Diciannovesimo capitolo
– Tanya
30 Marzo 2002
“Voglio sapere se
questa storia andrà avanti per molto!”
“Edward.”
“Mai… mai! Mai in tutta la mia vita sono stato
trattato in questo modo!”
“Tieni.” Jake gli allungò il terzo bicchiere pieno di
whiskey, e con l’altra mano continuò a pulire l’altra parte
del bancone.
“Tu sai
qualcosa.”
“Come?”
Stavolta smise di pulire, alzando gli occhi verso il suo amico.
“Non è
possibile, Jake.” Sibilò appena,
stropicciandosi gli occhi.
Quello seduto davanti a
Jacob Black, - dall’altra parte del bancone -,
non era di certo Edward Cullen.
Indossava una felpa nera
e una tuta grigia. Non si radeva, andava avanti a caffè e whiskey e non
mangiava un pasto sano da una settimana.
Da quando Bella se ne era andata.
“Si tratta di
lavoro, Edward.”
“Lavoro? Siamo a
New York, Jake.” Sbuffò. “Cazzo!” Sbatté il bicchiere
di vetro sul bancone, e per poco non si ruppe. “Non decidi nel giro di
una nottata di andartene a Forks, per lavoro!”
“L’hai
chiamata?”
“Non risponde.
Risponde ai messaggi, ma soltanto quando riguardano le bambine.”
“A proposito…
le bambine?”
Dopo i primi due giorni
di smarrimento – nei quali Edward si era chiesto più volte cosa
avesse potuto portare la sua donna a
partire per Forks di corsa -, aveva deciso di parlare
con Carlisle ed Esme, che
erano stati più che contenti di prendere le bambine. Inizialmente, si
erano trasferiti tutti e tre a casa Cullen. Le
bambine erano felicissime, e i loro nonni ancora di più.
Ma Edward sapeva che qualcosa non
andava. L’aveva intuito nel modo in cui Leah lo
guardava, dall’alto al basso e con gli occhi che potevano incenerirlo da
un momento all’altro.
Dalle chiamate che faceva
a Bella, senza risposta.
Aveva provato a chiamare
Charlie, ma anche lì era partita la segreteria telefonica.
Maledizione!
“Sono dai miei
genitori.”
“Cosa gli hai
detto?”
“Che Charlie aveva
bisogno di Bella. Chiama Esme ogni sera, per parlare
con loro.”
A me no.
“Leah sa qualcosa.”
“Leah sa qualcosa.” Jacob ripeté le stesse
identiche parole di Edward.
“Cosa?”
“Edward, non ne ho
idea. Leah non mi ha raccontato niente. Ma sì, è successo qualcosa.”
Si mise
entrambe le mani sulla faccia, cercando di spremersi le meningi.
Cosa ho fatto. Cosa. Diamine. Ho. Fatto.
“Pensa. E’ successo qualcosa?”
“Cazzo, Jake! No! E’ andato tutto bene, benissimo! Aspettiamo
un bambino, Dio! E sono l’uomo più felice del mondo. E poi, via. Da un giorno all’altro, se ne
va. Non da spiegazioni, non risponde al telefono. Ha bisogno di tempo. Deve
pensare e deve lavorare. E Forks
è il posto più adatto.” Sputò fuori, grattandosi la
testa. “Tutte cazzate!”
“Tutte
cazzate.” Ripeté una voce dietro di lui. “Proprio come
quelle che ha detto Tanya
Denali.”
James.
La Volvo sfrecciava
lentamente sulle strade di New York, e questo era un buon motivo per far
perdere la pazienza a Edward.
Ma non il primo buon motivo.
Il primo,
era di tutt’altro stampo.
Stupida Bella. Stupida, stupida,
stupida donna.
Con una mano tamburellava
le dita sul volante, con l’altra fumava l’ennesima sigaretta di
quella giornata.
Il MoMa non
era lontano, doveva solo trovare un parcheggio e poi ci sarebbe arrivato a
piedi. Di corsa.
Lasciò la Volvo in
doppia fila, fregandosene dei clacson che suonavano e iniziò a correre
verso l’ampia porta. Spinse quasi fino a romperla, sotto gli occhi
accigliati di Rosalie Hale.
“Edward Cullen?”
Faticava a riconoscerlo?
Anche lui, faticava a riconoscersi in quei giorni.
“Tanya è qui?”
Rosalie nemmeno parlò, ma con l’indice indicò la porta
del suo ufficio.
“Grazie.” A
passo spedito partì, e senza nemmeno bussare aprì la porta.
Tanya Denali era lì, seduta su
quell’enorme poltrona di pelle nera, davanti ad una scrivania piena di
scartoffie. I capelli biondi e lucenti le incorniciavano il viso. Il trucco era
pesante, e accentuava il colore dei suoi occhi chiari.
Una volta ero innamorato di lei.
“Edward?” La
stessa identica domanda di Rosalie.
“Dobbiamo
parlare.” Il sorriso che sfoderò Tanya
gli fece accapponare la pelle.
Come potevo essere innamorato di questa donna?
“Sono tutta
orecchie.”
“Non mi interessa con chi hai scopato al Ritz
a Londra. Mi interessa soltanto che tu faccia sapere
al mondo che non ero io.” Lei scoppiò in una fragorosa risata, ma
i suoi occhi la tradirono. Sarebbero stati capaci di incenerirli, proprio come
quelli di Leah.
“Come?”
“Alla mia ragazza sono arrivate voci. Voci
infelicemente false, purtroppo per te. Vorrei mettere le cose in chiaro, una volta per tutte. Sono stato innamorato di te, e avrei
fatto carte false per te. Ma tu non l’hai
voluto. Hai preferito giocare all’infermierina
durante tutti gli anni del College, ed allora ho
deciso di lasciarti.” Prese un respiro, continuando a guardarla.
“Ti ho amata, Tanya. Realmente. Ma
tu no. Faceva comodo essere la ragazza di Edward Cullen
al College, e ti ha fatto ancora più comodo esserlo quando sono
diventato il Capo della Cullen Media Group. Ma è proprio qui, che hai toppato. Ho
trent’anni, e le mie ambizioni sono cambiate da allora. Non mi interessano i giochetti facili, e soprattutto le
stronzate che vai a dire in giro.”
Il sorriso di Tanya non si era dissolto.
“Tutto questo
per… Bella Swan?”
Il suo tono dispregiativo fece sì che Edward si sfregasse le mani
fortemente, per non fare qualcos’altro.
“Io
e Isabella aspettiamo un bambino.”
E lì, il sorriso
morì.
“E’ la mia donna, Tanya. E’ la donna della mia vita. E che possa succedermi
qualcosa in questo istante, andrò contro al
mondo per la sua felicità. Perché è quello che merita, ed
è quello che io voglio per
lei. Alice e Jasper sono morti. I nostri amici sono
morti. Abbiamo perso entrambi il nostro lavoro.” Si alzò e si
diresse alla porta. Mise la mano sulla maniglia, ma non aprì.
“Non sarà di
certo Tanya Denali a fermarci.” Disse con voce
calma e tagliente, uscendo dall’Ufficio.
Cinque
ore lo separavano da Bella.
Quattro in volo e una in
macchina. Ed erano interminabili.
James aveva provveduto al Jet, mentre Laurent si era
raccomandato che Bella fosse a casa, a Forks. Jake aveva l’arduo compito di parlare con sua moglie,
e spiegarle quello che era realmente successo. Esme e
Carlisle avevano le bambine, e le avrebbero tenuto
sino al loro ritorno.
Sì, perché
sarebbero tornati insieme.