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on doveva andare così…
Il
silenzio era ritornato a Pennington Mansion. Niente più urla, niente più
lamenti; solo una fragile quiete aleggiava negli ambienti desolati,
annullandoli col suo tetro manto. Tale equilibrio non era niente più che una
mera apparenza. Lo sapeva. Aveva percepito i singulti di Emily farsi sempre più
flebili mentre Keiran la riaccompagnava al sicuro nel salotto insieme a Sarah,
cercando di rincuorarle come meglio poteva. Aveva assistito al momento in cui Mark
era comparso nella sala, osservando con occhi sbarrati il corpo della sorella. E,
infine, aveva provato le ripercussioni della rabbia del giovane. Incontenibile,
distruttiva, era divampata come un incendio, prendendo il controllo della sua
mente e accecandogli la ragione. John aveva dovuto trattenere l’amico con la
forza mentre inveiva e malediceva Ren, provando a liberarsi dalla presa che lo
bloccava dall’ottenere vendetta. Il suo volto si era deturpato dalla cieca ira
che bruciava in lui. E quando l’aveva finalmente scorta…
Alex non aveva avuto il benché minimo cedimento. Era
abituata a suscitare nelle persone le più disperate reazioni; lei stessa le
studiava, cercando di comprenderle. Ed era per questo che non aveva reagito,
limitandosi a rimanere in silenzio mentre Mark la incolpava della morte della
sorella. Lei e Ren erano degli assassini. Sarebbero dovuti morire loro al suo
posto. Come ribattere di fronte a quella patetica manifestazione di dolore? Alla
fine era solo un ragazzo che non voleva accettare la perdita di un famigliare.
C’era voluto molto tempo prima che Mark ritornasse in
sé. Più di quanto avesse sperato a dire il vero. Senza forze, si era accasciato
a terra accanto al corpo della sorella. Le aveva chiuso gli occhi e, incurante
delle grottesche ferite, l’aveva stretta a sé, accarezzandole i capelli e
mormorando parole insensate. John lo aveva lasciato piangere in silenzio per
qualche momento, poi gli aveva posato una mano sulla spalla, richiamando la sua
attenzione. Dopo un paio di tentativi, era riuscito a convincerlo a spostare il
corpo di Dakota in un posto più indicato. Ren si era prodigato ad aiutarli e
Mark non aveva emesso una parola di protesta quando si era avvicinato alla
sorella perduta. Eppure, nei suoi occhi vi era ancora quella scintilla; una
scintilla di puro odio, destinata a perdurare a dispetto di ogni buon’azione.
Alex li aveva osservati allontanarsi come un triste
corteo funebre finché la sua attenzione non era stata calamitata altrove. Non
seppe esattamente che cosa l’aveva distratta, ma quando si era voltata verso lo
scalone, lei era lì. La bambina aveva ricambiato il suo sguardo, sostenendolo
imperturbabile per un lungo istante. E poi, così come era apparsa, se ne era
andata, salendo i gradini con una calma quasi rivelenziale. Solo il tocco di
Gregory l’aveva rinsavita. Si erano guardati l’un l’altro per un breve istante,
per poi dirigersi verso i gradini.
E ora, seduta sulla scalinata, Alex non poteva fare a
meno di chiedersi il motivo di quella cerimonia. Si passò le mani tra i capelli
scompigliati, gettandoseli dietro le spalle con una mossa infastidita. Quando
le sue dita estrassero l’ennesimo pezzo di muratura che le era rimasto
incastrato nella chioma, si limitò a gettarlo oltre il corrimano con uno sbuffo.
Al suo fianco, Gregory osservava un punto indefinito davanti a sé, perso nei
suoi pensieri. Inclinato in avanti con le mani congiunge sulle ginocchia, era
di un pallore spettrale che forse avrebbe dovuto preoccuparla. Non avevano
parlato molto di quello che era accaduto. Anzi, non avevano parlato affatto. Entrambi
avvertivano semplicemente il bisogno di schiarirsi le idee per conto loro, ma
la reciproca compagnia non li recava alcun disturbo. O, forse, il ragazzo era
rimasto con l’unico scopo di controllarla e prevenire un’altra fuga. Anche se
era più probabile che desiderasse riprendere il controllo di sé senza far
notare a Emily la sua temporanea debolezza.
Alex inclinò il capo, appoggiando una guancia contro
la balaustra. Da quella posizione riusciva a scorgere il punto in cui Dakota
aveva terminato di esistere. Chiuse gli occhi per un istante, rivedendo
mentalmente la scena, più e più volte, analizzandola in ogni dettaglio alla
ricerca di qualcosa. Non era certo il primo cadavere che vedeva in vita sua, ma
non era questo a turbarla. No, aveva ben altre motivazioni.
«Non doveva andare così…» mormorò irritata, dando voce
ai suoi pensieri. Senza preavviso, si ritrasse dal parapetto per appoggiare a
tradimento il volto sulla spalla dell’amico.
Preso alla sprovvista da quel gesto inaspettato,
Gregory sussultò, quasi lieto da quel principio di dialogo. Titubante, le diede
qualche buffetto sul capo, come se temesse di perdere qualche dita nonostante
il permesso insito in quel gesto. «Lo so. È assurdo. Non posso credere che sia
morta» si limitò a rispondere.
«È
davvero una gran seccatura» continuò Alex, sbuffando.
Gregory s’irrigidì. Inclinò il viso verso di lei per poterla
osservare con attenzione, incapace di credere a ciò che avevano udito le proprie
orecchie. Alex poté avvertire il suo respiro tra i capelli. «Non immaginavo che
la morte di Dakota ti turbasse così tanto. O che t’importasse qualcosa di lei… Voglio
dire, voi due non siete mai andate d’accordo» constatò sospettoso, cercando di
capirci qualcosa.
Fu il turno di Alex a essere presa alla sprovvista. Si
distaccò da lui e ricambiò il suo sguardo con un’espressione interrogativa.
«Eh? Di che cosa stai parlando? La sua morte in sé non mi disturba. Ciò che
m’infastidisce è il fatto che fosse l’unica tra noi a sapere qualcosa di questa
casa. E solo gli dei sanno quanto disperatamente abbiamo bisogno di capirci
qualcosa…»
Nero su bianco. Gregory non si prese il disturbo di
ribattere. Rimase interdetto per qualche istante, per poi sospirare affranto. «Perché
continuo a stupirmi?»
«Scusa se non mi metto a piangere» sbottò lei in
risposta al suo tono amareggiato. «Magari con un po’ d’impegno dovrei
riuscirci. Aspetta, ora ci provo…»
«Alex! Smettila di scherzare» la rimbeccò Gregory,
tornando composto. Questa volta non si voltò solo con il viso; tutto il suo
corpo si protese verso di lei, in modo d’affrontarla apertamente. Le sue mani
si agitarono impazienti. «Dakota è appena morta! Mark è distrutto, Emily e
Sarah sono sotto shock, Leyla è ancora dispersa, probabilmente Ren si ritroverà
con una pallottola nella schiena e… Ed eccola che mangia…»
«Che c’è? Ho fame!» sentenziò lei, addentando uno dei
Twinkies che aveva rubato a Emily. «E stai iniziando a diventare noioso. Motivo
per cui ne approfitto per intrattenermi con altro. Se non ti fosse chiara la
situazione, siamo intrappolati in una casa infestata da fantasmi e chissà che
altro. Al tuo posto mi stupirei di essere ancora in grado di respirare e non
perderei tempo a compiangere i morti. Quelli al momento hanno ben altro da
fare.»
Gregory scosse la testa. Si prese il viso tra le mani,
trattenendo un grido di frustrazione, ma quando ritornò a scrutarla, qualcosa
nel suo sguardo la mise in allerta. I suoi occhi le sondavano viso, alla
ricerca di qualcosa che, a quanto sembrava, non c’era. Alex incominciò a
masticare sempre più lentamente, improvvisamente a disagio.
«Perché non hai paura, Alexander?» mormorò il giovane,
come se stesse cercando di decifrare un enigma.
Ingoiò il boccone, che le scese amaro giù per la gola.
«Paura? Certo che ho paura. Solo uno sciocco non ne avrebbe.»
«Non mentire. Non con me. Non ne hai motivo.»
Alex strinse le labbra, resistendo all’impulso di
andarsene. Finì il resto della merendina con un morso, per poi togliersi con
gesti bruschi le briciole ai lati della bocca. Gregory non le mise fretta, ma
il suo sguardo rimase fisso su di lei, rendendola sempre più infastidita. Alla
fine, si arrese e scrollò le spalle. «Perché uno dovrebbe avere paura di una
pozzanghera quando ha visto ciò che si nasconde nell’abisso?» sussurrò,
appallottolando la cartina del Twinkies.
«Che cosa significa?»
Alex fece spallucce, imperturbabile. «Significa che là
fuori c’è molto di peggio. E sai cosa si fa in questi casi?»
«Illuminami.»
«Si fa amicizia.»
Gli occhi di Gregory assunsero una sfumatura
esasperata oltre che guardinga. «Ed è quello che hai fatto fino adesso?»
«Esattamente. Certo devo ancora risolvere qualche
problema tecnico e trovare qualche indizio che non sia eticamente compromesso,
ma direi che come primo approccio è andato bene. Non è morto… No, aspetta.
Qualcuno è morto» concluse con un attimo d’ingenuità.
Gregory non commentò quella sua mancanza di tatto.
Ormai era diventata un’abitudine. Prendere o lasciare. «Quindi sei riuscita a
metterti in contatto con dei… fantasmi?» mormorò.
«Mi stupisce, mr. Gregory. Non è da lei dimostrare
così poca attenzione durante le mie spiegazioni» sentenziò lei, fingendosi
offesa.
«Alex… Com’è possibile?»
«Cosa? L’essere distratti? In realtà è situazione
piuttosto comune.»
Il ragazzo scosse il capo. «Ok, ammetto che in questa
casa sono accaduti fatti… raccapriccianti. Ma perdonami se metto in dubbio
quanto mi dici. Voglio dire… sono fantasmi!»
Alex rimase in silenzio, aspettando che l’amico
continuasse il suo discorso. Quando le fu chiaro che quella strampalata
dichiarazione era tutto ciò che aveva da dire, scrollò le spalle e inarcò un
sopracciglio. «Esatto, sono fantasmi. E a quanto pare sono più svegli di te,
dato che non si perdono in certe piccolezze. E se consideriamo il fatto che non
possono comunicare con noi è grave.»
Gregory ebbe la decenza di arrossire imbarazzato, per
poi ritornare improvvisamente serio. «Va bene, mettiamo che hai ragione, ciò
non toglie che non sappiamo ancora quello che è avvenuto veramente tra queste
mura. Quindi, cosa pensi di fare?»
Alex rimane in silenzio per qualche istante,
attorcigliandosi la catenina che portava al collo su un dito. Dopo aver
osservato con insistenza il vuoto davanti a sé con gli occhi che le brillavano
malevoli, rivolse al giovane uno sguardo pieno di significato. Una smorfia
divertita le comparve sul viso. «Non ne ho la più pallida idea. Tuttavia, alla
luce dei fatti, non posso che sperare nell’aiuto dei miei piccoli nuovi schi…
amici.»
«Non ne hai idea, eh?» ripeté Gregory, per nulla
convinto. La scrutò intensamente, ma Alex non fece una piega. Anzi, ricambiò il
suo sguardo con un ampio sorriso. «E ti fidi veramente di quei… fantasmi?»
Si limitò a lanciargli uno sguardo eloquente. «Non mi
fido dei vivi, perché dovrei fidarmi dei morti? E, per favore, puoi smetterla
di dire “fantasmi” con quel tono incredulo? Inizia a infastidirmi. E dire che
dei due la scettica sarei io.» Detto questo, Alex si alzò e allungò le braccia
sopra il capo, stiracchiandosi. Dopo aver inarcato la schiena, posò le mani sui
fianchi. Incominciò a guardarsi attorno, tamburellando le dita con impazienza. «Dobbiamo
assolutamente arrivare in fondo a questa faccenda. Persino il più piccolo
dettaglio può essere…» si bloccò.
«Alex?» Gregory si raddrizzò e la raggiunse,
preoccupato per il suo improvviso silenzio. Quando non gli rispose, seguì il
suo sguardo, del tutto focalizzato verso il quadro. Dato che non diede segno di
averlo udito, riprovò. «Alex, cosa c’è?»
«Il quadro» esclamò lei, senza guardarlo. «È storto.»
Nell’udire quell’affermazione, Gregory non poté fare a
meno che inarcare un sopracciglio. «Sì… Quindi?»
Alex abbassò il capo, chiuse gli occhi e sbuffò.
«Quindi da quando i quadri si muovono?»
«Deve essersi sposato durante la caduta di Dakota.»
«Poco credibile. L’impatto è stato violento, ma l’urto
ha compromesso solo il soffitto e non si è propagato lungo le mura. Inoltre,
anche se le vibrazioni del colpo fossero state abbastanza forti, se
consideriamo le dimensioni della tela e il materiale della cornice, il quadro è
semplicemente troppo pesante. Quindi le soluzioni sono due: o è sempre stato
così inclinato, il che è impossibile dato che il mio cervello avrebbe fin da
subito registrato l’angolatura, o è stato spostato manualmente. E, tanto per la
cronaca, non è solo inclinato, ma anche scostato a giudicare dall’ombra che
proietta sul muro. Hai altri dubbi?»
Gregory si limitò a rimanere in silenzio, la bocca
tirata in una linea sottile. Dopo un paio di respiri, rilassò le spalle. «E va
bene. Che devo fare?»
«Mettiti in ginocchio.»
La guardò male. «Cosa?»
Alex si voltò. Nonostante gli arrivasse a malapena
alle spalle, il carisma che emanava compensava quella carenza in centimetri e
il suo sguardo gli diceva che qualsiasi protesta sarebbe stata puntualmente messa
a tacere. Non aveva molta scelta. «Io non ci arrivo. Tu neppure. L’unica
soluzione è quella di collaborare.»
«Se proprio insisti» sospirò riluttante il ragazzo. Si
mise in ginocchio come stabilito ma, non appena Alex gli salì sulle spalle,
dovette trattenere un ansito. Si raddrizzò a fatica, ondeggiando
pericolosamente nel tentativo di ritrovare il proprio equilibrio. Dalle labbra
gli fuggì un gemito. «Mio dio, ma quanto pesi?»
«Sta zitto e avvicinati» esclamò lei, rifilandogli un
calcio sul petto. Una volta addossati alla parete, Alex si mise all’opera.
Valutò con il tatto la resistenza del gancio e, quando fu certa che il quadro non
li sarebbe crollato addosso schiacciandoli, incominciò a ispezionarlo.
«C’è qualcosa» gli disse, mentre affondava sempre più
il braccio nel retro della tela. «Dammi un secondo.»
«Anche due se vuoi. Tanto non ho fretta» si lamentò
Gregory, facendola sbuffare.
«Ok, ci sono…» Alex diede uno strattone, riuscendo a
estrarre dal retro del dipinto quello che aveva tutta l’aria di un piccolo
quaderno logoro. «…Preso!»
Ma la sua espressione vittoriosa ebbe vita breve. A
causa del suo slancio, s’inclinò troppo all’indietro, trascinando con sé anche
Gregory. Il ragazzo perse l’equilibrio ed entrambi caddero rovinosamente per
terra in un coro di gemiti e lamenti.
Indolenzita in diversi punti, Alex si puntellò sui
gomiti per rialzarsi, ma qualcosa che si muoveva al di sotto della sua gonna
catturò la sua attenzione. Non riuscì a trattenere un sorriso sornione. «Ti
stai divertendo là sotto?» domandò pigramente.
Gregory s’irrigidì. Senza darle il tempo di
ridacchiare, si tolse in fretta e furia dalle sue gambe, arricciandole la gonna
fino alle ginocchia. Quando riemerse, aveva il viso in fiamme e i riccioli neri
spettinati in tutte le direzioni. Quella visione servì a farla sorridere ancora
di più. La sua timidezza non era solo un impedimento sociale, ma anche una
continua fonte di divertimento.
«Tranquillo. È tutto a posto» sentenziò, prima che
iniziasse a balbettare scuse prive di senso. Si mise seduta incrociando le
gambe ed esaminò il piccolo quaderno che reggeva in mano. Dalla copertina
rovinata e dallo stato delle pagine ingiallite, doveva trovarsi in quella casa
da molto tempo. Fece per aprirlo, ma si accorse dell’aria dubbiosa di Gregory.
Alzò lo sguardo, incuriosita dalla sua reazione. «Che cosa c’è?»
Il ragazzo scosse il capo, sebbene la sua fronte
rimase aggrottata. «Nulla è solo che… Probabilmente mi sbaglio. Continua pure.»
Alex inarcò un sopracciglio, ma lo assecondò. Sfogliò
il libro e, quando i suoi occhi scorsero le parole scritte a mano che
spiccavano sulla prima pagina, non poté fare a meno che strabuzzare gli occhi
dalla sorpresa.
«Gilman…»
«Lo conosci?» chiese Gregory, che ne frattempo si era
sporto per poter osservare anche lui il contenuto del loro ritrovamento.
Alex scosse il capo. «No, ma ho trovato la planimetria
della villa con la sua firma. Deve essere l’ultimo proprietario o, per lo meno,
il responsabile del progetto di ristrutturazione. E questo…» la sua voce si
affievolì, mentre girava le pagine. «… è il suo diario.»
«Quindi abbiamo fatto bingo.»
Alex alzò gli occhi dal diario e squadrò l’amico.
«Bingo? Forse abbiamo trovato la soluzione al nostro problema. O almeno così
spero. Forse questo Gilman ha riportato qualcosa che potrebbe aiutarci a capire
come agire. Magari persino qualche dettaglio sui nostri ospiti. Eppure…»
Chiuse il diario, tenendolo sulle sue gambe.
Mordendosi l’interno della guancia, Alex riportò lo sguardo sul quadro, per poi
osservare la sala con sospetto. «Non mi convince.»
«Perché?» le domandò Gregory, sorpreso dal cambio
repentino della sua espressione.
«Prima di tutto, perché nasconderlo in un posto del
genere? Perché non lasciarlo in bella vista se lo scopo era quello di farlo
rinvenire? E poi chi ha avuto la brillante idea di metterlo lì? È solo un caso?
Devi ammettere che è sospetto.»
Gregory non rispose. La scrutò in silenzio per qualche
istante, per poi aggrottare la fronte. «Devi sempre fare così tante domande?»
Alex incassò il colpo e l’osservò come se avesse
appena detto una stupidaggine. «Quando si tratta della mia vita? Sì, sempre. Mi
piace filosofeggiare mentre tento di non farmi uccidere. A volte aiuta.
Dovresti provare.»
«Grazie del consiglio» mormorò lui, lanciandole
un’occhiataccia. Si passò una mano sulla fronte, scostando qualche ricciolo
ribelle. Riportò la sua attenzione sull’oggetto della loro discussione. «Ad
ogni modo dovresti leggerlo. Giusto per non tralasciare qualcosa d’importante.
Alle tue domande penseremo poi, ok?»
«Va bene» disse poco convinta. Fece per riaprire il
diario quando dei passi attirarono la loro attenzione. Dopo qualche istante,
Keiran apparve nella loro visuale, osservandoli confuso.
«Che cosa ci fate ancora lì? Ah, non importa. Emily
chiede di voi… Beh, di Alex in realtà. Credo che abbia paura di vederti al
posto di Dakota se continuerai a fare di testa tua.»
«E morire di una morte così poco violenta? Che
divertimento ci sarebbe?» chiese lei, lasciandosi andare con un sospiro.
Riportò incerta lo sguardo sul quaderno che giaceva sulle sue ginocchia, ma
Gregory anticipò ogni sua risposta.
«Non preoccuparti. Ci penso io a tranquillizzarla.
Promettimi solo che non te ne andrai di nuovo.»
Alex esaminò i due ragazzi, per poi annuire
lievemente. Keiran fu sul punto di replicare, ma l’amico l’agguantò per una
spalla e lo ricondusse verso la loro base operativa. Prima di svoltare
l’angolo, Gregory le rivolse uno sguardo apprensivo, al quale Alex ricambiò con
un misero sorriso.
A volte era davvero comodo avere un amico.
Una volta che i due ragazzi furono scomparsi inseguiti
dal loro parlottio, Alex ritornò a concentrarsi sulla sua nuova scoperta.
Riaprì il diario e lo sfogliò finché non s’imbatté nel momento che le serviva.
Trattenne il suo entusiasmo e incominciò a leggere.
28 giugno
1965
Il primo sopralluogo è stato un
successo. Le condizioni della villa sono pessime, ma non ci sono segni di
vandalismo o d’infestazione, il che può considerarsi un miracolo dati gli anni di
questo rudere. Questo ci farà non solo risparmiare tempo, ma anche un mucchio
di soldi.
Ho già molte
idee per il pianterreno e anche il primo piano sembra auspicare bene. Tuttavia,
prima di procedere oltre, dovrò aspettare il prestito dalla banca. Se saranno
colpiti dai risultati ottenuti, finanzieranno senza problemi anche il resto del
progetto.
Il giardino
sarà l’ultimo a essere rimesso a nuovo. Aspetterò l’arrivo di Martha e delle
gemelle. Ho avuto la fortuna di sposare non solo una valente artista, ma anche
una donna dall’incommensurabile pollice verde. Sono certo che si divertirà a esplorare
l’immenso parco della tenuta. Persino il boschetto ai margini si potrebbe
riutilizzare per qualche progetto. Per
quello che mi riguarda, è già una fortuna che Mrs. Bubble -il cactus preso da
mia moglie durante la luna di miele- sia ancora vivo. Le avevo detto di non
affidarmelo, ma lei ha insistito; è il nostro portafortuna e solo dio sa quanto
ne ho bisogno in questo momento.
Domani io e
la squadra decideremo il piano per l’impianto elettrico e le tubature. Spero di
non trovare brutte sorprese.
9 luglio 1965
I lavori procedono bene. Durante le
pause mi sto dedicando alla catalogazione di ciò che è rimasto all’interno
della villa. Ho già contattato un esperto di antiquariato che vive qui vicino
nella speranza di poter quantificare il tutto. Nel migliore dei casi, potrei
finanziare i lavori ancora per un po’ con la vendita di alcune cianfrusaglie. I
miei angeli custodi mi hanno spedito una cartolina per il 4 luglio. Mi mancano…
molto. Ma una volta terminato questo progetto potremmo finalmente voltare
pagina. Nota: Mrs. Bubble ha preso una sfumatura giallognola. Domani mattina andrò
a comprare qualcosa per tirarla su di morale. Io l’avevo detto a Martha che non
sono portato con le piante.
17 luglio
1965
Hamebus Lux! O almeno credo. Si dice
così?
Siamo
riusciti a far partire l’impianto elettrico al pianterreno. Un miracolo! Per
quanto riguarda il collegamento con il piano attiguo siamo ancora in alto mare,
ma sono fiducioso. Le lampade funzionano perfettamente e questo luogo inizia a
essere meno lugubre. Tuttavia alcuni operai sono ancora restii a lavorare nella
zona dei dormitori. Posso capire che l’evento che si è consumato tra queste
mura sia terribile, ma appartiene al passato. Non dobbiamo farci frenare da
certe sciocche superstizioni.
20 luglio
1965
Mrs. Bubble ci ha definitivamente
lasciati. Domani la seppellirò in giardino.
27 luglio
1965
E anche le tubature sono state cambiate.
Quelle di prima erano un ammasso di ruggine ingestibile. È ancora presto per
cantare vittoria, potrebbero esserci delle perdite o dei problemi con la
caldaia, per cui dovrò tenere gli occhi aperti. Nel frattempo ho ricevuto il
responso dell’esperto e non è confortante: l’eredità della villa è quasi tutta
robaccia. Incredibile, ma vero, i Pennington se la stavano passando male già da
un bel po’, al punto da ricorrere a dei falsi per mantenere la loro facciata
privilegiata. Insomma, ostentavano ricchezze che non avevano. Ora capisco
perché mia nonna ha voluto distaccarsi dalla famiglia…
Alex dovette fermarsi. Perplessa, si rese conto di un
dettaglio non di poco conto: Mr. Gilman era uno dei discendenti dei Pennington.
Quindi aveva effettivamente un collegamento con quella casa. Con rinnovato
vigore, riprese la sua lettura.
29 luglio
1965
Dopo aver venduto il pianoforte nella
sala da pranzo a un pezzo stracciato, sono rimasto sorpreso nel scoprire che
quell’ammasso di legno e tasti abbandonato nella sala di musica vale almeno il
triplo. Avevo dato istruzioni per trasportarlo fuori in modo da rimetterlo in
sesto in attesa di qualche compratore, quando gli operai sono corsi fuori
urlando a più non posso. Ecco cosa succede quando si assume gente del posto.
Siamo andati a controllare la situazione, ma tutto sembrava in ordine, eccetto
lo sgabello rovesciato. Gli uomini incaricati del trasporto si sono rifiutati
di entrare, affermando di aver percepito una presenza inquietante alleggiare su
di loro. Inutile dire che ho dovuto chiamare un tecnico esperto per una visita
a domicilio. A parte il prezzo, l’accertamento è andato bene, anzi, l’uomo è
rimasto sorpreso dalle buone condizioni dello strumento. L’unico problema
rimane spostarlo.
31 luglio
1965
Io… non so che cosa ho visto. Deve
esserci qualche strana muffa nell’aria, ecco perché sono tutti così inquieti.
Tra non molto ci saranno le ferie estive ma, a dispetto delle raccomandazioni
ricevute, ho deciso di stabilirmi qui per andare avanti con il lavoro. Ora che i
servizi e l’elettricità funzionano senza problemi non mi mancherà niente. Anzi,
risparmierò molto tolte le spese del motel. O almeno, era quello che pensavo
fino a questa mattina. Deciso a spostare quel dannato pianoforte anche a costo
di trascinarlo da solo, mi sono recato nella sala di musica con le migliori
intenzioni di questo mondo, eppure…
No, non è
possibile.
Deve essere
stato solo un miraggio causato dal troppo lavoro. Quella bambina era solo una
proiezione del mio subconscio. E poi tutti lo sanno: i fantasmi appaiono di
notte, non in pieno giorno!
Forse dovrei
prendermi un periodo di riposo, ma c’è ancora così tanto da fare. I pavimenti
devono essere rimessi a nuovo, così come i muri; alcuni hanno ancora le
tubature scoperte. Per non parlare del resto della casa! Avevo promesso a
Martha di ritornare a casa per l’inizio del nuovo anno scolastico, in modo da
accompagnare le gemelle al loro primo giorno di scuola, ma ora non sono così
sicuro di poter mantenere la mia parola…
Come se qualcosa l’avesse colpita a tradimento, Alex
scattò in piedi come una molla. Strinse il diario tra le mani così forte da
spiegazzarlo, ma non se ne curò molto. La sua mente stava già elaborando quanto
aveva appena letto e studiando le diverse possibilità di quell’apparizione. Quella
bambina… Chiuse gli occhi al ricordo di quello che era accaduto nel salotto.
Poteva ancora sentire dentro di sé quella forza misteriosa strisciarle
sottopelle con il chiaro tentativo di dominarla, soffocarla. E lei era lì. La
piccola era indubbiamente coinvolta e non in senso buono. Tuttavia le servivano
delle prove concrete, prove non alterate dal tempo o da delle semplici ripicche
infantili. Ecco perché avrebbe dovuto procurarsele da sé e Mr. Gilman le aveva
gentilmente offerto un punto di partenza.
Aspirando l’aria tra i denti, depose il diario nella
borsa e si preparò a esplorare la sala di musica. Scese gli ultimi gradini con
un balzo ma, prima di dirigersi verso la sua meta, si arrestò. Persa nei suoi
pensieri, sollevò lo sguardo fino ad ammirare il quadro e i volti riportati in
esso, scrutandoli uno per uno. Dopo qualche momento di silenzio, un sorriso
ferino si distese sul suo volto, rispecchiandosi nei suoi occhi con una luce
malevola.
«Molto bene... Giochiamo.»
A risponderle fu una fitta alla tempia. Portandosi una
mano al viso, Alex annaspò, cercando di schiarirsi la vista annebbiata da
quell’improvviso attacco. Le sue orecchie si riempirono di urla, che si
acquietarono all’improvviso, lasciandola senza forze. Cadendo in ginocchio sul pavimento,
si costrinse a inspirare a fondo, per poi rilasciare l’aria con un sibilo. Così
com’era apparso, il dolore scemò, confondendola per quel breve ma intenso
intermezzo. Si guardò intorno, cercando di riprendersi, quando un suono
inatteso la costrinse a immobilizzarsi.
Per la seconda volta in quella lugubre serata, un
ringhio echeggiò tutt’intorno, seguito da uno scalpitio di unghie che
graffiavano contro il pavimento. Alex si girò lentamente, giusto il tempo di
poter scorgere un ammasso di pelo comparire nel lato esterno della sala. E fu
allora che li vide. Completamente spiazzata, non osò emettere un fiato, mentre
quelli che apparivano come tre, no, quattro grossi lupi, si spintonavano verso
il muro. Anche se definirli lupi era un complimento in assenza di aggettivi
migliori. Erano della stazza di un pony, dal folto pelo che sembrava fatto di
tenebra e fumo. Nonostante la stazza, i loro movimenti possedevano un’eleganza
ferina; scivolavano come ombre nel corridoio muovendosi cauti. I loro occhi
ardevano come braci nella penombra.
Sperando di non attirare le loro amabili attenzioni,
Alex si rimise in piedi con mosse lente e controllate. Ma non fece nemmeno in
tempo a compiere un passo all’indietro che un corno risuonò in lontananza,
facendo rizzare le orecchie agli animali e sobbalzare lei. Come risposta a quel
richiamo, le bestie incominciarono ad abbagliare e a ululare, graffiando il
muro con le loro possenti zampe. E fu allora che Alex notò i lembi di tulle
intrappolati nei loro artigli.
Dakota.
Il corno risuonò di nuovo e questa volta le fiere
uggiolarono frustrate, impossibilitate a raggiungere il loro… Un momento! Se la
barriera che li teneva bloccati lì, voleva dire che agiva solo dall’interno e
quindi…
Uno dei lupi sollevò il capo, annusando incuriosito
l’aria. Alex s’immobilizzò, trattenendo il respiro. Uno dopo l’altro, i
predatori si voltarono nella sua direzione, riducendo gli occhi a due fessure
malevole quando si accorsero della sua presenza. I muscoli di Alex si
prepararono a scattare in preda al disperato tentativo di mettersi in salvo, quando
qualcosa di freddo e piccolo l’agguantò per un braccio, sospingendola
all’indietro con una forza sorprendente. Quell’attimo di distrazione fu
sufficiente. In un battito di ciglia, nell’androne ritornò il silenzio.
Alex era rimasta immobile per tutto quel tempo.
Confusa, scrutò i dintorni, accertandosi di essere da sola con quasi una punta
di delusione. Che cosa era appena accaduto? Forse Gilman aveva ragione riguardo
alle muffe. Portandosi una mano sul viso, cercò di calmarsi e di fare il punto
della situazione. Non doveva bloccarsi, non ora che aveva una pista da seguire.
Ciononostante, l’inquietudine incominciò a serpeggiare nel suo corpo.
Non era il momento giusto per soffrire di
allucinazioni. Ma forse Keiran aveva ragione a preoccuparsi. Dopotutto era Samhain;
la notte in cui non solo gli spiriti riuscivano a ritornare nel regno dei vivi,
ma anche i cacciatori.