Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Sospiri_amore    08/08/2017    1 recensioni
❤️SECONDO LIBRO DI UNA TRILOGIA❤️
Ritorneranno Elena, Kate, James, Jo, Adrian, Stephanie, Lucas, Rebecca, (Nik ??).
Ci saranno nuovi intrecci, guai, incomprensioni e amori.
Elena avrà dimenticato James?
Chi vivrà un amore proibito?
Riuscirà il Club di Dibattito a sconfiggere la scuola rivale?
Nik sara sempre un professore del Trinity?
Elena andrà al ballo di fine anno?
IL FINALE di questo libro corrisponde alla fine del liceo, il terzo libro sarà incentrato sulla vita adulta dei personaggi. Più precisamente quattordici anni dopo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

IERI:
Una faccina sorridente




Con la faccia schiacciata sul cuscino cerco una motivazione per alzarmi e andare a passare un'altra giornata al Trinity.

Nulla. Niente di niente, la mia mente non riesce a trovare un valido motivo. 

I miei amici sono delusi dal mio atteggiamento.

Il ragazzo che amo, mi odia.

Tutta la scuola mi considera una perdente.

Non so cosa mi potrebbe capitare di peggio oggi.

 

«Elena, tesoro. È ora di alzarsi», papà piomba in camera rumorosamente, spalanca la finestra. Una luce accecante invade la stanza.

«Hmmmm», mugugno. Ecco cosa potrebbe capitarmi di peggio, avere un padre con sbalzi d'amore e troppa energia in corpo.

«La colazione è pronta! Oggi è una bellissima giornata, il cielo è azzurro e c'è un bel venticello frizzante», mi dice mentre solleva la coperta sotto cui sono rintanata.

«Hmmmm. Credo di non stare troppo bene, non me la sento di andare a scuola».

«Bazzecole. Stai benissimo e sei bellissi...», papà si interrompe, mi guarda perplesso.

I miei capelli spettinati, le occhiaie e il muso lungo non sono certo il massimo.

«Oggi non mi muovo da qui», mi tuffo con il volto sul cuscino.

Papà mi prende di peso dal letto e mi mette in piedi: «Signorina, tu oggi andrai a scuola. Se non ti lavi e ti vesti, ti assicuro che ti ci porto in questo stato».

«Uffa!», urlo. Sono consapevole mi stia comportando da bimba viziata, ma non riesco a farne a meno.

«Modera i termini. Chi ti credi di essere?», papà ha alzato il volume della voce. I suoi occhi grigi lanciano saette.

«Ti ho detto che oggi non esco da questa stanza», con le braccia conserte lo guardo torva. Non ho intenzione di andare a scuola e rischiare di essere presa in giro da tutti per quello che mi è successo in mensa.

Tess entra nella mia camera con un cartellone arrotolato sotto il braccio e una risma di fogli dall'altra: «Che succede? Perché urli Bruno? I bozzetti non vanno bene?».

«Oggi la mia simpaticissima figlia adolescente non vuole andare a scuola. Una costosissima scuola privata. Una scuola di primo livello. Una scuola che molti ragazzi vorrebbero frequentare...», papà urla, «... Ma non possono frequentare perché non hanno i soldi!».

«Perfetto! Mandami alla scuola pubblica non chiedo altro», il tono della mia voce si avvicina allo stridio. Tipico di quando sono nervosa.

«Elena guarda che...», papà sta per esplodere. La vena sul suo collo pulsa con intensità.

«Bruno tieni», Tess passa il cartellone e i fogli a mio padre, poi lo spinge fuori dalla stanza. 

 

Tess chiude la porta.

Restiamo solo io e lei in cameretta.

 

«Vedi Elena, in questi mesi hai imparato a conoscermi ed io ho imparato a conoscere te...», con molta naturalezza Tess chiude le tende smorzando la luce accecante, «... Ho capito che hai qualcosa che ti frulla in testa. Non so cosa, mai hai la fronte sempre aggrottata, come fossi arrabbiata o triste...», con calma raccoglie la mia coperta del letto caduta dalle mani di mio padre, «... Qualunque cosa tu abbia, sappi che passerà. Nulla può dar fastidio o far male per sempre. Arriva per tutti il momento di stare meglio, ed essere in pace con se stessi».

Tess si avvicina all'armadio lo apre, con le dita scorre tra le grucce.

«No!», urlo. Mi alzo di scatto dal letto e mi lancio su di lei allontanandola con forza dai miei vestiti.

Per colpa della mia spinta Tess perde l'equilibrio e finisce con il sedere per terra.

 

Merda.

 

Con le mani sulla bocca la guardo.

Non so che dire.

 

«Ahia che botta», dice massaggiandosi il fondoschiena, «Che ti prende Elen... Ma... Ma... Questa è puzza di cibo! Che cavolo è questa cosa?», Tess estrae una borsa di plastica proprio vicino a lei. Lì dentro ho nascosto la mia divisa che Rebecca mi ha sporcato in mensa.

Crollo vicino a lei coprendomi gli occhi, piango per la vergogna.

Tess non dice una parola, mi accarezza i capelli e basta.

«Una ragazza a scu-uola mi ha rovesciato addosso il vassoio del pranzo. Vo-volevo pulirla stasera quando non c'era nessuno a casa», le dico singhiozzando.

Tess sbircia nel sacchetto: «Che spreco di cibo. Tutti questi buonissimi spaghetti rovinati». 

 

Il tono ironico della donna mi fa sorridere.

 

«Elena lo sai perché ho iniziato a studiare italiano?».

Faccio cenno di no con la testa.

«Al liceo non ero molto amata. Guarda i miei capelli, sono un casino perenne. Da adolescente erano peggio, te lo posso assicurare», Tess ridacchia, si toglie le matite che trattengono la sua criniera lasciando all'aria una chioma vaporosa color nocciola, «Mio padre è nero e mia mamma bianca. Mi hanno detto di tutto durante i quattro anni a scuola. Mi hanno definita: sporca, inferiore, lurida... Tutto ciò che di brutto si può dire ad una ragazza, quei vigliacchi l'hanno detto a me. Mi hanno rovinato libri, appeso cartelli offensivi e rovesciato vassoi pieni di cibo addosso. Era un incubo, odiavo la scuola. Poi un giorno la professoressa di letteratura legge in classe un pezzo di Pinocchio di Collodi. Non conoscevo di preciso la storia, ma mi sono così appassionata che ho voluto saperne sempre di più. Era così bello leggere del burattino che cresce, sbaglia e impara. Da allora ho avuto uno scopo per cui lottare e fregarmene degli altri: volevo imparare l'italiano e leggere in lingua originale il libro. Così ho conosciuto l'Italia, per questo faccio questo lavoro», Tess è in piedi prende una divisa pulita dall'armadio e me la passa, «Mi chiedo ancora oggi: se non avessi sofferto tanto avrei amato così tanto Pinocchio? Magari quella lezione non l'avrei neanche ascoltata, probabilmente non mi avrebbe colpita, chi lo sa».

Prendo la divisa che Tess mi sta passando: «A volte vorrei scappare da tutto questo», con le dita sfiorò il simbolo del Trinity cucito sulla giacca.

«Non serve a nulla, fidati. Devi affrontare le tue paure e denunciare quei bulli alla preside. Non c'è alternativa. Non devi dare retta al gatto e alla volpe di turno, portano solo guai. Se Pinocchio avesse detto tutto a Geppetto, non avrebbe avuto problemi», Tess raccoglie la busta con la divisa sporca, «Questa la porto in lavanderia, tornerà come nuova».

«Grazie Tess. Non dire nulla a papà, ok? Geppetto tende a preoccuparsi un po' troppo, non voglio agitarlo inutilmente».

«Dovresti dirglielo, non ti fa bene tenere tutto dentro. Mi prometti che ne parlerai con la tua preside? Certi atteggiamenti non devono essere taciuti», Tess cerca di incrociare il mio sguardo.

«Certo. Certo che lo farò», sto mentendo, se denunciassi Rebecca avrei il doppio dei guai. Meglio tenere un profilo basso.

«Allora adesso fatti una doccia e riempiti lo stomaco. La scuola ti aspetta», Tess mi abbraccia poi esce dalla stanza con la mia divisa sporca.

 

Come un fulmine corro in bagno, ormai ho collaudato un sistema infallibile, in venti minuti circa riesco a fare tutto: doccia ultrarapida, colazione in piedi, trucco semplice.

Appena ho finito di allacciarmi la scarpa, il consueto messaggio di Kate mi avvisa che è sotto casa.

 

Il tragitto fino a scuola è tranquillo, Kate non dice una parola sull'incidente di ieri in mensa, io faccio lo stesso. Entrambe fingiamo che non sia successo nulla.

Non potevo desiderare di meglio.

 

Nel parcheggio della scuola troviamo Stephanie che ci aspetta, ha il volto pallido.

Non abbiamo neanche bisogno di chiederglielo, Lucas deve averla tormentata per tutta notte con squilli, chiamate e messaggi. Non so come faccia a venire a scuola sapendo che può incontrarlo in qualsiasi momento.

Kate ed io ci avviciniamo a lei e l'abbracciamo, per qualche secondo cerchiamo di darle conforto prima di dirigerci verso la scuola.

Jo è seduto sui gradini della scalinata principale, sta leggendo un libro. Appena ci vede si alza per venirci incontro, ma un paio di ragazze lo bloccano tutte sorridenti.

Ridacchiano come oche.

Alla fine si piazzano vicino a lui e si scattano una foto.

Le guance di Jo sono rosso fuoco, non l'ho mai visto così imbarazzato.

 

«Hai fatto colpo, eh?», gli dico ironica cercando di stemperare un po' della tensione che c'è nell'aria.

«No. No. No. Hanno saputo della mia media scolastica dell'anno scorso e volevano complimentarsi con me», mi risponde con la faccia sempre più rossa, «Parliamo di cose serie, come stai?».

Alzo le spalle: «Credo che far finta di nulla sia la cosa migliore, no? Se noi non ne parliamo anche gli altri se lo dimenticheranno. Non è così che funziona al Trinity? E poi c'è il problema Lucas, continua a tartassare Stephanie», cerco di sviare il discorso, in questo modo non devo pensare troppo alla figuraccia fatta in mensa.

 

Tutti e quattro ci sediamo sul muretto sotto la grossa quercia del parco del Trinity. Mancano una manciata di minuti prima che inizi la scuola, li passiamo a consolare Stephanie e, fingendo che tutto vada bene, provo a dimenticare in che schifo di situazione mi trovo.

 

Un gruppo di ragazzi del secondo anno, che passa vicino a noi, urla: «Sai che è vietato portare a casa il cibo della scuola? Sei così povera che ti fai lanciare addosso gli spaghetti per poter mangiare?». Senza aspettare risposta se ne vanno ridendo sguaiatamente.

«Ciao Italian spaghetti», gridano delle altre ragazzine.

«Sei una spazzatura ambulante, senti che puzza!», dicono altri.

Man mano che si avvicina l'ora di entrare a scuola, buona parte degli studenti ha una battuta offensiva nei miei riguardi. 

 

Rifiuto.

Schifo.

Vomito.

Sfigata.

 

Tutte coltellate che feriscono la mia anima.

Tutte parole che sembrano sassi lanciati in pieno volto.

 

Kate, Jo e Stephanie mi guardano. 

Fremono, hanno gli occhi lucidi per me. 

Vorrebbero che reagissi, vorrebbero che li zittissi tutti, che mi dimostrassi orgogliosa di chi sono. Vorrebbero che tornassi la ragazza che ero, quella che non si faceva mettere piedi in testa da nessuno.

 

Invece non dico nulla, abbasso la testa e basta.

 

«Elena ti prego, fai qualcosa, non puoi permettere che ti facciano questo», la voce supplichevole di Jo è di una dolcezza disarmante.

Stephanie mi prende per mano mentre Kate si asciuga le lacrime. 

Stanno tutti soffrendo per colpa mia.

«Solo un anno, poi la scuola finirà. Devo solo portare pazienza», la mia voce è piatta, il mio sguardo è vuoto. Credo di aver perso ogni emozione, mi sento un guscio svuotato.

«Devi trovare una ragione per lottare. Elena. Elena», Kate cerca di scuotermi, ma non reagisco.

 

La campanella suona.

 

«Andiamo, non voglio fare tardi», come fossi un automa percorro la strada che mi porta a scuola. Intorno a me riecheggiano parole di scherno e offese. Non sento niente, non provo più niente. Mi sento come un buco nero, voglio essere invisibile.

Kate, Stephanie e Jonathan camminano di fianco a me.

Appena metto piede nell'edificio un coro di risate mi accoglie. Decine di studenti se ne stanno appoggiati alle pareti e mi guardano. Appena li supero si mettono dietro a noi, creando un piccolo corteo. È come se ci accompagnassero.

 

Elena fai un passo. Un secondo in meno da passare al Trinity.

Elena fai un passo. Un secondo in meno da passare al Trinity.

Elena fai un passo. Un secondo in meno da passare al Trinity.

 

Svolto l'angolo, mi trovo nel corridoio dove c'è il mio armadietto.

Rebecca, Lucas, Adrian e James sono a pochi metri di distanza da me. Ai loro piedi c'è una montagna di spazzatura, residui di cibo, cartacce e bottiglie di plastica.

Tutto quello schifo è stato buttato dentro il mio armadietto e ricade sul pavimento. Appena mi rendo conto di quello che è successo, gli studenti che mi hanno seguita scoppiano a ridere. Il fragore è così intenso che sembra sia esplosa una bomba.

 

Rifiuto.

Schifo.

Vomito.

Sfigata.

 

«Aggiungerei anche cicciona», dice perfidamente Rebecca scatenando una nuova ondata di ilarità tra gli studenti. Poi se ne va con Lucas e Adrian che la seguono come fossero dei cagnolini ammaestrati. 

James mi fissa, il suo sguardo è senza espressione, si sta mangiando le unghie della mano. 

Fa sempre così quando è nervoso.

Lo guardo in attesa di una sua parola, una soltanto.

Silenzio.

Se ne va.

 

«Grandissimi bastardi. Come possono essere così crudeli?», Jo, con le mani nei capelli, guarda la sporcizia ai suoi piedi.

Stephanie si tappa il naso per la puzza nauseabonda, mentre Kate guarda dentro l'armadietto: «Dovrai prendere nuovi libri di testo. Questi sono tutti rovinati».

 

Non dico nulla, un vuoto profondo sta mettendo le fondamenta nel mio animo.

Non mi importa di nulla, né dei libri, né della scuola, né di James.

Sono sfinita, scarica, esaurita.

Mi avvicino al mio armadietto, residui di cibo sono appiccicati sulle pareti, il viscidume sgocciola dalle mensole interne. Con la mano provo a spinge lo sportello, come se chiudendolo potessi far sparire quello schifo.

Nulla cambia, la montagna di spazzatura è immobile ai miei piedi.

Sconfitta mi giro, pronta ad affrontare un'altra orrenda giornata al Trinity, quando noto qualcosa.

 

Un foglio.

Lo stacco.

Leggo.

Rido. 

Rido così forte che ho le lacrime agli occhi.

Gli studenti rimasti a vedere sono sconcertati, come lo sono anche Jo, Rebecca e Stephanie.

«Elena che succede?», mi chiede Kate preoccupata.

Tra una risata e l'altra, tra un singulto e una nuova scarica di ilarità incontrollata, passo il foglio che tengo in mano alla mia amica.

 

È la lista dei Club che inizieranno tra poco al Trinity.

Il Club di Dibattito è cerchiato più volte con una penna rossa. 

Di fianco è scarabocchiata una faccina sorridente.

 

Nik.

 

«Ma cosa significa?», chiede Kate.

«Ho trovato la mia ragione per lottare... da domani chi ci ha fatto del male verrà ripagato con la stessa moneta», dico risoluta.

 

Da oggi sarò io il gatto e la volpe.

La guerra è appena iniziata.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Sospiri_amore