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Autore: Ormhaxan    03/08/2017    0 recensioni
Scandinavia, IX secolo. Hrafnhildr giunge con il mutare della marea nell'isola di Fyn, regno danese sotto il dominio di Guthrum, spietato comandante vichingo al quale offre i suoi servigi di donna guerriera e di veggente. Guthrum non si fida di lei, così come non si fida Einarr, temuto jarl al suo servizio, eppure ben presto le profezie di Hrafnhildr si dimostreranno vere: quando giungerà il momento di salpare verso le terre a ovest degli angli e dei sassoni, di conquistare i loro fragili regni, entrambi gli uomini si ritroveranno ad avere disperato bisogno del suo consiglio e dei suoi divini presagi, affascinati da quella giovane donna tanto bella quanto misteriosa.
I corvi sono pronti a spiccare il volo, ad affondare i loro artigli nella carne di sovrani deboli e corrotti, far conoscere al mondo la forza e la grandezza dei Figli del Nord.
[Secondo capitolo (indipendente) della serie dedicata ai condottieri norreni che, nel tardo IX secolo, conquistarono con la loro Grande Armata i regni dell'allora Inghilterra.]
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Medioevo
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Quando, quella sera, Einarr si era seduto accanto al fuoco e agli altri jarl al servizio del Danese aveva sperato di parlare per lungo tempo di piani di battaglia e rotte marittime; quando, invece, Guthrum gli aveva ordinato di seguire la Veggente fuori la tenda che lui stesso aveva aiutato a costruire, la sorpresa e il disappunto dell’uomo erano stati grandi.
Nonostante questo, però, il biondo norreno aveva eseguito gli ordini con un cenno del capo e, in silenzio, aveva iniziato a seguire le orme lasciate dalla Veggente sulla spiaggia, raggiungendola poco dopo: Hrafnhildr era palesemente scossa, i suoi occhi erano sgranati nell’oscurità circostante e le sue parole erano state colme di sangue e morte.
Einarr aveva ascoltato, seppur confuso, ogni singola parola che la giovane donna gli aveva confessato e, per la prima volta da quando si erano incontrati, il norreno si chiese cosa la spingesse a continuare a servire quegli déi che, era chiaro, godevano nel tormentarla e burlarsi di lei.
Proprio come avevano fatto tanti anni prima con lui.

“Perché lo permettete? – le aveva chiesto, provando una genuina pena per lei, avvicinandosi di qualche passo alla figura in penombra dell’altra – Perché permettete ai capricciosi Æsir di farvi questo, di giocare con la vostra vita?”
“Non ho scelta. – il sorriso che le si dipinse sul suo volto fu il sorriso più triste che Einarr avesse mai visto – Ho provato, tentato di combattere ciò che sono, ma è inutile: Odino, Freya, Thor, tutti loro mi parlano attraverso i sogni e i vaticini, che io lo voglia o no. Nulla possiamo noi contro di loro, contro la loro volontà e i loro capricci.”
“Siamo troppo egoisti e avidi per farlo.”
 Sussurrò Einarr, distogliendo lo sguardo: in quel momento, nella mente del norreno, tornarono a prendere forma ricordi da troppo tempo tenuti lontani, memorie di un tempo in cui era stato felice, in cui quella stessa felicità si era trasformata in tragedia e cenere tra le sue sesse mani.  
 “È stato proprio il mio orgoglio e la mia ambizione a portarmi alla miseria. - sospirò, prendendo coraggio — Astrid…”
Einarr sapeva che Hrafnhildr aveva già udito quel nome, che aveva saputo del suo passato, della sua defunta moglie, lo capì dallo sguardo che gli riservò. Senza poterlo impedire, iniziò a parlare e raccontare, bisognoso di dire ciò che non aveva mai detto a nessuno.
“È così che si chiamava. Astrid, la mia bella e giovane moglie che io stesso ho ucciso.”


 
**



Aveva quindici anni la prima volta che la conobbi. Era la figlia di un nobile da sempre alleato della nostra famiglia, la sua primogenita ed io ero un uomo già fatto e finito, un vichingo che aveva viaggiato a Est e ucciso i suoi nemici.
L’amai immediatamente, fu facile per me farlo e ben presto le donai il mio cuore.
Ci sposammo in una notte di luna piena, mite, attorno a dei fuochi che squarciavano con le loro lingue rossastre l’oscurità della sera; ci sposammo alla presenza degli dei, davanti ad un goði che intrecciò le nostre mani e le nostre vite per sempre.
Astrid era dolce, gentile, in poco tempo conquistò l’affetto di tutti i suoi sudditi, ma il suo ventre non germogliava. Dopo più di due anni dalla nostra unione, il suo ventre continuava ad essere arido come un terreno dopo mesi di siccità.
Più il tempo passava, più la mia giovane moglie si sentiva inutile, indegna di sedere accanto ad uno jarl tanto famoso quanto rispettato; più il tempo passava, più le voci di una sua infertilità aumentavano, così come le voci che chiedevano lo scioglimento di quei voti fatti alla presenza di Odino e di tutti gli Æsir affinché io potessi essere libero di risposarmi.
Nonostante ciò, io continuavo ad amare Astrid incondizionatamente, fiducioso che un giorno non troppo lontano il figlio tanto desiderato sarebbe giunto.
Altre due lune arrivarono e passarono e con esse arrivò nuovamente il sangue che bagnò le cosce e la lunga tunica di lino della mia sposa. Astrid sembrava l’ombra della ragazza solare che un tempo era stata, non si dava pace, così decisi di fare ciò che non avevo avuto il coraggio di fare fino a quel momento: chiedere consiglio al Veggente, domandare un suo vaticino circa il mio futuro, il futuro della mia famiglia.

— Vedo un figlio, un giovane robusto e forte con occhi simili ai tuoi e lunghi capelli corvini che svolazzano nel vento; vedo il vostro viso compiaciuto mentre l’osservate crescere giorno dopo giorno, allenarsi in un cortile con i suoi coetanei, portare onore al vostro nome. Questo, Einarr Þórvaldsson, io vedo chiaramente. —


Dopo quella rivelazione, quella profezia piena di speranza fatta dal Veggente, mi unii ad Astrid ogni notte per i successivi due mesi. Nonostante le sue proteste, le sue lacrime, i suoi tentativi di tenermi lontano, la presi con prepotenza ogni notte fino a quando…
Tre mesi dopo mi annunciò con le lacrime agli occhi di portare in grembo il nostro bambino, riempiendomi il cuore di gioia e felicità come mai mi era capitato prima. I mesi che seguirono furono tranquilli, felici e ai miei occhi Astrid non era mai stata più raggiante: il suo viso era roseo, il suo corpo sempre più morbido e il suo ventre prominente era guardato con ammirazione da tutti nel villaggio. Presto, continuavo a ripetermi ancora e ancora, avrei conosciuto il figlio di cui il Veggente mi aveva profetizzato la grandezza.

I dolori iniziarono di notte e durarono per quasi due giorni. Astrid urlava, il ricordo del dolore e della disperazione di quelle urla ha continuato e continua ancora oggi a perseguitarmi di notte; molte donne dedite alla nascita dei bambini erano al suo capezzale, ma neanche quello bastò…
Astrid partorì un bambino nato morto, probabilmente soffocato dal suo stesso cordone e una settimana dopo morì anche lei a causa del troppo sangue perso e di una infezione che, le donne mi dissero, era comune tra le partorienti.

Bruciai il suo corpo insieme a quello di nostro figlio. Preparai per loro una maestosa pira funebre e guardai con le lacrime agli occhi il loro corpo diventare cenere e sparire per sempre. Il giorno successivo sgozzai il Veggente con le mie stesse mani, accecato dal dolore della perdita e bandii dalle mie terre ogni uomo o donna della sua razza.
Nessun veggente ha mai più messo piede nelle mie terre, non fino al giorno in cui la marea è mutata e siete giunta voi…

 



**



Rimasero in silenzio, cercando parole giuste da pronunciare, qualcosa da dire dopo quel triste racconto d’amore e morte.
Hrafnhildr conosceva la crudeltà delle divinità, l’aveva sperimentata sulla sua stessa pelle quando il suo sposo era stato avvelenato durante il loro banchetto di nozze e lei era stata violata contro la sua volontà, più e più volte per giorni, dal figlio bastardo dell’uomo.

«Non è colpa vostra. – disse, posando delicatamente la propria mano su quella di lui — So che lo credete, so che vi biasimate per ciò che è capitato, ma non l’avete uccisa voi.»
«Sì, invece! — ruggì con voce tremante — Io ho chiesto una profezia al Veggente; io ho continuato ad unirmi alla mia sposa anche quando lei mi pregava di non farlo, di lasciare le cose com’erano ed essere contenti con quello che avevamo. Io e solo io ho creduto alla profezia, a quel figlio che non avrò mai, alla falsa illusione di una famiglia.»
«Non è ciò che facciamo tutti noi? Sperare, pregare, illuderci… siamo esseri mortali, vogliamo ciò che non è nostro diritto avere, una felicità che non ci è concessa.»
«Parlate per esperienza…»
Hrafnhildr annuì: «Anni fa ho creduto di poterlo essere, mi sono illusa di poter trovare un briciolo di serenità nella mia vita e in un uomo buono, ma così non è stato.»
«Che fine ha fatto il vostro uomo?»
«Morto. — rispose algida — Ucciso dal suo stesso sangue durante un banchetto, avvelenato con i suoi uomini sotto i miei stessi occhi.»
«Veleno: l’arma dei codardi. Mi dispiace per ciò che vi è accaduto, nessuno dovrebbe mai assistere ad una cosa del genere, tantomeno una giovane fanciulla.»
«Mi piacerebbe asserire che è tutto dimenticato, che non sono tormentata da quei ricordi di tanto in tanto, ma non è così. — confessò la ragazza — Tuttavia, se non fosse stato per quella tragedia non avrei mai scoperto il villaggio di donne guerriere che mi ha insegnato l’arte della spada e dello scudo, aiutato a usare al meglio il mio dono e diventare ciò che sono.»
«La forza di volontà non vi manca, Veggente. — Einarr abbozzò un sorriso — Vi ammiro per questo, sapete? Siete impavida, non avete paura di sfidare la sorte, tantomeno vi lasciate intimorire da coloro che si mettono sulla vostra strada.»
Anche Hrafnhildr si concesse un fugace sorriso. Quello che Einarr le aveva detto era vero, la descriveva alla perfezione, ma a quale prezzo era arrivata quella sicurezza.
«Ho dovuto imparare ad esserlo. — confessò – In caso contrario sarei già morta da un pezzo, probabilmente non sarei mai uscita viva da…»
In un istante nella sua mente si delineò la figura di Cnut, il suo corpo lordo di sangue sopra di lei, lo stesso sangue ferroso che impregnava l’aria della dimora; per un istante, nelle sue orecchie riecheggiarono le proprie urlava che imploravano pietà e una misericordia che non era arrivata.

«Il passato è passato, dobbiamo imparare ad accettarlo e andare avanti. — asserì con voce fredda e distante — Vivere nel passato può solo portare alla follia; è il presente ciò che importa, un presente che serve per costruire un futuro migliore, un tempo da cui poter imparare dai nostri errori.»
«Credo abbiate ragione… — Einarr sospirò — Il passato è passato, ma è così difficile dimenticarlo, rinunciare a ciò che sarebbe potuto essere. Sapete, alle volte immagino ancora una vita insieme ad Astrid, al nostro bambino nato morto; alle volte mi chiedo, egoisticamente, se mai avrò un figlio, se quel bambino visto dal Veggente non sia solo una burla degli Æsir, ma qualcosa di più, qualcosa…»
«Non dovete biasimare voi stesso per questi desideri. — Hrafnhildr posò una mano sul quella di Einarr, cercando di dargli conforto — Non è sbagliato desiderare un futuro, una famiglia, un briciolo di felicità dopo tanta sofferenza.»
Einarr la guardò negli occhi per quanto quell’oscurità lo consentisse: le parole della giovane erano vere, ma lui non era ancora pronto a lasciare andare, a voltare pagina. Il senso di colpa era ancora troppo forte e lui ancora troppo debole.
«Dobbiamo tornare all’accampamento. — ordinò — Guthrum non è un uomo paziente, avrà iniziato a farsi domande, quindi è meglio se torniamo. Domani ci aspetta una lunga giornata ed entrambi abbiamo bisogno di riposo.»

Hrafnhildr acconsentì e quando lui le porse una mano per aiutarla ad alzarla l’afferrò senza timori. Era stato così strano parlare con lui, conoscere il suo passato e raccontargli parte del proprio; era così strano camminare al suo fianco, in silenzio, ben sapendo che da quel giorno niente sarebbe stato come prima tra di loro e che qualcosa, qualcosa che ancora non aveva nome, era appena nato al centro dell’animo di entrambi.



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