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Autore: Gelatin    07/08/2017    2 recensioni
[Snow King!AU] [Sebastian/Ciel]
Nell'immenso castello del Sovrano dei Ghiacci, il giovane Ciel tenta di sopraffare la crescente attrazione che l'ha spinto a seguire il demone, lasciandosi il suo passato e i suoi cari alle spalle.
Sebastian lo istruisce alle arti magiche, è un insegnante paziente, affascinante e spaventosamente potente, che non si esime dal tentare il ragazzo coi suoi modi carezzevoli.
Sullo sfondo di un luogo perennemente immerso nella neve, inconsapevole di tutto, Elizabeth si mette in cammino, alla ricerca della persona che ha già voltato le spalle al sole.
Dal testo:
''Tu tremi'' sentenziò l'uomo, abbandonando l'enorme, candida slitta. Lo prese per i fianchi e lo adagiò accanto a sé, avvolgendolo nella voluminosa pelliccia.
Il ragazzino rabbrividì.
L'individuo lo fissò lungamente, poi si chinò su di lui, sfiorando la sua bocca in un bacio delicato, e Ciel non sentì più freddo.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri personaggi, Ciel Phantomhive, Elizabeth Middleford, Sebastian Michaelis
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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I personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Yana Toboso; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro

 

Crows In Snow


La neve scendeva placida dal cielo uggioso, andandosi a congiungere al biancore immacolato che attorniava il castello.

Ciel fissò piattamente tale spettacolo, fin troppo abituato al gelido clima invernale per poterlo studiare con chissà quale particolare interesse.

Era cresciuto poco più a sud di quella landa desolata, il proibito territorio del Sovrano dei Ghiacci, dove nessun uomo con un briciolo di buon senso avrebbe messo piede; il suo nome passava, intrepido, di bocca in bocca da secoli, eppure mai il ragazzino si sarebbe trovato a pensare di poter avere a che fare egli stesso con una simile creatura.

In fin dei conti, però, era stato lui ad appigliarsi alla sua slitta, era stato lui a seguire lo sconosciuto misterioso avvolto nella sua ingombrante pelliccia.

Sospirò.

Alle sue spalle, nella stanza di un monocromatico azzurro smorto, il grande baldacchino dalle cortine leggere era divenuto appoggio di una molteplicità di libri e qualche vecchio diario scarabocchiato frettolosamente.

Indolente, pensò avrebbe dovuto finire i suoi compiti, o il demone si sarebbe certamente adirato.

Sebastian -questo era il nome con cui il Sovrano gli si era presentato-, pareva compiaciuto dell'aver un nuovo pupillo al quale tramandare le sue arti: diceva che se si fosse impegnato abbastanza pure lui, grazie al suo aiuto, sarebbe stato capace di manipolare la neve e il ghiaccio come meglio avrebbe voluto.

Ciel non ne era troppo convinto, eppure, guardandosi gli arti lividi e ritornando con la mente al passato, tendeva a darsi dello stolto per tale scetticismo.

Lasciò le dita sfiorassero il freddo vetro della finestra, ma non percepì alcun brivido scuoterlo; il gelo non poteva più scalfirlo, così ben abbarbicato nelle profondità del suo cuore e del suo animo.

Un soffio di vento, quasi impercettibile, gli carezzo la gota, improvviso: capì il Sovrano lo stava richiamando a sé e si affrettò ad abbandonare la camera scendendo precipitosamente le lunghe scale a chiocciola a piedi nudi.

Ben presto, si ritrovò nell'immenso salone di ghiaccio in cui Sebastian l'aveva condotto la prima e definitiva volta in cui era entrato nel castello per non abbandonarlo più.

Tutto nella stanza era di un impersonale e accecante bianco, perfino il trono, un agglomerato di stalagmiti intrecciate a formare un seggio improbabile; un lungo corridoio, attorniato dagli stessi spuntoni gelati, conduceva dall'immensa porta principale al podio su cui era solito sedere il Sovrano.

Schivò una delle tante colonne ghiacciate e si avvicinò alla creatura, seduta compostamente a gambe accavallate, che lo fissava in tralice.

Era bello, aveva pensato la prima volta che lo aveva visto.

La pelle diafana, nivea, era perennemente coperta da lunghe vesti che arrivavano a sfiorargli mollemente le caviglie, quanto bastava per rivelare gli alti stivali laccati di nero, che risuonavano secchi a ogni suo passo, e nulla di più, condannando al mistero qualunque cosa vi fosse al disotto.

Sulla testa, a coronare la chioma corvina, un diadema sbilenco, cereo, era affisso quasi per magia e riluceva sfolgorante, sottolineando l'incommensurabile potere di cui la creatura era in possesso.

Protese una mano dalle lunghe unghia verniciate; il pallore delle sue dita andava sfumando in un blu scuro, quasi pece, già all'approssimarsi del polso, cosicché le uniche cose a restare incontaminate erano le sue mani e il singolare sigillo sul dorso della sinistra.

Ciel attraversò l'immensa distesa di acqua gelata e accettò il sostegno in silenzio, salendo flemmaticamente gli scalini che rialzavano il podio.

Quando si ritrovò difronte al volto del demone, stette ad attendere le sue parole, calmo.

Il viso del Signore dei Ghiacci era di squisita bellezza, dai lineamenti delicati, i quali si dipingevano perfettamente nel volto ovale, aggraziato e ferino, simile a quello di una statua.

Sebastian, col consueto ghigno, alzò gli occhi cremisi sui suoi.

''Hai finito i tuoi compiti?'' domandò tranquillamente.

Ciel rimase impassibile, scuotendo la testa.

''Non ancora.''

Un sospiro abbandonò le labbra sottili del Sovrano, che lo guardò con un'impercettibile e mal simulata nota di disappunto.

''Ti avevo domandato di farlo'' sottolineò l'ovvio, poi allungò le dita al suo viso, carezzando delicato la pelle tenera sotto al suo occhio destro.

Lì, a sostituire l'oltremare dell'iride gemella, il medesimo sigillo che il demone aveva impresso sulla mano, simbolo indissolubile del loro eterno legame.

Sulle prime, nell'assopimento del suo cuore inaridito, aveva percepito un certo disagio nell'ammirare allo specchio l'insolito indaco del suo occhio e la figura geometrica che vi si stagliava di sopra, come una maledizione; poi, tutto era stato nuovamente inabissato dall'apatia della sua sorte e non vi aveva più dato importanza.

''Non importa'' sospirò nuovamente Sebastian, continuando a scrutarlo fermamente ''Significa concluderò io le tue lezioni.''

Si alzò, sovrastandolo, imponente, con la figura slanciata.

Ciel ispirò il suo aroma, che non era un vero e proprio profumo: qualsiasi odore, in quel posto, pareva essere inghiottito dal gelo, eppure sulle vesti del demone perseverava un profumo vago, come di rose, che lo trasportava indietro ogni volta.

Indietro alla sua casa e alla spensieratezza, indietro a Elizabeth, indietro ai loro giochi e al loro giardino pensile.

Avrebbero dovuto ferirlo, tali rimembranze, tuttavia non potevano più farlo.

Seguì Sebastian per uno dei corridoi adiacenti, identici in tutto e per tutto al resto della dimora; giunsero nell'angusto studio del demone e Ciel prese posto dinnanzi a questi, dall'altra parte del piccolo tavolo, formato anch'esso da un sottile strato di ghiaccio.

Gli venne porto un tomo i cui disegni grotteschi rapirono la sua attenzione.

Si concentrò in particolar modo sulle rune che ornavano buona parte delle pagine e di cui riuscì a capire ben poco.

Sebastian gli si era avvicinato, il corpo gelido a una spanna dal suo.

Avesse potuto, sarebbe rabbrividito.

Scrutando il profilo del demone ricordò la prima volta in cui il suo sguardo si era posato su di lui, dietro la finestra appannata della sua casa, quando quel meraviglioso individuo senza nome gli aveva sorriso, attorniato dalla neve circostante, ed era subito sparito nel momento in cui Ciel, dopo essersi accucciato a terra, preso alla sprovvista, aveva osato alzare nuovamente la testa al vetro.

Da quell'istante, gli era stato impossibile toglierselo dalla mente.

Una fredda mano sulla schiena lo spinse a volgere l'attenzione al Sovrano, il quale gli stava indicando un rigo non meglio definito della pagina.

''Presta attenzione'' lo ammonì ''Hai detto di voler apprendere: non puoi farlo se non mi ascolti''

Il ragazzino lo tacitò con un'occhiata svogliata.

Sebastian inarcò un sopracciglio e sospinse gentilmente il suo viso, per scrutarlo fisso.

I loro nasi si sfiorarono.

Ciel desiderò inconfessabilmente di poterlo baciare ancora.

''Non fare il bambino viziato. Sono il tuo maestro e signore. Rivolgerti con quell'aria di sufficienza è fuori luogo.''

Il ragazzo tradì un cipiglio infastidito, tuttavia non ribatté, sapendolo inutile.

Era suo. Il suo corpo, la sua anima, il suo cuore, tutto era stato conquistato dai tentacoli di ghiaccio della creatura.

Presto, le parole del demone divennero poco più di un cantilenare confuso; la sua voce, estremamente piacevole, svelta e decisa, lo trascinò in un irresistibile assopimento. Era colpa di Sebastian, alla fine, se era stato incapace di chiudere occhio quella notte, preso a cercare di scacciare la sua immagine dalla testa.

Durò giusto qualche altro minuto, poi non resistette più e chiuse le palpebre.
 

Quando si svegliò era ancora nello studio del Sovrano, lo decretò immediatamente dalla luce eccessivamente flebile, inconsistente, lasciata filtrare dalla sola, minuscola finestra.

Di certo, però, non era più al suo posto, all'estremità della scrivania.

Gli ci volle un po' per discernere il punto preciso in cui si trovava e, ancor di più, elaborare ciò che stava accadendo.

Sebastian doveva averlo portato sul divano incuneato tra le librerie, abbastanza ampio affinché potesse sdraiarvisi senza problemi, e adesso teneva il suo capo in grembo, accarezzandolo distrattamente.

Ciel si tirò a sedere di slancio.

Sentì il Sovrano ridacchiare.

''Proprio come un infante, sei incapace di restare sveglio.''

''Io...'' balbettò, non riuscendo a trovare una scusa adeguata.

''Con il giusto impegno potrò insegnarti ciò che so, ma se dormi durante le mie spiegazioni ogni tentativo si fa vano, non credi?''
Ciel si morse il labbro.

''Non accadrà più.''

''Lo spero'' ghignò il demone ''Va pure a letto, allora, per oggi è abbastanza.''

Fece per alzarsi, ma un capogiro lo fece annaspare e afferrare la testata del divano di slancio.

Guardò di sottecchi l'espressione del demone, divertita, e si maledisse.

Questi si avvicinò e lo prese tra le braccia.

Avrebbe protestato se il profumo del Sovrano non fosse stato così pungente e se le sue mani, delicate nel sorreggerlo, non avessero zittito qualsiasi opposizione.

Nella parte più recondita del suo cuore, una sorta di malata soddisfazione lo avviluppò, spaventandolo; Sebastian lo aveva scelto, ne aveva fatto un suo allievo e aveva acconsentito a condividere l'eternità intera con lui.

Il temuto e ignominioso Signore dei Ghiacci, una vera e propria legenda nelle sue terre, aveva accolto sotto la sua ala un misero umano come lui, donandogli conoscenza e immortalità.

Sorridendo impercettibilmente, lasciò Sebastian attraversasse di nuovo il salone e l'immensa scalinata per ricondurlo alla sua camera, nella torre più alta.

Lo adagiò tra le coperte ghignando.

''Vedi di dormire a dovere, non interromperò nuovamente le mie lezioni per lasciarti sonnecchiare.''

Un suo palmo sulla fronte gli impedì definitivamente di tenere le palpebre aperte.

Si abbandonò al sonno percependo la presenza del demone accanto al letto.

Il loro primo incontro si sarebbe potuto dire singolare, pittoresco, nel modo in cui al demone garbava fare le proprie entrate in scena.

Il Sovrano dei Ghiacci l'aveva reso centro del suo interesse nel pieno dell'inverno, il medesimo che, perenne, gelava la sua dimora; Lizzy era da poco tornata a casa, e Ciel si era arrampicato insonnolito sulla sedia dinnanzi alla finestra, scrutando il magnifico paesaggio fuori stante.

Se, da una parte, detestava quella stagione per via della maniera in cui lo costringeva in casa, dall'altra era profondamente affascinato dal candore della neve e dalla perfezione dei suoi fiocchi.

Uno di essi, notevolmente più grande rispetto agli altri, aveva percorso la propria traiettoria davanti al suo naso, volteggiando bizzarramente, per poi posarsi su una delle cassette colme di rose che lui ed Elizabeth avevano assicurato alle rispettiva finestre.

L'aveva già dimenticato per passare al successivo quando un movimento contrastante, insolito, aveva attirato la sua attenzione: in quello che avrebbe potuto definire un alito di vento, il fiocco era cresciuto, le sue forme si erano plasmate assumendo presto sembianze antropomorfe e un uomo, bellissimo, si era palesato alla sua vista.

Tutto, in lui, ricordava la neve.

La pelle candida, le vesti leggiadre in cui era avvolto, perfino la freddezza dei suoi occhi.

Gli aveva sorriso, gelido, salutandolo con la mano.

Sbigottito, Ciel era saltato giù dalla sedia tremando.

Il suo cuore aveva iniziato a pompare tanto forsennatamente da fargli temere di poter spirare da un momento all'altro; i suoi occhi, sgranati, avevano presto preso a bruciargli per l'insistenza con cui li teneva aperti e il suo respiro, irregolare, si era propagato per la camera in una cacofonia di ansiti.

Un'ombra fugace al di fuori del vetro e la crescente paura si era interrotta in un istante.

Quando aveva rialzato lo sguardo, la creatura non c'era più.

 

Si destò che le prime luci dell'alba stavano già colorando il cielo.

Non si stupì di non vedere il demone accanto al letto: molte volte questi attendeva si addormentasse, ritto a fianco del baldacchino o, più sporadicamente, seduto al margine di questo, giocherellando con le ciocche dei suoi capelli, ma mai, neppure una volta, l'aveva ritrovato al risveglio.

Si sedette tra le coperte sfatte, le uniche, assieme al materasso, a non essere composte della stessa materia dell'intera dimora.

Coprirsi, ovviamente, era un'abitudine, non una necessità: egli stesso girava per il castello con solo una leggera tunica indosso, esageratamente corta, che si apriva in una scollatura disinibita all'altezza del petto.

Sulle prime non vi aveva semplicemente prestato attenzione, preso com'era dall'immensità di quel luogo straordinario e da Sebastian e, successivamente, non se l'era più sentita di replicare.

Questi erano gli abiti scelti per lui e questi avrebbe indossato.

Un'altra giornata era giunta, così scese dal baldacchino e si rassetto alla bell'e meglio.

Alla fine, era quello il suo dovere.

La sua casa, sua zia, Elizabeth, aveva abbandonato tutto di sua spontanea volontà e non vi era modo lo rimpiangesse.

Tuttavia, ciò che ignorava, è che lui era il solo a essersi gettato il passato alle spalle, assaporando la compagnia di quel demone; miglia e miglia lontano, Lizzy era ancora lì, ad attenderlo, ma era decisa a non aspettarlo ancora per molto.

 


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Innanzitutto salve e grazie a chi è arrivato fin quaggiù! Gradite del tè caldo? Un biscottino?
Ecco che, dopo anni, mi decido a fare la mia entrata su efp, indecisa e spaventata. Conoscendomi, potrei pentirmene non appena cliccherò sul tasto ''pubblica'' -la mia vita spericolata è fatta al 90% di ansia, non fateci troppo caso.
Il titolo della storia è tratto dall'omonima e bellissima canzone dei Passengers che, nonostante a livello di testo non c'entri molto con la fanfiction, mi è sembrato comunque appropriato.
Mi sono permessa di apportare svariate modifiche alla fiaba di Andersen come, d'altro canto, ha fatto anche la Toboso nel suo spin-off: nella storia originale si accenna a una scuola di magia di cui, a quanto pare, i demoni fanno parte, da qui l'idea di un Sebastian che ''trasmetta'' le arti magiche a Ciel. Per il resto... Beh, il resto lo vedrete in seguito anche perché in buona parte devo ancora scriverlo.
Spero di cuore la fanfiction possa essere stata di vostro gradimento.
Al prossimo capitolo!
Baci
 
 
   
 
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