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Autore: Old Fashioned    06/08/2017    22 recensioni
Siamo alle ultime fasi della Guerra di Liberazione contro Napoleone, la battaglia di Lipsia è imminente. Nella villa di una famiglia nobile della zona viene ricoverato un ufficiale degli ussari ferito, che subito susciterà nel rampollo sedicenne della casata prepotenti empiti romantici.
Questa storia vuole essere un omagio a Goethe (che spero non si offenda troppo^^), ed è scritta nello stile del Werther, in forma epistolare e con abbondanza di empiti, palpiti e romanticismo. Da leggere solo se piace il genere.
Genere: Angst, Guerra, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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I DOLORI DEL GIOVANE FLORIAN




26 Agosto 1813

Oggi c’è stata una magnifica battaglia. E pensa, Erich, si è svolta proprio sulle nostre terre, presso quel tratto del Katzbach che scorre tra Wahlstatt e Liegnitz. Si è scatenata una furiosa tempesta, insolita per la stagione. Amo pensare che sia stato il Sacro Furore di Dio contro l’invasore francese, perché essa ha consentito al Feldmaresciallo Blücher di sorprendere le truppe nemiche presso il fiume. A causa dei rovesci d’acqua era impossibile usare i moschetti, per cui sono state le sciabole della cavalleria a decidere le sorti dello scontro.
Ah, poter far parte di quegli eroi! Perché sono ancora troppo giovane per portare le armi?
Mio padre non si è smentito neppure questa volta, te lo dico con la consueta vergogna. Si è svolta proprio sui suoi possedimenti una battaglia della Sacra Guerra di Liberazione dall’odioso invasore e qual è stato il suo primo pensiero? Gioire? Sentirsi il cuore gonfio d’orgoglio? No di certo. Ha calcolato in talleri sonanti l’ammontare del mancato raccolto, perché la cavalleria, nel suo eroico assalto, ha calpestato i campi.
La sua meschinità è ogni volta una stilettata al cuore. E dire che la nostra stirpe ha passato secoli a combattere per la Patria. Possibile ch’egli non ascolti ciò che il sangue gli grida a gran voce? Possibile che in ogni suo pensiero sia la fredda ragione a prevalere, coi suoi miserabili conteggi?


27 Agosto

Abbiamo saputo che nella battaglia ci sono stati molti feriti. Così tanti, in verità, che gli ospedali da campo non sono in grado di accoglierli tutti. Sua Eccellenza il Feldmaresciallo Blücher ha stabilito che alcuni di essi saranno alloggiati nelle case dei dintorni affinché ricevano la necessaria assistenza, i soldati e i sottufficiali nelle fattorie e gli ufficiali presso le dimore nobiliari.
Dato il nostro cognome, noi ci aspettiamo di ospitare un ufficiale, ma sarei fiero di dare alloggio anche all’ultimo dei soldati, perché si tratterebbe in ogni caso di un eroe che ha combattuto per liberare la nostra amata Patria!


28 Agosto

Mio Dio, Erich, non speravo tanto! Poiché le terre su cui si è svolto lo scontro appartengono alla nostra famiglia, Sua Eccellenza ci ha concesso l’onore di ospitare un autentico eroe!
Si tratta del Conte von Eulenburg, un ufficiale dei leggendari Ussari Neri! Giungerà nel pomeriggio, già fremo al pensiero di vederlo.
Mio padre naturalmente ha avuto il coraggio di protestare. Cianciava di spese mediche e di vitto. Di vitto, ti rendi conto? Come se qualsiasi tedesco che ha sangue nelle vene e sentimenti nel cuore non sarebbe disposto a privarsi finanche del necessario pur di dare assistenza a un eroe della Sacra Guerra di Liberazione.
Insensibile nella sua grettezza a queste pur giuste ragioni, ha protestato con tale veemenza che è dovuto intervenire il Feldmaresciallo Blücher in persona. Ne sono rimasto davvero colpito, amico mio. Egli è un uomo dalla personalità magnetica, sembra letteralmente irradiare autorità tutt’intorno a sé, tanto che neppure il mio meschino genitore, giunto in sua presenza, ha più trovato il coraggio di porre obiezioni a che l’ufficiale ferito fosse alloggiato presso di noi.


29 Agosto

Come ti dicevo, ieri nel tardo pomeriggio è giunto finalmente il tristo convoglio dei feriti ad accompagnare il Conte von Eulenburg.
Non voglio descriverti la pena di quella mesta colonna nella luce livida del tramonto. Due poveri ronzini esausti tiravano un carro sul quale erano distesi alla bell’e meglio, feriti e sofferenti, eroi che meriterebbero ogni onore. Chi li accompagnava faceva il possibile per dar loro sollievo, ma l’aria risuonava di lamenti e le bende che erano state poste sulle ferite erano già sudice e intrise di sangue.
Tutti ci sentimmo stringere il cuore alla vista di quegli infelici. Io implorai mio padre affinché accogliesse nella tenuta anche altri soldati, ma forse sarebbe stato più utile pregare una pietra.
Questa storia mi è già costata anche troppo - ecco le sue esatte parole.
Mi ordinò invece di sellare Blume e andare di corsa in paese a chiamare il dottore. Probabilmente risentiva ancora della visita di Sua Eccellenza, che nonostante le sue vergognose recriminazioni gli aveva ingiunto di dare all’ufficiale tutte le cure necessarie.


01 Settembre

Scusa se ti ho trascurato per qualche giorno, mio caro Erich, ma sono stato talmente impegnato che non ho trovato neppure quei pochi istanti necessari a riordinare le idee per scriverti.
Ma ti racconto quel che è accaduto, così capirai il motivo del mio ritardo.
Come ricorderai, mio padre mi ordinò di andare in paese a chiamare il dottore. Pensa, la nostra Blume, vecchia e bolsa com’è, fece tutta la strada al galoppo. Osservandola si sarebbe potuto pensare che avesse capito la situazione.
Spesso le bestie dimostrano nella loro semplicità molto più buon senso degli uomini, non ti pare?
Giunsi dunque presso lo studio del medico e gli spiegai quello che era accaduto. Egli, senza dubbio di sentimenti ben più nobili del mio prosaico genitore, fece attaccare immediatamente il calesse e mi seguì alla tenuta. Qui mio padre lo accompagnò alla camera azzurra, ovvero quella in cui vengono normalmente alloggiati gli ospiti di riguardo.
I due conversavano tra loro senza far caso a me, così che io potei seguirli al capezzale del giovane Conte von Eulenburg.
Mio Dio, Erich, ora che provo a raccontarti ciò che vidi mi rendo conto che le parole sono solo gusci vuoti privi di significato, meri segni d’inchiostro, pallidi riflessi della realtà, vaghi e tremuli come fantasmi afflitti.
Ancora adesso l’emozione minaccia di sopraffarmi e la mano trema quando m’accingo a scrivere di lui, tanto magnifico e commovente fu lo spettacolo che si offrì ai miei occhi increduli.
Un arcangelo guerriero, questo il paragone che più s’avvicina a ciò che vidi. Uriel Fuoco di Dio, immagino, ha un volto come quello che mi trovai ad ammirare.
Era un ovale perfetto, di nobile pallore, incorniciato da una capigliatura d’oro pallido morbidamente ondulata. I bellissimi tratti erano regolari e delicati, ma al tempo stesso contenevano una nota di durezza adamantina.
L’espressione non era stravolta dalla sofferenza come spesso accade in questi casi, ma singolarmente tranquilla, addirittura serena.
Io rimasi a fissarlo con reverenza, quasi stessi contemplando uno splendido San Sebastiano deposto dal martirio.
Egli non era cosciente, giaceva immobile dove l’avevano adagiato e solo le bende insanguinate che aveva sul petto lasciavano capire che si trattava di una creatura di questo mondo e non di un essere ultraterreno.
Mi richiamò bruscamente alla realtà la voce di mio padre che chiedeva al medico quali fossero le condizioni del ferito.
Con tono serio, il dottor Kohn rispose: “Potrebbe essere troppo tardi per salvarlo.”
A quelle parole ferali mi sentii letteralmente gelare il sangue nelle vene, caro Erich. Non così mio padre, che disinvoltamente replicò: “Muore presto chi è caro agli dei, questo è ben noto. Nel malaugurato caso che il Signore lo chiamasse a sé faremo dire una messa in suo onore. Anche Sua Eccellenza il Feldmaresciallo a questo punto dovrà ammettere che avremo fatto tutto il possibile per il suo ufficiale.”
Fui colto da un empito di ribellione: ogni fibra del mio essere insorgeva fremente all’idea che quello splendido giovane eroe morisse. Avrei preferito cento, mille volte dare la mia stessa vita purché fosse risparmiata la sua!
Mi aggrappai al braccio del medico e crollando in ginocchio così implorai: “Mio buon dottore, vi prego, fate sì che egli viva! Qualsiasi cosa io possa fare per lui, fosse anche stillare fino all’ultima goccia del mio sangue, la farò. Ma vi scongiuro, salvatelo!”
Levai su di lui lo sguardo velato di lacrime.
Egli mi sorrise benevolmente, accarezzandomi i capelli. “Faremo tutto il possibile,” mi disse rassicurante.
Egli mi ha visto nascere e mi ama come un figlio, Erich. Senza dubbio in quel frangente comprendeva il mio tormento molto meglio del mio insensibile genitore, il quale invece non fece altro che spazientirsi e ordinarmi di stare zitto.
Incapace di tollerare oltre la vista di quel candido petto straziato dalle ferite, corsi alla cappella di famiglia e lì caddi in ginocchio dinnanzi all’effigie del Redentore, cui rivolsi le più fervide suppliche.
Lo pregai fino allo sfinimento di risparmiare la vita del giovane Conte von Eulenburg. Io ti giuro, amico caro, che se in quel momento avessi potuto offrire al Signore Iddio la mia vita in cambio della sua l’avrei fatto di tutto cuore.

Da allora è cambiato poco, mio caro Erich. Il mio arcangelo è tuttora in stato di incoscienza e per ordine del dottor Kohn io mi prendo cura di lui. Lo veglio giorno e notte, concedendomi solo qualche pausa ogni tanto per il necessario riposo.
Caro dottore! Quando ha visto quanto profondamente mi avesse colpito il giovane Conte, ha parlato con mio padre e gli ha chiesto che fossi io ad assisterlo, cosa che lui gli ha volentieri concesso, essendo io a suo parere troppo giovane per fare qualsiasi altra cosa.


03 Settembre

Ancora niente. Ma io non dispero, Erich, sono certo che presto si riprenderà.
Passo le giornate e a volte anche le notti nella contemplazione di quel volto, eppure non ne sono mai stanco. Conosco a memoria ogni tratto, ogni sfumatura dell’incarnato, la piega morbida delle labbra, l’ombra che le ciglia color miele gettano sulle guance lisce… e nonostante questo, appena me ne allontano provo un anelito doloroso, un tormento che si esaurisce solo quando finalmente il mio sguardo si posa di nuovo sulle amate fattezze, come se esse fossero l’aria che respiro, e privarmene equivalesse a morire.
Trascorro ore intere a chiedermi di che colore abbia gli occhi e come sia la sua voce. Immagino i primi color del cielo, tersi e trasparenti come laghi di montagna, e la seconda forte e vibrante, adusa a lanciar ordini sull’aspro campo di battaglia.


05 Settembre

Oh, Erich, se tu sapessi! Sono in un parossismo di esultanza, mentre ti scrivo sto ridendo e piangendo contemporaneamente, quasi non riesco a tenere ferma la mano che regge la penna!
Il mio giovane ufficiale ferito ha ripreso i sensi!
Quando Argo vide tornare il padrone, il suo vecchio cuore non resse alla gioia di rivederlo. Potrei dunque morire anch’io per la troppa felicità, amico mio?
Ma voglio raccontarti ciò che è accaduto, affinché tu possa esultare con me.
La mattina gli medico sempre le ferite. Sono terribili, sai, i primi giorni dovevo farmi forza per non distogliere lo sguardo. Immaginavo lo strazio e il dolore che da esse deriva e letteralmente mi sentivo venir meno. Ma ora si stanno chiudendo e riesco a sopportare molto meglio la loro vista.
E comunque… oh, mio Dio, com’è possibile tradurre in parole la felicità che mi trabocca dal cuore e pervade tutto il mio essere?

Stamattina dopo la medicazione mi sedetti accanto al suo letto come faccio spesso e gli presi la mano. Tenendola fra le mie me la premetti contro la guancia. E fu allora, caro Erich, che con un tuffo al cuore percepii una lieve stretta delle sue dita!
Subito lo fissai ansiosamente in viso, e lo vidi aprire i più meravigliosi occhi che si possano immaginare.
Due gemme sfolgoranti, Erich, di un azzurro così intenso e trasparente da togliere il respiro.
Era spaesato, si capisce, e guardava davanti a sé senza in realtà vedere nulla. La sua espressione, inizialmente trasognata e vacua, si andava facendo più attenta man mano che tornava in sé.
D’un tratto il giovane ufficiale percepì la mia presenza. Le sue dita si strinsero ancora una volta debolmente sulle mie ed egli si volse faticosamente nella mia direzione. Aprì le labbra senza riuscire ad articolare alcun suono, lo splendido volto che dolorosamente esprimeva una muta domanda.
Cercando di mantenere la compostezza – i feriti hanno bisogno soprattutto di tranquillità – gli passai delicatamente un panno umido sulla fronte e gli chiesi: “Come vi sentire, signor Conte?”
Aggrottò le sopracciglia. Lottava per capire, questo era chiaro, ma era ancora troppo intontito per ragionare con la necessaria lucidità. Emise un sospiro di frustrazione e mi rivolse uno sguardo che sembrava chiedere aiuto.
“Volete sapere della battaglia, signor Conte?” domandai a bassa voce, continuando a passargli il panno umido sul viso.
Non so se in quel momento ricordasse la battaglia, Erich. Così come li aveva aperti, richiuse lentamente gli occhi e si abbandonò nuovamente al torpore dal quale era appena emerso. Probabilmente era ancora così debole che anche quel minimo sforzo l’aveva sfinito.
Rimasi immobile con la sua mano fra le mie e la sensazione di aver appena assistito ad un’apparizione soprannaturale.


08 Settembre

Due giorni fa c’è stata battaglia anche a Dennewitz, a sud di Berlino, ed è stato un altro colpo inferto al maledetto despota! Dappertutto ormai l’odioso invasore viene scacciato dal sacro suolo tedesco.
Ah, perché non posso prendere parte a quella che non esito a definire una Santa Crociata contro l’oppressione e la tirannia? Potrei brandire un’arma esattamente come chi ha più anni di me, se solo si concedesse all’entusiasmo che alberga nel mio cuore di dilagare come un torrente che rompe gli argini a primavera.
Ma sono egoista, Erich, voglio per me la gloria e l’esaltazione della battaglia mentre ho qui il mio dovere da compiere. Il Conte von Eulenburg sta meglio. Il dottore l’ha visitato ed è rimasto assai soddisfatto. Dice che è di fibra eccezionalmente robusta.


09 Settembre

La sua voce, Erich! Finalmente ho udito la sua voce! Come vorrei che tu fossi qui con me in questo momento! Potrei fartelo conoscere, potresti parlargli.
Ma voglio descriverti quello che accadde ieri.
Entrai nella sua camera ancora entusiasta per aver appreso della vittoria a Dennewitz. Avevo con me una delle gardenie della serra, certo che l’ufficiale avrebbe gradito il profumo di quei fiori meravigliosi. Collocai la pianta sulla mensola vicino alla finestra, poi mi sedetti come sempre accanto al suo letto.
Presi a narrargli della battaglia. Gli parlo spesso, il dottor Kohn dice che gli fa bene.
Probabilmente la mia voce doveva vibrare di particolare entusiasmo, perché il giovane ufficiale sembrò riscuotersi dallo stato di trasognata apatia in cui versava e si volse lentamente verso di me.
Sotto quello sguardo di ultraterrena bellezza presi a balbettare e in breve ammutolii. Chinai appena la testa distogliendo imbarazzato il volto.
Mi giunse allora una supplica, espressa con il tono più garbato ma al tempo stesso anelante che si possa immaginare: “Continuate, vi prego.”
Trasecolai. “Dunque voi mi udite!” esclamai con un tremito d’emozione nella voce.
Caddi in ginocchio accanto a lui, come se d’un tratto sentissi il bisogno di mostrarmi reverente di fronte a quello che mi appariva come una sorta di miracolo. Gli presi la mano, me la portai alla guancia. Il mio pianto silenzioso la bagnò di lacrime.
Sommessamente, a tratti esitando, egli parlò di nuovo: “Voi… è il vostro viso che vedevo in sogno. Voi chi siete, signore?”
Così tante parole si affollarono alle mie labbra tremanti che non riuscii a proferirne alcuna. Mi limitai a contemplarlo come le Pie Donne devono aver contemplato il Redentore risorto.
Infine mi feci forza e gli risposi: “Il mio nome è Florian von Boremski. Sono il figlio del Barone von Boremski, che vi ospita nella sua dimora fino a che non vi sarete rimesso dalle vostre ferite.”
“Florian” ripeté il giovane ufficiale. Strinse appena le dita sulle mie. “Florian.”
Distolsi lo sguardo mentre le guance mi si imporporavano.
Lui sorrise. “E ora che vi prende, Florian?”
Balbettai a fatica qualche vaga scusa. Come avrei potuto rispondergli che il suo sorriso mi aveva trafitto il cuore come una lancia infuocata?
Poco dopo mi giunse nuovamente la sua voce sommessa: “Mi chiamo Armin Konstantin von Eulenburg, ma mi fareste un grande dono se mi chiamaste soltanto Armin.” Fece una breve pausa. “Così come io amerei chiamarvi solo Florian, se me lo consentite.”
“Come volete” balbettai a capo chino. Senza dubbio ero rosso come una bragia. Abbandonai la sua mano e mi alzai in fretta con la scusa di andare a spostare il vaso di fiori.
Lui mi seguì con lo sguardo. “Quelle gardenie sono incantevoli” mi disse.
Il cuore mi batteva come se avesse voluto uscirmi dal petto. Faticosamente risposi: “Le ho portate per voi… Armin.”
“Che pensiero gentile, io amo i fiori. Ma ora tornate qui, Florian, vi prego. Narratemi ancora della battaglia.”
Mi sedetti obbediente, ripresi il racconto da dove l’avevo interrotto. Gli narrai del generale Bülow e di Sua Maestà il principe Carlo di Svezia, del valore dimostrato dalle truppe svedesi e prussiane e di come l’odioso invasore fosse stato ricacciato lontano da Berlino dopo aver subito gravi perdite.
Mentre parlavo mi fissava anelante, pendendo letteralmente dalle mie labbra. I suoi occhi erano accesi di entusiasmo e la sua espressione si era fatta fiera e risoluta.
Anche se fossimo stati gli ultimi due esseri umani rimasti sulla faccia della terra non ce ne sarebbe importato nulla, in quel momento bastavamo completamente l’uno all’altro. Quella camera luminosa, con le cortine mosse dalla brezza e il profumo dolce della gardenia che aleggiava nell’aria, mi parve come un angolo di Arcadia, nel quale i nostri cuori palpitavano all’unisono inebriandosi di gesta eroiche e nobili sentimenti.


12 Settembre

Mio carissimo Erich, ti ringrazio per le tue lettere. In questi giorni grandi e terribili in cui ci troviamo a vivere, giorni in cui viene scritta la Storia, esse mi sono di gran conforto.
Ma voglio narrarti del Conte von Eulenburg, so che anche tu segui con ansia i suoi progressi.
Egli è ora assolutamente lucido. Non è ancora abbastanza forte per alzarsi dal letto, ovviamente, ma parla e ragiona perfettamente. Ieri ha addirittura mangiato da solo, senza bisogno di aiuto da parte mia.
Io gli tengo compagnia. Ho scoperto che ama i canti di Ossian, così spesso glieli leggo ed entrambi ci esaltiamo rivivendo le gesta degli antichi eroi.
Mio Dio, Erich, devi vedere come cambia il suo sembiante quando il Bardo narra del coraggio e della nobiltà e delle grandi battaglie combattute nelle selvagge brughiere battute dai venti! Gli occhi brillano risoluti come quelli del falco che ha avvistato la preda, le guance si soffondono di rossore ed egli freme come se da un momento all’altro dovesse lanciarsi nel combattimento in sella al suo fido destriero.
Oh, la sua bellezza in quei momenti! È come vedere una fiamma ardente imprigionata in un blocco di ghiaccio, perché il suo volto angelico resta impassibile e i moti tumultuosi di quell’animo appassionato si colgono solo attraverso lo sguardo acceso e il tono imperioso della voce.


13 Settembre

Pensa un po’, Erich, questa mattina è giunto alla tenuta l’attendente del Conte von Eulenburg. L’ha mandato il Reggimento con il cavallo e gli effetti personali del signor Conte.
L’uomo, un soldato che non poteva avere più di venticinque anni, con la superba uniforme nera degli Ussari del Primo, ha chiesto la grazia di vedere il suo superiore.
Avrei potuto negargliela, amico mio?
Lo condussi dunque alla camera azzurra dove, adagiato elegantemente su alcuni cuscini, il giovane ufficiale stava leggendo. Il sole lo illuminava in pieno, traendo dalla sua capigliatura bagliori d’oro fino e conferendo al suo incarnato un nitore abbagliante. Mai fu dipinto durante il Rinascimento un arcangelo più splendido di quello che rapiti ci trovammo ad ammirare.
Dimentico di ogni disciplina, l’attendente corse accanto al letto, s’inginocchiò e baciò la mano del suo superiore come avrebbe fatto un devoto con l’effigie di un santo.
Essendo rimasto sulla porta non udii le poche frasi che si scambiarono, ma colsi un affetto reverente e pieno di premura da parte di quel giovane soldato.
Parlarono un po’, quindi il tenente lo congedò dicendo: “Riferisci a tutti che sto bene e che presto tornerò a combattere!”
Pronunciando quelle parole si erse gonfiando il petto d’orgoglio e i suoi occhi brillarono fieri e spavaldi.
“Sì, Eccellenza” rispose l’attendente inchinandosi ancora una volta, quindi prese congedo per tornare al Reggimento.

E così ora abbiamo in scuderia il cavallo del Conte von Eulenburg, uno splendido morello agile e focoso che porta l’evocativo nome di Sturm, dal manto così lucido che pare fatto di giaietto. Che differenza con la vecchia Blume, pasciuta e tranquilla! Non è l’unico cavallo che abbiamo, lo sai bene, ma il contrasto tra i due animali mi è parso particolarmente emblematico di due mentalità opposte: quella del giovane tenente, idealista e appassionato, e quella della mia famiglia, opportunista e pavida. A proposito, ti avevo detto che mio padre ha osato pretendere da Sua Eccellenza il Feldmaresciallo Blücher un risarcimento per i famosi campi calpestati dalla cavalleria? Prego il Signore che Armin non lo venga mai a sapere, non oserei più guardarlo negli occhi per la vergogna.


15 Settembre

Dimentica l’umore plumbeo di due giorni fa, Erich, oggi sono straordinariamente felice!
Finalmente il dottor Kohn ha concesso ad Armin di alzarsi! Dovevi vederlo, con la veste da camera lunga fino ai piedi e i capelli sciolti sulle spalle…
Io rimasi a fissarlo a bocca aperta, incapace di proferire verbo. Fu lui che con tono quasi di scusa mi disse: “Florian, volete essere così gentile da avvicinarvi? Forse sono rimasto sdraiato troppo a lungo.”
Lo vidi barcollare e fui lesto a raggiungerlo. Oh, l’emozione di tenere quel corpo armonioso fra le braccia! Mi afferrò una spalla con un vigore che non mi sarei mai aspettato, era chiaro che il suo orgoglio gli vietava di mostrarsi debole ed egli cercava di mantenersi dritto in piedi ad ogni costo.
“Venite, Armin,” gli dissi premurosamente, “avete solo bisogno di aria aperta. Da troppo tempo siete chiuso qui.”
Lo accompagnai al terrazzo, dove la servitù aveva già preparato per lui una chaise longue coperta da un drappo damascato. Avrei voluto farvelo adagiare, ma egli la disdegnò per andare al parapetto, dal quale a lungo lasciò vagare lo sguardo sulle campagne circostanti. Si distinguevano all’orizzonte il verde cupo delle querce secolari e lo smeraldo dei faggi; le betulle si piegavano sul torrente, che il tiepido sole della tarda estate rendeva simile a un nastro d’argento. Nel cielo terso passò solitario un rapace.
Armin inspirò profondamente, i capelli appena agitati dalla brezza, quindi si voltò verso di me e con gli occhi accesi d’entusiasmo mi chiese: “Non è meravigliosa la nostra terra tedesca?”
“Oh sì, lo è davvero!” esclamai con slancio.
“Io credo, Florian, che per essa valga la pena di morire,” mi disse con tono di pacata consapevolezza.
Mi avvicinai a lui, lasciai che le nostre spalle si sfiorassero. Il vento cantava tra le cime delle querce. “Non vi è causa più nobile per cui sacrificare la vita,” risposi.
Egli si voltò lentamente verso di me. I suoi occhi sembravano divenuti lucidi per la commozione. D’impulso mi afferrò le mani e se le portò al petto. “Dite bene, Florian, non vi è causa più nobile!” esclamò.
Rimanemmo immobili a fissarci per un tempo che mi parve infinito. Ancora una volta avevo la sensazione che fossimo gli unici esseri viventi rimasti sulla terra.
Infine Armin abbandonò le mie mani, sorrise e sommessamente disse: “Credo che ora vi obbedirò, Florian, e mi sdraierò un po’ qui al sole, se a voi non dispiace.”
Era stanco, senza dubbio quel magnifico momento di esaltazione l’aveva sfinito, debole com'era, così mi affrettai a porgergli il braccio affinché potesse sostenersi a me. Lo aiutai ad adagiarsi sulla chaise longue e lo coprii con il drappo di broccato. S’addormentò subito, sul volto una tranquilla espressione di pace.
Mi sedetti accanto a lui e rimasi a contemplarlo come se fosse stato un magnifico Endimione.

Per quanto io sia estasiato dai progressi che compie ogni giorno, Erich, il vederlo in piedi m'ha dato una strana sensazione di agrodolce inquietudine: è meraviglioso pensare che tra un po' sarà guarito, vederlo riacquistare le forze di giorno in giorno mi riempie di commossa gioia, ma questo significa inevitabilmente che presto se ne andrà via. Tornerà al suo mondo, tra i soldati che lo amano e che combatteranno ai suoi ordini fino all'estremo sacrificio, entrando a buon diritto nella Leggenda prima ancora che nella Storia. E io resterò qui, stupido ragazzino troppo giovane per qualsiasi cosa, a struggermi nel ricordo dell'unica persona che avrò mai amato veramente.
Sì, mio carissimo Erich, hai letto bene: amato. Se amare significa essere pronti a dare anche la vita per la persona amata, se amare significa avere necessità dell'altro come dell'aria, dell'acqua e della luce del sole, ebbene io lo amo.


19 Settembre

Dimentica il mio sfogo di pochi giorni fa.
Ho dimostrato un egoismo degno forse solo del mio meschino genitore.
Armin non è un giocattolo di mia proprietà, è ovvio che presto farà ritorno al Reggimento, com’è giusto che sia. Essermi lamentato che ciò debba accadere è stata solo una vergognosa dimostrazione di spregevolezza.
E anche questo mi tormenta, caro Erich: come potrò adesso guardare negli occhi una creatura che pare essere l’incarnazione di ogni più puro ideale?
Lo amo, e di questo invece non mi vergogno affatto. Ne vado fiero, anzi. Se mi si chiedesse di immolarmi qui e adesso per lui, lo farei senza esitazione alcuna. Esultando, anzi. Recherei meco nell’Ade l’immagine adorata del suo volto come viatico e con essa a confortarmi non avrei timore d’affrontare nemmeno la più cupa delle eternità.


21 Settembre

Sto soffrendo in maniera atroce, Erich. Se c’è un Dio – e voglio credere che ci sia, a reggere con imperscrutabile equanimità i destini degli uomini – prego che mi chiami a sé.
Armin compie prodigiosi miglioramenti, il dottor Kohn dice che presto potrà nuovamente montare a cavallo. È magnifico vederlo muoversi con sempre maggiore disinvoltura man mano che le sue condizioni glielo consentono. Ha un portamento singolarmente nobile ed elegante, sai, e un modo di parlare così pieno di grazia e spirito che chiunque ne rimane affascinato.
E tu giustamente mi chiederai: perché invochi la morte, sciagurato? Un giovane eroe bello e coraggioso sta ritornando alla vita dopo giorni di atroce sofferenza e tutto quel che sai fare è rammaricarti che presto se ne andrà e tu lo perderai? O più meschino e infelice tra gli uomini, come puoi guardati allo specchio ogni giorno senza provare vergogna di te stesso?
Sono lacerato, Erich. Il mio cuore si spezza in due.
Ma lascia che ti narri quel che è accaduto, paziente amico, e forse capirai meglio il motivo della mia sofferenza.
Ieri lo accompagnai a fare una passeggiata in giardino.
Senza dubbio ricorderai il piccolo pergolato in ferro battuto che si affaccia sul lago. Ebbene, la magnolia, il bosso ed i cespugli di acanto sono cresciuti con tale vigore da nascondere quasi completamente il sentiero che conduce ad esso. È divenuto quindi un luogo raccolto, nascosto, che da una parte ha il rigoglio del giardino a schermarlo e dall’altra si apre sulla splendida visione del lago circondato da ontani e betulle, particolarmente belli in questa stagione perché già ammantati dei colori accesi dell’autunno.
Soprattutto al tramonto vi si respira una calma serena e piena di pace, nella quale s’acquietano persino gli spasmi dolorosi della mia anima sofferente.
Ci recammo dunque in quel luogo segreto e lì sedemmo a contemplare l’acqua tersa e immota.
L’ufficiale sembrava pensieroso. I suoi occhi, normalmente brillanti e fieri, erano pervasi d’una luce cupa, che mutava sinistramente il loro celeste in un gelido color acciaio.
“Qualcosa vi turba, Armin?” osai chiedergli fissandolo preoccupato.
Egli mi restituì lo sguardo. “Tra un po’ dovrò far ritorno al Reggimento” disse con un sospiro.
“Non siete impaziente di tornare a combattere?”
Prima di rispondere, egli fece una lunga pausa. “Certo che lo sono” disse infine “ma questo significherà lasciarvi, e il mio cuore si ribella alla sola idea di non vedervi più.”
Tale era la portata della rivelazione che mi sfuggì un grido di sorpresa. Egli mi afferrò allora le mani, le baciò e se le portò al petto. Rivolgendomi uno sguardo di ardente intensità, mi disse: “Voi mi siete eccezionalmente caro, mio Florian, e non soltanto perché sono state le vostre cure a riportarmi alla vita. Io colgo in voi un animo affine al mio, in grado di entusiasmarsi e vibrare per gli stessi nobili ideali. Abbandonarvi per rientrare al Reggimento sarà come strapparmi il cuore!”
“Ma che dite, Armin?” balbettai confuso, le mani che tremavano fra le sue “voi dovete combattere per liberare dalla tirannia la nostra Sacra Patria Tedesca! Voi che lo potete!” E mentre così parlavo soffrivo straziato nel profondo da quelle parole. Ma come avrei potuto dimostrarmi così egoista da confessargli ciò che anch’io provo per lui? Non avrei fatto altro che rendergli la partenza ancora più penosa.
E così, mio paziente Erich, eccoti svelato il motivo del mio dolore. Io lo amo riamato, ma egli se ne andrà senza conoscere i miei veri sentimenti per lui.


23 Settembre

Sei sempre tanto caro, Erich. Le tue lettere mi sono di immenso conforto. Proprio ieri rileggevo le ultime che mi hai mandato. Esse sono come un balsamo benefico sulle ferite che tu conosci e che mi fanno crudelmente soffrire.
Ah, perché tardi, o Morte? Non posso, non voglio vivere senza di lui!
Eppure faccio del mio meglio per far sì che non s’avveda del mio tormento. È così pieno d’ardore e di entusiasmo! Confessargli che mi struggo d’amore per lui servirebbe solo a soffocare quel fuoco divino, a distoglierlo dalla sua Sacra Missione.
Posso forse anteporre i miei sentimenti alla libertà della Patria Tedesca? Sarei l’ultimo degli uomini se lo facessi.
Eppure soffro atrocemente, Erich. Trascorro notti inquiete bagnando il cuscino di pianto, e vedere Armin è ogni volta come un martirio, al tempo stesso estasi e tormento.


26 Settembre

La sentenza è stata pronunciata. Ora so quanto resta ancora da vivere al mio povero cuore straziato.
Ieri è giunta la lettera ferale: il primo di ottobre il Conte von Eulenburg dovrà ricongiungersi al Reggimento. Con esso marcerà verso Lipsia, dove l’odioso tiranno si prepara a dare battaglia.
Quest’agonia è dolce e amara a un tempo, Erich.
Dolce, perché non ha eguale lo struggimento di questi ultimi giorni insieme, consumati con la consapevolezza della fine, illuminati dall’ultimo sole dell’estate morente.
Amara, perché così come accade quando l’incendio divampa, anche per me spente le fiamme rimarrà solo cenere grigia e morta.
Non voglio mai più provare un’emozione. Prego che il Signore Iddio renda il mio cuore come pietra, perché se avere sentimenti significa precipitare in questi abissi di sofferenza, allora è mille volte meglio morire.

Bisognosi di pace, ieri sera ci recammo al nostro rifugio, ovvero il pergolato di cui ti parlai giorni fa.
Sulle acque immote del lago si riflettevano gli ultimi bagliori del sole morente e vi era un silenzio solenne, rotto solo dal raro lamento dell’assiolo che si apprestava alla caccia.
Ci sedemmo l’uno accanto all’altro senza parlare, la quiete era così pura che invitava alla contemplazione e all’ascesi.
Fu solo all’arrivo del buio che udii la voce di Armin sussurrare: “Siete triste, Florian?”
Mi voltai turbato verso di lui, senza sapere cosa rispondere. Avrei dovuto dirgli la verità, ovvero che ero sconvolto all’idea che lui se ne andasse per sempre, oppure avrei dovuto dirgli una qualsiasi menzogna per nascondere il mio reale stato d’animo?
Prima che io potessi decidermi, fu lui ad afferrarmi le mani e a coprirle di baci ardenti. “Ditemi cosa vi fa soffrire, vi prego” insisté “perché sono certo che sia la stessa cosa che sta facendo a brani anche il mio cuore!”
Quello sguardo accorato, così brillante che anche alla luce delle stelle se ne coglieva il fulgore, mi fece capitolare. “Mi distrugge il pensiero che voi ve ne andrete” balbettai faticosamente, con la consapevolezza che avrei dovuto invece mille volte tacere e far sì che il mio petto divenisse l’inviolabile mausoleo dell’amore che provo per lui.
“Oh, ma se distrugge voi, mio Florian, lacera e tormenta ben più crudelmente ogni fibra del mio essere!” esclamò Armin di rimando, stringendomi in un abbraccio pieno di passione.
Mi abbandonai contro di lui senza un moto di ribellione. Stanco di lottare, il mio spirito esausto s’era infine arreso.
Tolte le occasioni in cui lo medicavo, non avevo mai avuto con lui un contatto così intenso e intimo e ne fui stordito, inebriato come da un vino forte e generoso. Percepii la sua mano affondarmi fra i capelli e gemetti cingendogli il corpo con le braccia. “Mio Florian” ripeté, col viso così vicino al mio che sentii il suo respiro sulle labbra. “Mio amatissimo Florian.”
Fui sopraffatto dall’emozione. Le guance mi si rigarono di lacrime, le membra tremavano, il cuore batteva come se avesse voluto scoppiarmi nel petto. “Vi prego, portatemi con voi!” supplicai piangendo.
Egli ebbe un sussulto. “Non ditelo mai più. Voi non sapete cosa mi state chiedendo,” rispose, con voce d'improvviso dura e fredda come acciaio.
“Vi prego!” implorai, “Meglio un solo giorno, anche una sola ora con voi di un'intera vita passata a rimpiangervi!”
Singhiozzavo amaramente, incapace di frenarmi, aggrappato a lui come se d'un tratto qualcuno avesse potuto strapparmelo via.
Armin mi strinse a sé, mi accarezzò i capelli parlandomi con dolcezza fino a che io non fui esausto e non mi rimase altra scelta che acquietarmi. Quando fui più tranquillo, con voce sommessa mi chiese: “State meglio ora, Florian?”
Accennai di sì con la testa. Come immaginerai non era vero, Erich, ma provavo vergogna e non volevo dare altre dimostrazioni di debolezza.
Egli allora proseguì: “Venite, torniamo in casa, è venuto freddo.” Mi fece alzare con premura e la mia vergogna se possibile aumentò: non ero più io ad occuparmi di lui, ma lui a prendersi cura di me come di un bambino spaventato. “Vogliamo leggere qualche canto di Ossian?” mi chiese strada facendo, “così potrete distrarvi un po’.”
Levai incredulo gli occhi su di lui. Quale straordinaria forza d’animo, quale indomita volontà doveva avere per mantenere in quel frangente il contegno di un filosofo stoico?
“Io vi ammiro sconfinatamene” balbettai “voi siete saldo come una roccia nelle avversità.”
“Devo esserlo” fu la risposta, velata di una struggente nota di amarezza “sono un soldato.”
Rientrammo senza aggiungere altro. La sera di tarda estate aveva ceduto il posto ad una gelida notte autunnale e un latrare lugubre di cani echeggiava in lontananza come un sinistro presagio di sventura.


28 Settembre

Ancora due giorni, Erich. Due giorni e poi se ne andrà. Ora capisco a pieno la sofferenza dei condannati a morte che vedono la clessidra vuotarsi a poco a poco.
Ogni ora, ogni secondo che passo in sua compagnia ha l’angosciosa connotazione di qualcosa che sparirà irrimediabilmente per non tornare mai più.
Signore Iddio dilaniami, uccidimi, ma non infliggermi più questa tortura. È troppo.

Stamani ha cavalcato per la prima volta da quando è giunto qui.
Il suo destriero, quel magnifico morello di cui ti ho già parlato, dava mostra d’esser felice di rivederlo sano e salvo: l’occhio era brillante, il passo elastico e la coda frustava l’aria con impazienza; sembrava gli stesse chiedendo col suo linguaggio quando sarebbero tornati all’estasi e al tumulto del campo di battaglia.
Armin gli rivolse parole affettuose, quindi afferrò un ciuffo di criniera e in un attimo fu in sella. Oh, non ci sono parole per descrivere la sua bellezza in quel momento! Dritto, orgoglioso, lo sguardo spavaldo. Ecco di nuovo Uriel Fuoco di Dio, risplendente di fulgore guerriero!
Fece galoppare su e giù l'animale, constatando di avere già recuperato le forze a tal punto da riuscire a cavalcarlo senza la minima difficoltà. Si girò allora raggiante verso di me, e ancora una volta il mio povero cuore si lacerò in modo atroce.
Era così meraviglioso! Eppure era già lontano da me, nello spirito ben prima che nel corpo. Lo vedevo, anelava già alla lotta, tutto il suo essere fremeva d'impazienza.
Ma fui forte, Erich. Ricacciai indietro le lacrime e gli sorrisi a mia volta. Avrei forse potuto svilire con il mio egoismo quell'entusiasmo purissimo?


2 Ottobre

Come Icaro sono giunto a sfiorare il sole e poi sono precipitato nell'abisso con le ali bruciate.
Ho toccato la felicità più pura e ora provo la disperazione più crudele.
Mio Erich, amico e fratello, scusami se non ti ho scritto in questi giorni, ma solo adesso riesco a trovare la forza di ripercorrere gli ultimi eventi. Fino ad ora sono stato solo un viluppo di sofferenza indicibile che invocava la Morte pietosa.
Se n’è andato.
Infine m’ha lasciato, sì, come doveva accadere e come era giusto che fosse.
Ciò che è giusto è sempre anche buono, Erich? Non posso, non voglio crederlo. Perché se così fosse, allora sarei un essere spregevole, a malapena degno d’essere definito umano. Il dolore che mi sta torturando non ha nome. Non esiste una parola che sia così orribile, straziante, spaventosa e atroce da descrivere quello che sto provando in questo momento.
Vorrei morire, nulla mi potrà mai più ridare un barlume di gioia, e la vita, questa miserevole scintilla che nonostante tutto non vuole saperne di spegnersi, sarà per me d’ora in poi solo una pena spietata e senza fine.

Lascia che ti racconti, Erich. Ho bisogno di farlo, altrimenti questo dolore inumano mi corroderà lentamente dall’interno, lasciandomi come un simulacro vuoto e gemente di quello che ero.
La sera prima della partenza anche lui era turbato. Si dominava, naturalmente, ma conoscendolo ormai così bene riuscivo a cogliere il suo tormento.
Desideroso di alleviare quella pena, lo accompagnai al pergolato sul lago, certo che la raccolta calma del luogo avrebbe agito come un balsamo benefico sulle ferite che facevano soffrire il suo spirito inquieto.
Ci sedemmo a contemplare le acque immote, lucide e terse come uno specchio nella pace della sera. Le betulle dai rami d’oro e d’argento si protendevano sul lago come driadi dalle lunghe chiome.
Com’era lontana la guerra da quell’angolo nascosto, Erich! Sembrava che nulla potesse turbare l’armonia di quel rifugio segreto.
Nessuno di noi due parlava. Sedevamo tenendoci le mani e contemplando assorti la solenne bellezza della natura. Posai il capo sulla sua spalla e sempre in silenzio lui mi accarezzò i capelli.
“Florian,” mormorò poi a fior di labbra.
Levai il viso verso di lui.
“Florian,” ripeté senza smettere di accarezzarmi, “mio Florian, il solo pensiero di abbandonarti mi getta nello sgomento.”
“Ma tu devi, Armin,” gli risposi cercando di non far tremare la voce. Ebbi la sensazione di avergli messo io stesso tra le mani il pugnale con cui mi avrebbe trafitto il cuore.
Egli sospirò. “Sì, devo,” si risolse a dire, ma la sua voce era spenta, non vi udivo l’entusiasmo che normalmente la rendeva forte e vibrante.
Vilmente rimasi in silenzio. Avrei dovuto spronarlo, Erich, avrei dovuto riaccendere in lui la passione per la lotta contro il tiranno. Non riuscii a fare nessuna delle due cose. Mi strinsi a lui incapace di proferire parola, mentre le lacrime mi scorrevano lungo le guance.
“Tornerai da me quando la guerra sarà finita?” mormorai.
“Ma certo,” rispose, “il giorno stesso. Arriverò al galoppo, e poi io e te verremo qui e io ti racconterò delle battaglie e…” la sua voce si spense in un sospiro. “Certo,” ripeté a voce più bassa.
Ci fu un altro lungo silenzio, rotto solo dal vago stormire delle fronde. La luce ormai fioca trasformava gli alberi solenni in neri fantasmi.
Sollevai una mano, gli accarezzai la guancia. Avrei voluto dirgli tante cose, ma capivo che esse sarebbero state un peso troppo grande da portare in battaglia.
Fu lui che in un empito di passione mi afferrò per le spalle e mi rovesciò all’indietro. In un attimo mi fu addosso coprendomi di baci infuocati il viso e il collo.
“Mio Florian!” gemette infine, cercando le mie labbra con le sue.
Fu un bacio ardente e disperato, Erich, bagnato di lacrime, appassionato come l’amore ed eterno come la morte. Sembrava che non dovessimo staccarci mai più e che saremmo rimasti per sempre così, mentre intorno a noi sarebbero ruotate le sfere celesti ed intere epoche sarebbero giunte a compimento, fino alla fine dei tempi.
Così non fu, amico mio. La crudele realtà ci rincorse e ci scacciò da quella landa di sogno.

Il giorno dopo all’alba il Reggimento lo reclamò. Giunsero due cavalieri dalle brume del viale, neri e silenziosi come Parche. Ci scambiammo un’ultima lunga occhiata, poi Armin si unì a loro. In breve scomparvero nel bosco di querce, ombre tra le ombre nella luce incerta del mattino.
Solo allora mi voltai e corsi al pergolato, dove mi gettai singhiozzando sulla panca di marmo che aveva visto consumarsi il nostro amore.
Oh, perché non giunse un dio pietoso a strapparmi la vita in quel momento? Gli dei, se esistono, sono crudeli, Erich, e giocano col destino degli uomini godendo della loro sofferenza.


4 Ottobre

Addio, Erich. Amico, fratello, mio solo barlume di luce nei tanti momenti di cupa disperazione. È giunta l’ora.
Non essere triste per me, non devi, perché sono sereno nella mia scelta. Ho valutato tutto, ponderato tutto: cosa c’è per me qui? Una noiosa vita da contabile ad amministrare la tenuta, una moglie, forse dei figli, e nessuno slancio, nessuna esaltazione. Bandito ogni ideale in favore di una piatta e rassicurante quotidianità.
È questa dunque l’esistenza che mi aspetta? Vegetare fino alla morte?
Io dico no, Erich. Non posso accettare tutto questo.
Laggiù a Lipsia colui che solo ho amato e amerò in tutta la mia esistenza sta andando incontro al suo destino con tranquilla consapevolezza. Posso forse abbandonarlo?
Non piangere per me, Erich, perché non sono mai stato così felice.


25 Ottobre

Stimatissimo Barone von Boremski,
è con grande dolore che devo annunciarvi la morte di vostro figlio Florian von Boremski. Il giovane, che si era unito alle truppe mentendo sulla sua data di nascita, è caduto eroicamente, combattendo contro forze nemiche soverchianti, colpito in pieno petto mentre cercava di proteggere col suo corpo un giovane ufficiale ferito, il tenente von Eulenburg.
Essi avevano combattuto spalla a spalla per ore, dando prova di un coraggio e di un’abnegazione davvero straordinari. Quando il tenente è stato ferito a morte, vostro figlio ha rifiutato di abbandonarlo ed è rimasto al suo fianco fino all’estremo sacrificio.
Benedetta dal Signore sia la terra che ha dato i natali a questo giovane eroe!

La Patria vi ringrazia, Barone von Boremski.


Feldmaresciallo Gebhardt Leberecht von Blücher
   
 
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