo fratello dopo essersi guardato intorno e averlo visto entrare nella stanza trascinato da Tom che l’aveva preceduto.
-Gee- sussurrò Frank muovendo piano la testa cercando di localizzarlo.
Gerard diede un’occhiata disinteressata alla stanza, cercando di prendere tempo e prepararsi alla scena del suo Frankie delirante. Non funzionò, evidentemente, perché quando gli posò gli occhi addosso per poco non crollò su qualcuno che gli stava di fianco. Ci posò una mano, comunque, sulla spalla di quel qualcuno che poi identificò come Bob. Boccheggiò e forse fece uno degli sguardi più compassionevoli che il suo volto avrebbe mai potuto esprimere.
Era sdraiato su di un letto sfatto, aveva una t-shirt blu e non aveva i pantaloni, ma solo i boxer. Aveva i capelli in disordine e la faccia arrossata, gli occhi semi aperti; era visibilmente sudato e il suo sguardo vacuo faceva intuire che non stesse davvero capendo molto.
-Io… Gee vieni qui.- chiese con un tono disperato allungandosi sul letto verso la direzione in cui Gerard era in piedi ed impalato.
Tom gli diede quasi una spinta e lo fece avanzare senza che Gerard ne avesse davvero la piena convinzione. Era basito, era arrabbiato e dispiaciuto, avrebbe fatto qualunque cosa perché Frank non fosse lì, in quelle condizioni, e lui stesso ad assistere a quella scena così dolorosa. Dolorosa più che altro per le cose di cui era venuto a conoscenza, lo sarebbe stato in ogni caso, ma essere consapevole che la colpa era solo sua lo faceva sentire angosciosamente responsabile.
Guardò ad uno ad uno i suoi amici, poi fece il decisivo passo in avanti verso il braccio di Frank che era ancora proteso verso di lui.
Accanto al corpo sdraiato di Frank c’era Jamia, aveva gli occhi arrossati dagli innumerevoli pianti che l’avevano travolta quella sera. Gerard la vide guardarlo con odio - magari non era nemmeno così, ma di sicuro era uno sguardo ostile -, non c’era più il piccolo sorriso di comprensione che li aveva uniti per pochi secondi mentre si dirigevano a casa di Tom.
Inaspettatamente,, Frank gli afferrò la mano, forse si era allungato di più e Gerard sembrava un vero fantoccio senza burattinaio ad instradarlo verso movimenti decisi e giusti.
Frank lo tirò verso di lui e finalmente si decise a riprendere padronanza di se stesso e si avvicinò ancora, abbassandosi verso di lui, posando quasi le ginocchia sul pavimento.
Il suo chitarrista sorrise cercando di aprire bene gli occhi guardandolo, gli prese il viso tra le mani e in un attimo si ritrovò con la faccia a pochi centimetri dalla sua.
Provò ad indietreggiare, guardando allarmato Jamia che era proprio lì accanto a loro. Dio santo, era una situazione così ambigua.
Ma Frank se lo tirò di nuovo sopra, continuando a chiamarlo sommessamente, come se il suo nome fosse un mantra per scacciare il malessere che probabilmente doveva sentirsi addosso.
-Io ti amo.- dichiarò Frank sussurrando. Gerard boccheggiò e chiuse gli occhi con forza.
-Sei l’unico di cui mi importa e ti ho cercato, ma non riuscivo a trovarti. Dov’eri?- chiese cercando di parlare con un tono di voce normale, ma non riuscendoci pienamente.
- Io, ecco…- provò a rispondere riaprendo gli occhi e scacciando le lacrime che stavano osando venirgli su, ma Frank lo interruppe di nuovo e comunque Gerard non avrebbe saputo rispondere perché era stato tutto il giorno e tutta la notte là fuori a cercarlo.
- Gee, sto male.- proclamò posando la testa sul cuscino senza comunque lasciargli il volto con le mani.
- Penso che tu abbia… la fe. Penso che tu abbia la febbre.- cercò di esprimersi con decisione, di dire qualcosa con cui rassicurare Frank e farlo smettere di parlare della loro situazione e di ciò di cui il suo cervello lo stava convincendo in quel momento.
-Non è la febbre. Mi manchi, io ti voglio, io ho bisogno di fare l- Gerard gli tappò la bocca con la mano e si buttò su di lui abbracciandolo. Quasi avrebbe voluto lasciarsi andare sul serio, quasi avrebbe voluto piangere, Gerard era così certo di cosa stava per dire.
Oltre al fatto che c’erano gli altri, che c’era Jamia anche, non poteva sopportare di ascoltare quelle parole. Era stata una giornata troppo dolorosa e ansiosa. Era stato agitato per tutto il tempo in cui lo avevano cercato per mari e monti, era stato preoccupato, angosciato, aveva così avuto paura di perderlo, aveva provato un terrore ingestibile al pensiero che avrebbe potuto non rivederlo.
Jamia singhiozzò e distolse Gerard dai suoi pensieri.
Alzò il busto e tornò inginocchiato sul pavimento, la guardò e poi spostò lo sguardo rapidamente, non riusciva a gestire i suoi sentimenti, non aveva potuto prepararsi per tenere a bada una persona che provava certe cose per lui. Lei provava gelosia, odio, cose che Gerard non sapeva nemmeno capire. Se qualcuno lo avesse avvertito prima, almeno avrebbe potuto organizzarsi. Avrebbe potuto,che so, imparare a fingere che non potesse scalfirlo, imparare ad ignorare.
Frank non aveva molta coscienza della realtà, in quel momento, quindi, ignaro di tutto il dolore che stava causando a Jamia, decise che erano troppo lontani e lo prese nuovamente per mano, avvicinandoselo di nuovo.
-Gee, lo sai che mi si è rotto il cuore quando mi sono innamorato di te?- chiese retoricamente. Gerard lo guardò stralunato.
-Baciami.- chiese poi, come se quello che avesse detto prima c’entrasse qualcosa o avesse senso.
Gli occhi di Gerard s’incatenarono a quelli dallo sguardo allucinato di Frank.
Lo avrebbe fatto immediatamente, fregandosene dell’incoerenza che avrebbe dimostrato a se stesso con quel gesto, ma ciò che aveva provato quel giorno aveva messo in discussione tutto, ogni sua convinzione.
Aveva come la sensazione che qualcuno gli avesse fatto uno di quegli scherzi di pessimo gusto, come se gli avessero mostrato un’eventuale vita senza Frank, gliel’avessero fatta immaginare, facendolo soffrire e poi lo avessero catapultato di fronte all’evidenza che era stato tutto finto.
Frank era lì e Gerard aveva una seconda possibilità.
In quel momento stava rimettendo tutto in discussione, niente sembrava più come l’aveva immaginata e pensata. Tutto si era ribaltato e Gerard non riusciva a trattenere gli impulsi che lo portavano verso Frank.
Forse stava sbagliando tutto, forse aveva sbagliato tutto.
Stava di nuovo per distruggere tutto, ogni idea e convinzione che aveva avuto per mesi.
Gerard lo aveva sempre fatto, creare e distruggere, ma stavolta sentiva di doversi dare del tempo. Non poteva strappare il foglio, Frank non era un suo disegno. Non era una canzone venuta male o un insieme di frasi che non suonavano bene insieme tra loro, no, Frank e la sua felicità contavano fin troppo per essere rimessi in discussione in velocità.
Doveva resistere e pensare con calma, quel tipo di decisioni non dovevano essere contaminate dall’irrazionalità, non dovevano dipendere dall’istinto. L’aveva portato alla rovina l’istinto e lui era diverso.
-Gee noi vi aspettiamo di là, aiutalo tu a rivestirsi.- gli disse Mikey avvicinandosi e toccandolo con la mano sulla spalla in un gesto rassicurante.
-Okay.- confermò annuendo.
-Vieni Jamia?- Mikey gliela porse come una domanda, ma era più che altro un consiglio, non un ordine, ma più un qualcosa che andava fatto. Doveva uscire da quella stanza.
-No, resto.- rispose lei lanciando a Mikey uno sguardo ostile.
-Tra poco ce ne andiamo, esci un attimo con noi.- continuò suo fratello. Lui sì che sapeva come dovevano andare le cose.
-No. Io… Frank, ti aiuto, andiamo a casa.- Jamia tentò di ignorare Mikey e si rivolse direttamente al suo chitarrista. Aveva la voce rotta da ciò che evidentemente stava provando. Gerard le leggeva l’umiliazione sul viso. Gli dispiacque.
-Non ce la faccio.- gli rispose Frank.
-Ti aiuto io.- riprovò lei, alzandosi dai piedi del letto dov’era seduta e avvicinandosi. Gerard fece per alzarsi, ma Frank lo trattenne per una mano, che afferrò al volo prima che potesse allontanarsi troppo.
-No, ti prego, resta.- gli chiese con una voce stanca e un’espressione sfinita.
-Jamia, vieni.- continuò Mikey, che era rimasto fermo sullo stipite della porta.
Glielo disse dolcemente, non voleva essere brusco e si notava, voleva in un certo senso proteggerla da quello che Frank, senza il filtro della ragione, avrebbe potuto dire. Le aveva già spezzato il cuore, non c’era bisogno di infierire.
La ragazza guardò ancora le loro mani unite, Gerard gliel’avrebbe lasciata per non farla soffrire ancora, gli dispiaceva da morire. Poi diede un’ultima occhiata a Frank, che se ne stava fermo, sdraiato e preoccupato solo che Gerard non si muovesse dal suo fianco.
Non ragionava, questo era evidente, ma Gerard non credeva che a Jamia facesse meno male.
Si voltò con velocità e si diresse verso la porta superando anche Mikey.  
-Cosa hai fatto, Frank?- Gerard chiese sconsolato, non appena furono rimasti soli.
-Ti amo.- ripeté ancora una volta e Gerard a quel punto lasciò andare le lacrime. Non c’era nessuno che avrebbe potuto rinfacciarglielo.
- Cazzo. Ci hai fatti spaventare.- disse tra sé e sé ad alta voce e  altre lacrime si accumularono alle prime, rigandogli il viso e scendendo fino al collo.
-Non la voglio, una vita senza te. Non voglio lasciare la band, non voglio starci senza te.- iniziò a dire Frank confusamente. Poi sembrò piangere, ma forse si rotolò soltanto tra il groviglio di lenzuola e coperte, portandosi un braccio sulla faccia.
-Non vorrei mai che tu lasciassi la band.- ci tenne a precisare Gerard. Questa era una cosa importante e sperò che se la sarebbe ricordata anche quando sarebbe tornato lucido e capace di intendere e di volere.
La paura di perderlo era stata talmente tremenda che aveva l’incontenibile voglia di toccarlo, di sentire la sua pelle sotto le sue dita, di sentire il suo odore, di sentirlo.
Gli accarezzò il viso, trovandolo caldissimo, Frank socchiuse gli occhi protendendosi verso la sua mano come un gatto.
-Ho bisogno di te.- sussurrò stancamente.
-Anch’io, anch’io ne ho bisogno.- disse Gerard di getto, tappandosi la bocca subito dopo.
Ma Frank scattò quasi a sedere a quelle sue parole, forse stava fingendo tutta quella confusione e voleva arrivare proprio lì: ad ascoltare la verità.
I suoi occhi arrossati e non completamente aperti suggerirono a Gerard che purtroppo non era così, Frank stava davvero male, magari si stava riprendendo un po’ e allora aveva avuto uno sprazzo di lucidità, comprendendo appieno ciò che aveva detto.
-E allora resta con me, non mi lasciare. Il cielo fa schifo.- sussurrò guardandolo con quello sguardo un po’ liquido.
E Gerard avrebbe sul serio fatto finta di non capire, se fosse stato un ragazzo forte e risoluto avrebbe ignorato le sue parole e gli avrebbe detto di riprendersi e di tornare a parlargli quando si sarebbe ripreso completamente. Invece capì. Capì tutto.
Gli si avventò addosso senza davvero averlo deciso, aveva solo scelto di pensare cose stupide per ingannare il suo cervello al fine di distrarlo.
Mentre unì le labbra a quelle di Frank pensò ad una stella marina.
Pensò a questa asteroidea, un tipo di stella marina che aveva visto in un documentario, pochi giorni prima, per caso, nel buio del fondale marino, mentre le loro lingue finalmente si incontravano.
Quando Frank lo strinse e lo abbracciò disperatamente immaginò un buio pesto e quasi materico avvolgerlo e questa luce lontana e piccola. Gerard tentò di raggiungerla mentre col fiato sospeso mangiava le labbra del suo chitarrista e lo accarezzava con foga.
Dimenò immaginariamente gambe e braccia per avvicinarsi il più veloce possibile mentre quasi si stese sul corpo bollente di Frank.
C’era quasi. Era quasi arrivato, se avesse allungato la mano probabilmente sarebbe riuscito a toccarla.
Si spinse in avanti, nuotò ancora e poi si accorse che gli stava mancando l’aria. Cavolo, era così tanto che non respirava. Baciò Frank con tutta la disperazione che stava vivendo nella sua testa.
Era la cosa più bella del mondo, quella sensazione di confusione.
Forse era ciò che provavano i sub prima di affogare, l’ossigeno che inizia a mancare e l’anidride carbonica che fa credere al corpo di star respirando lo stesso. I polmoni che si contraggono con foga nel tentativo vano di scacciare quel veleno e di assumere aria pura.
Era una bella morte, in fondo, non te ne rendevi pienamente conto. Le immagini iniziano ad essere confuse, i pensieri offuscati, la voglia di lasciarsi andare è la tentazione predominante.
Gerard stava per farlo. Continuava ad abbracciare e toccare Frank, piccole pause per guardarlo negli occhi e poi di nuovo con le labbra contro le sue, ancora con le lingue intrecciate, ancora ad amarsi.
Mentre stava per lasciarsi andare decise che la mano su quella fottuta stella marina voleva assolutamente posarcela. Era così bella, così luminosa in un posto tanto buio e brutto. Probabilmente non c’era nessun’altra forma di vita oltre lei in quel posto ostile, era un piccolo miracolo, era la dimostrazione che anche dove non crediamo ci siano cose belle e sconvolgenti ci sono nascoste piccole meraviglie.
Forse Gerard l’aveva sfiorata con la punta delle dita quando percepì una potente forza afferrarlo e portarlo in alto. Iniziò ad essere di nuovo tutto buio e la luce dell’asteroidea tornò ad essere lontana, sempre di più.
Forse era stato pescato come uno di quei grossi pesce spada.
-Gee, ehi.- quella era la voce di suo fratello.
Staccò la bocca da quella di Frank e alzò la testa alla ricerca di suo fratello. Era sulla porta e lo guardava con un’espressione indecifrabile. Non era arrabbiato però, di questo Gerard ne era certo.
-Gee, dai, dobbiamo andare. Aiutalo ad alzarsi, avrete tempo per… parlarvi.- riassunse tossicchiando, Gerard era sconvolto totalmente.
Annuì frettolosamente e guardò suo fratello scomparire di nuovo verso il corridoio.
Portò di nuovo la sua attenzione su Frank, era scombinato e i suoi capelli erano ancor più arruffati rispetto a prima, aveva stampato un sorriso compiaciuto sul volto. Forse non era propriamente compiaciuto, forse era felice.
Ma Gerard invece era confuso, colpito da ciò che aveva fatto e terrorizzato da quel che aveva capito.
Frank era quella piccola stella meravigliosa e luminosa in un posto schifoso e buio. E sarebbe rimasto un miracolo fintanto che fosse rimasto dov’era. Nessun sub doveva portarlo in superficie, la sua luce non sarebbe stata visibile contro altra luce. Nel buio non c’era solo il nulla, c’erano tanti piccoli incanti e Gerard non era nessuno per potersi permettere di farlo smettere di brillare. Frank doveva restare tra le stelle e vivere con altre stelle come lui.
Gli afferrò il viso scavandogli gli occhi con il suo sguardo.
Lo amava così tanto che avrebbe smesso di respirare e si sarebbe lasciato andare.
Si alzò da terra, o forse dal letto, non sapeva più decifrare dove si trovasse.
-No, ehi, dove vai?- gli chiese Frank.
E Gerard lo guardò ancora una volta, da lontano così da poter ammirare la perfezione che costituiva.
-Ci vediamo, Frank.- gli disse senza dargli il tempo di rispondere.
Lasciò la stanza e percorse il corridoio in fretta, arrivò nel salotto dove c’era la porta d’entrata e localizzò Jamia con lo sguardo.
Le si avvicinò con sicurezza e trattenne le lacrime promettendosi che sarebbe stato solo per altri pochi minuti.
-Frank ti cerca- le disse.
-Vuole te.- riassunse guardandola come l’ipotetica stella luminosa che avrebbe fatto compagnia a Frank nell’oscurità.
Vide il suo viso illuminarsi di un lampo di speranza e poi decise che era troppo, doveva andarsene.
-Mik, ti aspetto a casa.- farfugliò velocemente prima di avviarsi verso la porta.
E per fortuna, quella volta, suo fratello fu abbastanza comprensivo da non aggiungere altro.
 
 
P.S. il titolo del capitolo è il titolo di una canzone degli interpol che adoro e ascolto un sacco! ;)
  
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