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Autore: Kat Logan    09/08/2017    4 recensioni
Esiste realmente la quiete dopo la tempesta?
C'è chi cerca di costruirsi un nuovo futuro sulle macerie del passato e chi invece dal passato ne rimane ossessionato divenendo preda dei propri demoni.
[Terzo capitolo di Stockholm Syndrome e Kissing The Dragon].
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Rei/Rea, Un po' tutti | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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- Questa storia fa parte della serie 'Mondo Yakuza'
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I don’t even know myself at all
I thought I would be happy but now
The more I try to push it
I realize gonna let go of control
Gonna let it happen, gonna let it happen
 
Last Hope - Paramore
 
 


 
Era trascorsa una settimana da quando la sua vita era stata ribaltata una volta ancora.
Ad Haruka sembrava di non essere mai scesa da un giro di giostra che le aveva rimescolato le budella per tutto il tempo.
Senza Michiru non era in grado di farsi il nodo alla cravatta, perciò si presentava al distretto con l’aria più trasandata degli altri novellini.
Si passò una mano sul collo, alla base della nuca, massaggiandoselo insistentemente. Non ne poteva più di quel divano e probabilmente i suoi amici non ne potevano più di lei.
Minako sembrava dimenticarsi della sua presenza al mattino e ogni volta che si accingeva a infilarsi in bocca una fetta di pane in attesa  della colazione vera e propria, lo faceva in mutande. E puntuale come un orologio svizzero Akira accorreva urlante – per riparare alla sua sbadataggine - a coprirla con la prima cosa che trovava a portata di mano.
In tutto quel caos poi partivano le lamentele di Haruka per il risveglio brusco con frasi del tipo «credi mi sconvolgano due chiappe in perizoma?» e di lì seguivano le lotte per accaparrarsi l’unico bagno disponibile.
Come se non fosse sufficiente si aggiungeva l’insofferenza sempre più visibile di Minako che non poteva eseguire gli ordini perentori della propria app – che ormai squillava a vuoto -  e le ansie da prestazione di Akira, il quale temeva che l’amica potesse assistere a qualche scena sconveniente.
 
«Haru lo sai che ti voglio bene, ma tutto questo deve finire» il moro le passò una tazza ricolma di the verde fumante e un paio di mochi alla fragola sistemati sul piattino in ceramica blu e bianca.
«Ehi, i miei sono più piccoli!» mugugnò Haruka per poi indicare quelli serviti a Minako.
«Io sono la padrona di casa quindi ho dei privilegi in più di te!».
Minako lo urlò dall’altra stanza, con la testa ancora dentro all’armadio nella speranza di trovare il vestito giusto per la propria giornata.
Haruka alzò un sopracciglio.
«Ci sente davvero bene…» commentò.
Akira annuì filtrando una tisana per la propria ragazza e sistemandola all’interno di un termos.
«Solo quando si tratta dei suoi dolci» ridacchiò isterico.
«Comunque…» abbassò la voce e si sporse verso l’amica. «Sul serio, devi tornare a casa tua!».
«Sto rovinando la vostra vita di coppia?» indagò lei.
«No è che…».
«Che hai una moglie e il tuo posto non è qui» finì Minako per Akira raggiungendoli al tavolo e azzannando il proprio dolcetto.
Era inquietante che quella ragazza dall’aria ingenua nel suo vestito a rose rosse la stesse cacciando col sorriso sulle labbra.
Haruka sbuffò incrociando le braccia al petto per poi prendere a dondolandosi irrequieta sulla sedia.
«Non mi va di vederla». Mentì. Moriva dalla voglia di farlo e ogni volta le ricadeva lo sguardo sulla fede, ma non era ancora pronta a perdonarla.
Akira riprese in mano le redini della conversazione. «Haru, non devi andare per forza a casa, solo…».
«Devo levarmi di qui. Ho capito!».
«Magari andare da un’amica o…».
«Possibilmente non un’amica un po’ troia» Minako zittì entrambi con la sua schiettezza.
I due rimasero con la bocca aperta, lei non ci diede peso e  afferrò il termos infilandoselo nella borsa. Controllò di avere le chiavi di casa e si sporse a baciare sulle labbra Akira ancora di stucco.
«Cosa?» chiese Minako. «Che ho detto? È la verità».
I due amici si guardarono.
Haruka batté le palpebre allibita.
«Lo ha detto sul serio?».
«Pare di sì» le rispose il moro.
«A chi si starà riferendo?».
«A Mimì?» tentò il ragazzo.
«Ehi, non ci sono mai stata con lei in quel senso!».
«Però era…ehm…hai capito. Di professione» la ragguagliò lui.
«CIAO A TUTTI!» esclamò Minako uscendo e lasciandoli soli nella stanza.
Anche Haruka si alzò e si sistemò la camicia un po’ sgualcita. Un lembo le ricadeva fuori dai pantaloni a differenza del resto.
«Vado. E non preoccuparti sta sera non torno qui. Ti compro anche lo spazzolino nuovo».
«Lo sapevo hai usato il mio!».
Haruka gli fece l’occhiolino e salutò l’amico con un abbraccio frettoloso. Avrebbe voluto starci avvinghiata per almeno cinque minuti buoni ma mai e poi mai lo avrebbe dato a vedere.
«Vado a difendere i deboli».
«E io a sfamare gli affamati».
«Dio, ma che cosa siamo diventati noi due? Dei santi?».
Akira rise di gusto alla battuta dell’altra.
«Fai la brava».
«Come sempre!».
 
 E nessuna testa bionda rientrò più nell’orizzonte del ragazzo.
 
 
***
 
 
In centrale erano tutti indaffarati.
Le nuove reclute sembravano diventate centralinisti provetti e Jadeite aveva ripulito il tabellone delle indagini per un nuovo caso.
Haruka entrò sperando di non dover fare da segretaria di direzione perché non era dell’umore adatto per sfornare fotocopie o fare firme a destra e a manca.
«Boss…».
«È un grande giorno» si voltò il ragazzo guardandola negli occhi.
Haruka sentì l’eccitazione scalciarle in corpo. Forse il suo giorno era arrivato, quello doveva essere il suo momento. Jadeite stava per assegnarle un caso importante, qualcosa sul campo che le avrebbe fatto montare l’adrenalina in corpo.
«Ho un compito per te».
«Ah si, blond man?».
«Boss, era meglio».
«Un po’ da mafiosi forse ma…».
«Oddio sul serio? Le battute sulla mafia, bionda?!».
Haruka alzò gli occhi al cielo. Le stava passando il barlume di buon umore che le aveva scatenato la frase al suo arrivo.
Jadeite le passò una carpetta.
Haruka la prese tra le mani e cominciò a leggere.
«Stai facendo sul serio?».
«Cos’ha che non va?».
«Rumori molesti? Mi dai un caso di rumori molesti?! Sarebbe per questo un gran giorno?!».
Tutte le speranze della bionda andarono a farsi benedire e la cosa peggiore è che a fine giornata non avrebbe nemmeno potuto raccontare tutto a Michiru. O forse poteva chiamarla. In fin dei conti era sua moglie, una telefonata poteva essere un gesto carino da fare. Un ramoscello d’ulivo per spianare la via della riconciliazione.
«È un gran giorno perché Hinō esce dall’ospedale» la ragguagliò lui.
Fa davvero sul serio? Dio, è davvero il centro del suo mondo Rei.
E a quel pensiero, per quanto contenesse una venatura sarcastica, Haruka non rise tra sé e sé come avrebbe fatto. Non ci trovò nulla di comico.
Jadeite era nella posizione in cui stava chi s’innamorava, o di chi voleva accanto a sé qualcuno più di ogni altra cosa.
Anche lei e Michiru erano state così? E ora? Non erano più il sole l’una dell’altra?
Jadeite continuava a blaterare.
«Non potrà rientrare nel personale effettivo fino a quando non avrà l’okay della terapista, ma è un gran passo direi. Forse dovremmo mandarle dei fiori o qualcosa del genere. Magari organizzare una cena di bentornato».
«Ma non è ancora tornata in polizia» lo stroncò secca la bionda.
Nemmeno Michiru è tornata.
«Beh allora quello forse no. Sai che c’è Ten’ō? Fanculo gli schiamazzi molesti».
Jadeite le strappò di mano il fascicolo.
«Vai da Hinō. Valla a prendere, mi hai capito?».
Haruka sbuffò.
«Vengo stipendiata per queste cose, vero?».
«Sì. Sì. Senti, vai e indaga».
«Su che cosa?».
«Sui suoi fiori preferiti o quello che le piacerebbe ricevere, no!?».
«Bene. Blond boss. Consideralo come fatto» disse svogliata prima di prendere la porta e dirigersi dove ormai tutti sembravano collidere.
 
 
***
 
 
Sadao e Rei rimasero impalati nel bel mezzo del selciato che portava alle porte d’entrata dell’ospedale.
Entrambi fissavano col naso all’insù i piani dove avevano trascorso l’ultimo periodo delle loro vite.
Sadao con un braccio incastrato in un tutore che gli pendeva dal collo e Rei intatta fuori e con milioni di crepe aperte ancor all’interno.
«Lo so, è strano» commentò lui.
«Passerà?» chiese lei.
«La sensazione di smarrimento?».
Rei annuì. Si era ormai abituata al labirinto di corridoi e al via e vai di pazienti che gironzolavano qua e là.
«Non saprei…» esalò Sadao per poi scostare lo sguardo su di lei. «Io sono uscito da tre giorni ma ho ancora la sensazione di aver traslocato e non essermi abituato alla mia nuova casa».
«Fantastico» commentò cinica la mora.
«Forse è perché sono tornato dai miei genitori» corrugò la fronte lui.
«Perché anziché fare passi verso l’indipendenza fai il  contrario?».
«È temporaneo».
Rei alzò un sopracciglio poco convinta.
«Mi hanno staccato la corrente. Non ho pagato qualche bolletta. Ma presto tornerò a casa mia. QUELLA VERA».
La mora esternò un’espressione poco convinta ma solo quando si perse nel rumore del traffico si rese conto che anche la sua vera casa la stava aspettando. La casa nella quale aveva vissuto con Setsuna e anche se vuota, era ancora piena di lei. Forse anche lei avrebbe dovuto tornare dai propri genitori, oppure semplicemente cambiare appartamento.
Schiuse le labbra facendone uscire un respiro tanto profondo che Sadao non poté esentarsi dal chiedere se avesse bisogno di aiuto o si sentisse poco bene.
«Eccovi qua» una voce familiare lì sorprese alle spalle interrompendo lo strambo duo.
«Non dovresti essere in centrale?» farfugliò Sadao nel vedere Haruka dirigersi verso di loro con passo molle.
«E tu?».
Il ragazzo indicò il braccio malandato con quello sano.
«Io ho un certificato medico. E in ogni caso rientro do-domani».
«Ehi ehi, abbassa la cresta. Da dove sbuca fuori tutta questa sicurezza?».
Sadao arrossì violentemente e decise di prendere a guardare la punta delle proprie scarpe torturandosi il labbro inferiore.
«Miss Hino, come si sente?».
«Vuoi indagare anche sul mio congedo?».
«Naaa. Di te so tutto. Più o meno».
Rei non diede peso a quell’affermazione e intimò con lo sguardo la bionda per spiegare la propria presenza lì.
«Sono venuta per scortarti a casa. Ordini dei superiori».
«Non so se sentirmi lusingata o una sorta di sorvegliata a vista».
Haruka fece spallucce.
«Che fiori ti piacciono?».
Sadao e Rei la guardarono come si fa con qualcuno appena evaso da un manicomio.
«Che c’è?! Ho solo chiesto».
«C-certo che se-sei strana» balbettò Sadao.
«Pensa per te stramboide con un braccio solo».
«Ehi tu. Pensi di poter parlare così al mio sottoposto?» sbottò Rei. «Tecnicamente lui è di grado superiore persino a te» aggiunse con un sorrisetto la mora.
Haruka sentì una puntura di fastidio diventare sempre più insistente e propagarsi dalle dita dai piedi a quella delle mani.
«Come ti pare. Animale preferito?».
Rei la squadrò per poi ignorarla.
«Mi ci porti tu a casa, Sadao?».
Il ragazzo avrebbe detto di sì più che volentieri ma poi dovette ricordarsi di non poter guidare con il braccio leso.
«Po-posso portartici in autobus» le sussurrò un po’ imbarazzato e con una risatina nervosa a fior di labbra.
La bionda sbuffò sonoramente, ormai priva di autocontrollo.
Maledisse il momento e il motivo per cui aveva deciso di intraprendere la strada della poliziotta per poi ritrovarsi a fare da zerbino per un tizio ossigenato alle prese con i propri tormenti d’amore.
Poi la vide; la ragione di tutto.
In lontananza un guizzo blu di onde morbide si era librato poco lontano da loro per poi entrare nell’edificio.
Haruka dovette combattere contro l’impulso di mettersi a correre.
Serrò i pugni e soppresse le farfalle nello stomaco che avevano preso a sbattere le ali forsennatamente.
«Hino» le parole dirette alla mora e lo sguardo volto altrove.
«Per favore dimmi qualcosa che ti piace perché devo proprio scappare».
I capricci del cuore stavano avendo la meglio su tutto il resto.
Rei rispose per esasperazione.
«I corvi».
«Bene, i corvi. Recepito» blaterò distrattamente Haruka prima di dar retta al battito nel proprio petto.
 
 
***
 
 
«Dì un po’ sei depressa? Hai una faccia!». Minako puntò un indice accusatorio verso il viso dell’amica.
«Ma che dici!» minimizzò Ami, scuotendo una bustina di zucchero per poi versarne metà dei granelli dentro al cappuccino che la macchinetta le servì fumante.
 
Haruka si bloccò dietro la parete nel vederle entrambe conversare animatamente al punto di ristoro.
Se fosse passata di lì sicuramente si sarebbe fatta scoprire perciò temporeggiò cercando di camuffarsi dietro ad una delle riviste che trovò sul tavolino accanto alle seggiole della sala d’aspetto.
«Ooh non dirmi che…» la voce di Minako squillante come un campanello riecheggiò di nuovo per poi abbassarsi appena «sei dispiaciuta perché lui è stato dimesso!».
Ami boccheggiò mentre le sue guance assunsero i toni del porpora.
«Non è come credi solo che…».
«No no. Tutto torna!».
Haruka con aria confusa aprì il giornale di cui si era appropriata leggendone il titolo a caratteri cubitali “Oggi mamma”.
«Ma scherziamo?!» biascicò prendendone un altro.
“Io e il mio bambino”.
«Ma…che cavolo…» alzò lo sguardo dalle pagine patinate e tutto le fu più chiaro nel momento in cui lesse la dicitura del reparto in cui si trovava.
Aveva pedinato Michiru – sino a che non si era diretta nel bagno – senza rendersi conto di essere nel bel mezzo di maternità.
«Guarda che non siete più medico e paziente» la conversazione delle due amiche tornò ad essere l’attrattiva principale di Haruka che sfogliò il giornale senza perdersi a leggere una riga.
«Mina, pensa alla tua fertilità anziché…».
«Ai tuoi ormoni? I tuoi ormoni sono importanti Ami!».
Haruka soffocò una risata per poi nascondere il viso dietro l’immagina di un pancione nel momento in cui Michiru uscì dalla toilette per poi dirigersi nel corridoio dove le altre due sostavano.
«Eccoti!» esultarono entrambe nel vederla.
La più grande le salutò con un sorriso per poi stringere nervosa il manico della propria borsetta.
«Ė il giorno della verità?» domandò.
«Può darsi! L’ospedale non  può sostentare tutti i bambini del mondo» le rispose Minako buttando il cartoccio di biscotti nell’apposito contenitore.
«Ma io non so quante coppie ci sono in lista e…».
«Michi respira!» le ordinò la sorella.
La zazzera di Haruka si sporse di più dal suo angolo sicuro.
«L’accompagni tu da Chiba?» propose Ami a Minako che prontamente prese per mano Michiru.
«Ma certo. Andiamo!».
La maggiore non riuscì a proferire parola che venne trascinata verso l’ultima porta del reparto dalla bionda tutta pepe.
Ami sorrise per poi liberarsi del proprio bicchiere di plastica.
«Ti ho vista» scandì in direzione di Haruka che sputò una parolaccia tra i denti.
«Sei pessima con gli appostamenti. Lo sai?».
Punta sul vivo la bionda non seppe tacere.
«E tu sei pessima con la scelta degli alcolici».
«Certo sono astemia» fece spallucce Ami nonostante sapesse bene a cosa si riferisse l’altra.
«Glielo dirai?».
Ami scosse il capo in segno di diniego.
«Non sta a me farlo».
Haruka capì di avere ancora del rancore represso perché dovette soffocare una serie di battutacce sulla “bocca larga dell’altra”, per tanto si limitò a tacere.
«Beh, non sei curiosa?» domandò Ami.
La smorfia confusa di Haruka le diede da intendere che non sapeva minimamente a cosa si stesse riferendo.
«Guarda» Ami compì quattro passi verso una vetrata e ci poggiò l’indice puntando dritto verso una delle culle sistemate nella nursery.
«Ė quello per cui lei sta combattendo».
Gli occhi cobalto si scontrarono con quelli grandi e scuri della piccola che parve ipnotizzata da quelle iridi chiare che la stavano fissando per la prima volta.
Un riflesso porpora attirò l’attenzione della bionda. In quei due specchi scuri vi riconobbe inspiegabilmente qualcosa dello sguardo di Setsuna.
Fece un passo indietro come per allontanarsi da qualcosa di cui si ha paura.
«A Michiru avrebbe fatto piacere averti qui oggi» sussurrò Ami. «Soprattutto se non andrà be-».
«Non posso» la interruppe Haruka.
«Io non posso farlo».
Ami la fissò seria «hai fatto cose che la maggior parte di noi non può realmente fare. Forse questa volta non vuoi».
Haruka stava per controbattere quando il cellulare le suonò in tasca. Era in servizio perciò dovette rispondere.
«Ten’ō».
Ami si allontanò per tornare anche lei ai suoi doveri.
«Quindi cos’hai per me?».
«Corvi» rispose asciutta Haruka.
Jadeite all’altro capo del telefono parve strozzarsi con qualcosa.
«Cosa vuol dire?!».
Solo nel sentirlo così isterico Haruka ci rifletté. Il suo non era stato un grande indizio da dare al giovane.
«Di fiori non ne ha parlato. Ma i suoi animali preferiti sembrano essere i corvi».
«E dove li trovo?!».
Haruka si avvicinò nuovamente al vetro per incrociare quello sguardo tanto piccolo e immenso allo stesso tempo.
«Ten’ō muovi il culo e torna in centrale».
Haruka terminò la chiamata premendo inconsciamente la cornetta rossa.
 
Ė carina però.
Pensò Haruka senza sapere che la bambina avesse già il nome di una lucciola.
 
Il cellulare riprese a suonare.
Lei non prestò attenzione al numero sul display e rispose in automatico senza riuscire a staccare gli occhi da Hotaru.
«Si. Jade o meglio Jane perché sei più isterico di una donna in quel giorno del mese. Sto arrivando» disse tutto d’un fiato senza far alcuna pausa.
Dall’altro lato un messaggio automatico.
«Sta ricevendo una chiamata da un detenuto del carcere di Chiba. Premere uno per accettare la chiamata».
 
Haruka non emise più un fiato.
 


Note dell'autrice:
Non so se doveva uscire così questo capitolo o meno. Non so più un sacco di cose lo ammetto. Qui tutti fanno quello che vogliono e il filo della storia sta leggermente deviando... Cioè l'idea iniziale che avevo, visto che ormai io della trama decido ben poco ed è tutta colpa dei personaggi. In ogni caso, anche questo è molto di collegamento e più sentimentale che azione/avventura/botte come solito ma ormai siamo in ballo e bisogna ballare (?). E' il caldo...e niente, per un qualche settimana non riuscirò ad aggiornare perché sarò via. Quindi...buone vacanze! Posterò al mio rientro non appena avrò occasione di scrivere il resto.
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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