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Autore: prongsabri    04/08/2017    1 recensioni
Seduta a fissare il vuoto attendevo il mio giudizio.
Probabilmente la mia sarebbe stata una condanna a morte, ma poco m’importava. Avevo perso tutti coloro che amavo, mi erano stati portati via violentemente e non avevo potuto far nulla per evitarlo.
Era soltanto colpa mia.
Non ero stata in grado di fare il mio dovere, ma almeno sarei stata punita per i miei errori.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

29 giugno 3747.
Ho sperato per anni che quella data non giungesse mai. Invece. Eccomi qui, seduta davanti allo specchio in camera di mia madre. Indosso la divisa scolastica del Terzo Inserimento. Pantaloni neri, canotta nera, giacca nera e verde con il numero tre stampato in alto a destra sotto il simbolo della Capitale: una bussola bianca con il centro colorato di verde – in questo caso.
Mia madre sta legando i miei capelli in una coda alta, così come vuole il regolamento. Solitamente la faccio di fretta prima di uscire di casa, ma stamattina è tutto diverso. Stamattina ci sono gli esami per l’ammissione al Quarto Inserimento e bisogna fare bella figura, altrimenti la gente poi sparlerà alle tue spalle.
Come se le scommesse sulla nostra riuscita agli esami non fossero già abbastanza.
«Perfetta! Sei agitata?».
Mia madre mi guarda dal riflesso dello specchio, indossa un semplice paio di jeans e una camicetta azzurra, i capelli castani scendono in morbide onde e i suoi occhi azzurri sono colmi di preoccupazione per la sottoscritta. Mi fa sentire male l’idea di poterla deludere in qualche modo, certo non in campo scolastico perché non si può dire che io non sia preparata: il regime scolastico della città dell’Ovest, imposto dalla Capitale ti impartisce una delle educazioni più dure e ferree che una persona si possa mai immaginare.
All’età di cinque anni i genitori sono costretti a iscrivere i figli al Primo Inserimento, lì si frequentano i primi anni attraverso giochi ludici con il fine di insegnare chi sono i buoni e chi i cattivi. Fino all’età di sette anni i bambini vengono divisi in due gruppi: i cacciatori e i ribelli e hanno il compito di catturarsi a vicenda e di ‘torturare’ i nemici. Dopo questa prima fase i bambini vengono trasferiti in un’area apposita fuori città dove apprendono a ‘cacciare’ sempre basandosi sul gioco. Tutto seguito da un corso educativo base, con materie come storia, lettere e matematica. All’età di nove anni danno un esame che permetterà agli allievi di passare al Secondo Inserimento. Lì vengono smistati in tre sessioni: A – B – C. Questi sono gli anni più duri poiché li trascinano via di casa e li fanno abitare all’interno di vere e proprie accademie, dove si studia e si combatte. I bambini dai dieci ai tredici anni scoprono cosa voglia dire uccidere e torturare veramente una persona, apprendono a sopravvivere in caso di evenienza e a medicarsi da soli. Alla fine di questi anni danno un altro esame e vengo ammessi al Terzo Inserimento. Questo è il più normale, per quanto possa esserlo rispetto all’insieme. Si seguono dei corsi base ampliando la propria cultura e il sapere scientifico, ogni due settimane si hanno delle pratiche sul campo, dove vengono mantenuti allenati in vista del Quarto Inserimento.
«Un po’».
Ammetto con un leggero sorriso. Io appartengo alla sezione B0743, sono sempre rimasta nella stessa sezione, mantenendo fisso il mio livello, anche se i miei insegnanti ripetevano continuamente a me e alla mia famiglia, che potevo dare di più senza sforzi ed essere ammessa alla sezione A0743.
Non l’ho mai fatto, me ne sono sempre stata all’interno della mia classe senza eccellere come, invece, si aspettavano tutti da me.
«Andrà tutto bene tesoro, sei un’ottima alunna sono sicura che quest’anno riuscirai a fare quel salto di qualità che tuo padre vuole».
Infatti, ciò che mio padre desidera più di ogni altra cosa al mondo è che la sua primogenita riesca ad essere ammessa al Quarto Inserimento con uno dei voti più alti. Non che io non possa farlo, sono sempre stata sveglia e nella lotta me la cavo bene, più di quanto io abbia mostrato agli altri in questi anni, quindi mi basterebbe mostrare ai professori provenienti dalla Capitale quello che ho celato fino a questo momento.
L’idea mi passa per la testa già da un po’. Stupire tutti agli esami sarebbe un colpo veramente basso per il resto dei miei coetanei, ma che mi permetterebbe di assicurarmi uno dei posti migliori nella lista dei premianti.
«Farò il possibile».
Sussurro alzandomi e dirigendomi al piano di sotto, in casa siamo rimaste solo mia madre ed io: è tradizione che il ragazzo o la ragazza, che deve conseguire un esame di questo tipo, venga accompagnata dal genitore del suo stesso sesso e che non veda altri che lui, evitando di venire influenzato da parenti e fratelli. 
Trovo questa cosa piuttosto stupida, ma qui nella città dell’Ovest sono tutti molto legati alle tradizioni e infrangere queste regole non scritte equivarrebbe a chiamare a gran voce la sfortuna, venendo ‘maledette’.
Alzo gli occhi al cielo a quei pensieri e fisso la cucina candida con un senso di nausea. Nonostante sia sicura di passare gli esami, sono davvero agitata. L’idea di sbagliare qualcosa o semplicemente inciampare mentre mi appresto a raggiungere il mio banco mi fa salire un connato di vomito, per non parlare del pensiero delle risate che si faranno gli alunni della sezione A0743, che non perdono occasione per deridere quelli delle sezioni inferiori: cioè B e C.
Cerco di calmarmi pensando ad altro, ma ritorno sempre a fatti storici che potrebbero richiamare nel test scritto.
Chissà se sono l’unica a sentirmi così sotto pressione o se anche gli altri sono a casa nel mio stesso stato, di certo non quelli della sezione A.
Sospiro e appena mia madre mi raggiunge ci avviamo insieme verso la struttura imponente situata accanto al municipio. C’è molta confusione stamattina, si fatica a camminare lungo i marciapiedi e ciò non è dovuto dagli esami. È successo qualcos’altro: una lite.
È normale che ne scoppino qui in città, essendo il braccio destro della Capitale la gente si sente obbligata a dare il meglio di sé e a prevalere sugli altri in continuazione. Non si ha veramente rispetto delle persone più adulte o più saggie, qui sono i soldi e il potere che fanno la differenza: infatti il signor Kingston ha solo 27 anni ed è già a capo di una delle più grandi società dell’intero continente e stamani se l’è presa con Alan Morris, un uomo di 64 anni che ha combattuto la guerra del Chiuso nel 3705. Tutti in città lo considerano un pazzo, un uomo che ha perso se stesso durante le varie battaglie, in pochi lo considerano degno di fiducia e di un briciolo di umanità, ma è comunque coperto di rispetto e di onori poiché quella battaglia la Capitale l’ha vinta e la Capitale premia sempre i vincitori.
Comunque questi due uomini sono in mezzo alla strada, che urlano insulti di ogni tipo pronti a venire alle mani. La gente accorre per farsi due risate, c’è sempre da divertirsi quando di mezzo c’è il vecchio Morris: di conseguenza mia madre ed io abbiamo di fronte a noi un muro invalicabile di persone.
«Arriverò in ritardo».
Mormoro scocciata, se arrivassi tardi dovrei passare da Mrs. Gregor, una donna sulla cinquantina spregevole come poche, si occupa della disciplina e dell’obbedienza a scuola: in breve decide chi punire e come farlo e solitamente non è un bello spettacolo.
«Stai tranquilla, adesso passiamo».
Mia madre dice una cosa, ma il suo sguardo racconta tutt’altro. Non è mai stata brava a mentire, riesce sempre a farsi smascherare, ma per evitare di metterci a discutere per cose inutili me ne sto zitta e cerco di capire se c’è una strada alternativa per arrivare in tempo a scuola.
 Inutile dire che non c’è via di fuga, così dobbiamo attendere venti minuti che la folla si sfaldi, poi ci mettiamo a correre entrambe per arrivare in tempo, cosa che non accade.
I cancelli sono già chiusi e in lontananza vedo Tessa Flores e Andrew Ross della sezione A0743 che ridono nel notare che la povera sfigata della sezione B è arrivata troppo tardi.
«Mi dispiace tesoro, dovevamo partire prima».
È seriamente dispiaciuta, gli occhi azzurri liquidi pronti al pianto. Cero di rassicurarla come posso, le dico di non preoccuparsi e di tornarsene a casa, che in un modo o nell’altro io entrerò per dare l’esame. Non posso non presentarmi, sarebbe come buttarmi lucidamente tra le fauci di un leone, il quale non si prenderebbe nemmeno due secondi di tempo prima di sbranarmi.
Così appena mia madre si allontana affranta dopo avermi giurato di non dire nulla a mio padre, mi arrampico sul cancello e lo scavalco saltando dall’altra parte. Non succede nulla, questo vuol dire che non hanno ancora attivato il sistema di sicurezza. Corro velocemente fino all’entrata, che trovo aperta e sto per gioire quando vedo Mrs. Gregor venire verso di me: i capelli biondi raccolti in uno chignon perfetto, gli occhi circospetti, un tailleur verde scuro veramente orrendo che si abbina alle unghie.
Sono fregata! Mi uccide! Ora mi uccide!
«Signorina non le sembra il caso di entrare in classe? Gli esaminatori saranno qui a momenti».
Apro gli occhi di scatto, non mi ero nemmeno accorta di averli chiusi, e sorrido riconoscente prima di correre per il corridoio fino alla mia classe. Non mi ha scoperta, oppure ha voluto chiudere un occhio per non fare brutte figure con gli esaminatori. Sì molto più probabile la seconda, che la prima: è veramente raro riuscire a scamparla con Mrs. Gregor.
Entro con il fiatone e con mio gran sollievo vedo che c’è solo il Professor Trevor, l’insegnate di storia e lettere, e il resto della mia sezione. Nessun esaminatore in classe.
Vado a sedermi accanto ad Amelie, siamo sempre state in classe insieme lei ed io. È una bella ragazza, lunghi capelli color del miele e occhi verdi. È simpatica e non fa troppe domande, forse è per questo che andiamo d’accordo.
«Dov’eri finita?».
Le racconto in breve ciò che è successo, ma veniamo interrotte quasi subito dal Professor Trevor, poiché hanno appena consegnato una busta bianca contente i nostri test scritti.
«Bene ragazzi, come sapete oggi è giorno di esami, ci siamo esercitati tanto e voglio dirvi una cosa: non fatevi intimorire dalla sezione A, molti di voi si danno già per spacciati! Date il meglio di voi e vedrete che andrà tutto per il meglio. Avrete due ore dal mio via, intesi?».
Annuiamo e appena poggia il foglio sul mio banco vedo che mi lancia un’occhiata strana: sa del mio ritardo? Oppure si aspetta che dia finalmente il meglio di me?
Il professor Gabriel Trevor è stato il mio insegnante fin dal Secondo Inserimento, lui è uno di quelli secondo cui io sia veramente in grado di dare spettacolo. Quindi sarà un altro che pregherà in tutti i dialetti del continente purché io passi con ottimi voti.
Il test è semplice, chiede solo domande relative agli ultimi due anni del Terzo Inserimento, non si può superare le quindici righe per risposta, per cui noto spesso persone che mormorano mezzi insulti per aver usato troppo spazio, il bello della situazione è che ciò che scrivi non è possibile cancellarlo. Ci danno penne apposite per gli esami, di modo che non si possa tornare indietro e modificare le proprie risposte.
Come dicono sempre: «La Capitale ha bisogno di persone sicure di sé, non di eterni indecisi».
Finisco dopo un’ora e mezza, rileggo tutto e consegno il compito al professor Trevor, il quale sorride soddisfatto e mi fa tornare a posto.
Devo attendere ancora la mezz’ora restante, poi una volta che tutti hanno consegnato il test ci comunicano che dovremmo aspettare nella nostra classe finché non passeranno a chiamarci uno alla volta. Sappiamo che gli esami avvengono a tre alunni alla vota: uno della sezione A, uno della sezione B e uno della C.
Amelie viene chiamata prima di me, le auguro buona fortuna e lei mi sorride sinceramente preoccupata. Non è mai stata un granché nella lotta o negli esercizi fisici – tanto meno a impugnare un’arma, però è veloce e sa nascondersi bene, quando eravamo nell’accademia e ci facevano passare la settimana nei boschi sempre divisi in cacciatori e ribelli, Amelie riusciva sempre ad uscirne illesa poiché nessuno sapeva dove si nascondeva.
Passano i minuti, le ore e la classe inizia a svuotarsi. Ho il cuore che batte forte e le mani che sudano. Mi guardo in giro contando i rimanenti e in quell’istante noto che fuori ha iniziato a piovere. La bella giornata è finita. Sento la porta che si apre e si chiude velocemente, poi una voce squillante chiama un nome:
«Rebecca Bailey».
 
Calmati! Maledizione calmati!
Continuo a pensare a ciò come mantra. Sento il cuore martellarmi nel petto in modo fastidioso. Non è il primo esame che do, eppure è il primo e anche l’unico da cui dipende tutto il mio futuro.
E per la prima volta voglio dare veramente il meglio e non perché devo stupire gli esaminatori o i miei genitori, ma perché devo farlo per me. Sono io quella che andrà nella Capitale nel Quarto Inserimento, sono io quella che verrà giudicata in base alla riuscita di questo esame, ergo io devo dare il massimo.
La sorvegliante che è passata a chiamarmi mi conduce in una stanza completamente spoglia e bianca, che non sapevo nemmeno esistesse. All’interno ci sono già i due ragazzi che faranno gli esami con me.
Uno è Dylan Baker della sezione A0743, nel Secondo Inserimento eravamo insieme nella sezione B, eravamo amici una volta, poi lui si è unito a Tessa e Andrew della sua nuova sezione e da quel momento non ci siamo più parlati. È parecchio più alto di me, capelli scuri e occhi nocciola, da quel che so è abbastanza veloce, ma il suo punto di forza sono le armi da taglio. Ricordo che era inquietante quando doveva mostrare cosa poteva fare con un coltello o un una flissach – un’arma con lama diritta con punta molto pronunciata.
L’altra so che si chiama Cecilie, ma su di lei non ho altre informazioni. L’ho incrociata una o due volte nel cortile della scuola prima di entrare in classe o prima di lasciare l’edificio scolastico.
Ci studiamo tutti per qualche secondo, la prima a distogliere lo sguardo è Cecilie. Dylan ed io ci fissiamo ancora un attimo, cercando di ricordare ogni piccolo dettaglio dell’altro.
Vedo che sta per dire qualcosa, ma una voce metallica ci invita a varcare la porta alla nostra sinistra, lentamente ci avviamo tutti verso il punto indicato e le porte si aprano da sole appena siamo vicini.
La sala adibita per l’esame è una delle palestre, è enorme e c’è ogni sorta di arma, alcune delle quali non abbiamo mai visto durante i vari Inserimenti.
Mio padre diceva sempre qualcosa al riguardo. Gli esaminatori sono sempre al corrente dei nostri programmi precedenti, quindi sanno ciò che abbiamo appreso o meno. Di conseguenza se non vuoi finire in fondo alla lista devi tenere a mente solo una cosa: se non sei veramente bravo a maneggiare armi che non hai mai visto, evita di guardarle.
«Benvenuti ragazzi».
Voltiamo tutti il capo verso destra, dove cinque donne e cinque uomini siedono elegantemente su delle poltrone bianche. Indossano tutti la stessa divisa: rosa e nera per le donne, giallo scuro e nero per gli uomini.
A parlare è stata una donna, la prima a partire da sinistra. Tiene tre le mani un foglio bianco, lo guarda di sfuggita e ripete i nostri nomi in modo lento, ma deciso.
«Bene, la prova a cui sarete sottoposti è molto simile a quella che avete fatto per l’ammissione al Terzo Inserimento. Verrete valutati contemporaneamente, in modo da poter osservare le vostre abilità. Il primo esame verrà basato sulla corsa, il secondo sulla lotta libera, il terzo armi da taglio e da punta e infinite il quarto esame armi da fuoco. Ci sono domande?».
Nessuno di noi fiata, così gli esaminatori ci fanno accomodare in fondo alla palestra per l’inizio dell’esame. Ora potrei dire di essere lucida mentre corro verso il traguardo stando attenta a non farmi superare, non tanto dalla ragazza della sezione C che dopo soli dieci metri non ha più fiato, ma da Dylan che è più veloce di quel che ricordassi.
Potrei dire di essere lucida mentre schivo pugni e calci e ne do a mia volta, mettendo al tappeto un’insegnate di educazione fisica del Terzo Inserimento e con la coda dell’occhio noto che anche Dylan se l’è cavata egregiamente mentre Cecile è finita al tappeto quasi subito.
Potrei dire di essere lucida mentre afferro una serie di coltelli e faccio gli esercizi richiesti e assisto impassibile alla prova di abilità e maestria di Baker che lascia quasi senza parole gli esaminatori.
Potrei dire di essere lucida mentre utilizzo archi e balestre centrando i manichini dritti al cuore tutte le volte catturando su di me sguardi ammirati.
Potrei dire di essere lucida mentre mi passano sotto mano una serie di armi da fuoco veramente infinita.
Ma la realtà è un’altra.
Faccio tutto meccanicamente, ricordando regole ed esercizi fatti negli anni e improvvisamente sembro essere davvero brava, come se non facessi altro da tutta una vita e in un certo senso è vero. Sto dando il meglio di me, dimostrando che quelli della sezione B non sono solo delle persone estremamente intelligenti che non sanno utilizzare neanche un semplice coltello.
Sbagliano sempre tutti quando ci giudicano dei sapientoni, che passeranno la loro vita futura in qualche ufficio, certo secondo loro ricopriremo cariche importanti, ma non saremo al pari di Punitori, Inseguitori o Purificatori.
Si sbagliano. Uno della sezione B, può lasciare senza fiato dieci esaminatori provenienti dalla Capitale. Uno della sezione B può essere freddo e spietato più di uno della sezione A.
L’esame si conclude nel giro di un’ora e mi chiedo come possano finire di esaminare tutti in una sola giornata, ma quando il silenzio cala nella stanza si sentono delle voci provenire dalle altre palestre, quindi capisco che non siamo gli unici ad essere stati appena valutati.
«Bene. Vi preghiamo di riporre le armi che avete in mano e di uscire dalla porta infondo a destra. Troverete una sorvegliane che vi condurrà all’uscita. Grazie».
Dylan ed io facciamo un inchino portando il pugno della mano destra sopra il cuore, è un segno di rispetto verso la Capitale o almeno è ciò che dicono sempre gli adulti. Gli esaminatori sembrano essere piacevolmente sorpresi dal nostro gesto, ma anche Cecile ha gli occhi sbarrati. Non so cosa insegnino nella sezione C, ma a quanto pare le basi non le hanno proprio.
Una volta congedati del tutto ci avviamo verso l’uscita e una volta fuori la sorvegliante che ci aveva condotti nella palestra ci accompagna all’uscita sul retro.
È una prassi anche questa. Prima di lasciarci liberi ci comunica che il giorno seguente dovremo recarci a scuola alle 10.30, indossando la divisa da cerimonia.
La ringraziamo e poi ci avviamo verso i cancelli. Cecilie si dilegua subito, salutandoci con un cenno della mano, come se si sentisse a disagio.
Mi guardo intorno cercando di vedere se Amelie è ancora qui, ma noto che il cielo si è parecchio oscurato per l’ora tarda, ma che ha anche finito di piovere. Ho davvero passato così tanto tempo dentro quell’edificio?
«Cerchi la tua amica bionda? Deve essere tornata a casa».
Osservo Dylan qualche secondo, indecisa se rispondergli in modo sarcastico o se non rispondergli del tutto, alla fine opto per la seconda opzione. Se dovessi farlo arrabbiare potrebbe farmi piuttosto male.
Capisce che non sono in vena di chiacchiere così percorriamo un tratto di strada insieme, poi ci salutiamo con un solo cenno del capo e ognuno prosegue per la propria strada.
La città stasera è piena di vita, dove volti lo sguardo vedi gruppi di persone che ridono tra di loro e confrontano vari ristoranti per scegliere dove andare. Sembra che sia una serata di festa, come durante il periodo delle memoria o della liberazione. Per le strade la gente ti sorride quando nota la tua divisa, sanno tutti che oggi i ragazzi del quarto anno del Terzo Inserimento stanno per cambiare radicalmente la loro vita, poi ci sarà chi tornerà e chi no.
Quel pensiero mi coglie all’improvviso. Non ho mai pensato a cosa succederà dopo.
Tutti i ragazzi dal Secondo Inserimento in poi sanno che qualcosa cambia nel Quarto Inserimento. Ci sono tre gruppi in totale: i Cadetti, coloro che frequentano il Quarto Inserimento dai diciassette anni ai venti; i Condannati o Fortunati, coloro che frequentano solo il primo anno del Quarto Inserimento in una struttura fuori i confini della città e poi, spesso, le ragazze vengono date in moglie a giovani Cadetti appena diplomati e i ragazzi prendono le redini delle società dei genitori e poi gli ultimi, i Dispersi. Di loro non si sa più nulla, non tornano durante le vacanze, non fanno visita una sola volta ai loro famigliari e quest’ultimi fingono di non aver avuto quei figli.
Sembrano essere cancellati per sempre dal continente.
E se io dovessi essere una Dispersa? Se una volta partita… sparissi nel nulla? Che fine fanno i Dispersi? Dove vanno a finire?
Troppi pensieri. Non devo pensarci ora. Domani vedrò i risultati e poi quel che succederà verrà da sé.
Arrivo a casa che l’orologio in piazza segna le venti in punto. Apro la porta, che come immaginavo è stata lasciata aperta da mio padre.
Mi incammino verso il salotto, ma vengo placcata ancor prima di riuscire a metterci piede.
Athela mi ha bloccata abbracciandomi intorno alla vita, mentre Liam è posizionato davanti alla soglia del salotto con sguardo curioso.
«Come sono andati gli esami?».
Chiede piegando il volto allo stesso modo di mio padre, io sorrido. Si vede che è suo figlio, la sua perfetta copia! Entrambi sono biondi e hanno gli occhi di un verde intenso, ho sempre invidiato il colore dei loro occhi, i miei sono di un banalissimo castano scuro tendente al nero. Anche Athela ha gli occhi chiari.
Naturalmente, non per questo non voglio bene ai miei fratelli! Athela ha 8 anni e frequenta il Primo Inserimento, mentre Liam ha tredici anni e frequenta il Secondo Inserimento, è tornato a casa due giorni fa in vista degli esami, che ha già dato.
È nella sezione A, di nuovo.
«Sono andati bene, non ti preoccupare. Mamma e papà?».
Appena finisco di terminare la frase, Athela mi trascina in cucina, dove mia madre sta riscaldando la mia cena e mio padre sta finendo di leggere il giornale della sera.
Sembrano non essersi accorti di me, allora per attirare l’attenzione mi schiarisco la gola. Mio padre, Peter Bailey, alza lo sguardo lentamente e ad una suo occhiata i miei fratelli si dileguano in salotto dove, sicuramente, tenderanno le orecchie per ascoltare ogni cosa.
Prendo un bel respiro e mi avvicino al tavolo, slego i capelli che iniziano a tirarmi e slaccio la giacca in modo da poter sembrare più rilassata e sicura di me. Mio padre mi ha sempre messo in soggezione per queste cose, la scuola per lui è qualcosa di veramente importante e non che non sia d’accordo con lui, ma farne una ragione di stato per me è un po’ esagerato.
«Come sono andati gli esami?».
Io lo fisso con un sorriso, sono andati bene dannazione. Per la prima volta so che ho qualche possibilità di essere finita nei primi cinque premianti!
«Bene. Ho consegnato il test prima della fine del tempo e durante le prove in palestra non ho mai perso la concentrazione».
Papà chiude il giornale che ha davanti e sia io che mia madre ci prepariamo a quello che sarà un lungo discorso serio e ricco di significato.
«Ascoltami Beka. Il Quarto Inserimento non è uno scherzo, una volta che ci sei dentro vieni trattato come un adulto, mi segui? Se andrai nella Capitale vi faranno vivere da soli, sai cosa significa? Significa preparati da mangiare, svegliarti ad orari adeguati per essere sul posto di lavoro agli orari giusti. Significa gestire soldi e impegni. Significa imparare a crescere Beka e ve lo faranno fare nel modo più brutale che tu possa immaginare. È per questo che devi prendere voti alti».
Lo fisso qualche secondo interdetta. Farci crescere in modo brutale? Non lo fanno già? All’età di dieci anni non ti metto un’arma in mano e ti insegnano ad uccidere? Quello non è brutale? E che cosa significa che mi servono voti alti?
Mio padre sembra comprendere il mio turbamento perché si affretta a spiegare.
«Più i voti sono alti più la tua vita sarà facile. Se esci tra il 1000 che è il massimo e il 900 avrai un posto d’onore.  È come se fosse un’altra sezione A, ma stavolta la sezione A ha veramente dei favoritismi. Non prendere queste cose sotto gamba Rebecca, quando sarai lì noi potremo solo consigliarti ogni tanto attraverso telefonate che durano neanche venti minuti. Voglio essere sicuro che tu sia pronta, non ho intenzione di mandare una figlia al macello, chiaro?».
Annuisco lentamente, mia madre poggia una mano sulla spalla di mio padre ed una sulla mia. Il volto sorridente e gli occhi accesi dalla rabbia, guarda suo marito come se volesse arrostirlo. Così subito dopo aver appoggiato un piatto ricolmo di cibo davanti alla mia figura affamata, fa una ramanzina a mio padre senza badare ai miei fratelli che sono rientrati in cucina di soppiatto.
«Capisco la tua preoccupazione Peter, lo sono anch’io credimi! Non è facile pensare alla propria figlia in un’altra città, ma ci sono modi e modi per mettere in guardia una persona e tu l’hai appena terrorizzata a morte!».
Questo è solo l’inizio della sua lunga lista, ma decido di non ascoltare quello che dice perché so che scoppierei a ridere, non per la situazione divertente, ma solo perché mia madre sembra tanto fragile e timida, quando in realtà è una belva pronta a divorare chiunque tocchi i suoi piccoli.
Sorrido a quel pensiero e finisco la cena, sicura che l’indomani mi porterà non poche novità.
  
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