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Autore: InuAra    06/08/2017    5 recensioni
ULTIMO CAPITOLO ONLINE!
Con due bellissime fanart di Spirit99 (CAP. 4 e 13)
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Cosa succede se il mondo di Ranma incontra il mondo di Shakespeare? Rischia di venirne fuori una storia fatta di amori, avventura, amicizia, gelosia, complotti. Tra fraintendimenti e colpi di scena, ne vedremo davvero delle belle!
DAL CAPITOLO 2
Ranma alzò lo sguardo verso il tetto. “Akane. Lo so che sei lì” “Tu sai sempre tutto, eh?” A Ranma si strinse il cuore. Ora che era lì, ora che l’aveva trovata, non sapeva cosa dirle. Soprattutto, non poteva dirle nulla di ciò che avrebbe voluto. “Beh, so come ti senti in questo momento” “No che non lo sai” “Si può sapere perchè non sei mai un po’ carina?” “Ranma?” “Mmm…”  “Sei ancora lì?” “Ma certo che sono qui, testona, dove pensi che vada?” Fece un balzo e le fu accanto, sul tetto. “Sei uno stupido. So benissimo che sei qui perchè te l’ha chiesto mio padre” “E invece la stupida sei tu”, si era voltato a guardarla, risentito e rosso in viso, “E’ vero, me l’ha chiesto, ma sono qui perchè lo voglio io! Volevo… vedere come stai…ecco…”
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Un po' tutti
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Per non appesantire troppo la lettura della pagina rimando il riassunto dei capitoli precedenti alla fine del capitolo ;-))
Inoltre lascio di seguito un piccolo schema dei personaggi e delle due fazioni in battaglia, sperando sia utile per meglio orientarsi nella lettura del capitolo.
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ESERCITO GIAPPONESE
Soun Tendo, al comando in posizione strategica insieme ad alcuni uomini e alla figlia
Nabiki Tendo
Kasumi Tendo, non distante dal campo di battaglia a prestare soccorso insieme al
Dottor Tofu
Genma Saotome, a comando di un gruppo di soldati a nord-ovest
Ryoga Hibiki, tra le fila dell'esercito
Ukyo Kuonji, all'accampamento
Obaba e Happosai, con una divisione dell'esercito in arrivo a nord-est, oltre la montagna
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ESERCITO CINESE
Shinnosuke, in fuga verso nord, nord-ovest con
Akane Tendo, travestita da Akira
Mousse, in solitaria, diretto a ovest
Shan Pu, in solitaria, a ovest
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Ranma, in cerca di Akane, si dirige prima a ovest, poi a nord, nord-ovest
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What is it else? A madness most discreet,
a chocking gall, an a preserving sweet.
 
Cos'è l'amore? La più saggia delle follie,
un'amarezza capace di soffocare, una dolcezza capace di guarire.
 
Romeo and Juliet - W. Shakespeare
 
 
 
 
 
The private wound is deepest.
La ferita nell’intimo è quella ch’è di tutte più profonda.
 
Two gentlemen of Verona - W. Shakespeare
 
 
 
 
 
 
 
La strategia dell’esercito nemico era cambiata.
Mousse lo avvertiva nell’aria vibrante che divideva i suoi uomini da quelli di Soun Tendo. Da giorni i Giapponesi li incalzavano con più facilità e poco importava se a decine continuavano a cadere sotto la sua spada.
 
Calpestando con uno stivale la lancia del soldato che aveva appena sconfitto, andò oltre con fare annoiato e guardò giù dalla collinetta che sovrastava il campo.
Inspirò la brezza che sapeva di bruciato e umidità. Non riuscì a mettere a fuoco nulla in particolare. Era stanco. Non di combattere, ma dell’assenza di uno scopo.
La vittoria della Cina aveva bene poca importanza per lui.
Era lì perché doveva. Era lì per non dover pensare. Ma da qualche giorno questo gli riusciva sempre meno.
Akane Tendo era morta.
La voce si era sparsa veloce tra le truppe. Di malattia, si diceva.
Serrò i denti e sferrò un pugno contro la coscia. Odiava doversi chiamare in causa.
Si chiese se non fosse stato il dolore a ucciderla, a spegnere quella vitalità, quella purezza. A uccidere l’amore stesso, che Akane Tendo incarnava.
L’amore che lui non aveva mai avuto.
 
L’immagine di Shan Pu gli inondò la mente con la stessa irruenza della luce che acceca chi esce da una luogo buio.
Shan Pu dallo sguardo tagliente.
Shan Pu dalle labbra imbronciate.
 
Mousse si arrese a quell’immagine e chiuse gli occhi. Ne accarezzò le linee, ne sfiorò i capelli. Ne percepì l’amaro in bocca.
 
Un’esplosione non troppo lontana lo riportò al presente, ma non aprì gli occhi. Non ancora. Risucchiò quanta più aria i suoi polmoni riuscirono a contenere.
Presto il suo esercito sarebbe stato sconfitto, era solo questione di tempo.
Anche per lui sarebbe arrivata la fine. E ad aspettarlo ci sarebbe stato solo l’inferno.
 
Di colpo desiderò vedere Shan Pu, vederla davvero, un’ultima volta.
 
Fu allora che aprì gli occhi. Il cuore gli martellava in petto e la testa gli pulsava. Aveva sentito che a ovest la divisione delle amazzoni si faceva onore. Lì per lì non vi aveva dato peso. Le amazzoni erano da sempre state sì fedeli al loro Paese ma indomabili, mosse unicamente dal bisogno di soggiogare altri esseri di sesso maschile. Di comune accordo venivano lasciate agire indisturbate.
Aveva sentito parlare di una guerriera indomita, un'amazzone agguerrita, fiera. Per un attimo il polso gli si era fermato, ma aveva immediatamente scacciato quello stupido sentore di speranza. Speranza di rivedere chi? Shan Pu?
 
Eppure in quel momento non gli parve più così assurdo che Shan Pu fosse quella guerriera e stesse combattendo lì, in Giappone. Se la immaginò alla perfezione, mentre strappava le viscere al malcapitato che finiva sulla sua strada.
 
E sì, sperò di rivederla. Lo sperò con tutto se stesso.
 
Improvvisamente ebbe fretta di ritrovarla.
Nient’altro gli sembrò avere lo stesso valore.
 
Gettò un ultimo sguardo sui suoi uomini che combattevano a valle, si aggiustò meglio i paraspalle di metallo sulla tunica bianca e oro che si gonfiava per il vento, e senza più voltarsi, cominciò a correre.
 
 
***
 
 
“Non serve che te lo ricordi ancora una volta, vero?”
 
Sotto una pioggerellina insistente, le mani di Ukyo si muovevano veloci nel legare l’amatura intorno al torso di Ryoga. Nel legarla più stretta che poteva.
 
“Farò attenzione”, ridacchiò imbarazzato per le premure che lui solo tra i suoi compagni stava ricevendo.
 
Lo strattonò a sé per il colletto.
 
“Vedi di tornare tutto intero, o te la vedrai con me”
 
Nell’istante in cui anche lui si fece serio, Ukyo sentì che il labbro inferiore le stava tremando. Sentì le mani di lui chiudersi sulle sue e portarsele al petto. E solo allora si rese conto di quanto erano gelate, tra quelle calde di lui.
 
“Te lo prometto”, le disse piano.
 
Ukyo ricacciò con forza le lacrime che le premevano sotto le palpebre.
 
“Non mi piace, non mi piace per niente tutto questo”
 
“Intendi gli ordini per la nuova missione?”
 
Ukyo non rispose. L’occhio le cadde poco lontano sul dottor Tofu che si stava affrettando a predisporre tutti i suoi medicamenti e a strappare bende con metodo e precisione. Anche lui si preparava per la battaglia imminente, la battaglia che forse sarebbe stata decisiva e avrebbe posto fine a quel massacro. Lo vide bloccarsi e arrossire e capì che lei era lì.
 
“Non dovete disturbarvi signorina Ka-Ka-Kasumi…”
 
Sì, lei era lì. Kasumi Tendo, e non più “Hitomi, la ragazza dei boschi”.
Ukyo la vide spuntare con diverse bacinelle tra le braccia.
 
“Non dite sciocchezze, dottore”, sorrise lei come se fosse la cosa più naturale del mondo, poggiando il carico su una panca, “sono qui per aiutarvi e non mi tirerò indietro proprio ora!”
 
“Incredibile…”, sussurrò a Ryoga, “E’ così diversa dalla sorella… E in qualche modo anche da Akane… la nostra Akane… E’ davvero incredibile che siano le principesse perdute. Tutta questa storia ha dell’incredibile! Eppure ha perfettamente senso che siano tutte e tre sorelle… Hanno un nonsochè… che le accomuna!”
 
“Non saprei”, Ryoga scrutò Kasumi mentre il dottore la ringraziava con un breve inchino carico di devozione.
 
“Comunque l’altra è un’arpia! Nabiki Tendo, voglio dire. Non è che sia cattiva, non credo, anzi… E’ intelligente e furba… però… Mi mette paura e sono contenta che sia dalla nostra parte! Bah, tu non puoi capire! Non eri presente quando ha tirato fuori tutta questa idea della trappola. Io c’ero e ho visto come le brillavano gli occhi. ‘Santi kami, questa ragazza è un genio!’, mi sono detta. ‘Però mi fa venire i brividi!’”
 
 
 
 
A ripensarci, i brividi le correvano ancora lungo la schiena.
Si morse il labbro al ricordo del momento in cui aveva messo piede nella tenda di Soun-sama per portargli la cena e assicurarsi personalmente che non saltasse neanche un pasto, e di come all’istante Nabiki si fosse zittita.
 
“Vai avanti, cara”, l’aveva incoraggiata il padre.
 
“Ci possiamo fidare di lei?”, l’aveva raggiunta la voce affilata di Nabiki.
 
“Sorellina, non essere scortese”, l’aveva ripresa la maggiore, senza però riuscire ad allentare l’atmosfera.
 
Nel posare il vassoio aveva sentito tutti gli occhi fermarsi su di lei: quelli di Genma, della dolce Kasumi, del dottore, e per un attimo aveva temuto di rovesciare il tè.
Con la coda dell’occhio aveva poi visto Soun-sama annuire senza esitazione e lei aveva ripreso a respirare.
Mentre aveva cominciato a sistemare le pietanze sul tavolino, attenta a non sollevare lo sguardo, Nabiki aveva ricominciato a parlare.
 
“Come vi dicevo, non dobbiamo più fare resistenza a nord-est”
 
“Ma in questo modo…”
 
“Padre…”
 
Nell’interromperlo, Nabiki gli aveva sorriso, trattenendo a stento l’emozione.
 
“…dobbiamo solo farglielo credere”
 
Il silenzio si era fatto più attento, e lei si era guardata attorno divertita.
Si spiegò meglio: “… Regalargli l’illusione di avere via libera, che i nostri stiano andando in ritirata. Ma…”, lo sguardo le si fece più acuminato, “noi non dovremo cedere di un passo sugli altri fronti, anzi”
 
Cercò tacitamente la complicità del padre e dello zio.
 
“Continueremo ad incalzare. Il campo di battaglia non è poi così vasto e potremo facilmente chiuderli su ogni lato, facendo pressione. Ed è qui che i nemici troveranno un’allettante via di fuga”, aggiunse indicando un punto preciso della mappa stesa davanti a lei.
 
Tutti le si fecero intorno, e Genma capì dove la ragazza voleva arrivare.
 
“Davanti ai loro occhi si aprirà quest’unica strada tra le montagne. E ringrazieranno i loro dei, perché diversamente da molti altri valichi questo non sarà troppo stretto, né troppo scosceso. Quello che non sanno loro né chi non conosce questi luoghi, è che in questo periodo, a seguito delle piogge frequenti, il lato meno scosceso - quello che saranno loro a scegliere – diventa velocemente un acquitrinio. O, se vogliamo dargli un immagine più adatta a stuzzicare l’inventiva, un imbuto.  A quel punto tenteranno disperatamente di liberarsi dal pantano e dall’altro lato troveranno i nostri ad attenderli. In trappola”, scandì con una calma che nulla aveva a che fare né con la sua età né con l’esperienza.
 
Il silenzio fu rotto da Soun che a grandi passi le si avvicinò e prese la cartina tra le mani.
 
“Figlia, se quello che dici è vero e se i Cinesi sapranno arrendersi di fronte alla sconfitta, presto questa guerra finirà senza ulteriori spargimeni di sangue”
 
 
 
 
 
Un grido marziale riportò Ukyo alla realtà.
 
“Cos’è stato?”
 
“E’ ora”, la guardò Ryoga con un sorriso triste, “Hanno dato l’ordine di metterci in marcia”
 
Non era pronta per quel momento. Non lo sarebbe mai stata.
Decise che l’avrebbe ritardato per quanto fosse in suo potere, e senza dire una parola si fece accanto al ragazzo, appendendosi con determinazione al suo braccio, gli occhi fissi di fronte a sé. Strinse forte, disperatamente, e cominciò a camminare così che lui la seguisse, quando invece era lei a seguire lui.
Come se fosse naturale, come se quello fosse un giorno come tanti.
E più l’uscita dell’accampamento si avvicinava, più l’aria si gelava in gola e la pioggia entrava nelle ossa.
Solo quando le lacrime cominciarono ad annebbiare la vista e a impedire loro ulteriori passi, il braccio di Ryoga si sfilò dalla presa di Ukyo per afferrarne una spalla e farla voltare verso di sé, stringerla, baciarla, guardarla, baciarla ancora. Fermi sul posto, fermo il tempo con loro, non si curarono dei soldati che continuavano a passare superandoli.
 
“Stammi bene”, le sussurrò sulle labbra.
 
“Anche tu”, lo attirò a sé, le dita intrecciate sulla nuca, perse tra i capelli di lui.
 
“Aspettami”, fronte contro fronte, non voleva lasciarla andare.
 
“Tu pensa a tornare”
 
Il cuore di entrambi si fermò in quell’ultimo bacio che non aveva bisogno di altre parole.
E quando ricominciò a battere erano ormai lontani, lui verso la battaglia, lei con le mani all’altezza del viso, giunte in preghiera.
 
 
 
***
 
 
 
L’uomo vide scappare via il suo cavallo.
Solo allora si rese conto di essere appena stato disarcionato. Da dove si trovava, tentò malamente di indietreggiare nella terra umida, guardando dal basso il viso della morte che avanzava su di lui.
Una morte dolce - pensò già rassegnato - dai capelli adorni e le vesti violette.
Una morte del colore del crepuscolo e dei fiori di montagna.
Non una morte pietosa, ma nemmeno crudele, come dimostrarono la precisione e la rapidità con cui Shan Pu terminò il suo lavoro.
 
Nell’allontanarsi senza girarsi dal luogo di quel breve scontro, l’amazzone si maledisse per aver sovrapposto per un istante gli occhi di Mousse a quelli del suo nemico.
 
Era lì da qualche parte, Mousse, lo sapeva con certezza, con quei suoi occhi penetranti che l’avevano sempre infastidita. Quelli e il suo silenzio.
Non riuscì a ricordare neanche un giorno in Cina che lui non le fosse accanto, una presenza silenziosa, snervante; divertente, di tanto in tanto, gli concesse mentalmente, eppure soffocante.
Il suo solo essere lì era un monito insopportabile. Le ricordava che esiste chi prova dolore e deliberatamente non lo esprime. Stupido orgoglio… Che esiste un ‘non detto’ ogni qualvolta si tace.
 
Gridò, Shan Pu, di un grido gutturale che volle sfidare il vento e la quiete, e alle sue stesse orecchie quel suono le ricordò una delle tante urla di piacere con cui provocava la decenza durante i suoi amplessi occasionali.
Shan Pu diceva se qualcosa le piaceva. Lo urlava. Shan Pu prendeva quello che voleva. Uccideva, se necessario.
 
La mente la tradì ancora una volta. E ancora se lo immaginò.
Mousse.
Gli occhi verde cupo, la mandibola contratta.
Lì accanto a lei a ricordarle che non era sola, che anche per una come lei c’era qualcuno, in fondo.
 
Ma lei, sola, voleva esserlo.
Non voleva legami, non voleva volti da ricordare, né inutili zavorre ad appesantire il cuore.
 
Amore significa perdere. Amore significa essere deboli.
 
Anche lì, in quel momento, era sola. Vincolata da una sorellanza più antica di lei e della sua volontà, non aveva rapporti con le altre amazzoni. La battaglia non la intimoriva e gli uomini preferiva scovarseli per conto proprio.
Da sola.
Combatteva senza rimorsi sulla terra di Akane Tendo, della fanciulla da cui tutto era cominciato e che, a quanto si diceva, era morta prima di poterla incontrare.
 
Si piegò a raccogliere seccata il proprio bonbori e quando sollevò il capo, ogni fibra del suo corpo si bloccò.
 
Non l’aveva sentito arrivare.
 
Si sentì braccata sotto quello sguardo.
Di tutte le persone che si aspettava di trovarsi di fronte, l’ultima era lui.
 
Immobile, anche lui la guardava incredulo. Non stupito né sconvolto. Non c’era rabbia in quegli occhi grandi, e questo la umiliò come nient’altro al mondo.
L’aveva riconosciuta e la guardava dall’alto in basso come lei aveva appena fatto con l’uomo a cui aveva tolto la vita. Ma quella di lei lui la risparmiò.
Anzi, non parve neanche contemplare che fosse di fronte a una vita o meno da risparmiare.
 
Senza dire niente e senza aspettarsi nulla da lei, semplicemente Ranma se ne andò.
 
Si voltò e cominciò a correre. Non per fuggire lontano, non per dare sfogo all’orgoglio, ma perché aveva fretta di raggiungere altri da lei.
 
Shan Pu si alzò lentamente, avvertendo sulla lingua il sapore della salvezza mescolarsi a quello della sua più grande sconfitta.
 
Senza più Ranma, lei seppe di essere davvero, inesorabilemente sola.
 
 
 
***
 
 
Akane agguantò la spada che aveva nascosto sotto la branda e velocemente se la legò alla cintura accanto al coltello, lo stesso che le aveva dato Ryoga quella che le sembrava una vita prima.
Si guardò intorno un’ultima volta. Quella tenda era stata la sua casa e la sua prigione.
Non volle immaginarsi l’espressione di Shinnosuke quando non l’avrebbe trovata.
 
*Perdonatemi, se potete*
 
Era partito da qualche ora e, ormai sola, era pronta ad attuare la sua evasione dall’accampamento cinese. Nessuno si sarebbe curato di lei, o meglio, del ragazzo al seguito del generale.
Non poteva restare oltre, davvero non poteva. Preferiva la morte a quella ‘non vita’.
 
Nel silenzio irreale di quella mattina in cui la pioggia divorava ogni altro rumore, Akane si gettò fuori dalla tenda.
 
E cozzò contro qualcosa.
 
“Cos…?”
 
Si ritrovò nientemeno che sorretta tra le braccia di Shinnosuke.
 
Maledizione, a quanto pareva la sua fuga era stata bloccata sul nascere!
Alzò occhi frustrati su di lui e lo vide guardarla sconvolto, ciocche di capelli fuori posto incollate al volto dalla pioggia e dal sudore.
 
“Akira…”
 
Quel nome uscì affannoso dalla bocca di Shinnosuke, e lei riuscì solo a pensare che era appena stata scoperta.
 
“Akira…! Presto… Dobbiamo andare via di qui…! L’esercito… L’esercito nemico è a ridosso dell’accampamento!”
 
Che stupida.
 
“Ci spazzeranno via…! Non avevamo previsto che fossero così numerosi e… I nostri si stanno ritirando…”
 
Era tornato per lei. Lei che stava scappando senza dire una parola.
 
“Su per le montagne… Una via di fuga… Stanno scappando tutti…”
 
Un baccano crescente si alzò dove fino a pochi istanti prima c’era il nulla: la notizia doveva essere deflagrata velocemente tra quelli rimasti all’accampamento.
 
Può il mondo stravolgersi nel giro di un batter di ciglia? 
 
“Presto! Non c’è tempo da perdere!...”, la prese per un polso e la trascinò attraverso il caos di braccia e imprecazioni, riuscendo ad afferrare al volo i finimenti di un cavallo senza padrone, issarsi in groppa e tirarsi dietro Akane.
Mentre si faceva strada verso l’uscita a nord, tentò disperatamente di dare ordini a quella massa impazzita di soldati e ausiliari.
 
Schiacciata dal senso di colpa e dal terrore, aggrappata a lui nella corsa, lo sentì pregare che i sottoposti a cui aveva lasciato il comando a sud stessero avendo più successo di lui.
 
E immediatamente si ritrovò circondata dalla battaglia che tanto aveva cercato.
 
 
 
***
 
 
 
“Amico mio, pare che sia arrivato il momento”, la mano di Soun si strinse intorno alla spalla di Genma. “Avrei voluto combattere fianco a fianco come ai vecchi tempi, ma…”
 
“Il tuo posto è qui, vecchio mio, al comando”, lo interruppe l’altro tirando su col naso e aprendosi in un sorrisetto pieno di sè. “Lascia a me il lavoro sporco! Coprirò la zona a nord-ovest. Spero solo di esserne all’altezza…”
 
“Non posso immaginare i miei uomini in mani migliori”
 
Stretto nell’abbraccio, Genma alzò lo sguardo su Nabiki, poco lontana, pallida e fiera.
 
“Lo stesso vale per te…”, ridacchiò assestando una pacca sulla schiena di Soun, “Questa ragazza sta salvando tutti noi con la sua astuzia e il suo sangue freddo”
 
“L’hai cresciuta bene”
 
“Buon sangue non mente”
 
“Padre! Zio Genma!”, la voce allarmata di Nabiki irruppe in quello scambio commosso.
Verso di loro stava arrancando un ragazzo fradicio di fango e sudore, prossimo al collasso.
 
“Soun… Soun-sama…!”, chiamò con voce roca, “Ho… ho un messaggio per voi!”
 
Nabiki accorse a sostenerlo tra le braccia e subito i due uomini gli furono accanto.
 
“Dalle terre a nord-est stanno… stanno arrivando gli uomini capitanati dal venerabile Happosai!... E insieme a lui si è unita la vecchia Obaba!…”
 
Obaba. Quel nome vibrò sulle labbra di Soun come un’implorazione, una richiesta di perdono.
 
“… la vecchia Obaba che pare non abbia smesso di lottare nei boschi contro ogni nemico o spia…”
 
Obaba. Vergogna, gratitudine.
 
“… pare che sia stata trattenuta a lungo, ma ora… ora finalmente lei e Happosai sono sulla via del ritorno, non più distanti di mezza giornata! Io… io stesso li ho visti precedere l’esercito… volando!… Sì! Volando di ramo in ramo! L’occhio umano fatica a stargli dietro! Ma stanno… stanno arrivando!”, urlò aggrappandosi a Nabiki, con la voce impastata di entusiasmo e fatica, persa tra le esclamazioni dei soldati che gli si erano fatti intorno.
 
“Non potevano avere un tempismo migliore!”, sibilò la ragazza con occhi che brillavano.
 
Tanto bastò a contagiare il padre: “Giuro a me stesso”, pronunciò grave, “che non sarà resa vana l’audacia della venerabile Obaba e del saggio Happosai. Troveranno ad attenderli i nostri appostati dietro il passo, nondimeno… Presto! Mandate loro il segnale di non procedere oltre e unirsi a loro! Con questo, la vittoria è in pugno…!”
 
Con l’esercito nemico che minuto dopo minuto stava cadendo in trappola e l’arrivo inaspettato di alleati tanto preziosi, la pioggia impalpabile che li bagnava si caricò di euforia. Nessuno osò esultare prima del tempo, ma un concitato fermento si impadronì degli astanti.
Soun avrebbe presto pagato il suo debito con la sua vecchia consigliera. Genma avrebbe potuto riscattare i suoi errori facendo la sua parte in campo.
 
Il messaggero si avventò sulla bacinella d’acqua che Nabiki gli aveva messo davanti al naso e quando rialzò gli occhi vide che la ragazza aveva le braccia intorno al collo dell’uomo tarchiato alla destra di Soun-sama.
Da dove si trovava era impossibile afferrare cosa stesse dicendo, né sentir vacillare un brusco: “Non fate pazzie, zio”
Ma le lacrime di lui, quelle le vide, e l’orgoglio e gli sguardi d’intesa.
Testimone dell’ultimo saluto tra il suo signore, la ragazza e l’uomo tarchiato che si allontanava a passo sostenuto, si convinse che la fine di quella guerra non poteva essere lontana.
 
 
***
 
 
Correva senza accennare a fermarsi.
Si era voltato e se l’era lasciata alle spalle.
 
Ranma si stupì di come non provasse rancore per la donna che tanto aveva contribuito alle sue disgrazie.
Si stupì di come l’istinto l’avesse portato a lei e di come, trovandosela improvvisamente di fronte, non avesse provato nulla più di quello che si può provare per un animale selvatico ormai innocuo, che ti guarda con l’occhio vacuo.
Shan Pu non era chi stava cercando.
Nulla di più semplice.
E il suo corpo si era mosso da solo.
In cerca di Akane. Ancora e ancora.
 
Correva senza tregua, Ranma.
Una serie di esplosioni a nord-ovest aveva mosso i suoi passi.
L’aria era carica di energia combattiva, se lo sentiva a fior di pelle, e sapeva che a nord-ovest c’erano molti villaggi. Non aveva indizi a guidare la sua ricerca. Tanto valeva affidarsi alle viscere, che lo incitavano a trovarsi lì dove si stava dirigendo.
Sperò che il suo istinto non lo tradisse proprio in quel momento. Sperò anche che non lo portasse da lei troppo tardi.
Qualcosa era cambiato nella battaglia, era chiaro anche a lui. Aveva visto sacche dell’esercito cinese arretrare, tra i fumi e i corpi dei compagni. Aveva visto il cielo farsi livido e la pioggia bagnare la terra e diluire il sangue.
 
Correva, e la sua corsa si arrestò solo quando vide le rovine del primo villaggio.
 
“Papà… papà, dove sei?”
 
Il pianto di una bambina addossata a un muretto arrivò al suo orecchio anche attraverso le strilla e la distruzione.
Le si accucciò accanto, riparandola col proprio corpo mentre si guardava intorno. Nessuno pareva essersi accorto di loro. Per un po’ sarebbero stati al sicuro.
 
“Bambina, dove hai visto il tuo papà l’ultima volta?”
 
“Papà… papà… dove sei?”, singhiozzava la piccola, senza ascoltarlo, con due treccine ai lati del visetto sporco.
 
“Ascoltami…”
 
“Papààà…”
 
Quello che fece Ranma, in preda all’impotenza del momento, dovette stupire anche la bambina, perché questa si zittì di colpo e sollevò due occhioni curiosi.
 
“Dormi dormi pupazzino
che nessuno si fa vicino”
 
Aveva cominciato a… canticchiare.
 
“Ora andiamo di soppiatto
sei al sicuro non c’è il gatto”
 
Parve funzionare, perché vide che la bambina, anche se aveva ancora troppa paura, sembrava desiderosa di avvicinarsi.
Continuò, e la sua voce ruvida per l’umidità e la corsa risuonò dolce nel frastuono di grida scomposte.
 
“il gatto grigio o quello nero,
Puoi star certo: sei tutto intero;
non c’è più un miagolìo
qui ci son…”
 
“… S o l t a n t o   i o”
 
Ranma non si era accorto della presenza di quell’uomo alle sue spalle.
Si voltò fulmineo, ergendosi a difesa della bambina che si aggrappò subito alla sua gamba sinistra.
Ma dall’uomo non arrivava nessuna aura combattiva. Era vestito da soldato alto in grado, era ben piazzato e con due occhiali tondi sul naso.
Era stato lui a completare la filastrocca. E ora lo guardava con un volto indecifrabile.
 
“Ragazzo, dove hai imparato questa nenia?”
 
Che non fosse un nemico, Ranma lo capì al di là dell’appartenenza. Il volto era stravolto e le mani sporche di terra. Il fatto che non fosse nelle retrovie e non avesse una spada in pugno significava che era lì per aiutare le persone del villaggio a fuggire.
 
“E’… uno scaccia pensieri, niente di più”
Perché quella domanda?
“L'avrò imparata da qualche donna per strada… O forse me la sono inventata io, per quel che ne so”
 
“Inventata? E perché mai? Hai paura dei gatti, forse?”
 
Colto in castagna.
 
“Io non ho paura! Li detesto, ecco tutto. Non sono animali affidabili”, bofonchiò arrossendo.
 
“Anche il mio Ranma li odiava”
 
“R… Ranma…?”
 
“Un genitore fa i suoi errori… Avevo tentato di insegnargli una sciocca tecnica marziale… ma perché entrare nei dettagli?”, ridacchiò l’uomo. “Era ancora così piccolo… Beh, mi inventai questa canzoncina per calmarlo quando piangeva… Era l’unica cosa che funzionava. Non capisco come sia arrivata a te…”
 
Il sangue gli pompava assordante in testa.
“Ranma… Ranma è anche il mio nome”
 
L’uomo fece un passo in avanti e la bambina si nascose meglio.
 
“E chi… chi te l'ha dato? Tuo padre, tua madre?”
 
Ranma le mise una mano sul capo. Non l’avrebbe lasciata.
“Mio padre e mia madre non me li ricordo e ho questo nome da che ho memoria. Come questo codino... Ho sempre saputo di chiamarmi così”
 
Gli occhi dell’uomo si distesero.
“E' mai possibile… ?”
 
“Chi sei, vecchio?”, gli chiese Ranma bruscamente.
 
“Non lo so più…”, balbettò l’altro, “Un tempo ero il padre di un bambino. Perduto anni fa, portava il nome di Ranma: occhi blu come quelli della madre, un codino come il tuo e una voglia matta di imparare le arti marziali. Genma. Mi chiamo Genma Saotome”
 
Il suono di quel nome gli accese qualcosa dentro, l’eco di un ricordo. Sentì i pezzi ricomporsi nel disegno di un passato che non riuscì tuttavia a vedere.
Ranma Saotome.
Gli parve dannatamente familiare.
L’uomo fece un altro passo verso di lui, gli occhi lucidi.
Senza accorgersene, Ranma strinse più forte a sé la bambina. Poi la sua voce osò quello che il suo pensiero ancora non riusciva a concepire.
 
“Padre…?”
 
“Ranma…?”
 
Un’esplosione troppo vicina coprì la visuale con polvere e detriti.
 
“G-Genma?!...”, la voce di Ranma tentò di squarciare il boato, invano: altre esplosioni seguirono a breve distanza l’una dall’altra. “Genma Saotome?” Non poteva perderlo, non così! “Dove sei?! Padre!!...”
 
La piccola cominciò a tossire, dietro di lui, e senza pensarci oltre, con la disperazione che gli moriva in gola, Ranma la prese in braccio, cercandosi una via di fuga il più lontano possibile da lì.
 
Perduto.
 
Con le mani sulle esili spalle della bambina, mentre si assicurava che questa non avesse ferite, Ranma riprese fiato e realizzò di aver perduto l’uomo che forse era suo padre.
Abbassò il capo e i capelli gli coprirono il volto sudato, scuri come la nuvola di cenere che si era sollevata poco distante.
Non dava segno di rialzarlo e la bambina non cessò di tenere gli occhi incollati su di lui.
Aveva creduto di ritrovare il padre e prima di poter anche solo dire una parola, i due erano stati divisi. Impossibile gettarsi nella mischia in quel momento per andarlo a cercare: sarebbe stato da veri incoscienti.
La guerra stava avvampando indiscriminata e brutale.
Il pensiero tornò violento ad Akane, lì fuori da qualche parte in mezzo a frecce, masse di gente in fuga, granate.
Si sollevò quel che bastava per sfiorare la guancia paffuta della piccola e regalarle un breve sorriso.
 
“Come ti senti adess…?”
 
“Pluuuum!!!”
 
“Papààààà!!!”
 
L’urlo della piccola in risposta al suo nome pronunciato a pieni polmoni, fu un brivido puro sulla pelle.
 
Ranma vide caracollare verso di loro un uomo goffo e pesante, votato unicamente a raggiungere la figlia che gli tendeva le manine, prenderla in braccio e ripetere il suo nome mentre lei gli riempiva il faccione di lacrime e baci.
 
“Papino!... Papino mio…!”
 
Non ci fu bisogno di ringraziamenti né di addii. Il sorriso che sentì stamparsi sul proprio volto fu una ricompensa sufficiente per Ranma.
Diede loro le spalle e proseguì rapido per la sua strada.
 
Se quello che aveva incontrato era davvero il suo vecchio, allora sarebbe stato in grado di badare a se stesso ancora per un po’; e se la sorte avesse voluto, l’avrebbe presto ritrovato sul suo cammino.
 
Ora doveva trovare Akane, nient’altro.
 
 
 
***
 
 
Gridava, Ryoga, gridava con quanto più fiato aveva in gola, nella speranza di spaventare il nemico e farlo arretrare, e non dover usare la forza.
Sul campo di battaglia dovevano essere a migliaia, ma la sua visuale coglieva un uomo alla volta.
I Cinesi scappavano e lui avanzava. Sapeva di avere un esercito con lui, sapeva di avere dei comandanti a guidarne l’offensiva. Eppure gli sembrava di camminare solo in quell’intrico di armi e budella, di spade conficcate in carni tumefatte, di corpi avvinghiati nel disperato tentativo di essere i primi a spezzare all’altro l’osso del collo.
Gridava per non sentire le urla degli altri.
Sperò che quell’orrore non raggiungesse la sua Ukyo. Sperò che Akane, se fosse stata ancora viva -dèi del cielo-, non si trovasse lì in mezzo, nell’occhio di quel dannato ciclone.
 
 
*
 
 
“State attento, mio signore!”
 
Shinnosuke si contorse in groppa al cavallo per sferrare un calcio contro il soldato giapponese che stava tentando di disarcionare lui e Akane.
 
“Akira… Sono troppi!”, le urlò di rimando, spronando l’animale che riprese a galoppare schiumante.
 
Akane sentiva la morte, tutto quel sangue, i lamenti avvicinarsi a lei, inesorabili come la risacca che sta per lambire una caviglia. E tuttavia, finchè il cavallo correva e lei si trovava schiacciata tra la sella e il petto di Shinnosuke, le parve di assistere alle immagini di un sogno che scorreva davanti a lei. Sentì i sensi aguzzarsi come mai nella vita, e il tempo del suo pensiero dilatarsi.
 
Era buono l’odore della pioggia contro la pelle accaldata di Shinnosuke; le sue braccia erano forti, intorno a lei.
Per la prima volta si rese conto di essere nelle mani del suo nemico. Letteralmente.
Se avessero scoperto che Akane Tendo era viva e prigioniera dell’esercito cinese, le sorti della guerra sarebbero certo cambiate.
Se l’avesse scoperto Shinnosuke…
 
Akane alzò lo sguardo su di lui: quegli occhi delicatamente arcuati che di solito la guardavano bonari, saettavano a destra e a manca, stropicciati dalla paura; le mani gentili che le si posavano ogni sera sul capo erano piene di graffi e strattonavano le redini per schivare ostacoli senza fine.
Lo scrutò, Akane, e per un attimo valutò davvero.
Tanto stanca, desiderò solo abbandonarsi alla protezione di quell’abbraccio, e dimenticare tutto il resto.
 
Akane scrutò Shinnosuke, la cui sola colpa era di non essere Ranma.
 
Un sorrisetto le si disegnò amaro sulle labbra.
Ranma.
In quel momento Akane imparò che la morte in fondo mette fine soltanto alla vita.
 
 
 
E poi il mondo si capovolse.
 
Il colpo fu talmente violento che Akane non sentì niente.
Quando i rumori intorno a lei balzarono nuovamente alle sue orecchie, con ferocia, si trovava in mezzo a una sterpaglia fangosa. Doveva essere rotolata giù dal cavallo, che nitriva rovesciato su un fianco e su cui ancora era incastrato Shinnosuke.
 
Akane fu più veloce di lui ad alzarsi, con la spada già in pugno, pronta a brandirla contro l’uomo taurino che li stava attaccando sbraitando come un forsennato.
 
Fu questione di pochi secondi.
Inspira.
Espira.
I colpi che la ragazza seppe parare con rapidità dovettero mandare in confusione l’avversario perché non si accorse dell’elsa che calava sulla sua nuca né del movimento di polso che lo mise fuori uso.
 
Shinnosuke la guardò come si guarda qualcuno resuscitato dal mondo dei morti.
 
Akane gli fu accanto e lo sollevò di peso, mettendolo nuovamente in piedi.
 
“Presto! Dobbiamo andare via di qui!”, lo riscosse, precedendolo.
 
Shinnosuke sguainò la propria spada e la seguì.
 
“Akira… dove… dove hai imparato a combattere così?”
 
Akane si voltò verso di lui, senza arrestarsi, un sorriso di pura luce negli occhi.
 
“Ho avuto un buon maestro… il migliore!”
 
L’esercito cinese era allo sbando. Forse né lei né l’uomo che l’accompagnava avrebbero visto l’alba. Ma fino ad allora avrebbe difeso con le unghie e con i denti la vita che le apparteneva, quella vita che non le era stato permesso vivere con Ranma.
 
 
 
***
 
 
 
Shan Pu.
Lingua calda sulla sua pelle. Fianchi rotondi sfiorati appena dalla luce della fiammella.
 
Shan Pu.
Rumore bagnato di corpi all’unisono l’uno nell’altra. Un bisogno nuovo, crescente, spaventoso, oltre il desiderio fisico di fondersi con lei.
 
Shan Pu.
Nudo, di fronte a lei che lo guardava con quegli occhi e non diceva niente.
“Mousse…”
Il suo nome, tremendo sulle sue labbra. Dolce, sulle proprie, mentre glielo rubava e ritrovava se stesso.
Simili. Spietati entrambi.
 
Mousse si aggirava come un cane affamato nella battaglia. Forse non l’avrebbe vista mai più. Forse, dopotutto, non era nemmeno lì in Giappone, Shan Pu.
Di certo non l’avrebbe mai più avuta.
 
“Vattene, adesso”
L’aveva guardato per quello che era.
“Shan Pu non sa che farsene di amore”
Si era rivestito, lentamente, senza una parola.
Shan Pu.
La prima e ultima volta che l’aveva tenuta tra le braccia. Lui che non era il primo né sarebbe stato l’ultimo.
E poi, finsero di dimenticarsene.
 
La battaglia impazzava, intorno a lui, e la pioggia stava aumentando.
Mousse scansava uomini e colpi, senza neanche prestar loro attenzione. Procedeva su per quella salita franosa con un solo obiettivo, che non si sforzò nemmeno più di nascondere a se stesso: Shan Pu.
Setacciava lo spazio circostante in cerca della sagoma di lei.
Tutto il resto non esisteva.
Chissà se l’avrebbe rivista. Per dirle cosa, poi?
Eppure, passo dopo passo il suo piede accelerava, il suo cuore strideva.
La disfatta era ormai prossima, e lui aveva paura. Non per la Cina, non per se stesso.
Passo dopo passo, scoprì che l’orgoglio può essere facilmente calpestato di fronte a ciò che conta davvero.
 
Strinse gli occhi, scuotendosi in un singhiozzo, e la debolezza gli costò cara: il respiro gli si spezzò nelle reni e si ritrovò a terra con la schiena colpita da un calcio a tradimento e il piede del suo nemico premuto contro il petto, due spade luccicanti pronte a calargli sul collo.
 
Fu infinitesimale l’attimo in cui il pensiero andò a Shan Pu e contemporaneamente il suono della sua voce si materializzò.
Fu il metallo che fendeva l’aria, fu il gorgoglìo dell’uomo prima di piombare a terra.
E poi fu solo Shan Pu, ansante, con il braccio teso e il bonbori in pugno.
 
“Sh-Shan Pu…”, Mousse allungò una mano tremante. Quanto straordinaria doveva essere la mente di un uomo per creare un’illusione tanto bella nella sua ultima ora!
 
La ragazza afferrò quella mano senza troppe cerimonie, forzandolo a tornare alla realtà, ad alzarsi e a seguirla al riparo di una roccia sporgente.
 
“Questa è ultima volta che ti aiuto, Mousse!”
 
Lo spinse in malo modo contro la pietra e si acquattò a sua volta assicurandosi che nessuno li avesse seguiti.
 
“Ma che cosa ti diceva cervello?!”
 
Era accaldata, Shan Pu, e inviperita, come spesso l’aveva vista.
 
E bellissima.
 
Era un caso che si fossero incontrati, o era andata in cerca di lui come lui di lei?
 
Questo le chiedeva con gli occhi.
Lui che aveva fatto della parola la sua arma migliore, la guardava senza sapere cosa dire, felice di averla davanti a sè, come aveva tanto desiderato.
 
Shan Pu parve non sostenere oltre quello sguardo.
 
“Cosa ci fai qui, solo, senza tuoi uomini?”, ruppe il silenzio mordendosi un labbro.
 
“Lo stesso che ci fai tu”
 
“Io non sto cercando di farmi ammazzare!”, protestò risentita.
 
Lei era lì, davanti a lui, viva. E lui non voleva ribattere.
 
Scattò verso di lei e la strinse tra le braccia, come avrebbe dovuto fare tanto tempo prima.
 
Shan Pu si irrigidì al contatto di quel corpo che non chiedeva nulla se non di stare lì, in quell’abbraccio.
 
“Sai”, la voce di lui ruppe il silenzio, facendosi strada su per la gola contratta. “Mi sono reso conto che invidiavo quel ragazzo…”
 
Ranma. ‘Quel ragazzo’ era Ranma. Non ci fu bisogno di dirlo.
 
“… Non perché tu l’avessi preso di mira - non ti importava nulla di lui come degli altri-, ma perché lui aveva Akane Tendo”
 
Shan Pu sollevò il mento stizzita nell’udire quel nome.
 
“Akane Tendo…”, continuò Mousse, cercando la parola, “… lo amava. Di un amore incondizionato, perfetto. E io l’ho odiato per questo”
 
Rimase col volto nascosto dietro la spalla di lei, immobile, pallido.
 
“Non fraintendermi… Io non volevo Akane Tendo. Io volevo solo te, Shan Pu”
 
L’aveva detto.
 
Ad alta voce.
 
A se stesso, a lei.
 
 
***
 
 
Soun Tendo inspirò con convinzione. L’aria era pungente a quell’altezza. Si era allontanato dall’accampamento insieme a Nabiki e a pochi uomini fidati, per appostarsi tra gli alberi di un’altura a ridosso della gola dell’agguato; pronto ad accendere i fuochi e dare il segnale.
Nabiki stava scrutando i tre lati su cui l’esercito giapponese stava ancora combattendo. Abbassò il corto cannocchiale e lo porse al padre.
 
“I nostri arcieri sono pronti, padre, guardate voi stesso”
 
Soun lo prese e se lo portò all’occhio, assorto, mentre uno del suo seguito, un vassallo sulla conquantina, robusto e dall’occhio fedele, si inserì nel discorso di Nabiki.
 
“I nemici stanno fuggendo attraverso il passo, mio signore, come avevamo previsto. Ma pare stiano facendo una certa resistenza su ogni parte del fronte, in particolare a nord e sul lato occidentale, come anche confermano i vostri messaggeri. Penso che sia arrivato il momento di spingerli al di là della montagna, dritti verso i nostri soldati”
 
“E alla resa, finalmente”, sospirò Soun.
 
Nabiki fece scivolare la mano in quella grande di lui, guardandolo con occhi carichi di fiducia.
 
“Alla resa. E alla fine di tutto questo, padre”
 
“Stanno solo aspettando un vostro comando, mio signore”, incalzò il vassallo dopo qualche secondo di attesa.
 
“E sia”
 
Soun Tendo chiuse la sua mano su quella di Nabiki. E accese il fuoco.
 
 
 
***
 
 
 
“…Io volevo solo te, Shan Pu”
 
Quelle parole le affondarono in petto come un sasso nello stagno, il cui movimento si propaga senza fine.
 
“Lasciami!”
 
Shan Pu si divincolò inferocita, prendendo velocemente le distanze da lui, fuori dal riparo.
 
Mousse la seguì sotto la pioggia.
 
L’amazzone si voltò furente verso di lui.
 
“Guerra ti ha rammollito!”
 
Ma Mousse non ebbe il tempo di rispondere.
Ciò che Shan Pu vide fu il volto di lui squarciarsi di orrore, e non capì perché.
Non sentì nulla, se non un rumore lontano di carne trafitta.
Lo vide tirarla via con le sue catene e un attimo dopo stava rotolando tra le sue braccia, sotto una cascata di frecce che oscurava il cielo.
Sentì i gemiti soffocati di lui rimbombarle nei timpani, mentre i dardi acuminati gli entravano nelle spalle, lungo le braccia, sulla schiena con cui lui le stava facendo da scudo, spezzandosi contro la dura terra in un esplosione di schegge e sangue.
 
Realizzò che quel giorno era la seconda volta che Mousse le stava così vicino, la terza in tutta la sua vita.
 
Poi ogni cosa si fermò e il dolore la investì all’istante.
Urlò con quanto fiato aveva in gola, incapace di dominarsi, improvvisamente consapevole della morsa di ogni singola ferita, di ogni singola freccia che l'aveva colpita a tradimento nel momento in cui era uscita dal riparo.
 
“Shan Pu… Shan Pu…”
 
Qualcuno stava sussurrando il suo nome.
 
“Shan Pu, resisti!”
 
O forse lo stava gridando.
 
Quello stupido di Mousse... Chissà dove aveva trovato la forza di mettersi in piedi e di trascinarsi con lei tra le braccia.
 
“Aiuto!! Qualcuno mi aiuti…”
 
Quello non era Mousse. Dov’erano finiti l’occhio freddo e il ghigno scaltro? Dov’era finito l’uomo che conosceva, l’uomo che aveva voluto vedere in lui tutti quegli anni?
 
“Mousse, ti prego…”, mormorò a fatica, e le uscì una voce dolce, che non ricordava di avere.
 
“C’è una donna ferita! Vi prego… Un dottore!!!”
 
“Lasciami qui”
 
“Neanche per sogno…!”
 
Il sangue scorreva copioso dalle ferite di lui, e il fiato gli si accorciava a ogni respiro.
 
“Ho… ho sentito di un dottore tra le fila del nemico… un dottore che salva vite e fa miracoli… non mi importa se dovrò farmi ammazzare per consegnarti a lui…!”
 
“Guerra ti ha davvero rammollito”, sorrise lei, nonostante tutto.
 
“No, Shan Pu…”
 
“Smettila”
 
“No… no, Shan Pu”
 
“Mettimi giù… Ti prego. Solo… stai qui con me. Non lasciarmi…”
 
Mousse continuava a scuotere la testa, ma le ginocchia risposero per lui.
Crollò a terra e Shan Pu non si accorse di niente, perché lui seppe attutire la sua caduta anche con le forze che lo stavano lasciando miseramente.
 
Si ritrovò lì, nel fango, abbandonata su un fianco, occhi negli occhi con lui.
 
Vattene, adesso.
 
Gli stessi occhi in cui si era riconosciuta, mille anni prima, in una notte come tante tra le lenzuola sgualcite del suo letto.
 
Shan Pu non sa che farsene di amore.
 
Aveva visto quegli occhi e si era sentita bruciare anche dove lui non l’aveva toccata.  Nuda. Più di quanto non fosse senza vestiti, più di quanto non le importasse essere di fronte a tutti gli altri.
 
“Sh…an …Pu”, bisbigliò Mousse, sfinito.
 
“Sshh…”, lo zittì lei.
 
Il volto di lui era così bianco, che sembrava traslucido sotto la pioggia, i lunghi capelli scomposti sparsi sul collo e sulle spalle.
 
Quanto aveva desiderato rivedere quel volto…
Sì, aveva iniziato a cercarlo, a cercare Mousse senza ammetterlo neanche a se stessa.
E quando l’aveva trovato, l’istinto aveva agito per lei, e si era frapposta tra lui e la morte, per difendere l'unica persona che l'aveva davvero amata.
Perché chi altri, sennò, avrebbe amato Shan Pu?
 
Mousse tossì violentemente, e una macchia di sangue bagnò il terreno.
 
“Perché? Perché sei stato così stupido…?”, ansimò Shan Pu.
 
“Credevo che non ti avrei più rivista…”, soffiò lui, come se non l’avesse sentita.
 
“Amore significa perdere, Shan Pu”
Il tono severo non lasciava spazio a replica alcuna.
“Amore significa essere deboli. Non dimenticartelo mai”
La bambina annuì seria di fronte all’ennesima regola del suo villaggio.
“Sì, madre”
Senza aver capito.
 
 
Sospirò brevemente Shan Pu, e non rispose.
Anche lei aveva creduto che non l’avrebbe rivisto mai più, che sarebbero morti entrambi con tutta quella rabbia come unica compagna, la rabbia di essere soli al mondo e di non volere…  di non meritare l’amore di nessuno.
 
Rise, Shan Pu, debolmente, senza emettere un suono, ma di gusto.
 
Sorrise anche Mousse.
 
“Perché ridi, Shan pu?”
 
“Perché non mi sento affatto debole”, gli rispose con semplicità, esausta.
 
Sotto la pioggia che lava via ogni cosa, Shan Pu vide sciogliersi l’ultimo brandello di orgoglio nell’uomo che le stava davanti, ormai incurante di mostrarsi fragile e sottomesso.
Perché nulla contava più di lei.
 
“Ti amo”, le disse a fil di voce.
 
Il mondo continuò a muoversi intorno a loro: gambe in corsa che passavano oltre, voci che si sgolavano, frecce che fischiavano.
 
Lui la amava. L’aveva sempre amata.
E anche lei, forse…
 
“Forse in fondo è questo amore”, si arrese Shan Pu.
Perché, sennò, gli occhi di lei come quelli di lui erano pieni di lacrime?
 
Ma forse no. Non lo era, si disse.
 
Dovette non crederci neppure lei, perché nonostante lo sforzo immane che le costò, Shan Pu riuscì a strisciare di qualche centimetro. Annullò la breve distanza che li separava.
 
E posò le labbra bagnate su quelle di lui.
 
E sentendo in bocca il sapore di sangue non suo, capì che Mousse la stava lasciando.
Aprì gli occhi e vide che quelli di lui si stavano velando.
Eppure sorridevano, come mai prima d’allora. Di una felicità pura e disinteressata.
 
Sentì anche lei la vista sfocarsi e un grande calore abbandonarla.
Un calore che mai aveva provato in tutta la sua vita.
 
 
 
***
 
 
Aveva paura, Akane, mentre correva al fianco di Shinnosuke, nel puzzo della polvere da sparo. Ma era una paura genuina a cui sapeva rispondere con l’azione: colpiva, assestava calci, schivava, atterrava e immobilizzava nemici senza mai ucciderli; perché quelli erano gli uomini che combattevano per suo padre, che avrebbero combattuto per lei.
Magari fosse stato tutto semplice come quella paura.
Sentiva il sangue scorrere caldo nelle vene e si chiese per quanto ancora avrebbe resistito.
Non volle pensarci, e ci riuscì.
Sapeva solo che doveva andare avanti.
 
Fu per distrazione o forse per stanchezza che nel farlo mise il piede in fallo su una pietra scivolosa e rovinò a terra.
Fu per una disgraziata beffa del destino che proprio in quel momento stesse schizzando una freccia verso di lei.
 
Non si accorse di niente, se non quando il corpo di Shinnosuke crollò su di lei.
 
Dovette ricostruire nella sua mente anche il suono strozzato di quel nome, “Akira”, con cui lui l’aveva chiamata prima di proteggerla col suo corpo.
 
Shinnosuke cadde su di lei come una marionetta a cui sono stati tagliati i fili.
 
E la realtà le si abbattè addosso più violenta di quel peso.
 
“Oh no…! Non morite!”
 
L’uomo che le aveva salvato la vita le era scivolato in grembo.
 
“Non morite, mio signore…! Vi prego!!”
 
Lo abbracciava e piangeva senza ritegno, imbrattata di fango e del sangue di lui.
 
Fu allora che la raggiunse quella voce.
 
“Va’ via da lì, ragazzo, o ti farai ammazzare!”
 
Una voce che avrebbe riconosciuto tra mille.
 
E alzò lo sguardo.
 
 
*
 
 
Aveva paura, Ranma, mentre correva solo, nel puzzo della polvere da sparo, una paura disperata, infida. Non di morire, ma di non ritrovare la sua Akane, di averla persa per sempre.
Più aumentava l’orrore intorno a lui, più si allontanava la sicurezza di ricongiungersi a lei, quella sicurezza che l’aveva tenuto in piedi fino a quel momento.
Aveva cercato una contadina e aveva trovato solo delle fanciulle spaurite; aveva cercato una combattente e aveva trovato Shan Pu.
In quel momento, in mezzo a tutto quel caos, cercava solo e ostinatamente Akane.
Invece il suo occhio continuava a captare uomini giovani e meno giovani, spaventati, rabbiosi, in fuga; come quel soldato di spalle, alto in grado, ai margini della sua visione periferica, che arrancava in salita al fianco di quello che sembrava il suo scudiero.
 
Un attimo… ma quello era il generale Shinnosuke, l’eroe dell’esercito cinese con cui aveva brevemente incrociato il suo cammino!
E il ragazzo accanto a lui doveva essere poco più che un bambino: la sua schiena era piccola e le sue spalle così strette…
 
I due gli parvero in difficoltà e volle avvicinarsi, per dare loro una mano in attesa di riprendere la sua strada.
 
Ma non arrivò in tempo.
 
L’aria fischiò, il generale si frappose tra la freccia e il suo protetto, e Ranma vide la sagoma di quest’ultimo piegarsi sul corpo ormai esanime del suo padrone.
La piccola schiena si scosse di singhiozzi, e l’umidità si riempì di parole impastate di pianto, che Ranma non riuscì a sentire.
Quello che sentì fu il petto straziarsi a quella vista pietosa.
Presto un nuovo attacco più strutturato li avrebbe colti di sorpresa, e lui questo, non poteva permetterlo. Ranma si gettò in avanti.
 
“Va’ via da lì, ragazzo, o ti farai ammazzare!”
 
Quello alzò lo sguardo.
 
E lui la vide.
 
 
La pioggia si arrestò.
Le urla intorno a loro si zittirono.
Persino il cuore smise di battere.
 
Una sola parola squarciò il silenzio.
 
“Akaneeeee!!!”
 
Ma prima che lei potesse gridare il nome di lui in risposta, il cielo e la terra tremarono, una luce raccapricciante li avvolse.
 
Ranma si scagliò su di lei senza un attimo di esitazione prima che la violenza dell’esplosione si abbattesse su ogni cosa.
 
E il mondo cadde nell’oblìo.
 
 


 
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Ciao a tutti!
 
So che mi starete odiando per essermi fermata proprio all’incontro che tutti noi stavamo aspettando dopo millemila capitoli di separazione…! Non me ne vogliate… ;-)
Questo capitolo è lungo un’eternità e succedono diverse cose. Spero di non essermi persa dei pezzi in questo guazzabuglio della guerra! Sono sicura di aver peccato di ingenuità in più di un'occasione e me ne scuso. Come sapete i personaggi dell’intreccio sono tanti e temo di aver sacrificato un po’ di coerenza storico-geografico-militare (anche se ho provato a non farlo!) a beneficio degli incontri e delle singole vicende.
Comunque! Ci stiamo avviando velocemente al gran finale e se tutto va bene il prossimo dovrebbe essere l’ultimo capitolo!
Spero di potermici mettere tra fine agosto e settembre, quindi… siate fiduciosi!
Ancora una volta, grazie a chi mi ha seguito fin qui, senza farsi demoralizzare dai radi aggiornamenti. So che sarete distrutti dal caldo estivo e divisi tra mille impegni, ma se vi va fatemi sapere cosa ne pensate! ;-) Le vostre recensioni e i vostri consigli significano molto per me.
 
Un abbraccio a voi e a presto!
 
InuAra


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Riassunto dei capitoli precedenti:

Medioevo giapponese - Akane, figlia di Soun-sama, signore delle terre dell'ovest, non è mai uscita dal palazzo, dove è cresciuta accanto a Ranma, un giovane orfano che lavora come paggio al servizio di Soun Tendo. A vegliare su di loro ci sono i due anziani consiglieri, Obaba e Happosai, e gli immancabili confidenti, Ryoga, amico, di Ranma, e Ukyo, ancella di Akane. Soun si risposa con una giovane nobildonna, Kodachi, e al fratello di lei, Kuno Tatewaki, promette in sposa la principessa Akane, che rifiuta categoricamente i suoi corteggiamenti. A poco a poco Ranma e Akane si accorgono di essere innamorati e, sfidando i problemi di classe, si dichiarano. Decidono quindi di sposarsi di nascosto e scappare in Cina, in attesa di tempi migliori, ma immediatamente dopo il matrimonio e la prima notte di nozze vengono scoperti e divisi. Ranma viene prima imprigionato e poi esiliato e Akane è tenuta sotto stretta sorveglianza, pur con un discreto raggio di azione. Partendo per la Cina, Ranma promette ad Akane che le scriverà spesso e che farà di tutto per ricongiungersi a lei. Tra una lettera e l’altra, passano i giorni. In Cina, Ranma viene accolto dalla signora Nodoka, una donna giapponese che gestisce una locanda, dove lavora come cameriera Shan Pu, che tenta invano di sedurre Ranma. Durante una festa, uno degli ospiti, un giovane guerriero di nome Mousse, provoca Ranma e lo istiga a scommettere sull’onore di Akane: sarà Mousse stesso a provare l’infedeltà della giovane principessa recandosi in Giappone e tentando di sedurla. Una volta a Palazzo Tendo, Mousse fallisce ogni tentativo di fronte alla fedeltà di Akane. Nottetempo si intrufola quindi, nascosto in un baule, nella sua stanza e le ruba un bracciale che Ranma le aveva donato prima dell’esilio, portandolo come prova dell'infedeltà della ragazza. Al ritorno di Mousse, complice un filtro di Shan Pu che ha il potere di farlo letteralmente "impazzire" di gelosia, Ranma crede alle bugie sulla fedeltà di Akane e scrive a Ryoga chiedendogli di ucciderla. Ranma poi sviene e rimane privo di sensi per circa una settimana. Nel frattempo scoppia la guerra tra Cina e Giappone. Prima Mousse e poi Shan Pu si arruolano e partono per il Giappone. Ryoga riceve la lettera di Ranma in cui gli viene chiesto di portare Akane fuori dal palazzo e ucciderla. Una volta fuori, Ryoga risparmia la ragazza, a cui non aveva pensato neanche per un istante di fare del male, e si ferisce a un braccio per macchiare un pezzo di stoffa dello yukata di Akane da mandare a Ranma come prova dell'uccisione. Akane si traveste da uomo con lo scopo di raggiungere gli amici Hiroshi e Daisuke presso il villaggio di Hakata e lì attendere tempi migliori. Non arriverà mai a destinazione, incappando nell'abitazione di un montanaro e delle due nipoti, che la accolgono con affetto, credendola un ragazzo. Si tratta però di Genma, vecchio amico del padre di Akane, il quale circa dodici anni prima, in seguito alla presunta perdita del figlio Ranma durante una delle guerre dichiarate da Soun, ha deciso di vendicarsi rapendo le sue due figlie maggiori ancora in fasce: Kasumi e Nabiki. Nel frattempo Ranma si sveglia e alla notizia della morte di Akane, affranto e pentito, prende la prima nave per il Giappone, dove spera di trovare la ragazza ancora viva. A palazzo Soun scopre che la figlia è fuggita e decide di dare la falsa notizia della sua morte. Kuno capisce che dietro la sua fuga ci sono Ryoga e Ukyo. Dopo averli minacciati si lancia all'inseguimento della ragazza, deciso a prenderla con le cattive e ad abusare di lei con indosso gli abiti di Ranma, per offenderla più crudelmente. Nei boschi troverà invece Nabiki e dopo una colluttazione rimane ucciso in un  incidente in cui viene decapitato. Nel frattempo Akane ingoia quella che crede essere una medicina e che altro non è che un veleno di Kodachi, per fortuna non mortale. Akane perde i sensi e appare, tuttavia, priva di vita. Genma, Nabiki e Kasumi piangono la sua morte e nel momento in cui stanno per seppellire il suo corpo e quello di Kuno sono costretti a fuggire per l'arrivo dei soldati. Nottetempo Akane si sveglia sul corpo senza testa di Kuno, e nel buio e nell'angoscia del momento pensa di trovarsi di fronte al corpo senza vita di Ranma, caduto in una terribile e ingegnosa trappola. Ormai sola, ancora in abiti maschili decide di seguire Shinnosuke, un giusto e onesto generale dell'esercito cinese. Arrivato in Giappone Ranma riceve la notizia ufficiale della morte di Akane e decide di gettarsi nella battaglia per trovare la morte che si merita. Incontra però casualmente Ryoga e viene a scoprire che Akane è viva. Decide quindi di iniziare la sua ricerca. Nel frattempo Genma, Nabiki e Kasumi salvano Soun da un agguato. Genma spinge quindi le due ragazze a chiedere protezione al nobile signore, e decide di seguirle da lontano.
Kodachi nel frattempo raggiunge il marito all'accampamento e dopo averlo drogato gli rivela di aver tramato fino a quel momento per poterlo uccidere e prendere il suo posto al potere. Interviene Genma a salvare l'amico e Kodachi rimane uccisa. Genma si mostra a Soun come il rapitore delle sue figlie e chiede di essere punito con la morte. Intervengono sia Soun che le ragazze, che hanno sentito nascoste ogni cosa.  Akane comincia a pensare di voler fuggire dall'esercito cinese per potersi gettare nella battaglia. Ranma, dal canto suo, ha sentito parlare di una donna combattente e, credendo si tratti di Akane, si mette sulle sue tracce.

  
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