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Autore: Lady Windermere    02/08/2017    4 recensioni
Giulia Pisani ha diciassette anni, una passione sfrenata per le serie Tv, una madre fervente cattolica e tanti altri problemi.
A questi si aggiunge il recente trasferimento in uno dei licei più prestigiosi di New York, dove, tra reginette frustrate, una fastidiosa gossip man, professori appena usciti dall'ultimo numero di Cosmopolitan, un nerd addominalato e i due ragazzi più ambiti da ogni individuo di sesso femminile nelle vicine cinquecento miglia, dovrà imparare la lezione più importante di tutte: per fare i popcorn non serve l'olio di palma.
Riuscirà la nostra protagonista a sopravvivere?
STORIA INTERROTTA
Genere: Azione, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Primo giorno di scuola e… niente, suona già abbastanza orrendo così

 

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“I have measured out my life with coffee spoons.”

The Love Song of J.Alfred Prufrock, T. S. Eliot

 

                                                                                                       

 

«No Damon, quante volte te lo devo dire che non voglio stare con te? Eri figo una volta, adesso hai rotto le palle. Torna pure da Elena, io amo solo tuo fratello. Come dici Stefan? Anche tu sei innamorato di me e vuoi passare tutta la tua vita al mio fianco? Oh amore...Perché dalla tua bocca sta uscendo un verso stridulo? Stefan, perché ti stai gonfiando come la zia stronza di Harry Potter? Non morire Stefan, non morire! Non puoi lasciarmi così, io ti amo!»

Il suono squillante della sveglia mi catapultò fuori dal regno dei sogni. Non ne potevo più di alzarmi a quell’ora ogni santissimo giorno.

«Essere costretti a svegliarsi prima delle dieci dovrebbe essere considerato un crimine contro l’umanità» mugugnai, la faccia ancora premuta sul cuscino. «E proprio quando stavo sognando che Stefan Salvatore era venuto a salvarmi col suo cavallo bianco e i suoi capelli da eroe. Quanto è ingiusta la vita.»

«Giulia! Muoviti o farai tardi al tuo primo giorno!» La voce di mia madre sembrava ben più entusiasta all’idea di quanto io lo fossi mai stata.

Mi forzai ad alzarmi dal letto e a dirigermi verso il bagno. Cercai di guardarmi allo specchio mentre mi strofinavo gli occhi con le mani.

Quello che vedevo di certo non mi soddisfava. I capelli, perennemente arruffati e di un colore vagamente simile a quello delle foglie marce che cadevano dagli alberi in autunno, quella mattina sembrava avessero preso vita propria.

Non avevo minimamente il tempo di trasformare quella boscaglia in qualcosa che potesse anche solo dare l’idea di ordine.

Sbuffai, rassegnata «Verrò etichettata come sciatta già al primo giorno.»

In realtà non era il mio primo giorno di scuola, essendo settembre inoltrato, ma era il mio primo giorno alla Trinity, dopo aver frequentato per tre anni una comunissima scuola pubblica vicino a casa mia, a Brooklyn.

Ero riuscita a procurarmi una borsa di studio quell’estate e, grazie anche alle pressioni di mia madre, avevo ottenuto di frequentare già a quadrimestre iniziato, invece di dover ripetere l’anno.

Il mio ultimo anno, per la precisione.

«Giulia! Perderai l’autobus!» mi fece nuovamente sapere mia madre dal piano di sotto.

Chiusi la porta del bagno, facendola sbattere «Arrivo!»

 

Quindici minuti più tardi, un pezzo di croissaint in bocca e un thermos di Star Wars pieno di the verde in mano, mi resi conto di quanto fossero profetiche le parole di mia madre.

«Dannazione, dovrò aspettare il prossimo» imprecai, osservando l’autobus che sfrecciava in lontananza «Oltre che sciatta, anche ritardataria. Un perfetto modo di iniziare la giornata.»

Mi infilai le cuffiette dell’Iphone nelle orecchie e feci partire Spotify. Le note di Take me out dei Franz Ferdinand mi invasero il cervello, facendomi sospirare di piacere.

Mi sedetti sulla panchina della fermata. La sensazione dell’acciaio gelido sotto di me mi fece rabbrividire. Nonostante avessi addosso cappotto, sciarpa e berretto, avevo ancora freddo. Di certo non aiutava il tessuto leggero della divisa della Trinity. La camicia rigorosamente bianca faceva capolino dal raffinatissimo blazer blu abbinato ad una gonna, piuttosto corta per i miei standard, dello stesso colore. Il tutto completato da una cravatta a righe oro e blu, i colori della scuola. Mi strinsi le braccia con le mani, cercando di riscaldarmi.

Una mano si posò sulla mia spalla.

Mi voltai di scatto. Davanti a me se ne stava in piedi un ragazzo alto, moro, che mi fissava con curiosità attraverso un grande paio di occhiali dalla montatura nera. Mi tolsi una cuffietta, guardandolo con aria interrogativa.

«Non volevo essere invadente, ma sembrava che avessi freddo…» continuò lui, alzando le spalle a mò di scusa.

Mi riscossi «Beh, e se anche fosse?» La mia risposta suonò più scortese del previsto.

Lui si sedette affianco a me «Se fosse, ti avrei gentilmente prestato il mio bellissimo paio di guanti» spiegò, mostrandomi le mani, ricoperte da quelli che riconobbi come morbidissimi guanti di lana.

«Non credo che i guanti facciano la differenza…»

Lui assunse un’aria di diniego «Certo che fanno la differenza! Tieni, provane uno» disse, sfilandoselo dalla mano.

Lo assecondai sospirando. Era meglio morire congelata con un pazzo, piuttosto che da sola.

Mi fissò «Ebbene…?»

Dovetti ammettere a me stessa che un pochino di effetto lo facevano «Non è cambiato assolutamente niente» mentii.

Lui sorrise «Lo so che stai mentendo, è matematicamente impossibile resistere ai miei guanti.»

Sorrisi di rimando «È questa la scusa che usi per rimorchiare di solito?» 

«Perché, ha funzionato?»

«No» replicai seccamente, infastidita dal sentirmi arrossire. Per fortuna lui non ci fece caso, o perlomeno non me lo fece notare.

«Dylan» si presentò, porgendomi la mano priva di guanto.

«Giulia» risposi, stringendogliela a mia volta.

«Sei alla Trinity anche tu? Ho riconosciuto la divisa» mi disse, mostrandomi la cravatta blu e oro tra le falde del cappotto.

Mi misi in ordine una ciocca di capelli con la mano «Sì, sarebbe il mio primo giorno in realtà. Ma ho perso l’autobus, ovviamente.»

Sogghignò «Ti etichetteranno subito come una ritardataria incurante delle regole, lo sai vero?»

«Grazie per avermelo ricordato.»

«Sempre meglio di sfigato secchione, comunque.»

«Noto un vago tono di autocommiserazione» ribattei, sistemandomi l’orlo della gonna più giù sulle ginocchia.

Prima che facesse in tempo a rispondermi, notai l’autobus in lontananza e mi alzai dalla panchina.

Dylan mi imitò «Ti sbagli» mi rispose serio «Non era vago…»

Ridacchiai salendo sulla pedana del bus.

 

A causa della tarda ora l'autobus era così affollato che non mi fu possibile trovare due posti a sedere vicini.

Fui separata da Dylan a spintoni, ed, essendo già abbastanza in ritardo, non mi fermai ad aspettarlo quando arrivò il momento di scendere.

La scuola era più piccola di quanto mi fossi aspettata, ma in compenso la scale all’interno erano infinite. Odiavo le scale più di ogni altra cosa al mondo, riuscivo sempre a inciampare e fare capitomboli epocali.

Restai sgomenta ad osservare il mio peggior nemico finché il suono di una campana non mi riportò alla realtà.

La segreteria era a pochi metri dall'ingresso principale, e la individuai subito. Senza troppi complimenti domandai dove si trovasse l'aula in cui avrei dovuto trovarmi da ben quindici minuti.

La bidella mi indicò un preciso percorso nel dedalo di corridoi che era la Trinity. La ringraziai in fretta e mi misi a correre.

Dritto, poi girare a sinistra, quindi a destra e poi... cos'era poi? Ero quasi certa che avesse detto sinistra, ma come esserne sicuri?

Nella foga, mi dimenticai di guardare dove andavo e, in una scena che avrebbe fatto impallidire il migliore degli shojo manga, mi scontrai con un altro povero ritardatario, finendogli addosso.

«Oddio, scusa!» gridai, sentendomi le guance in fiamme.

Il suo corpo aveva attutito l’impatto del mio contro il pavimento di marmo, ma lui doveva essersi fatto decisamente male.

«Posso accompagnarti in infermeria!»

Sì, avrei potuto, se avessi effettivamente saputo l'esatta collocazione di questa. Purtroppo non ne avevo idea e fui così costretta a ritrattare.

«Cioé, chiamerò l'ambulanza.»

Perfetto, Giulia, chiama anche il 911 già che ci sei. E non dimenticare di avvertire l'ospedale psichiatrico, così potrai finalmente essere internata da pazza quale sei.

Inaspettatamente, il ragazzo scoppiò a ridere. Mi guardò dritto negli occhi, e, essendo il mio volto esattamente sopra il suo, potei notare la bellezza delle sue iridi nocciola.

«Intanto potresti lasciarmi alzare.»

Avvampai. Che stupida! Devo essergli sembrata una maniaca sessuale. Mi spostai in fretta, rialzandomi a mia volta. Tenni gli occhi bassi, incapace di sollevarli.

Era molto più alto di me.

«Non è successo niente di grave, in fondo» disse, passandosi una mano tra i capelli biondi «Io sono…»

Alzai lo sguardo e il mio cuore perse un battito.

«…strafigo…» dissi, con aria sognante.

Mi resi immediatamente conto dell'errore e mi portai una mano alla bocca, imbarazzata.

Il ragazzo scoppiò a ridere «No, in realtà il mio nome è Chris, ma se vuoi tu puoi chiamarmi strafigo» concluse, ammiccando.

La mia faccia ormai doveva essere diventata viola.

«Invece tu sei?» chiese, sorridendo.

Riuscii a controllarmi nonostante quell’incredibile sorriso mi facesse tremare le ginocchia, evitando così di ripetere la figuraccia «Giulia.»

Il sorriso di Chris divenne ancora più abbagliante.

Cercai di cambiare discordo «Ehm…sai dirmi dove si trova l'aula di letteratura inglese di Mr Claflin?»

Ci pensò su «È la prima porta a sinistra del primo piano. Ora però devo andare. Sarebbe bello poterti vedere di nuovo... Giulia.»

Ciò detto, sorrise di nuovo e se ne andò ridacchiando. Lo osservai finché non ebbe svoltato l'angolo.

 

«Buongiorno, scusi il ritardo!» a completare la scena mancava solo il saluto militare, che fui veramente tentata di fare.

Il professore era in piedi vicino alla lavagna, più alto di lei e decisamente più bello.

Non doveva avere più di trent'anni, calcolai, osservando la curva perfetta della sua capigliatura dorata.

Come mi vide piegò il collo, tentando di capire chi fossi.

«Tu devi essere Pisani Giulia, dico bene?» disse, gettando un’occhiata al registro.

«Sissignore!»

«Come mai così in ritardo?»

Mi paralizzai «Ho perso l'autobus» spiegai, la voce ridotta ad un mugolio flebile.

Il professore inarcò un sopracciglio, indeciso su come avrebbe dovuto prendere faccenda, infine sospirò «Va' a sederti, Pisani, e fa che non accada mai più.»

Mi guardai intorno, tentando di individuare un posto libero. Mi sentivo squadrata da tutti i presenti.

Qualcuno ridacchiava, ma i più si limitavano a fissarmi. Ringraziai mentalmente il responsabile dell’introduzione delle uniformi tutte uguali.

Un banco nella penultima fila era vuoto. L'altra metà era occupata da una ragazza bionda dall'aria tutt'altro che amichevole.

Vidi che la coppia di banchi in prima fila era vuota e feci per prendere posto su uno di essi, quando il signor Claflin mi fermò.

«È il tuo primo giorno qui, giusto?»

Annuii.

«Va' a sederti con Grace Stewart» mi rispose, indicandomi il posto in fondo all’aula.

La biondina sbarrò gli occhi «Mr Claflin, ma questo è il posto di Sheila!»

Il professore non distolse l’attenzione dalla lavagna, dove stava scrivendo con calligrafia accurata «Sentiamo, lei dove sarebbe in questo momento?»

La ragazza sbatté velocemente le palpebre, colta in contropiede «A casa» fu costretta a dire «Ma se fosse qua…»

«Con i se e con i ma non si fa la storia. Stephens non è presente a lezione, di conseguenza il suo posto è libero. Siediti, Pisani, vederti girovagare come una senzatetto è disturbante» concluse, con un tono che non ammetteva deroghe.

Senza parole, obbedii.

Grace sbuffò contrariata e iniziò a spostare le sue cose, lasciando posto alle mie.

«E ora continuiamo la lezione. Andate tutti a pagina trentadue del vostro libro.»

 

  
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