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Autore: Sugakookie    09/08/2017    7 recensioni
Jungkook è un idol e fatica a trovare tempo per stare con la sua ragazza. Un giorno, la sorprende portandola in una bellissima camera d'albergo, la numero 505. Da allora, i due iniziano ad incontrarsi lì sempre più spesso, ma tra di loro le cose non vanno sempre bene... riusciranno a superare le difficoltà e a rimanere insieme?
Genere: Angst, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è ispirata alla canzone 505 degli Arctic Monkeys.
Per chi non la conosce e vuole ascoltarla, vi lascio il link:
https://www.youtube.com/watch?v=MrmPDUvKyLs
Le lyrics tradotte in italiano sono frutto di un mio tentativo di tradurre la canzone...
se ci sono errori mi scuso in anticipo. 
Buona lettura! ^.^







 
505
 
 
 
 

 
I’m going back to 505
If it's a 7-hour flight or a 45-minute drive
 
[Sto tornando alla 505
Che sia un volo di 7 ore o 45 minuti in macchina]
 
 
Jungkook torna sempre.
 
Dopo quanto tempo torna, e per quanto rimane, non posso mai saperlo. L’unica certezza che ho è che prima o poi torna. Me lo immagino ogni volta mentre guida, avvolto nel buio dell’abitacolo con la radio accesa a basso volume. Lo immagino tamburellare le dita sul volante, con un sorriso quasi impercettibile a illuminargli la faccia stanca.
 
 
*
 
 
Sentii il din-don dell’ascensore e le porte che si aprivano.
 
«Allora, siamo arrivati?» chiesi impaziente, spostando il peso da un piede all’altro in piccoli saltelli di trepidazione.
 
«Ancora no» mi informò Jungkook. Capii dal tono della sua voce che stava sorridendo. Mi spinse gentilmente con la mano poggiata sul mio fianco, guidandomi nella direzione giusta, mentre con l’altra mano continuava a coprirmi gli occhi.
 
Attraverso le sue dita vedevo solo un po’ di luce che filtrava, una luce calda e non molto forte. C’era un silenzio totale, come se ci fossimo solo noi. L’unico rumore che sentivo erano i tonfi leggeri dei nostri passi attutiti dal materiale morbido sul pavimento –  probabilmente era una moquette o un tappeto.
 
«Ma dove siamo?» indagai ancora, sempre più curiosa.
 
«Adesso lo vedrai» rispose Jungkook.
 
Si fermò, facendo fermare anche me. Poi la sua mano si staccò dal mio fianco e lo sentii aprire una porta.
 
«Ora puoi guardare» mi annunciò in tono fiero, e abbassò la mano che mi copriva gli occhi.
 
Mi ritrovai davanti la stanza d’albergo più bella e lussuosa che avessi mai visto. La porta aperta alla mia destra era in legno scuro, leggermente lucida, e recava una semplice targa trasparente con le cifre dorate in rilievo che indicavano il numero della stanza. Era la 505.
 
Guardai la camera in silenzio, con la bocca semiaperta per lo stupore. Il letto era enorme, e la trapunta a motivi neri e rossi era coperta da grandi cuscini candidi dall’aspetto soffice. Ai lati della testata, due lampade con i paralumi di stoffa beige semitrasparente rischiaravano l’ambiente di una luce calda, tenue. Due comodini in legno scuro –  lo stesso della porta – affiancavano i lati del letto, e su ciascuno di essi vi era una piccola ciotola con dei cioccolatini.
 
Di fronte al letto c’era una scrivania – anch’essa ovviamente in legno scuro – con una sedia in pelle che sembrava comodissima, e sopra la scrivania, sul muro, troneggiava lo schermo piatto e gigantesco di una tv.
 
Oltre il letto, vicino alla lunga finestra coperta da vari strati di tende – era praticamente una vetrata! – c’era un divanetto basso e scamosciato, color grigio scuro, e una poltrona dello stesso colore. In mezzo c’era un tavolino basso di vetro, su cui erano già stati disposti, pronti per l’uso, una bottiglia di vino rosso e due calici di vetro.
 
Mentre mi guardavo intorno cercando di assorbire ogni dettaglio, mi resi conto che da quando eravamo entrati nella stanza non c’era più un silenzio assoluto. Da qualche parte proveniva una rilassante musichetta di sottofondo, a volume molto basso, che risuonava discretamente in tutta la camera.
 
«Allora, ti piace?» mi chiese Jungkook, impaziente.
 
Mi girai verso di lui e vidi il suo solito sorrisone con tutte e due le file di denti in mostra, e gli incisivi leggermente sporgenti sul davanti.
 
«Se mi piace? La adoro!» esclamai felice, e gli gettai le braccia al collo.
 
«E non hai ancora visto il bagno» mi ricordò Jungkook, ridendo tra i miei capelli. «C’è sia la doccia sia una vasca idromassaggio».
 
«No, mi prendi in giro!» lo accusai, staccandomi dall’abbraccio per guardarlo in faccia.
 
Lui scosse la testa, divertito dalla mia espressione sbalordita. «Vai a vedere, se non mi credi».
 
Mi precipitai in bagno e mi portai subito le mani sulle guance, la bocca ancora più spalancata. Vidi la mia espressione di incredula meraviglia riflessa nello specchio di fronte a me. C’era davvero la vasca idromassaggio, con tanto di candele profumate lungo il bordo, e sotto lo specchio enorme c’era un ripiano di marmo scuro con ben due lavandini, l’uno di fianco all’altro. La musica di sottofondo si sentiva anche nel bagno.
 
Mi voltai, e vidi che Jungkook mi aveva raggiunto e se ne stava in piedi sulla soglia.
 
«Hai visto? Ti ho detto che c’era la vasca, e c’era davvero» disse compiaciuto.
 
«Jeon Jungkook, un uomo di parola» proclamai in tono solenne, per prenderlo in giro.
 
Lui scoppiò a ridere, e si avvicinò per abbracciarmi di nuovo.
 
«Sai cosa facciamo adesso?» gli chiesi con un sorriso incontenibile.
 
«No, dimmelo tu» mi assecondò Jungkook. «Facciamo tutto quello che desideri».
 
«Prendiamo i bicchieri da di là, e ci immergiamo nella vasca sorseggiando il vino».
 
«Ai tuoi ordini» fece lui sorridendo.
 
 
*
 
 
Quella era stata la prima volta che mi aveva portato nella camera 505.
 
Quella stessa sera, dopo aver provato la vasca, il vino e i cioccolatini, e dopo aver fatto l’amore sotto la stoffa morbida della trapunta, Jungkook mi aveva fatto una promessa.
 
«D’ora in poi, tornerò sempre qui» mi aveva detto a mezza voce, mentre mi stringeva tra le braccia sotto le coperte. «Non importa quanta strada dovrò fare, o quanto sarò stanco. Non appena avrò un momento libero, tornerò in questa stanza per stare con te».
 
E ancora adesso, continua a mantenere la promessa. Torniamo nella 505 tutte le volte che lui ha la possibilità di passare almeno una notte con me.
 
Raramente succede che Jungkook abbia abbastanza tempo ed energia per qualcosa di più elaborato di un incontro in albergo. Se capita che abbia più tempo libero, abbastanza per uscire o addirittura per fare una gita o una breve vacanza insieme, dobbiamo fare i conti con il problema di non farci vedere. Dobbiamo sempre cercare dei posti poco frequentati, possibilmente lontani dalla città.
 
Ma la maggior parte delle volte il problema non si pone perché Jungkook ha solo un giorno libero per volta, o solo mezza giornata, o solo la sera e la notte. Così è diventata ormai un’abitudine vederci nella 505, dove abbiamo una privacy assoluta e tutte le comodità per rilassarci. In questo modo, non dobbiamo preoccuparci di essere visti, e Jungkook si può riposare dopo una giornata stancante.
 
Anche stasera lo sto aspettando. Sono stesa sul letto della camera, nell’alone di luce tenue filtrata dal paralume vicino alla testata. Hanno cambiato la marca dei cioccolatini sul comodino. La musica di sottofondo non smette mai, e la playlist sembra essere infinita. Non credo di aver mai sentito la stessa canzone due volte, ma forse non ci ho fatto caso. Quella che si sente adesso è una canzone jazz molto rilassante, ma con una nota malinconica, di una vaga tristezza.
 
 
*
 
 
In my imagination you're waiting lying on your side
With your hands between your thighs
 
[Nella mia mente stai aspettando sdraiata su un fianco
Con le mani tra le cosce]
 
 
«A cosa pensi mentre mi aspetti?» mi chiese Jungkook. Di solito ero io ad arrivare per prima, e quando arrivava lui, io ero già nella stanza ad aspettarlo.
 
«Mah, un po’ di tutto» risposi, riflettendoci un attimo. «Penso a quello che ho fatto durante la giornata, a te che devi arrivare…».
 
Lui mi guardò sfoggiando il suo sorriso tutto denti, scoprendo il piccolo neo che aveva sotto il labbro inferiore.
 
«Tu, invece, a cosa pensi mentre vieni qui?» gli chiesi, incuriosita.
 
«Penso a te» rispose Jungkook ancora sorridente, guardandomi con dolcezza. «Mi piace immaginarti sdraiata su un fianco sul letto, ad aspettarmi, nella tua solita posizione un po’ raggomitolata».
 
«Jeon Jungkook, un uomo romantico» lo presi in giro, come facevo sempre.
 
«Aspetta, non ho finito» riprese Jungkook, con un sorrisetto furbo. «Mi immagino anche che ti sei già mangiata tutti i cioccolatini e non me ne hai lasciato nemmeno uno».
 
Scoppiammo a ridere entrambi.
 
 
*
 
 
Mi riscuoto e torno al presente, alla realtà della stanza vuota. Jungkook mi aveva chiesto a cosa penso nell’attesa, e ora mi rendo conto che mentre lo aspetto mi perdo sempre più spesso nei ricordi. Ricordi di momenti che abbiamo passato insieme, di momenti in cui eravamo felici. E ogni volta, sembra che la mia mente torni un po’ più indietro nel passato.
 
 
*
 
 
Corsi a piedi nudi sulla sabbia, urlando di gioia come una bambina. Pensai che il cuore stesse per scoppiarmi in petto per la felicità. Era una di quelle rare volte in cui Jungkook aveva delle intere giornate libere, e mi aveva portato in spiaggia. Era autunno e non faceva più abbastanza caldo per fare il bagno, ma il vantaggio era che avevamo la spiaggia tutta per noi. Si vedevano solo le piccole figure di un gruppo di persone in lontananza, ma a parte loro eravamo soli.
 
Era tardo pomeriggio e la luce del giorno iniziava ad affievolirsi. Tirava una brezza leggera che scompigliava i capelli castani di Jungkook, scoprendogli parte della fronte. Mi guardava con un sorriso raggiante, le due file di denti in mostra e il piccolo neo visibile sotto il labbro inferiore, mentre gli correvo intorno eccitata. Di colpo, lo presi per mano e lo trascinai via con me. Iniziammo a correre sulla sabbia, le nostre dita intrecciate le une alle altre, ridendo di gusto.
 
Jungkook si fermò di scatto, trattenendomi con la mano ancora stretta alla mia e rischiando di farmi cadere.
 
«Ehi, ma che fai?» urlai, ridendo.
 
Lui continuò a ridere mentre cercavo di non perdere l’equilibrio. Poi mi prese in braccio, sollevandomi da terra come se non pesassi niente.
 
«Jeon Jungkook, un uomo forzuto!» esclamai, ostentando un tono di ammirazione.
 
«E anche pericoloso» aggiunse Jungkook, con un sorriso malizioso.
 
Prima che potessi chiedergli spiegazioni, si diresse a passo svelto verso il mare e fece finta di buttarmi in acqua.
 
«No, fermo, aiuto!» gridai, aggrappandomi con più forza con le braccia intorno al suo collo. Nascosi la faccia nella sua spalla, continuando a ridere e gridare.
 
Jungkook mi posò a terra delicatamente, e restammo fermi con i piedi dentro l’acqua fredda, abbracciati, a guardare il mare. La parte superiore del cielo aveva assunto i toni scuri della notte, mentre la parte più bassa, verso l’orizzonte, era ancora fiocamente illuminata da striature di un rosso-arancione sbiadito. Gli ultimi rimasugli di luce si riflettevano sull’acqua, creando piccoli bagliori sparsi sulla superficie. Si sentiva solo lo sciabordio ritmico delle onde ai nostri piedi, il soffio lieve della brezza e il richiamo lontano di alcuni gabbiani.
 
«Ti ricordi il giorno in cui ci siamo conosciuti?» chiese Jungkook di punto in bianco.
 
«Jeon Jungkook…» iniziai.
 
«Un uomo nostalgico» finì Jungkook. «Ho indovinato?».
 
Scoppiai a ridere. «Mi hai tolto le parole di bocca!» esclamai, dandogli un buffetto sulla guancia. «Comunque, me lo ricordo» aggiunsi, tornando seria.
 
 
*
 
 
Era un tiepido pomeriggio d’inizio estate, ed ero al parco. Le stradine asfaltate e lisce si snodavano fra le aiuole, da cui sporgevano grandi alberi e una fitta vegetazione che offrivano fresco e ombra. Di solito era pieno di ragazzini in skateboard, ma quel giorno il cielo era grigio e nuvoloso, e non c’era molta gente.
 
Ero seduta su una panchina, sotto un grande albero verdeggiante, a leggere un libro. O meglio, a fare finta di leggere, perché da qualche minuto il ragazzo seduto sulla panchina di fronte a me aveva catturato la mia attenzione. Non riuscivo più a smettere di lanciargli occhiate da sopra la pagina. Non tanto perché era carino, ma perché la sua posa e la sua espressione mi davano una sensazione particolare. Mi dava l’idea di essere una di quelle persone che sono a loro agio a stare da sole in pubblico. Una di quelle persone che sono veramente in pace con se stesse.
 
Anche a vederlo da seduto appariva molto alto, e dopo un’occhiata più attenta notai che aveva una quantità considerevole di muscoli. Portava dei semplici jeans, una maglietta bianca piuttosto larga e in testa aveva un berretto blu che gli appiattiva i capelli castani sulla fronte.
 
Mi colpì il contrasto tra la sua corporatura virile e i tratti quasi infantili del volto. Aveva grandi occhi scuri da bambino che gli conferivano un’aura di innocenza, e una boccuccia piccola dall’aria altrettanto infantile. La dolcezza dei tratti era accentuata anche dalla forma tondeggiante del viso e delle guance, che erano lisce come quelle di un bambino.
 
Aveva un’espressione rilassata, lo sguardo perso nel vuoto, e muoveva leggermente la testa al ritmo della musica che stava ascoltando dalle cuffiette del telefono.
 
All’improvviso girò la testa verso di me, e mi affrettai ad abbassare lo sguardo sulla pagina. Fissai le parole per un po’ senza leggere, poi percepii un movimento con la coda dell’occhio e mi azzardai ad alzare di nuovo lo sguardo. Il ragazzo si era alzato e si era girato per andarsene, ma quando infilò le cuffiette nella tasca dei pantaloni il filo rimase fuori a penzoloni, e un istante dopo le cuffiette caddero a terra.
 
«Ehi, scusa» lo chiamai, alzandomi di scatto dalla panchina.
 
Il ragazzo si irrigidì leggermente, poi continuò a camminare senza voltarsi. Io mi affrettai a raccogliere le cuffiette da terra e gli andai dietro.
 
«Scusa, ti sono cadute le cuffiette» esclamai ancora, mentre cercavo di raggiungerlo.
 
A quel punto, il ragazzo si fermò e si girò verso di me. Mi guardò con i suoi grandi occhi scuri, lo sguardo sorpreso e vagamente diffidente. Gli porsi le cuffiette.
 
«Grazie» disse, prendendole dalla mia mano.
 
«Di niente» risposi con un sorriso. «La prossima volta cerca di stare più attento quando le metti in tasca».
 
«Va bene, grazie ancora» ripeté. Dai suoi occhi era svanita ogni traccia di diffidenza, e la sua espressione si distese.
 
Gettò un’occhiata al libro che avevo in mano. «Cosa stavi leggendo?» mi chiese incuriosito.
 
Alzai la copertina per mostrargliela, e senza quasi rendermene conto, iniziai a parlare con toni entusiastici del libro, che era uno dei miei preferiti.
 
«Scusa, sto parlando troppo» mi interruppi dopo un po’, con una risata imbarazzata.
 
«No, è interessante. Magari possiamo continuare a parlarne seduti da qualche parte, invece che stare in piedi in mezzo al parco» propose, ridendo. «Ti offro un gelato come ringraziamento per le cuffiette, ti va?».
 
Non potevo mica rifiutare un gelato offerto da un bel ragazzo, giusto?
 
«Certo, volentieri» risposi.
 
 
*
 
 
Sorrido al pensiero di quel giorno. Jungkook mi aveva portato in una piccola gelateria, molto colorata e accogliente, ed eravamo rimasti lì seduti a chiacchierare per parecchio tempo.
 
«Davvero non mi conosci?» mi aveva chiesto subito.
 
«No, non credo… cosa vuoi dire?» avevo detto, confusa. «Ci siamo già incontrati da qualche parte?».
 
Lui aveva scosso la testa e aveva fatto finta di niente. Solo qualche tempo dopo, quando uscivamo insieme già da un po’, mi aveva parlato del suo lavoro. Mi aveva spiegato che era un idol, che di conseguenza era molto impegnato, e che era meglio non far sapere in giro che aveva una relazione con qualcuno. Non era proibito dal contratto, ma era preferibile che restasse un segreto. Io avevo detto che per me andava bene così, e da allora stavamo insieme.
 
Jungkook mi aveva confessato che quel giorno, quando volevo restituirgli le cuffiette, aveva paura che fossi una fan isterica che voleva inseguirlo. Per questo non si era fermato subito.
 
«Quando ti ho sentito chiamarmi e ho continuato a camminare, ho temuto che mi saltassi addosso per placcarmi» mi aveva detto ridendo. «Ero già pronto a correre per scappare via da te. Ma per fortuna non l’ho fatto» mi aveva guardato con dolcezza.
 
Il ricordo del suo viso sorridente pervade la mia mente. I suoi occhi a mandorla che si stringono mentre ride e le piccole rughe che si formano intorno, gli incisivi leggermente sporgenti. È tutto davanti ai miei occhi come se fosse qui con me.
 
Ma Jungkook non è qui. Sono ancora da sola nella stanza d’albergo, ad aspettare.
 
«Mi piace immaginarti sdraiata su un fianco sul letto, ad aspettarmi, nella tua solita posizione un po’ raggomitolata».
 
Istintivamente, infilo le mani in mezzo alle cosce, raggomitolandomi sul letto. Come se questo possa farlo arrivare più in fretta. All’improvviso, sento una lacrima scivolare giù dall’angolo del mio occhio.
 
 
*
 
 
Non è la prima volta che piango.
 
All’inizio, l’attesa nella 505 era piacevole. Era quasi un momento magico, in cui mi pregustavo ciò che avremmo fatto insieme e pianificavo ciò che gli avrei raccontato, immaginandomi già le sue reazioni.
 
Ma poi pian piano, le cose sono cambiate. Troppi pensieri hanno iniziato ad affollarmi la testa ogni volta che lo aspetto. E quando finalmente lui arriva, il tempo scivola via troppo in fretta, come acqua che scorre veloce tra le dita, e prima che me ne renda conto lui deve già andare via. Trascorro più tempo a pensare a lui di quanto ne trascorro effettivamente con lui, al punto che i pensieri e i ricordi hanno iniziato a sembrarmi quasi più reali della realtà stessa.
 
L’attesa un tempo piacevole è diventata logorante. Finché un giorno sono crollata, come un vaso che si incrina all’improvviso.
 
 
*
 
 
Guardai l’orologio e mi resi conto che stavolta la mia mente impaziente non aveva distorto la percezione del tempo. Jungkook era davvero in ritardo, e non mi aveva nemmeno avvertito. Iniziai a sentirmi lievemente in apprensione.
 
Mi alzai dal letto e andai verso la vetrata-finestra. Scostai i numerosi strati di tende e guardai fuori. Non era una zona molto frequentata, soprattutto di sera, quando era già buio. Per strada vidi passare solo un uomo di mezza età, e una coppia molto giovane che si teneva per mano. Guardai per un po’ i due ragazzi che parlavano e ridevano, illuminati dalla luce dei lampioni.
 
Poi tornai sul letto. All’improvviso sentii qualcosa – un misto di angoscia crescente e di tristezza – che mi serrava la gola e sentii come un’oppressione al petto. Iniziai a prendere coscienza di tutte le emozioni che avevo represso fino ad allora, e scossi forte la testa come per scacciarle. Scoppiai a piangere.
 
Piansi a lungo, raggomitolata sul letto, finché non mi calmai. Ero ancora stesa immobile, e mi sentivo come prosciugata, quando lui arrivò.
 
Sentii la porta che si apriva e mi tirai su dal letto di scatto per corrergli incontro. Nel vederlo lì in piedi, davanti alla porta, provai un senso di profondo sollievo e di familiarità. Gli gettai le braccia al collo e lo strinsi forte. Non appena mi staccai, Jungkook mi guardò con espressione sgomenta. Di solito lo accoglievo con entusiasmo, raggiante di felicità. Era la prima volta che mi trovava in quello stato.
 
«Ehi, ma… hai pianto?» mi chiese, con gli occhioni sgranati. «Hai gli occhi tutti arrossati».
 
«Non è niente» mormorai, abbassando lo sguardo.
 
Jungkook mi abbracciò di nuovo e mi stampò un bacio leggero sulla tempia.
 
«Ma che pensavi? Avevi paura che non tornassi più?» chiese, con un sorriso triste. «Io torno sempre, scema» mi prese in giro dolcemente.
 
«Lo so» risposi, cercando di abbozzare un sorriso.
 
Jungkook mi guardava con espressione contrita. «Sai, preferirei che tu fossi arrabbiata» mormorò a bassa voce. «Preferirei che mi urlassi contro, che mi picchiassi, piuttosto che vederti così».
 
«Ma non è colpa tua» dissi piano.
 
Restammo entrambi in silenzio.
 
Ci sedemmo sul divanetto scamosciato, e Jungkook mi raccontò brevemente della sua giornata. Io lo ascoltai, ma non gli raccontai niente.
 
Di solito, riversavamo entrambi fiumi di parole. Non avendo occasione di vederci spesso, avevamo sempre molto da raccontarci. Ma stavolta facevamo entrambi fatica a riempire quel nuovo silenzio carico di tensione.
 
Quando rimanemmo del tutto a corto di parole, Jungkook mi portò sul letto e iniziò a baciarmi con foga. Io mi aggrappai disperatamente a qualunque parte di lui mi capitasse a tiro; alla sua maglietta, alle sue braccia, ai suoi capelli. Continuavamo a toccarci freneticamente e a stringerci quasi con violenza, come se non volessimo staccarci mai più l’uno dall’altra.
 
Ben presto, mi ritrovai nuda sotto le coperte con Jungkook che ansimava sopra di me. Cercai di imprimere nella mia memoria quella sensazione sublime di essere completamente avvolta e sovrastata dal suo corpo. Lo ricoprii di baci sul viso, sul collo, su ogni centimetro della sua pelle che riuscivo a raggiungere, e mi abbandonai completamente alle sue spinte.
 
Quando crollò su di me, sfinito, aspettai con calma che si riprendesse. Dopo un po’ si spostò di fianco a me, e rimanemmo abbracciati sotto le coperte morbide.
 
«Jungkook» mormorai con voce attutita, perché avevo la faccia nell’incavo del suo collo.
 
«Dimmi».
 
«Ti ricordi quando mi hai portato al Luna Park?».
 
Ci fu un attimo di silenzio, e intuii che stava sorridendo. «Certo, mi ricordo ogni momento che ho passato con te».
 
«Una memoria di ferro, come i tuoi muscoli» scherzai, ma c’era una nota di tristezza nella mia voce.
 
Lui emise una risata sommessa, poi mi stampò un bacio leggero sui capelli.
 
«Comunque, sarebbe carino se mi portassi di nuovo al Luna Park» buttai lì, in tono poco convinto.
 
Ci fu una pausa di silenzio.
 
«Sì, sarebbe divertente» concordò Jungkook, ma non aggiunse altro.
 
Lui era Jeon Jungkook, un uomo di parola, e non faceva promesse che non poteva mantenere.
 
 
*
 
 
Da quel giorno, se qualche volta nell’attesa mi viene da piangere, mi assicuro di cancellare ogni traccia dal mio viso prima che lui arrivi. Dovrò farlo anche oggi, perché a quella prima lacrima ne sono seguite altre, e altre ancora continuano a sgorgare dai miei occhi, bagnandomi le guance.
 
 
*
 
 
Oh, when you look at me like that, my darling
What did you expect?
I’d probably still adore you with your hands around my neck
 
[Oh, quando mi guardi in quel modo, amore mio
Che cosa ti aspettavi?
Se mi stringessi le mani al collo probabilmente ti adorerei lo stesso]
 
 
«Perché è sempre così?» chiesi, alzando la voce. «Devi sempre andare via!».
 
«Sai, preferirei che tu fossi arrabbiata».
 
Ero arrabbiata, stavolta.
 
«Preferirei che mi urlassi contro, che mi picchiassi, piuttosto che vederti così».
 
Lo stavo facendo. Stavo urlando già da un po’, e gli avevo anche battuto i pugni sul petto un paio di volte, sperando che Jungkook reagisse in qualche modo. Lo stavo trattando male di proposito, come se volessi farmi odiare da lui. Come se stessi cercando di fare in modo che mi lasciasse. Perché io non riuscivo a lasciarlo.
 
«Io non ce la faccio più, Jungkook!» urlai ancora.
 
Anche Jungkook alzò la voce. «Smettila! Devo andare sul serio, adesso» ripeté per l’ennesima volta. «Ne parleremo domani quando ti sarai calmata».
 
«No, non ne parleremo domani» mi intestardii.
 
«Perché no?» fece lui, esasperato.
 
«Domani non tornerai» alzai di nuovo la voce. «Perché io non sarò più qui ad aspettarti!».
 
Jungkook mi guardò con espressione seria. «Io verrò lo stesso».
 
 
*
 
 
Quando la porta si aprì e Jungkook entrò nella stanza, spalancai gli occhi e lo guardai sorpresa.
 
Jungkook aveva un’espressione vagamente ferita, come se fosse deluso dalla mia reazione. «Perché mi guardi in quel modo?» chiese dolcemente, un accenno di tristezza nella voce. «Che cosa ti aspettavi? Non dovresti essere sorpresa».
 
«Non pensavo che saresti tornato» dissi piano. «Dopo il modo in cui ti ho trattato ieri…» abbassai lo sguardo.
 
Jungkook si avvicinò e mi poggiò un dito sotto il mento, costringendomi a guardarlo. «Ti ho detto che sarei tornato, non dovevi aspettarti altro. Mi hai solo urlato un po’ addosso, ieri… potevi fare di peggio» disse, guardandomi negli occhi. «Potresti farmi del male sul serio e io ti amerei lo stesso».
 
«Ma non me lo meriterei…» gli feci notare.
 
«Non ti meriti nemmeno questo» ribatté Jungkook accennando alla stanza, alle mie lunghe attese, e alla sofferenza che mi causavano.
 
 
*
 
 
Abbiamo litigato altre volte, ma niente sembra scalfire l’amore di Jungkook. Ha un’adorazione fin troppo ostinata per me, non vuole arrendersi. Non fa altro che ripetermi ogni volta che tornerà, e che non desidera altro che stare con me. Una di quelle volte in cui mi sono arrabbiata, però, Jungkook mi ha detto che non devo sentirmi obbligata a stare con lui. Ha detto che se questa situazione mi fa soffrire troppo, mi lascerà andare.
 
Ma anch’io sono ostinata, più di quanto dovrei. Per questo sono ancora qui. Nonostante le lacrime che continuano a rigarmi le guance, sono ancora qui, nella 505, ad aspettarlo.
 
 
*
 
 
Eravamo a cena in un ristorante, seduti ad un piccolo tavolo appartato con tanto di candela romantica al centro.
 
«Se ti dico una cosa, prometti di non scappare a gambe levate?» mi chiese Jungkook.
 
«Devi confessarmi che sei un serial killer?».
 
«No».
 
«Devi confessarmi che non ti piace la pizza?».
 
«No» ripeté Jungkook, ridendo.
 
«Allora non scappo».
 
Jungkook scosse la testa, divertito.
 
«Beh, a volte penso a noi due fra tanti anni» disse, tornando serio. «Adesso penserai che sto correndo troppo, ma è solo una fantasia che ho ogni tanto. Comunque, penso a quando ti farò la proposta di matrimonio, e mi immagino che tu risponda dicendo: “Jeon Jungkook, un uomo da sposare”» fece una pausa e sorrise. «Rispondere “sì” sarebbe troppo convenzionale per te».
 
Scoppiai a ridere, senza più riuscire a smettere. «E se rispondessi di no?» obiettai, tra le risate.
 
«Beh, allora immagino che diresti “un uomo da rifiutare”, semplice».
 
«Tu sei proprio matto» dissi, ridendo ancora.
 
 
*
 
 
But I crumble completely when you cry
It seems like once again you've had to greet me with goodbye
 
[Ma vado in mille pezzi quando piangi
Sembra che ancora una volta tu abbia dovuto accogliermi con un addio]
 
 
Ormai Jungkook potrebbe arrivare da un momento all’altro, e io sto ancora piangendo. Non posso farmi trovare così. Mi alzo dal letto, ancora tremante e con le guance bagnate, e mi dirigo verso il bagno. Cerco di non pensare più a quelle volte in cui ho pianto da sola qui dentro, a quelle volte in cui abbiamo litigato. Mi sforzo di rievocare solo i momenti felici. Ce ne sono a decine, abbiamo passato tanti di quei bei momenti insieme! Ma non riesco a calmarmi.
 
Mentre sono ancora a metà strada tra il letto e il bagno, la porta della camera si apre. Io e Jungkook restiamo immobili a guardarci per degli attimi interminabili. Le lacrime continuano a scorrere sulle mie guance, perché non riesco a tollerare l’espressione di dolore sul viso di Jungkook.
 
Lui si avvicina senza dire una parola, la faccia pallida e atterrita, e sento che le mie ginocchia iniziano a cedere. Jungkook mi afferra appena in tempo, mi fa sedere con delicatezza sul letto ed io sprofondo tra le sue braccia, mentre lui mi accarezza i capelli.
 
«Fino a quando puoi restare?» gli chiedo dopo un po’, sollevando la testa.
 
«Domattina devo andare via» dice Jungkook, a bassa voce. «Mi dispiace, io…».
 
«Non fai in tempo nemmeno a fare colazione con me?» lo interrompo, con una nota di disperazione nella voce.
 
«Devo partire presto, mi dispiace» ripete Jungkook, mordendosi il labbro. «Non voglio svegliarti la mattina, lo sai. Vado via subito, appena mi alzo, e non avrebbe senso far alzare anche te».
 
«Hai idea di quanto sia brutto svegliarmi qui da sola?» gli chiedo in tono più duro di quanto volessi, guardandolo negli occhi.
 
Jungkook non risponde. Si limita a guardarmi con lo sguardo pieno di preoccupazione, e la sua espressione è così colpevole che mi pento subito delle mie parole.
 
«Scusa, lo so che non è colpa tua» dico quasi in un sussurro, abbassando lo sguardo. Mi rendo conto che ho ancora gli occhi un po’ umidi, e mi affretto ad asciugarli con il dorso della mano.
 
«Non ce la faccio a vederti così» dice Jungkook, e anche i suoi occhi diventano lucidi.
 
«Non piangere anche tu» lo ammonisco, con un debole sorriso. «Abbiamo poco tempo da passare insieme, non dovremmo sprecarlo così».
 
«Ma io non ce la faccio» ripete Jungkook, con voce spezzata. «Voglio che restiamo insieme, ma se devi stare così male…».
 
«Lo so» lo interrompo. «Me l’hai già detto».
 
«E vuoi continuare a stare con me, nonostante tutto?» chiede Jungkook, come se non ci credesse.
 
Non so cosa rispondere. Non voglio che finisca, ma non vedo altre vie d’uscita.
 
Mentre lo osservo pensierosa, mi concentro sul suo viso. Ha lo sguardo basso, mentre si tormenta le mani in grembo, e vedo l’ombra delle sue ciglia sulle guance. Mi soffermo sulla curva dolce delle sue labbra, sulla piccola cicatrice che ha sullo zigomo. E un pensiero improvviso mi colpisce. Mi rendo conto che lui è qui davanti a me, in questo momento, e mi sento immensamente fortunata. Anche se è solo per questa sera, anche se domattina se ne sarà già andato, adesso lui è qui, e non posso che essere grata per questo momento.
 
Mi rendo anche conto che non posso fare a meno di lui. Lo desidero ardentemente, ora più che mai, e d’impeto mi slancio in avanti per baciarlo. Gli prendo il viso tra le mani, e lui alza lo sguardo, sorpreso. Poso le labbra sulle sue con decisione e lui ricambia il bacio, sento che il suo desiderio è forte quanto il mio.
 
Dopo qualche secondo, Jungkook si stacca dalle mie labbra, ansimante. «Dovremmo smetterla di risolvere le cose in questo modo» cerca di protestare debolmente.
 
Io non ribatto, ma mi chino a baciarlo sul collo.
 
Jungkook emette un sospiro. «D’accordo, come vuoi» si arrende. «Vorrei solo evitare di trovarti di nuovo in lacrime la prossima volta…» aggiunge con un filo di amarezza.
 
«L’importante è che ci sia una prossima volta» replico dolcemente. «Hai promesso che tornerai sempre, giusto?».
 
Jungkook annuisce. «Finché tu mi vorrai, io tornerò».
 
«Allora non voglio pensare a nient’altro, adesso» dico spingendolo verso i cuscini, e riprendendo a baciarlo. «Voglio solo stare con te».
 
 
*
 
 
I’m going back to 505
If it's a 7-hour flight or a 45-minute drive
In my imagination you're waiting lying on your side
With your hands between your thighs
 
...and a smile
 
[Sto tornando alla 505
Che sia un volo di 7 ore o 45 minuti in macchina
Nella mia mente stai aspettando sdraiata su un fianco
Con le mani tra le cosce
 
…ed un sorriso]
 
 
Il vento mi spettina tutti i capelli e io urlo a pieni polmoni, perché se non urli sulle montagne russe non è divertente. Sento un familiare sussulto allo stomaco quando il nostro vagone imbocca l’ultima discesa. Stringo ancora più forte la mano intrecciata alla mia, e una risata entusiasta mi risuona nell’orecchio, coperta dall’ululato del vento. Di colpo, un ricordo lontano e inaspettato si affaccia alla mia mente.
 
 
*
 
 
«Ti si è attaccato tutto alla faccia» dissi, ridendo. Staccai lo zucchero filato dalla faccia di Jungkook e lo mangiai, poi gli stampai un bacio sulla guancia.
 
«Sei tutto appiccicoso!» esclamai, fingendomi schifata.
 
Jungkook rise, scuotendo la testa. «Secondo me non è la mia guancia, sono le tue labbra ad essere appiccicose».
 
Dopo aver finito lo zucchero filato, ci fermammo davanti al banchetto del tiro a segno.
 
«Dimmi quale peluche vuoi e io lo vincerò per te» disse Jungkook, in tono sicuro.
 
Ci pensai un po’. «Quello» dissi, indicando un piccolo coniglio bianco con due lunghe orecchie.
 
Osservai il profilo di Jungkook mentre prendeva la mira, con gli occhioni attenti e concentrati. Ammirai il profilo tagliente della mascella, la curva del naso e delle labbra, la piccola cicatrice sullo zigomo.
 
«L’ho centrato! Hai visto?» urlò di colpo, girandosi a guardarmi con un gran sorriso.
 
Scossi la testa. «Non ho visto niente, mi dispiace».
 
«Cosa? Te lo sei perso?» fece Jungkook, indignato. «Ma dove stavi guardando?».
 
«Guardavo te, non il bersaglio» mi giustificai, con una risata divertita. «Non te la prendere, stavo ammirando la tua bellezza divina».
 
«Divina, addirittura…» borbottò Jungkook, abbassando lo sguardo e sorridendo timidamente. Poi si girò per prendere il mio premio.
 
«Tieni, è tuo» disse, e mi porse il coniglietto di peluche.
 
«Grazie» replicai, sorridendo felice.
 
 
*
 
 
«Sarebbe carino se mi portassi di nuovo al Luna Park».
 
Ci fu una pausa di silenzio.
 
«Sì, sarebbe divertente» concordò Jungkook. Ma non aggiunse altro.
 
 
*
 
 
Il vagone si ferma e i miei occhi mettono di nuovo a fuoco la realtà. Vedo tutti gli altri che alzano le sbarre e scendono dai vagoni. Il mio sguardo inquadra il ragazzo dai capelli neri seduto accanto a me. Mi sta guardando con un sorriso divertito, e le nostre dita sono ancora intrecciate sopra la sbarra di sicurezza.
 
«Allora, non vuoi più scendere?» mi chiede, in tono ironico. «Se vuoi compro altri due biglietti e ci facciamo un altro giro».
 
Sorrido, e scuoto la testa. «No, basta così».
 
Scendiamo dalle montagne russe e iniziamo a passeggiare tra le attrazioni e le bancarelle di cibo, tenendoci per mano.
 
«Tutto bene?» mi chiede lui, preoccupato. «Sei silenziosa».
 
«Stavo solo ripensando all’ultima volta che sono stata al Luna Park».
 
«Sembri triste… non ti sei divertita quella volta?» indaga lui con cautela.
 
«Non sono triste» lo contraddico, con un sorriso malinconico. «Ho solo un po’ di nostalgia».
 
Lui non mi fa altre domande, e io cerco di scuotermi di dosso le emozioni confuse che provo.
 
 
*
 
 
Pensare a Jungkook non è più doloroso come una volta. Non sento più quella fitta opprimente al petto, e i miei occhi non si riempiono di lacrime. Ma certe volte mi chiedo ancora come sarebbe se fossimo rimasti insieme, e sento quella nostalgia particolare che si prova per ciò che sarebbe potuto essere ma non è mai stato.
 
Certe volte, nei momenti più inaspettati, mi torna in mente Jungkook seduto nel buio della macchina, che guida verso la 505 pensando a me, e mi ritrovo a sorridere malinconica. Mi chiedo se anche lui, ogni tanto, mi immagina ancora raggomitolata sul letto della camera, ad aspettarlo.








 
Questa, tra le storie che ho scritto, è probabilmente la mia preferita. 
Ed è stata anche la più difficile da scrivere.
Dopo aver cambiato idea mille volte, ho trovato quello che mi sembrava il finale perfetto,
e spero lo abbiate apprezzato anche voi.
A chi ha ricordato, preferito e recensito la storia: grazie di cuore!
Per me (e penso per qualsiasi scrittore) è davvero importante leggere i commenti,
solo così posso sapere se sono riuscita a trasmettere quello che volevo.
E sul serio, ascoltatevi la canzone degli Arctic Monkeys! Giuro, è bellissima.
Alla prossima! ^.^
   
 
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