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Autore: Gigli neri e ombre    05/08/2017    3 recensioni
Dal Capitolo 13:
"[...]Notò subito però che quei Veliant invece di essere rossi come i soliti, erano rosa. Puntandola sullo scherzoso pensò fossero Veliant di tipo folletto, ma analizzando meglio lo scenario che lo circondava si accorse che non avevano armi e che inoltre uno di loro aveva un gioiello grazioso e brillante a forma di rosa rossa che evidentemente doveva essere una spilla. Il suo primo pensiero fu quello di portarselo per venderlo eventualmente, al fine di fare qualche soldo valido. Tornò a casa incurante di ciò che si lasciava dietro senza farsi troppe domande riguardo le particolarità notate. Menefreghismo assoluto ben previsto da parte sua.[...]"
Presenza di un linguaggio scurrile.
Genere: Azione, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale
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– Thriteenth chapter –



Psycological Scars







Dj stava beatamente sorseggiando nella pace dei sensi una bottiglia d'acqua nel loro solito ritrovo, facendo zapping in tv, mentre Courtney era troppo intenta e concentrata a fare qualcosa al computer a lui ignoto. La notava anche scrivere delle cose su vari fogli di carta, alcuni di essi accartocciati e sparsi per terra. Conoscendo il personaggio, visto quanto essa teneva all'ordine, Dj riteneva strano un atteggiamento simile da parte sua ma era certo che avrebbe pulito dopo. In più, riteneva stesse studiando qualcosa inerente i suoi studi universitari. Lei ebbe sempre una visione del suo futuro come avvocato, tutto derivato dall'ambiente nel quale era cresciuta, dal momento che entrambi i suoi genitori praticavano tale professione. Dj poteva benissimo ricordare ancora i periodi in cui erano piccoli e le prime volte in cui ebbero modo di conoscersi, quei periodi infausti...

«Con tutto il rispetto, ma ritengo stia prendendo la situazione con troppa leggerezza» Un uomo sulla trentina, con dei capelli scuri e la carnagione chiara si esprimeva con garbo e finezza. Era vestito molto elegantemente: indossava un pantalone nero, una camicia bianca e una cravatta nera, le maniche della giacca erano rollate. Stava interloquendo con una donna dai capelli ricci e ribelli neri, carnagione scura che dimostrava le sue origini giamaicane e che indossava un vestito arancione alquanto sobrio. Aveva inoltre un buon profumo. «La prego di fare più attenzione» le suggeriva l'avvocato. «C'è di mezzo un bambino»
Un bambino. La donna girò lentamente la testa verso la sua sinistra al fine di contemplare quel bambino di cui si stava parlando. Da una porta aperta era possibile intravederlo, tutto sua madre. Era insieme ad un'altra bambina ma era troppo intenta a leggere per dare attenzioni, mentre il piccolo la osservava nelle sue.
La mora si rivolse di nuovo all'avvocato prendendo un respiro profondo. «Lo so» controbatté decisa. «Per quale motivo mette in dubbio la mia parola?»
«Perché lei vuole divorziare da un uomo violento che è ragione di sofferenze per lei e per suo figlio. Comprendo benissimo la sua causa, ma non tratti suo marito come uno sprovveduto. Lui ha assunto uno degli avvocati migliori che io conosca e inoltre, parlando con tutta franchezza, sua marito starà provvedendo per incastrarla nei più subdoli modi» Il comunicare dell'uomo era molto fluente e serio «Lei ha sposato un demonio». La donna a questo punto si sentì colpevole del suo presente. Era proprio per questo che si presentò al cospetto dell'Avvocato Barlow. Anch'egli sapeva il fatto suo e chiese il suo aiuto perché, oltre essere colpevole del suo presente, voleva essere artefice di un futuro migliore per lei e per suo figlio Devon Joseph, che intanto cercava di dialogare con l'altra bambina di nome Courtney e sembrò riuscirci dopo che essa aveva finito di leggere. Aveva il libro chiuso in mano. Stavo discutendo tranquillamente e si era creata una buona sinergia tra i due ma ad un certo punto DJ aveva notato che il libro tenuto da Courtney stava cominciando a bagnarsi ed automaticamente lui le indicò quanto visto. Courtney improvvisamente divenne seria e scostante, nascose il libro dietro di sé e se ne andò dicendo solo un arido e vuoto “ciao”. Dj rimase lì da solo e dispiaciuto pensando di aver fatto qualcosa di male, mentre la discussione tra sua madre e l'avvocato si intensificava. Sospirò profondamente e si rannicchiò in un angolo della stanza.

Lo stesso sospiro che fece in quel momento da bambino venne riprodotto allora, seduto su quel divano, il ché deconcentrò Courtney all'inizio, ma riprese subito il controllo di quanto stesse facendo. Invece di scrivere, stava leggendo qualcosa al computer. Dj non aveva mai visto Courtney così presa e concentrata, tra l'altro era anche agitata. L'aveva capito.
«Court» La ragazza sussultò «Tutto ok?»
Lei si limitò ad annuire.
«Ehi...» si avvicinò «Non è da un po' troppo che stai studiando? Prenditi una pausa»
«Non adesso» lo guardò «Non sto studiando. Sto cercando di capire alcune cose»
«Ovvero?» Dj, dopo un po' di secondi divenne serio e composto «Stai parlando di quello che penso io»
Courtney aprì la bocca ma passarono cinque secondi prima che dicesse qualcosa, chiuse gli occhi per aprirli poco dopo. «Ho scoperto qualche giorno fa che gli avvenimenti accaduti in quel porto abbandonato possono essere collegati ai Veliant»
«Bene, era quello che pensavo io» Dj incrociò le braccia «Beh?» 
«Ho scoperto che c'è un robot... credo... di nome Jormungandr, sott'acqua»
Alzò un sopracciglio in segno di scetticismo «E come l'avresti scoperto?» Non che Dj mettesse in dubbio la parola di Courtney, ma era stato preso un po' impreparato.
«Un vero reporter non rivela mai le sue fonti» Affermò soddisfatta. 
Dj dunque ci credette, ma solo per fiducia. Sapeva che Courtney non era una che raccontava frottole.
«Ok, ok, ma quel nome che hai detto tu sbaglio o deriva dalla mitologia norrena?»
«Esattamente è questo ciò che cerco di capire» Courtney lo guardò «Come mai un Veliant dovrebbe avere un nome norreno?»
«Non è l'unico» una voce da dietro affermò. I due si girarono e videro Zoey. «Vi ricordate quella volta in cui io e Duncan arrivammo qui e lui era imbronciato perché Gwen prese la sua macchina? Quando Gwen ci fece conoscere Cameron» 
I due fecero cenno di aver presente quel momento. Zoey continuò «Combattemmo un Veliant atipico e fuori dal comune, che aveva un nome norreno»
Avendo dato tale informazione catturò l'informazione dei due «Si chiamava Þrír»
Courtney si apprestò a cercarlo su internet ma «No, Courtney» fu fermata da Zoey «Non ha a che fare con la mitologia norrena, ma vuol dire tre in norreno» 
«Non si ispira a nessun personaggio della mitologia norrena, ma il suo nome è nordico» Courtney a questo punto chiuse il computer «Quando cerchi di dare una risposta alle tue domande, ne arrivano altre. Tsk, incredibile...»
«Non sai nient'altro?» Chiese innocentemente DJ
«So solo che se un individuo volesse andare all'Æsir Corporation, il modo più veloce sarebbe farsi digerire da Jormun come si chiama lui»
Courntey si alzò e fece per andarsene «Dove vai?» Si allarmò DJ
«Torno subito»
A quel punto DJ guardò Zoey senza sapere cosa dire. Una delle poche volte in cui accadeva. Ma riconosceva un fatto, secondo lui. L'unica che potesse fare uno scontro ad armi pari contro quell'essere, era Courtney.


Rabbia, ansia, nervosismo, tristezza, paura. Cinque emozioni e stati e motivi che vennero in mente per primi quando prendeva continuamente e furiosamente a pugni quel sacco da Box. Cresta Verde non riusciva a smettere di far patire dolori a quell'oggetto inanimato, buon per lui che fosse inanimato. Aveva iniziato nel periodo in cui stava cominciando ad avere problemi con i suoi genitori, quindi da adolescente. Suo padre non aveva avuto il figlio che sperava di avere, questo era uno dei principali motivi per i quali c'erano disguidi in famiglia. L'unica che sapeva dargli retta o che sapesse come interagire con lui senza rompere eccessivamente i coglioni, inutile farvelo notare, era ed è Gwen che, dal canto suo, nemmeno era amata dai parenti in generale, come lui.
Uno era rappresentato dal verde, l'altra dal ciano. Ironico, perché il ciano e il verde sono colori che generalmente vengono spesso caratterizzati da qualità in comune e che, sempre per ironia della sorte, sono vicini nella scala dello spettro elettromagnetico.
Gwen era sempre stata indipendente. Lei era nata ribelle dallo spirito libero, ed era una caratteristica condivisa dai due. Anche Duncan era esattamente così, ma era anche una testa di cazzo. Lui aveva un particolare istinto protettivo nei riguardi di sua cugina Gwen, cosa che la faceva spesso innervosire. «Caratteristica del tuo segno zodiacale, Duncan» Rideva Zoey scherzandone con lui, ogni volta che questo suo senso protettivo si manifestava in sua presenza. Duncan era Cancro. Era più forte di lui quanto scritto sopra, che pur sapendo la reazione di Gwen, non riusciva a coprirla. Specie per quei fatti chiusi nel passato, ma il passato è un abisso in cui vivono pesci altamente pericolosi che talvolta emergono.
Aaah, il passato, tortuoso e bellissimo ricordo...

Quella volta erano seduti sul terrazzo della palazzina in cui abitava Gwen con la sua famiglia. Era solito da parte loro stare in terrazza e questa loro abitudine è rimasta nel tempo. Si trovavano bene, c'era pace e silenzio nella notte, loro periodo giornaliero preferito. La notte. Stavano entrambi mangiando un ghiacciolo, entrambi al limone. «Inutile ragionarci, quando uno ha la testa di cazzo non puoi farci nulla» Parlava il giovane punk con i capelli ancora non tinti, riferendosi a suo padre.
«Sì, è quello che mi ripeto ogni volta che parlo con te» Ribatté Gwen.
«Grazie mille, Gwen, senza di te non saprei come colmare il vuoto delle mie tristi giornate»
«Cazzone, queste frasi dovresti dirle ad una persona più importante di me» Fece spallucce «Prendi una fidanzata, ad esempio. Non mi piacciono le smancerie»
«È quello che cerchi di nascondere, ma se cominciassi a suonare uno strumento potresti cambiare idea» Rise il punk.
«Perché tutte le ragazze si bagnano con quattro note?» lo guardò con aria di sfida «Non mi lascio incantare da quattro accordi in una cover degli Oasis suonati da una bella faccia» Sbuffò «Fossero almeno paragonabili ¼ a Liam Gallagher, sarebbe più credibile» Era tuttavia ben visibile che stesse nascondendo qualcosa.
Duncan rise fragorosamente «Per favore Gwen»
«Strozzati col ghiacciolo, fallo un bene per l'umanità»
«No, perché? Poi chi provvederebbe a scatenare la tua vita?»
Gwen si mise più comoda «Non hai capacità così sviluppate. E poi, se utilizzi la tua "vitalità" solo per scherzi, faresti meglio se la nascondessi, rompipalle. Just saying»
«Lo stesso vale per la tua fotocinesi. Just saying»
«Vero. Non la esibisco infatti»
«Ma non la nascondi nemmeno» Duncan si alterò «L'altro giorno hai abbagliato un ragazzo solo perché ti aveva fatto l'occhiolino!»
«Gli ho solo dato un motivo valido per chiudere gli occhi» disse con soddisfazione.
«Non potevi usare una torcia o che cazzo ne so?»
«Tranquillo, è la scusa che ho utilizzato. Una torcia che emette una potente luce turchese. Ultimo modello aggiornato e all'avanguardia nel commercio. Quando mi hanno chiesto di farlo vedere li ho ringhiato contro»
«Cagna»
«Tua madre»
«Ma forse...» sospirò ghignando contemporaneamente «L'hai fatto solo perché...»
«Fermo» parlò sopra il punk «Non ti consento di finire la frase. Non è vero»
«Ok, ok»
Dopo 5 secondi i due scoppiarono a ridere.

Fu con questo ricordo di adolescenza che Duncan diede tregua al sacco da box e decise di andare via. Posò i guantoni, andò a lavarsi la faccia e prepararsi prima di andarsene via. Non aveva il minimo senso uscire con la macchina dal momento che casa sua era vicina, inoltre decise di passare per le vie più isolate che conosceva in modo tale da seguire il consiglio dei Depeche Mode e godersi il silenzio. Non perché quelle vie fossero desolate in genere ma i motivi erano due. Il primo era la gente che terrorizzata dei fatti che stavano succedendo ultimamente con i Veliant e quant'altro; mentre il secondo motivo, chiaramente, le vacanze. Percorreva una strada dove ai lati c'erano delle case, razionalmente poche. Ecco perché era una via silenziosa, difatto in principio i Veliant si fecero vivi esattamente dove si trovava lui. Non sapeva allora cosa avesse Blaineley in mente, né per quale motivo rendere noti i Veliant a livello pubblico. Per Duncan solo una cosa era chiara: Blaineley era una terrorista. Non l'aveva mai vista di persona, ma non serviva.
Era sempre più vicino a casa e si rese conto che continuava ad esserci pace, fu tranquillo. Tra l'altro, Gwen era con Cameron e lo era da un bel po' a quanto lui sapesse. Ne avrebbe approfittato per fare baldoria con Scott, certo, se solo lui fosse stato libero. Era da un po' che lo vedeva cupo e di malumore, più del solito. Non era solo scorbutico, era anche più triste del solito. Duncan un'idea sul perché ce l'aveva, eppure non si faceva troppi dilemmi a riguardo perché lo conosceva e sapeva che il rosso a volte era più lunatico di lui.
Proprio quando Duncan ebbe modo di entrare nel relax, vide da lontano dei Veliant. La pirma cosa che gli venne d'istinto fare, fu quella di nascondersi dietro le pareti di una casa. Essi stavano tranquillamente vigilando le strade. Il fatto era curioso: sotto chissà quale ordine, i Veliant erano i poliziotti che dovrebbero fare piazza pulita nel caso in cui quelli come il Marcio dovessero farsi vivi. In questo scenario, quelli come lui recitano il ruolo dei criminali e se c'era una cosa in cui il Punk era dannatamente bravo, questa era essere un criminale, lo sapeva fare sia per finta che realmente. Dunque Blaineley voleva giocare a guardie e ladri? Il Verde accettò di buon grado la richiesta dalla Falsa Diva, come fossero su facebook richieste di Farm Ville.
Si caricò di fulmini e ad una velocità impressionante sferrò un pugno carico di elettricità nel pieno cranio di un Veliant che infine volò via dal corpo. Il Veliant perdeva una specie di benzina dal collo senza testa, cadde per terra. La stessa sorte toccò i Veliant restanti, che invece vennero sbattuti testa con testa, sempre in maniera violenta.
Fu sbrigativo perché se così non fosse stato i due Veliant restanti avrebbero potuto senza problemi attivare l'allarme e convocare altri Veliant. Non era il caso di combinare casini, non ne voleva di ulteriori.
Notò subito però che quei Veliant invece di essere rossi come i soliti, essi erano rosa. Puntandola sullo scherzoso pensò fossero Veliant di tipo folletto, ma analizzando meglio lo scenario che lo circondava si accorse che non avevano armi e che inoltre uno di loro aveva un gioiello grazioso e brillante a forma di rosa rossa che evidentemente doveva essere una spilla. La sua prima preoccupazione fu quella di portarselo per venderlo eventualmente, al fine di fare qualche soldo valido. Tornò a casa incurante di ciò che si lasciava dietro senza farsi troppe domande riguardo le particolarità. Menefreghismo assoluto ben previsto da parte sua.



Era già sera e Scott era in un parco che era molto pulito e verde: Alberi che cantavano strofe di tranquillità suonate da un vento che non dava il minimo fastidio mentre i fiori di vario tipo danzavano coreografie in gruppo situati in diverse aiuole. Lui era seduto su una panchina da solo, con un gelato in mano, un insignificante cornetto all'amarena. “Insignificante” non era l'aggettivo che lo descriveva in passato.

Anni fa, una donna dai lunghi capelli rossi era seduta sulla stessa panchina nella quale si trovava Scott. Stava serenamente leggendo un libro mentre un bambino dai suoi stessi colori correva avanti e indietro nella sua stessa area, troppo concentrato nell'inseguire uno scoiattolo che alla fine si apprestò celere a scalare un albero nel quale vi era casa sua, un cerchio dal quale uscirono dei scoiattoli più piccoli che si fermarono su un ramo aspettando la madre.
Il bimbo dai capelli rossi rimase ad osservarli per un po', dopo tornò dalla donna. Era un bambino dagli occhi grigio perla e le lentiggini, insomma, la versione maschile di Pippi calzelunghe. Similitudine azzeccata, constatando che quel bambino non è che fosse proprio uno stinco di santo e indossava una salopette azzura accompagnata da una maglietta a righe orizzontali azzurre e bianche. 
«Mamma, mamma» La fissò «Possiamo prenderci un gelato?»
Ella gli sorrise di rimando e diede una risposta positiva, quindi chiuse il libro, lo prese per mando e si diressero verso il chiosco, muovendosi tra le voci e gli entusiasmi di altre persone e bambini presenti in quel parco.
Un uomo baffuto stava animatamente parlando con qualcuno che si trovava dentro il chiosco. Quell'uomo aveva dei baffi rossi come i suoi capelli, gli occhi grigi come quelli di Scott. «Non lo so, Aidan, a me sembre un po' inutile» rispondeva l'uomo del chiosco che non appena vide la donna col bimbo si fece trovare preparato «Caitrìona! Scott!» gioì «Ditemi»

«Il solito» ordinò la donna che subito ricevette due coni all'amarena. Guardò Aidan, l'altro tizio rosso. Lui scosse la mano sinistra, che era stesa sul bancone, comunicando che lui non desiderava niente.
Caitrìona e suo figlio stavano mangiano il gelato mentre Aidan li guardava con un fastidio allo stomaco – odiava il gelato.
Stranamente però, il gelato di Scott si sciolse subito, causando stupore nel volto di Aidan, Caitrìona e anche del venditore, mentre il bambino si sentì oltraggiato dal caldo. Il gelato di Caitrìona invece era ancora intatto.


Perché?
Si chiedeva sempre e costantemente, da piccolo, perché proprio lui dovesse avere quei maledetti poteri.
Qualunque fosse la risposta, non aveva più la minima importanza. Aveva imparato a gestirli e ad accettarsi.
Il presente è quello che è. Ciò che compone “ieri” non può essere cambiato.
La sua testa era così confusa e lui era rientrato in quell'emozione nera nella quale non faceva altro che tormentarsi e incolparsi di tutto. Suoi disagi mentali compresi. Ci fu un periodo in cui Scott, nella sua adolescenza, prendeva psicofarmaci. Suo nonno, notando però che lo stavano facendo diventare più malato di quanto già non fosse, decise di smettere subito la cura farmaceutica. Pochi furono i regali fatti dalla vita e lui provava simpatie per quasi nessuno, tra l'altro.
«Non mi sarei aspettata di vederti qui» sussurrò una voce soave e pura che si avvicinò, una persona si sedette accanto a lui.
«Vattene, Dawn» sgarbato, non la guardò neanche.
Raggio di luna non dette risposta, per difesa la Iena decise di ignorarla.
«Mi dispiace per quello che hai passato»
«Fottiti» Scott continuava a non guardarla, sbuffò «Senti... non ho voglia di perdere tempo»
«Cosa che perderesti stando seduto su questa panchina, in un luogo che ti da tristezza»
«E con la tua voce a dare fastidio»
Dawn lo fissò un attimo, analizzando ogni lato del suo profilo. Uno sguardo fisso che penetrava. Forse per questo veniva spesso ignorato.
Rosso malpelo ci pensò su. La Principessa delle fate era la ragazza che più odiava, che più detestava e che più trattava male. Allora perché lei si ostinava ad essere gentile con tutti? Come poteva venirle naturale?
«Sono fatta così»
Scott sussultò «Sai cos'è che mi da fastidio? Il fatto che ti sia azzardata ad immischiarti nei miei affari»
Adesso la guardò davvero «Te lo dirò onestamente. Mi irriti, mi stai sul cazzo. Tu e questa tua mania di analizzare le auree, i ricordi e i pensieri. Mi infastidisce il fatto che questa minchiata sia reale. Non ci credevo all'inizio ma tu riesci davvero a leggere i pensieri. Ti ripeto per l'ennesima volta: Non farlo mai più» la sua aura era viola scuro intenso. Rabbia.
Dawn non disse niente comunque. Dialogare con Scott era complicato, anche con tutte le buone intenzioni del mondo. Le mura che compongono la sua fortezza erano troppo spesse ma era alquanto noto che stessero per crollare mostrando il suo lato debole.
Dawn, decise di alzarsi e andarsene, una delle poche volte in cui la zanzara fatata andava via. Passò dietro la panchina, ma prima di andarsene posò una mano sulla spalla destra di Scott e diede un rapido bacio sulla sua testa. «Scusami» sussurrò dolcemente e andò via lasciando il ragazzo irritato. Il Rosso tentò di girarsi per cantargliene quattro ma lei era già sparita.
Raggio di luna riconosceva che l'odore di cocco dei suoi capelli era splendido e magnifico. Il cocco era uno dei suoi profumi preferiti.




Sapeva già che sarebbe stata una fascia oraria massacrante quando realizzò che doveva andare al supermercato a piedi in una calda e afosa giornata, pur tenendo presente che l'aria condizionata avrebbe potuto costituire una grossa benedizione per la durata dei vari acquisti. Già che c'era, la sua idea comprendeva anche lo sbrigare un favore ad un suo caro amico. Lo fece perché, al di là del suo sembrare freddo e tagliente, gli dispiaceva in realtà vedere l'omaccione abbattuto. L'unico modo per poter sollevare il suo morale era il cibo. La sua strategia stava nel comprare le schifezze più disparate al fine di poterlo fare distrarre quanto meno una buona manciata di secondi, benché egli sapesse che onestamente era tutto inutile. Owen era a pezzi da diversi giorni, da quando Izzy scomparve senza dare notizie. A onor del vero, una persona che decide di scappare di casa e di scomparire non avrebbe nessun motivo per dare sue notizie. Ma Owen era notevolmente legato a quella pazza sclerotica dai ricci rossi ed il suo stato d'animo era più che comprensibile. Semplicemente era difficile da comprendere, come presumibilmente per qualsiasi persona che si sia ritrovata difronte ad una scomparsa, perché Izzy fosse scomparsa. Non era soggetta a depressione, non era soggetta a preoccupazioni e non aveva nessun motivo per il quale dirsi terrorizzata di qualcosa. Detto brevemente, Izzy se ne fotteva. Si percepiva lontano un miglio che c'era un dato mancante nel problema che rendeva difficile l'interpretazione di una risposta valida. Continuava cercando di trovare quel dato per semplice curiosità, a differenza di Owen a lui di Izzy importava non troppo. Ne ebbe nuovamente prova quando, dopo aver finito la spesa, si presentò a casa di Owen e dovette, inspiegabilmente aspettare. Suonare una seconda volta fu inutile, per cui confidò nel fastidio emesso dal campanello se prolungato. Ciò fu senza ombra di dubbio efficace sull'omaccione che una volta aperta la porta, mise in mostra l'abissale differenza fra di lui ed il suo amico. Se Owen è un ragazzo molto corpulento, alto e obeso dai capelli biondi accompagnati dal nero dei suoi occhi con carnagione chiara; l'altro ragazzo invece era basso, scheletrico dai capelli lunghi e mori con lineamenti palesemente indiani. «Noah...» Sibilò Owen spento e cupo «...Ciao»
Due parole così semplici che tuttavia bastavano e avanzavano per dimostrare la differenza tra l'Owen di quel momento e l'Owen del passato. L'Owen del passato era ottimista, festoso e casinaro, mangiava addirittura i chiodi dei muri e che voleva solo ed esclusivamente divertirsi, mangiando e non. Al contrario, l'Owen di quel momento era l'esatto opposto; se prima il suo focus era la baldoria e il cibo, le cose si erano evolute lasciando spazio ad un annullamento esistenziale, era diventato solitario e preferiva passare le giornate tentando di dormire sebbene in tutta sincerità non ci riusciva perché troppo impegnato a versare lacrime a causa del suo sentimento terribile. Aveva anche perso l'appetito. «Cosa ti serve?»
«Mah, sai Owen... niente di che, del resto sono il fattorino che consegna la spesa a domicilio» Rispose.
«Non devi farlo, io non voglio tu lo faccia... La spesa la posso fare io»
«Disse il tizio che non esce di casa» Alzò un sopracciglio
A quel punto, Owen si rassegnò e lo fece entrare. Dalla porta si vedeva la sporcizia e il disordine che teneva compagnia al biondo.
«No grazie, mi basta avere a che fare con il casino nella mia mente»
«Da quando hai casino nella mente?» Chiese Owen
«Da adesso. Il casino è contagioso»
Owen rimase venti minuti buoni con il volto perso nel vuoto prima di capire cosa intendesse. Sospirò dopo aver capito e stava per chiudere la porta.
«E queste per chi le ho comprate? Per la discarica?» Starnazzò mettendo in avanti la busta.
Owen la prese. «Grazie Noah. Torno a dormire, ci vediamo prossimamente» Chiuse la porta. “Prossimamente”. Mai si sarebbe immaginato di poter sentire un termine simile provenire da Owen. Questa situazione dava via via più strazio.
Noah sospirò e fece dietrofront sicché Owen non sembrava avesse voglia di socializzare. Riteneva dunque fosse necessario chiedere aiuto a forze esterne. Una persona, parlando schiettamente con lui, gli fece notare dei sospetti riguardo Izzy, sospetti secondo i quali ella fosse capace di cose non naturali. Noah era scettico a riguardo, ma a questo punto valeva la pena tentare qualsiasi cosa. Quando tutto è privo di certezze, allora tutto è possibile in egual modo, pertanto vale la pena alzare la guardia di una spanna.
Prese il telefono e digitò un numero. «Pronto?» parlò mentre si dirigeva verso casa. «Mh? Sì, passamela»
 



Black Corner:
Le cose giuste ragazzi, non lo so manco io quello che ho scritto. Onestamente.
Non so se "è cosa buona e giusta" come la pizza il sabato sera o se ho solo fatto una cavolata paragrafo per paragrafo.
Mi scuso in anticipo per il capitolo noioso e poco dettagliato, davvero. Mi scuso per avervi fatto perdere tempo con i soliti quattro quesiti messi in croce, lo so, devo smuovere 'sta FF/storia/come si chiama.

Sono le 4:22 del mattino e sono stanco morto!
Cercherò di essere breve parlando di alcune cose:
Il mio ultimo aggiornamento risale ad un anno e due mesi fa, vi prego, perdonatemi per il ritardo.
Vi dirò sinceramente che il problema risiedeva nell'aver perso la fantasia. Ero rimasto bloccato, non sapevo più come continuare e vi dirò, talvolta perdevo pure la voglia. Avevo pure paura di fare un capitolo così orrendo da farvi calare il latte alle ginocchia, non è quello che vorrei. C'è da dire che ho passato pure un brutto periodo, ma questo è un altro argomento. Sì, perdonatemi quindi per essermi fatto aspettare così tanto e per aver colmato l'attesa con questo aborto. 
Psycological Scars. Perché? Perché in questo capitolo ho analizzato il passato di 3/4/5 dei nostri personaggi. Un passato che ha ferito nell'animo (vedi Scott, DJ). Lo farò anche nei capitoli a venire con i rimanenti e con quelli che verrano, se vi farà piacere analizzare anche quello degli altri. Questo non vuol dire che Ragnarok diventerà ineramente fatta di Flashback, assolutamente no, l'ho fatto perché in reealtà può servire ad andare avanti con la storia. A step back is a step forward. 
Difatti in questo capitolo ho strizzato l'occhio a cose che determineranno i prossimi capitoli, esempio: Noah - i Veliant rosa - Gwen da Cameron e non voglio fare spoiler.
Ho voluto dare una ripassata ai capitoli precedenti, ho voluto rileggere tutte le recensioni ricevute. 
Sì, ho ripreso la voglia di continuare Ragnarok.
Vi ringrazio sinceramente per il supporto. 

Voglio ringraziare veramente, col cuore, evitando Barbara d'Urso, M del duo Erin_Writer e Mr Lavottino perché hanno rilasciato due nuove recensioni e la cosa mi ha reso molto felice. 
Risponderò subito alle vostre recensioni, ma non adesso perché sto svenendo sulla tasteria. Domani sarò tutto vostro.

Terminato. Scriverei molto di più nell'angolo autore, guardate gli altri capitoli e capirete che io tartasso gli angoli autori di cavolate ahahah
Adesso vi chiedo di esprimere la vostra opinione, cosa ne pensate, cosa vi è piaciuto e cosa no, cosa vi lascia perplessi e come vi devo ordinare la pizza.
Fatemi sapere per quanto riguarda OOC e errori vari. 
Ammetto: temo di aver fatto OOC Courtney e Scott. Onestamente. Ah, e Noah.
Forse pure Owen, ma Owen lo abbiamo visto depresso pure nell'opera per la stessa e identica ragione, quindi OOC fino ad un certo punto.

Ditemi la vostra.

Vi ringrazio infinitamente!

Nero

P.s.: Tra le mie idee c'e quella di rivedere tutti i capitoli di Ragnarok per correggere errori grammaticali e logici, che ce ne sono tanti ahahah. 


 
   
 
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