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Autore: Sandra Prensky    04/08/2017    1 recensioni
ATTENZIONE: Non è una traduzione del libro "Black Widow: Forever Red". Avendolo letto, mi sembrava che ci fosse troppo poca attenzione su Natasha, e allora ho deciso di riscriverlo con tutta un'altra trama.
Natalia Alianovna Romanova, Natasha Romanoff, Vedova Nera. Molti sono i nomi con cui è conosciuta, molte sono le storie che girano su di lei. La verità, però, è una questione di circostanze. Solo Natasha sa cosa sia successo veramente nel suo passato ed è ciò da cui sta cercando di scappare da anni. Quando sembra finalmente essersi lasciata alle spalle tutto, ecco che scopre che la Stanza Rossa, il luogo dove l'hanno trasformata in una vera e propria macchina da guerra, esiste ancora. Solo lei, l'unica Vedova Nera traditrice rimasta in vita, può impedire che gli abomini che ha visto da bambina accadano di nuovo. Per farlo, però, dovrà immergersi nuovamente nel passato che ha tanto faticato a tenere a fondo, e sarà ancora più doloroso di una volta: tutta la vita che si è costruita allo SHIELD, tutte le persone a cui tiene sono bersagli. Natasha si ritroverà di nuovo a dover salvare il mondo, affrontando vecchi e nuovi nemici e soprattutto se stessa.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XVII.

 

We have a history,
She and I.
We fail and sigh,
And come back
For another try

(Bruce Adler)

 

 

 

Natasha correva. Il ticchettio di un orologio che non riusciva a vedere la seguiva in ogni passo. Correva e correva, sotto la neve, ma non le sembrava di procedere di un passo.

Figure nere in mezzo agli alberi, piccole come delle bambine, la guardavano impassibili mentre scappava.

Presto rimase a corto di fiato, e cadde a terra. Il mondo intorno a lei sembrava girare all’impazzata.

Il ticchettio aumentava, tutto diventò buio e di colpo sotto di lei non c’era più un manto innevato, ma un gelido pavimento di marmo.

Passi che si avvicinano.

-In piedi.- La voce di Madame B rimbombò nel buio, circondandola.

Natasha cercò di alzarsi, ma non riusciva a muoversi.

-Hai trovato il tuo posto nel mondo, Natalia?- La risata della donna riecheggiò nella sua mente.

Finalmente riuscì a rialzarsi, per ritrovarsi davanti a una donna che era vestita come Madame.

La sua vista della rossa era appannata. Quando finalmente ci vide meglio, si accorse di trovarsi davanti a sé stessa, in una versione più giovane, nei panni della sua vecchia superiore.

L’altra Natasha la guardava con aria di sfida, un’espressione crudele che non le era mai appartenuta, nemmeno nella Stanza.

Alzò la pistola contro di lei, che di nuovo non riusciva a muoversi.

-Ti prego.- Implorò. L’altra rise, di nuovo, e sparò.

Natasha abbassò lo sguardo. Le sue mani erano coperte di sangue, ma non aveva nessuna ferita. L’altra Vedova Nera era scomparsa.

Una voce, che assomigliava in maniera inquietante a quella di Loki, rimbombò nuovamente nel buio.

“Riusciresti a cancellare quella nota così rossa?”

Capì allora che il sangue sulle sue mani non era suo.

Si accesero le luci, e lei si ritrovò circondata da cadaveri.

Li conosceva tutti.

Ex-target.

Agenti dello SHIELD.

Avengers.

Maria Hill, Fury, Sharon Carter.

Stark, Banner, Coulson.

Più continuava a guardarsi intorno, più facce conosciute spuntavano. Tutte persone per cui lei avrebbe dato la vita.

Steve.

James. Il suo cuore perse un battito.

Si aggirò tra i cadaveri, consapevole che il sangue sulle sue mani, che sembrava essere sempre di più, apparteneva a loro.

Clint.

A stento trattenne un urlo.

Si gettò su di lui, senza pensarci

Respirava ancora, e lei chiamò il suo nome, ripetendolo come una cantilena.

Lui aprì gli occhi.

-Tutto questo è colpa tua, Natasha...- Agonizzò.

Lei fece per dire qualcosa, ma la voce le si fermò in gola.

Quando alzò lo sguardo, si accorse di stare stringendo nella mano il manico di un pugnale, conficcato all’altezza del cuore di Clint.

Venne svegliata dal suo stesso grido.

 

 

Volgograd, Russia

48°42’N 44°31’E

Thursday, 17th December 2015

3.44am

 

 

Urlava ancora, quando aprì gli occhi. Si zittì all’istante, ma sapeva che era troppo tardi. Bucky era già in piedi sulla stuoia dove dormiva (non aveva sentito scuse. Natasha era ferita e aveva bisogno di riposarsi: il letto spettava a lei.), i sensi all’erta.

-Riposo, Soldato.- Mugugnò lei, stropicciandosi gli occhi. Doveva essersi alzata a sedere di scatto, per la felicità dei punti della sua ferita, che le dolevano come a lamentarsi. Aveva la fronte imperlata di sudore, a scapito del freddo, e il respiro era ancora irregolare. Bucky, vicino a lei, si rilassò e la guardò preoccupato.

-Scusami, non volevo svegliarti.- Gli sussurrò. Era ormai da tempo che non si svegliava urlando. Certo, aveva sempre gli incubi nelle pochissime ore in cui riusciva a prendere sonno, ma gridare? D’altra parte, per quanto potessero essere terribili i suoi sogni, non aveva mai sognato di uccidere tutte le persone a cui teneva. Non aveva mai sognato di uccidere Clint. “Tutto questo è colpa tua, Natasha...”. Si chiese se in fondo non fosse vero. Se in fondo non fosse quello il finale in contro al quale andava. Se in fondo non stesse intraprendendo una guerra contro dei fantasmi che sarebbe solo finita male per coloro a cui lei teneva, anche essendosi allontanata da loro.

Bucky scrollò le spalle.

-Non stavo dormendo. Hai interrotto solo uno studio molto attento del soffitto.- La sua voce sembrava esausta, più di quanto avesse dato a vedere negli ultimi giorni. Natasha si lasciò ricadere sul letto, ignorando le proteste della sua ferita.

-Ne vuoi parlare?- Chiese lui, dopo qualche attimo di un silenzio occupato solo dal respiro della rossa che si regolarizzava. Lei non rispose. Il Soldato sapeva che gli incubi non erano qualcosa che lei fosse incline a condividere, come lui d’altronde. Sospirarono entrambi, quasi all’unisono, e per qualche minuto ricadde il silenzio.

-James?- Chiamò, sottovoce, pur sapendo per certo che non stava dormendo.

-Dimmi.

-Parto appena fa mattina.

Lui non rispose subito.

-’Tasha, non devi sempre fare tutto da sola.

-Lo so. Ma so anche che ti sto rallentando, e poi stare insieme è più pericoloso. Ci troveranno più facilmente, per quanto possiamo fare attenzione.

-È anche più sicuro se ci attaccano, però.

-Sai bene che so badare a me stessa. E tu... Tu sei il Soldato d’Inverno, credo tu possa stare piuttosto tranquillo.

-Sei sicura che sia solo per quello che vuoi andartene?

-Sì.- L’immagine del suo cadavere, gli occhi vitrei che la guardavano con fare accusatorio, era ancora impressa nella sua mente, un’eco dell’incubo che aveva avuto poco prima. Non poteva proteggerlo, se rimaneva con lui.

-Non posso obbligarti a rimanere.- Sentenziò lui.

-No, non puoi.

Silenzio, di nuovo. Uno spostamento d’aria. Poi, un braccio a cingerle i fianchi, un tepore familiare al suo fianco.

-Non c’è bisogno che te lo dica, ma... Promettimi che starai attenta.- Le sussurrò lui all’orecchio.

-Lo farò. Promesso.- mormorò lei con un filo di voce. Lui la strinse ancora per qualche secondo nell’abbraccio, poi fece per allontanarsi.

-No.- Lo bloccò lei. -Puoi rimanere, se vuoi.

Anche al buio, poteva quasi sentire il suo sorrisetto.

-Pensavo che non me l’avresti mai chiesto.- A sentire il suo tono malizioso, le venne quasi da ridere.

-In fondo, il letto è tuo.

Stretti l’uno all’altra, gli ultimi cinquant’anni nuovamente spariti, ed esausti, caddero entrambi in pochi attimi in un sonno finalmente senza incubi.

 

 

11.51am

 

 

Bucky si sistemò la coperta, e allungò il braccio a cercare il calore di Natasha di fianco a sé. Trovò solo le fredde lenzuola. Con un sospirò, aprì gli occhi e si mise a sedere.

-Buongiorno, bell’addormentato.- Natasha era seduta a gambe incrociate sul tavolo della stanza, e lo guardava quasi divertita da dietro la copia di Anna Karenina che aveva trovato a Mosca. Lo stava rileggendo, nella speranza di trovare qualcosa.

-Ho dormito troppo?- Chiese lui, sbadigliando. Alla rossa venne quasi da ridere. Davanti a lei aveva l’assassino più pericoloso degli ultimi cinquant’anni, ed eccolo lì, a stiracchiarsi come il gatto che ogni tanto compariva nel suo appartamento a New York. Sembrava quasi... normale. O almeno, quanto di più normale potessero permettersi loro due.

-Beh, è quasi mezzogiorno. Per te è quasi un letargo, soprattutto nell’ultimo periodo.

-Mezzogiorno? Non dovevi partire?

-Infatti. Ma, a dire la verità, mi sono alzata anche io da poco.- Scese dal tavolo con un movimento fluido. -E poi volevo salutarti, ma non volevo interrompere il tuo sonno di bellezza.- Aggiunse in tono canzonatorio. Lui le rivolse un’occhiataccia con un sopracciglio alzato, ma non disse niente.

-Sei proprio sicura, allora?- Chiese lui, quasi per prassi. Lei annuì.

-Se dovessi trovare qualcosa di importante, ti chiamerò. E confido che tu farai lo stesso.

Lui annuì a sua volta.

-Se avessi mai bisogno di me, mi troverai qui.- Aggiunse Bucky. -Tra l’altro...- Iniziò a rovistare tra i cassetti, e tirò fuori un sacchetto di carta. Lo tese alla ragazza.

-Ho trovato questo, quando ho iniziato a indagare. Non ho ancora capito a cosa servano, magari tu riuscirai a svelare l’arcano... Saranno comunque più utili a te, conoscendoti ci arriverai prima del sottoscritto.

Natasha prese il sacchetto e lo aprì. All’interno c’erano una ventina di schede nere. Le estrasse e le esaminò una a una. Erano tutte forate in diversi punti, ma nessuna era uguale alle altre. Guardò Bucky con aria interrogativa.

-Ne so quanto te.- Fece lui.- So solo che non formano nessun disegno o indizio messe in nessun ordine. Ho provato.

Lei sbuffò.

-Ci mancava un altro indizio incomprensibile.

-Mi preoccuperei di più se la Stanza non desse filo da torcere. Considerando tutti i loro algoritmi e segreti, vorrebbe dire che saremmo sulla pista sbagliata.

-Touché.

Natasha indossò il suo cappotto, ripose la busta all’interno del borsone, facendo attenzione a non piegare nessuna delle schede all’interno, e se lo caricò sulla spalla.

L’atmosfera della camera si fece improvvisamente più pesante. L’aria sapeva di addio, e nessuno dei due era pronto per quello. Non di nuovo. Natasha era quasi tentata di lasciare perdere, di arrendersi per una volta, di farsi aiutare da lui. Ma c’erano troppi rischi, e soprattutto rimanere troppo insieme avrebbe rischiato di risvegliare certi fantasmi, e proprio non se lo potevano permettere. Non poteva funzionare, nemmeno al di fuori della Stanza. Erano fin troppo simili loro due, avrebbero solo finito per ferirsi a vicenda, o peggio, dipendere l’uno dall’altra.

-Ti prego, Natalia, fai attenzione.- Disse lui, quasi apprensivo.

-Me l’hai già detto stanotte, mamma.- Rispose, cercando con scarsi risultati di risollevare la tensione.

-Lo so. Ma lasciami preoccupare per una vecchia amica... Soprattutto una vecchia amica che ha una ferita che non è ancora guarita. Senza contare che qualsiasi cosa possa venire fuori da questa storia, non può farti bene.

-Starò bene, James. Sai che sono sopravvissuta a peggio.

Lui non rispose. Si avvicinò a lei, le prese il viso tra le mani e prima che lei potesse fare niente appoggiò le labbra sulle sue. Non era un bacio passionale, non era un tentativo disperato di farla rimanere. Era solo un saluto che sembrava troppo un addio, un qualcosa che era mancato a loro anni addietro. Una conclusione, un punto fermo. Lei non si oppose, ma fu la prima a scostarsi.

-Sai sempre come far colpo su una donna, vero?- Chiese con fare malizioso, i loro visi ancora abbastanza vicini da potersi quasi toccare.

-Solo se ne vale la pena.

Lei gli sorrise.

-A presto, James.

Aprì la porta, con un peso sul cuore, e fece per richiuderla dietro di sé, quando lo sentì parlare.

-Anche io.

-Anche tu cosa?- Chiese lei, affacciandosi dallo spiraglio ancora aperto.

-Una sera, nella Stanza. Mi hai detto che pensavi di essere innamorata di me. Non ho mai avuto l’occasione di risponderti. Ti amavo davvero, allora.

Lei non poté fare a meno di sorridere.

-Lo so.- Rispose, e richiuse la porta dietro di sé.

   
 
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