Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: HimeHime    09/08/2017    1 recensioni
Questa storia era partita come una one shot sulla relazione tra Sansa e Jon Snow, che mi sta piacendo tantissimo e che mi sono divertita ad immaginare qualche giorno (o mese) più avanti, rispetto a dove siamo rimasti con la serie tv, e cioè al fatidico momento dello scontro con i White walkers.
Era una One Shot principalmente perchè era da tempo che non scrivevo e che non mi facevo viva su questo sito e non ero sicura di non ritrovarmi troppo arrugginita, per impegnarmi di più.
Poi la storia è andata alla grande, ho avuto riscontri positivi e non me la sono più sentita di abbandonare questi personaggi che amo sempre di più di settimana in settimana. lì dove li avevo mollati.
Quindi spero continuerete a seguirmi e recensire! vuol dire davvero molto per me!!!
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jon Snow, Sansa Stark
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Ciaooooo a tutti!!! 
Questa volta è passato un po' più di tempo tra un capitolo e l'altro. Devo ammettere che per una serie di ragioni, tra cui il caldo micidiale, sono rimasta un po' bloccata nello scriverlo. 
Poi mi sono sciolta. 
Volevo dare una svolta alla relazione fra sansa e Jon, una svolta che facesse capire anche a loro quanto tengono l'uno all'altra: spero di esserci riuscita! 
Come sempre: ogni commento è più che apprezzato. per favore: recensite, recensite, recensite :) 
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Quella notte, Sansa passeggiava per i corridoi di Grande Inverno: la carovana di soldati che avevano combattuto per difendere il Westeros aveva proceduto tutta la notte, senza sosta, per dare a quegli uomini un letto caldo in cui dormire.
I feriti più gravi erano stati trasportati su carri di legno, trascinati da palafreni grandi quanto metalupi, ma i più si erano rifiutati di coricarsi, così come Jon, che non aveva sentito ragioni ed aveva cavalcato tutta la notte, come non sentisse fatica. Sansa, preoccupata, aveva cavalcato al suo fianco per tutto il tempo, con Brienne alle calcagna, e quando il ragazzo era sceso da cavallo non si era fatta sfuggire la smorfia di dolore che aveva tentato di soffocare:
“è ora che tu vada nelle tue stanze, Jon: farò chiamare un maestro”
“Non ancora: c’è da dividere il cibo e affidare una stanza ad ogni ferito, organizzare i soccorsi e i lavori di ricostruzione”
“Tutte cose di cui posso occuparmi io”
“Sam si è già occupato delle mie ferite”
“ti ha ricucito alla meglio sul campo di battaglia! è stata una fortuna che i punti non si siano aperti durante la notte”
“Andranno a posto”
“Ti prenderai un’infezione, passo a trovarti fra poco, e spero di trovarti in camera tua”
Sansa aveva imparato ad essere imperiosa come sua madre, Cat. E Jon non sapeva resistere al suo sguardo minaccioso, tanto più ora, che il prurito al taglio sul torace gli dava qualche motivo di credere che, in fondo, lei non avesse tutti i torti.
Si ritirò nelle sue stanze, mentre lei prendeva una pergamena arrotolata dalle mani di Brienne.
                Sansa sospirò, guardandosi intorno, desolata: aveva lasciato andare Jon perché sapeva che era la cosa giusta da fare, ma in quel momento avrebbe tanto voluto averlo al suo fianco.
Erano le tre di notte, ma il cortile era illuminato quasi fosse pieno giorno. Grande Inverno si era appena riempita di uomini e donne che passeggiavano ferventi di lavoro per i suoi corridoi come accadeva solo nei giorni di festa, o quando il Re o qualche nobile veniva a far visita.
Era sola, a doversi occupare di tutti quegli uomini, donne e bambini feriti e stanchi; alcuni non avrebbero superato la notte, altri avevano solamente bisogno di un giaciglio, ma tutti avrebbero fatto appello a lei. Per di più aveva congedato molti dei suoi uomini più fidati perché si facessero prestare soccorso, con la promessa che sarebbero tornati al suo fianco non appena avrebbero ricevuto le cure adeguate.
Brienne teneva duro, nonostante solo qualche ora prima l’aveva colta mentre attaccava una quercia millenaria con tutta la forza che aveva nel braccio: la morte di Podrik l’aveva sconvolta nel profondo e Sansa sapeva che, chechè se ne dicesse, Brienne aveva pur sempre i sentimenti di una donna, la fragilità di una donna.
Il vecchio Davos era stato acclamato come un eroe sul campo di battaglia ma subito dopo, anche se all’inizio non  aveva voluto saperne, era caduto in un sonno profondo. Jon gli aveva lasciato il suo giaciglio, sul carro riservato al Re del Nord e ai suoi consiglieri, un po’ per ringraziarlo, un po’ per rendere chiaro che lui non intendesse usarlo.
                Sansa aveva fatto portare del fieno per i cavalli, e carne fresca per i draghi a patto che se ne stessero ben lontani dalle mura: gli uomini, nonostante tutto, continuavano ad averne paura.
Daenerys aveva acconsentito di accomodarsi in una delle stanze della torre orientale, con i suoi consiglieri e capitani nei piani inferiori.
Nella sala grande della fortezza era stata allestita un’infermeria per i feriti più importanti e quelli più gravi; i maestri e le infermiere dell’Essos  si affacendavano correndo da una parte all’altra, come avessero le ali ai piedi.  Una seconda infermeria, per il resto dei soldati e la gente comune, era stata allestita in tre grandi tende comunicanti appena fuori le mura.
“Convocate Thoros di Myr, Melisandre e tutti i preti rossi che riuscite a trovare: che mettano a disposizione delle infermiere le loro conoscenze di unguenti e malattie”
“Si sa qualcosa di Baeric Dondarrion? Dobbiamo fissargli un appuntamento con Jon prima che si volatilizzi con la sua banda di mantelli gialli” : non potevano perdere uno come Dondarrion, Sansa sapeva che molti del popolo si fidavano di lui molto più di tutti i nobili e sedicenti re e regine; Jon avrebbe dovuto ottenere il suo appoggio, se avesse voluto conservare il titolo di Re del Nord.
Sansa pensò per un secondo a quanto sarebbe stato utile, in quel momento, avere Ditocorto al suo fianco: avrebbe dimezzato il suo lavoro, togliendole parte del peso che portava sulle spalle. Non che si pentisse della sua decisione, ma a volte guardava con rammarico ai vecchi tempi, a quei giorni in cui riusciva a rigirarselo tra le mani a suo piacere. Forse aveva ragione Jon, forse stava diventando troppo simile a Cersei: avrebbe smesso di pensarci, dopotutto Petyr le aveva insegnato bene, poteva fare ciò che avrebbe fatto lui e anche di meglio.
                Assegnò una stanza a Brienne, e quella vicino a Jaime Lannister: aveva notato il rispetto reciproco che provavano l’una per l’altro, e credeva che entrambi avessero lo stesso bisogno di visi amici, in quelle terre in cui erano considerati degli estranei.
Brienne le aveva prestato giuramento, è vero, ma non era mai diventata un vero soldato del Nord, e sospettava non lo sarebbe mai stato. Mentre Jaime era in una posizione ancora più difficile: gli uomini lo odiavano già da quando era diventato “lo sterminatore di re”; sempre lui aveva appoggiato la sorella per tutti quegli anni, combattendo Ned e poi suoi figlio Robb, e solo alla fine si era ribellato, decidendo di unirsi alla loro causa.
La stanza subito adiacente l’aveva tenuta per Tyrion, per quando si fosse rimesso. Le sue ferite, grazie a Bronn e all’intervento repentino del fratello, erano in fondo non troppo gravi.
Il mercenario era quello che era messo peggio. Aveva perso conoscenza sul campo di battaglia in seguito a una ferita alla schiena. Un’ascia gli aveva mozzato un’orecchia di netto e aveva quasi perso l’occhio sinistro.
Fortunatamente, poco dopo Ser Davos aveva provveduto a distruggere il Re della Notte, salvando Sir Bron da morte certa..
 Sansa aveva proseguito così per tutte le due ore successive, dando ordini a destra e a sinistra, fino a che tutte le stanze di Grande Inverno non furono affidate e che tutti non ebbero avuto qualcosa da mettere sotto i denti, poi si era diretta verso la vecchia stanza dei suoi genitori.
Sapeva che c’era un’altra questione ancora da affrontare, una questione che non sarebbe stata affatto semplice: prima o poi avrebbe dovuto affrontare Arya, che per quanto ne sapeva se ne stava ancora a menar calci alle guardie che l’avevano tenuta lontano dalla guerra; per questo, si disse, avrebbe aspettato Jon.
Il fatto di non averlo visto da nessuna parte, quella notte, la faceva ben sperare che avesse ascoltato i suoi ordini e ne avesse approfittato per riposarsi. A volte si diceva che avrebbe quasi potuto imparare a distinguere da quanti giorni il ragazzo non dormisse, a giudicare dalla profondità delle fosse scure sotto i suoi occhi.
Bussò alla sua porta e la voce di Davos la invitò ad entrare.
Il vecchio cavaliere delle cipolle aveva già ripreso il suo posto al fianco del Re del Nord; non si era dato neanche il tempo di cambiarsi le vesti che aveva indossato sotto l’armatura. Jon invece sedeva sul suo letto, con indosso solo dei pantaloni di cuoio e una camicia larga di cotone aperta sul petto fino a metà.
Il maestro Balwar stava riponendo gli strumenti con il quale l’aveva curato, e cercava di avere la sua attenzione in merito a qualche unguento che avrebbe dovuto usare per curare la cicatrice. Jon non ascoltava, continuando a discutere con Davos la strategia migliore per gestire tutti quegli uomini sotto lo stesso tetto, senza che si dessero battaglia, almeno fino a che ognuno non fosse guarito.
“Grazie, maestro, mi assicurerò io che prenda le sue cure; puoi occuparti di Ser Davos, ora: ho fatto allestire una stanza alla fine del corridoio”
Quando i due furono usciti, anche Brienne si congedò, sentendosi d’improvviso di troppo.
                Sansa abbracciò Jon di slancio, libera, per un momento, di fare ciò che il cuore le suggeriva. Poi si ritirò, e quella stanza divenne in un attimo piccola e claustrofobica.
“Abbiamo vinto!”
Jon l’aveva baciata sulla fronte, di nuovo, in quell’atteggiamento paterno che Sansa non sapeva definire. Non aveva mai avuto quelle attenzioni per lei, prima: non se lo sarebbe mai permesso, quando era considerato solo il bastardo di Grande Inverno, quello che non aveva neanche il permesso di sedere alla tavola grande durante le feste.
Sansa si colpevolizzò ancora una volta, per averlo allontanato, per tutto quel tempo.
Eppure d’altra parte c’era qualcosa che la infastidiva, in quel gesto, che la avviliva un po’:  era come se Jon stesse segnando le distanze; come se volesse proteggerla, ma allo stesso tempo escluderla da un contatto più intimo.
Jon la trattava con un rispetto freddo, ecco.
La teneva a distanza come non aveva mai fatto con Arya: era solito stritolare la “sorella” minore tra le braccia fin da quando questa era solo uno scricciolo. Sansa provò una fitta di gelosia.
Lei non era Arya, e che cosa poteva fare per lui, ora?
Che cosa poteva fare a battaglia terminata, per il grande Re del Nord, l’uomo che era riuscito a congiungere gli eserciti di tutto il Westeros sotto un unico stendardo?
“Dovrai avere freddo, faccio accendere il fuoco..” stava già mandando a chiamare una delle sue servette, all’infuori della porta, quando Jon la fermò: “faccio io”
Si era alzato dal letto e diretto verso il caminetto.
Lei vedeva i suoi muscoli flettersi sotto la camicia larga, nell’atto di impilare tre, poi quattro, cinque pezzi di legno. Mise un piccolo mucchio di rametti secchi alla base e gli diede fuoco.
In poco tempo il crepitio delle fiamme era già più rumoroso dei loro respiri.
Jon non aveva bisogno di lei, Jon avrebbe potuto governare il nord da solo, per quel che aveva potuto vedere. Lui non era soltanto un uomo forte, non era soltanto abile in battaglia, lui era il ragazzino che aveva sempre sopravvissuto contando su se stesso, forse più bravo a combattere persino di Robb (anche se non l’aveva mai dato a vedere); colui che aveva sopportato il gelido inverno al di là della barriera, e che aveva visto tanti compagni morire al suo fianco.
                Sansa stava per parlare ma in quel momento, come una furia, Arya era entrata nella stanza: le guardie l’avevano lasciata andare non appena saputo l’esito della battaglia, esausti per averla dovuta tenere sotto controllo tutto quel tempo.
“JON!!!” aveva urlato, nel piombare lì, un po’ sorpresa di vedere anche la sorella maggiore nella sua stanza.
“Arya?” Jon era stupito; si era quasi dimenticato, di dover ancora parlare con Arya.
“Mi hai fatta mettere sotto chiave, mi hai rinchiusa nelle cripte mentre tu andavi in battaglia, come hai potuto? JON!!!”
Jon Snow non aveva parole, era stato colto in contropiede dalla reazione di Arya, che fino ad ora non gli aveva mai urlato contro.
“Non mi hai permesso di partecipare alla battaglia! Non sono una bambina, Jon. Perché Sansa sì e io no? So combattere meglio di dieci dei tuoi soldati messi insieme!”
Jon ancora non rispondeva, a parte per qualche monosillabo mugugnato “Arya…io..”
Fu allora che Sansa prese la parola “Arya! Smettila, non dovresti comportarti da bambina, se non vuoi essere trattata da tale. Jon ha fatto quello che doveva per mettere in salvo te e Bran. E poi è ferito: dovresti lasciarlo riposare.” Poi, guardando Jon con rammarico, aggiunse “dovremmo tutti lasciarlo riposare”
Arya se ne andò con la testa bassa, prima ancora che Sansa finisse di parlare, senza neanche scusarsi.
Sansa, invece, si trattenne ancora un attimo per confortare Jon, che ora guardava a terra e si tormentava per ciò che gli aveva detto Arya.
“Non te la prendere, tra qualche giorno tornerai ad essere il suo preferito”
“Ha ragione”
“Non è vero, e lo sai. Avresti voluto vederla combattere? Avresti voluto vederla m..” (morire?)
“Non sono stato giusto: ho lasciato te venire, e lei…”
Certo, avrebbe voluto dire Sansa: lei è sempre stata la tua sorella preferita, lei ti ha voluto bene da sempre, e io invece…
Quello che disse, fu solamente : “anche se non lo da a vedere, anche se combatte al pari di un uomo, Arya è ancora una bambina, io non lo sono più da tempo”
“è vero, eppure non mi hai dato ascolto e ti sei lanciata in mezzo alla battaglia!”
“Eri in pericolo”
“che cosa avresti potuto fare?!” era vero: che stupida, stupida, stupida! Uccidere il re della Notte, brandire lungo artiglio, che cosa ?
“Ti avevo ordinato di ritirarti, quando le cose si fossero fatte difficili”
“ Ma non potevo..”
“mi avevi dato la tua parola. E Brienne: dovrei cacciarla, per averti lasciato sola.”
“è stato un mio ordine..”
“Un ordine molto stupido. Che cosa ti è preso, Sansa?”  Sansa sentiva le tempie pulsare. Poche volte aveva visto Jon urlare, e mai lo aveva fatto contro di lei.  In poco tempo, la conversazione si era fatta un litigio.
Ma Jon aveva ragione, che cosa le era preso? 
Aveva spronato il cavallo dritto verso le braccia del Re della Notte; perché lo aveva fatto?
Ditocorto le aveva insegnato ad essere scaltra, a ragionare bene prima di compiere qualsiasi azione e a non fare niente di stupido ed avventato, eppure quando aveva visto Jon da solo, lì in mezzo al campo non aveva saputo resistere. Ricordava ancora quelle fitte, quel vuoto allo stomaco che aveva provato ogni volta che un estraneo affondava la lama su di lui.
Le uniche cose che riusciva a ricordare erano quella sensazione di assoluto terrore e smarrimento, e la certezza che non poteva accettare di perderlo così, davanti ai suoi occhi, senza far niente.
                Jon, un gomito in alto, appoggiato alla trave orizzontale sopra il caminetto, si era piegato a massaggiarsi lo stomaco. Il suo viso era contratto, infuriato.
Sansa, dal canto suo, aveva deciso di non dargli ragione: non poteva trattarla come una bambina, lei era la signora di grande inverno, non poteva dirle cosa fare. Era furiosa con se stessa, perché aveva fatto qualcosa di tanto stupido che non riusciva neanche a comprendere, ma allo stesso tempo era furiosa con Jon per averglielo fatto notare, per avergli rinfacciato di essersi preoccupata di lui.
Voleva essere solo? Poteva pensare a se stesso? Bene!
Prima di uscire dalla stanza, però, si ricordò del maestro Balwar: “Siediti sul letto!” disse, con la voce ancora urtata, che non ammetteva repliche.
Jon le rivolse uno sguardo interrogativo, anche lui ancora corrucciato. Sembravano due bambini che avessero appena litigato; due testardi bambini a volto chino, che non volevano ammettere di aver esagerato.
Sansa prese le boccette che erano sul comodino e con un braccio tirò Jon sul letto, davanti a se’, gli slacciò la camicia in malo modo, e iniziò a spalmargli i tre diversi composti nell’ordine che le aveva mostrato il maestro, dapprima con troppa foga, poi più delicatamente, quando sentì Jon soffocare dei gemiti di dolore.
Sempre a testa bassa sì pulì le mani in un lembo del mantello e prese ad allacciare la camicia di Jon stringa dopo stringa. La stizza e la fretta, data dall’imbarazzo, la fecero ingarbugliare; Jon le prese il “lavoro” dalle mani, e finì di rivestirsi da solo.
Lei lasciò svelta quella stanza.
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*****
Per giorni, quella scena si ripetè allo stesso modo, in perfetto silenzio: quando Sansa bussava alla sua porta, Jon sapeva che non poteva essere per altro motivo se non per medicare la sua ferita, così si faceva già trovare in pantaloni e camicia, si sedeva sulla sedia o sul letto, e aspettava che quei cinque minuti passassero senza fiatare.
Cocciuti e testardi, nessuno dei due voleva essere il primo a cedere.
O meglio: Jon era convinto che Sansa l’avrebbe fatto prima di lui.
Si sbagliava.
Il volto della ragazza era sempre la solita maschera di pietra, assorta nel suo lavoro quando doveva spalmare gli unguenti, e seria e impenetrabile non appena aveva finito e stava per abbandonarlo di nuovo.
Al quinto giorno Jon si era stancato di quella routine stupida; aveva guardato la boccetta della medicazione consapevole che di lì a poco sarebbe finita, e ciò significava che era ora di darci un taglio.
Era seduto sul letto, con la schiena appoggiata alla testata di legno: “Ieri i Tyrell e i Martell mi hanno chiesto il permesso di rimettersi in viaggio per tornare a casa…”
“Il gran maestro dice che Tyrion si rimetterà nel giro di una settimana, gli ho fatto sapere che gli hai fatto preparare una stanza…”
“Arya ha ripreso a parlarmi, proprio come avevi detto tu. Vuole riprendere ad allenarsi, ha chiesto che le mandi un maestro di spada, credi che..” a quel punto Sansa era scoppiata. Aveva alzato il viso livido, due occhi quasi in lacrime su di lui quasi urlandogli contro la risposta: “Cosa credo? stai davvero chiedendo il mio parere, Jon?”
“Certo”
“Perché credevo non ti importasse, credevo tu fossi il Re del Nord, ora, che dovessi solamente eseguire gli ordini. Stai indietro, Sansa. Fai come ti dico, Sansa.”
“Mi è sempre importata, la tua opinione”
“Non dovresti chiederla, invece,  ad una persona che sa fare solo ‘scelte stupide’ “
“una. Una sola scelta stupida. E non mi  rimangio quello che ho detto: non capisco come tu possa aver fatto una scelta così stupida!”
“ Davvero, Jon? Ero preoccupata per te! Cosa c’è da capire?”
Jon ora era spaesato : “… stavo combattendo, Sansa”  fu tutto quello che disse, come a voler dire che avrebbe dovuto aspettarselo, che non era normale alterarsi per tanto.
“Ma stavi per morire!”
“è la guerra.”
Sansa aveva tirato un respiro, e copiose lacrime avevano preso a scendere dalle sue guance: “Perché non puoi accettare che qualcuno sia preoccupato per te, Jon? Perché tu puoi prenderti cura di tutti e non puoi accettare che gli altri facciano lo stesso con te?”
Jon allora le aveva fermato la mano, con la sinistra, e con l’altra le aveva aferrato il collo e se l’era portata accanto. Sansa, la faccia appoggiata sulla sua spalla, aveva ora smesso di mascherare i singhiozzi: “Scusa, sono stata stupida, non so che mi è preso. Io ho agito d’impulso e…”
“Va tutto bene.”
 
 
 
 
 
 
    
  
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