Libri > Guida galattica per gli autostoppisti
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Autore: GinChocoStoreAndCandy    03/08/2017    1 recensioni
Che cosa accadrebbe se invece dell'Umanità, ci pensasse Madre Natura a far fuori i Giganti?
(Si consiglia di aver letto o visto o conoscere almeno un'opera di Douglas Adams)
Genere: Avventura, Commedia, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Sorpresa
Note: Cross-over, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Dopo due giorni di niente, l’umanità iniziò a cercare qualcuno a cui dare la colpa. Dopo il crollo del muro, l’unico suono che si era sentito era stato quello di un ruggito di rimprovero e l’unica cosa di gigante che era transitata per il foro del crollo era stato un rettile spinoso amico di una cicogna depressa, che aveva molto maleducatamente ignorato i soldati di ronda.
Il giovedì furono convocati gli stati generali, dove si convenne che il niente era una bella cosa e che l’umanità aveva il diritto di averla. Pertanto si convenne che le nuove mansioni dell’Armata Ricognitiva, da Scopriamo da dove vengono i giganti divennero Scopriamo che fine hanno fatto i giganti e che una volta completata questa missione la successiva sarebbe stata Facciamoli restare lì dove sono e possibilmente per sempre.
Ovviamente non c’era fretta. Con il fine settimana alle porte e il niente che continuava a perdurare, tutta l’umanità si concesse una bella vacanza.

In quello che restava dell’appartamento nel settimo edificio al sesto piano, Levi stava cercando di mettere in ordine la sua casa meglio che poteva. Lì dove non c’erano più i muri, aveva messo delle spesse tende doppie, aveva buttato via tutti i calcinacci e stava cercando di impedire alla polvere di entrare ovunque. A complicare il tutto era l’ormai consapevolezza che di lì a breve sarebbero arrivati degli operai a ricostruire le pareti e lui non avrebbe avuto un posto dove stare. Hansie era passata a trovarlo di recente, dicendogli che se voleva poteva tranquillamente tornare nel suo vecchio alloggio da ufficiale. Per togliersela di torno Levi aveva detto che ci avrebbe pensato. Era passato anche Eren, ma Levi gli aveva detto di sparire.
Facendo il resoconto delle giornate che aveva trascorso, Levi si era accorto di quanto, al di fuori delle situazioni assurde, stesse iniziando a comportarsi come una persona normale. Aveva anche iniziato a ragionare come una persona normale, accettando l’idea che se Erwin l’aveva cacciato di casa la colpa era prevalentemente sua e del non avergli detto subito quello che provava. Come avrebbe fatto una persona normale.
Faceva anche le cose che faceva una persona normale: andava al mercato, usciva con i colleghi, parlava con loro, apprezzava le cose che gli stavano attorno, prendeva gli antidepressivi. Si era quasi convinto a tenere in casa uno degli esseri che erano nati dalle uova che Annie aveva riportato da una missione per conto di Emma (aveva anche sperato che se la mangiassero Annie, ma le lucertole terribili avevano deciso che ignorarla era una punizione migliore).
—Quanto avrei voluto essere così da prima — disse Levi tra sé e sé.
—Fai ancora in tempo — disse Erwin.
Levi sobbalzò, si spostò di lato, inciampò nel divano e vi cadde seduto. L’ultima persona con cui sarebbe voluto restare da solo in una casa con delle tende al posto dei muri era lì davanti a lui con in mano due bicchieri da osteria pieni di roba da bere.
—C…c…c…c…cosa ci fai a casa mia? — gridò Levi indicando Erwin come se al suo posto ci sarebbe dovuto essere un portaombrelli.
—Sono passato a trovarti, volevo vedere come te la passavi — disse Erwin tranquillamente, appoggiando i due bicchieri su un tavolo. Levi non capiva che cosa ci stesse facendo l’uomo che lo aveva sbattuto fuori casa a casa sua. Gli aveva chiaramente detto che non ne voleva sapere più nulla di lui, che non voleva più rivederlo e l’aveva spedito nel posto più lontano da lui. Ora era ricomparso e Levi non sapeva se essere felice o spaventato.
—Diciamo che me la passo abbastanza bene — disse Levi cercando contegno.
—Mi ha detto Hansie che tra un po’ arriveranno gli operai e sarai senza un posto dove stare, perché non torni a casa nostra? — disse Erwin in tono cordiale.
—Quella dalla quale mi hai cacciato a urla? No, grazie.
—E dove vorresti andare?
—Non ci ho ancora pensato, ma sta tranquillo che non torno a casa.
—Capisco. Comunque ora mi è passato tutto, quindi puoi tornare, come dici tu, me la sono presa un po’ troppo.
—E il disagio per il fatto che mi piaci?
—Se ognuno di noi rispetta i propri spazi il problema non sussisterà.
La proposta sembrava accettabile, Levi non vide come non poteva fidarsi, l’aveva fatto per anni, perché smettere. Una persona normale non avrebbe cercato il marcio in tutto quello che gli dicevano, avrebbe provato a fidarsi almeno in parte. Inoltre, anche lui aveva una gran voglia di tornare nella sua casa, quell’appartamento era carino, ma le riunioni condominiali erano peggio delle uscite fuori le mura.
—Mi pare un accordo decente — disse alla fine Levi.
—Bene allora festeggiamo — disse allegramente Erwin, avvicinò il bicchiere a Levi ed entrambi bevvero alla loro salute.
Mentre sorseggiava quella specie di miscuglio dall’odore incomprensibile, sentendo un retrogusto che somigliava a quello del cloroformio, Levi pensò dentro di sé che in fondo odiava essere una persona normale.
 
 
 
 
 
 
 
2
 
 
 
 
 
Anche se il niente aveva portato nuovi orizzonti, non era vero che aveva cancellato i vecchi rancori. In special modo il dissapore tra l’Armata Ricognitiva e i Reparti Speciali, che ora vivevano il massimo dello splendore. Grazie al fatto che le bestie terribili erano state bollate come strane, si erano guadagnati l’appalto per studiare tutto quello che riguardava le connessioni tra i giganti e le lucertole terribili, mentre tutto il lavoro sudato che aveva fatto l’Armata Ricognitiva era stato bollato come obsoleto.
Tuttavia, non era questo il vero problema. Alla fine l’Armata Ricognitiva trovava sempre la strada, un po’ come la vita, che trovava sempre il modo di sfuggire al controllo degli altri e fare quello che le pare dalla mattina alla sera. Il problema di base era che il Comandate Erwin Smith era stato fregato dal Comandante Emma Summerstone con quello che altrove nella Galassia viene chiamato messaggio subliminale. Ed Erwin era bravissimo a covare rancore, anche per anni, riuscendo a beccarsi la depressione clinica e rendendo le persone accanto a lui ansiose e preoccupate perché ogni tanto faceva dei sorrisi da squilibrato che facevano venire voglia a tutti di darsela a gambe. A tutti tranne che a Levi. A Levi quel suo modo insano di sorridere faceva schifo, stranamente che faceva schifo glielo dicevano da una vita, ma Erwin se ne era sempre fregato, tranne quando glielo faceva presente Levi. E il fatto che Levi non fosse lì in quel momento a dirgli che gli faceva schifo, aveva fatto ricordare a Erwin il perché non fosse lì. Aveva quindi pensato a un modo per farlo tornare a vivere con lui così da fregare Emma e riavere il suo amico.
Perciò aveva passato tutta la notte a fare ragionamenti contorti e la mattina seguente aveva iniziato a mettere in atto il suo piano.
Andò a cercare Mike, che aveva una riunione con dei soldati, bussò alla porta e quando gli dissero di entrare si affacciò e disse velocemente:
—Mike, sbrigati che andiamo a comprare della droga — poi aveva richiuso la porta.
—Sì certo Erwin, arrivo subito — aveva risposto Mike che ormai c’era abituato agli eccessi di euforia del Comandante —Come vi dicevo, in questi giorni il Comandante è molto turbato, perciò se vi chiede qualcosa di strano mi raccomando, rispondete sempre con gentilezza e annuite nella maniera più accondiscendente possibile — disse Mike concludendo il discorso. Uno dei soldati alzò la mano.
—Signore mi scusi, ma per quanto tempo le cose resteranno così? — chiese poco convinto della situazione.
—Finché il Caporal Maggiore Levi non tornerà tra le nostre fila, spero.
Detto ciò aveva chiuso la riunione e raggiunto Erwin.
—Allora adesso andiamo nei bassifondi, troviamo uno spacciatore e lo ricattiamo per farci dare della roba.
—Non ce n’è bisogno, si trova anche più vicino.
Alla faccia perplessa di Erwin, Mike gli fece strada e lo condusse nella zona dei vecchi laboratori. Da quelle parti, molti anni prima erano stati fatti degli esperimenti interessanti che avevano a loro volta portato a degli interessanti risultati. Ovviamente, il bello delle cose interessanti è che destano comunemente la reazione sbagliata nella massa di persone che non capiscono la bellezza del aver raggiunto l’interessante.
L’interessante è considerato riconoscibile solo a chi ha una predisposizione particolare al rendersi interessato. Prendendo in esempio questo caso, gli interessati, una setta di industriali e imprenditori che volevano rendere la loro vita interessante, presero tra le mani l’oggetto del loro interesse e ne fecero oggetto di discussione. Tale discussione durò circa un secolo con i molto interessati che volevano usare l’oggetto d’interesse per rovesciare la monarchia, mentre i moderatamente interessati volevano semplicemente che le attività della setta divenissero quelle di un circolo di tennis. Il tutto sfociò in un mega litigio da riunione condominiale, dove i moderatamente interessati se ne andarono dalla setta e tornarono ad annoiarsi nelle loro tenute da imprenditori con i loro cani e i loro amanti. Mentre i molto interessati presero ad infastidire l’intera umanità con l’oggetto del loro interesse. Senza neanche dire il come, l’umanità decise di farli smettere, prese l’oggetto d’interesse e lo spedì con raccomandata in una sperduta valle non segnata dalle mappe.
—Ecco siamo arrivati.
Erwin e Mike si fermarono davanti ad una porta sgangherata, da cui proveniva un odore poco lecito.
—Prima di entrare mi devi promettere una cosa: non farti prendere dal panico — disse Mike molto seriamente.
—Va bene, lo prometto — ripose Erwin.
La porta venne aperta ed Erwin credette di essere in una distilleria, solo che in quella distilleria era certo che non si distillasse della grappa, ma qualcosa di meno oleoso e dal sapore più artificiale.
Da dietro un bancone spuntò fuori Hansie, felice come non mai che abbracciò un Erwin sempre più perplesso.
—Sei passato a trovarmi nel mio altro laboratorio, che carino!
—Altro laboratorio?
—Che ti porta qui di bello, a parte me?
—Io, volevo trovare della droga per darla a Levi così lo riportavo tra le nostre fila senza tanti dialoghi superflui, ma tu esattamente che cosa fai qui?
—Oh, niente, sai com’è, mi trastullo con le sostanze chimiche.
—Tu stai facendo della droga — disse Erwin guardano Hansie.
—Non è proprio droga, è qualcosa che piace molto e ti fa sentire rilassato.
—E tu la vendi in giro — disse Erwin guardando Mike.
—Sì.
Erwin fissò Hansie, la donna con la quale si era ritrovato ad un matrimonio e aveva scoperto di avere più cose in comune con lei che con altre; fissò Mike, l’unica persona nell’Universo che non l’aveva ancora picchiato per tutte le cose che aveva fatto. Ora, in quel  momento, aveva appena scoperto che quelle due persone vendevano e spacciavano droga.
—Voi due siete matti! Pazzi, insani, decerebrati! Avete idea di quello che succederà se la Gendarmeria lo viene a sapere?! — Erwin cominciò ad urlare e gesticolare.
—Tranquillo, loro sono i nostri migliori clienti non diranno nulla! — rispose Hansie credendo di calmarlo.
—Cosa?! E che diranno tutti gli altri ufficiali della nostra armata?
—Niente neanche loro, dato che è grazie alla droga che finanziamo le nostre missioni!
—Vuoi dire che tutto quello che abbiamo fatto fino ad ora per l’umanità è grazie alla droga!?
Hansie evitò di rispondere, poiché la risposta era evidente. Mike prese Erwin per una spalla cercando di calmarlo.
—Lo stai facendo.
—Facendo cosa?
—Ti stai facendo prendere dal panico.
—E vorrei ben vedere! Ho appena scoperto che la mia ragazza e il mio amico sono due spacciatori e che l’Armata Ricognitiva gestisce il racket della droga! Come faccio a non farmi prendere dal panico!
Erwin si sedette su una sedia polverosa, fece dei lunghi respiri e cercò di calmarsi dicendosi che se fino a quel momento le cose erano andate bene, magari per una volta potevano anche continuare ad essere così. Si autoconvinse che era tutto a posto, quindi si alzò e fece la domanda consona alla situazione.
—A quanto la fate al grammo?
 
 
 
 
 
 
 
3
 
 
 
 
 
 
 
Levi si svegliò con un nuovo mal di testa, era in una stanza illuminata dalla luce del tardo pomeriggio. Si guardò attorno e scoprì che quella stanza era la sua, non quella dell’appartamento al paddock 9, ma la sua nella casetta a schiera. E quello era il suo letto, con le sue lenzuola pulite e tutti i suoi mobili spolverati. Seduto sul bordo del letto c’era Erwin. Levi si alzò di scatto sentendo che non era ancora pronto per certe cose. Si mise seduto anche lui.
I due rimasero in silenzio per un po’ osservando il sole che scendeva pigro oltre le mura mentre un Marvin planava su un tetto.
—Mi hai trascinato fin qui da solo? — disse Levi.
Erwin si limitò ad annuire con la testa.
—Che intenzioni hai? — chiese Levi.
—Niente, volevo solo convincerti a tornare per sentirti dire che ti faccio schifo, il resto non mi interessa più. Così ti ho dato il vino con la droga.
—È quella dei due squinternati, l’ho riconosciuta dopo il primo sorso.
Erwin evitò di commentare. Tornò il silenzio tra i due. Un silenzio davvero pesante. Quelli del pianeta Ghazan si chiesero in che misura il silenzio possa essere pesato. Vennero fatti calcoli di ogni sorta e si giunse alla conclusione che per calcolare il peso di un silenzio occorrevano vari fattori. Il primo era la quantità di persone che creavano il silenzio, un numero spesso finito e naturale. Il secondo fattore era determinato dalle emozioni che creavano peso nel silenzio, un numero che per la maggior parte delle volte tendeva a più infinito. Il risultato sarebbe stato il peso del silenzio, ovvero un numero finito che tendeva a più infinito e del tutto naturale.
—Senti, forse è il caso che ti dica che mi sono sbagliato quando ti ho detto che mi piacevi. Non sei tu a piacermi, mi piace solo quello che provo quando sono con te — disse Levi tutto d’un fiato.
—Si, lo so. Anche io provo le stesse cose. L’ho capito mentre ti portavo nella nostra casa. Ho ripensato a tutto quello che abbiamo passato assieme qui dentro e ho scoperto che mi sento bene quando ci sei tu a ricordarmi quanto sono pazzo — disse Erwin sempre tutto d’un fiato.
I due si sentirono degli idioti. Capirono che se si fossero detti tutte quelle cose al momento giusto non sarebbe accaduto niente di tutto quello che era accaduto. O almeno la parte che riguardava la lunga e oscura pausa caffè che l’anima di Levi si era presa circa due settimane prima. Tutto il resto sarebbe comunque accaduto, in un modo o nell’altro, senza se e senza ma, semplicemente erano cose che una forza superiore aveva deciso che dovevano accadere e loro due, esseri umani insignificanti in una Galassia sconfinata, non ci potevano fare assolutamente niente.
—Statisticamente parlando — disse Erwin girandosi verso Levi —Su un milione di possibilità, quante ce ne saranno che hanno portato a questa situazione?
Levi ripensò al passato. Soppesò tutte le vite che aveva incrociato. Valutò le perdite. Moltiplicò i momenti belli. Li divise per quelli brutti. Tirò le somme e poi rispose:
—Quarantadue.
 
   
 
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