Un tramonto fiammeggiante sfumava un tenero rosa, scampolo degli ultimi raggi del sole, con un grigio arcigno. Dal contrastante scenario emergeva una flebile luce, che si rifletteva sul campo di battaglia e sul metallo di due armature scintillanti: una nera, come una notte senza astri, coperta in parte da un tessuto violaceo e l’altra paragonabile al mezzogiorno grazie all’oro della corazza e all’azzurro del mantello. Due spade erano quindi sguainate, entrambe gemelle delle rispettive protezioni per la diversa affilatezza e lucentezza delle lame, le quali s’incontravano in un violento matrimonio di raschi incessanti.

La giovane donna equipaggiata di luce vantava le movenze svelte di una lepre nello schivare i colpi del cavaliere oscuramente rivestito, il cui possente braccio brandiva la macabra arma muovendola in colpi semicircolari, lenti ma funesti.
Più volte i loro sguardi s’intersecarono. Quello di lui, nei momenti in cui si accingeva ad attaccare, era tagliente quanto un pugnale; quando però la radiosa guerriera riusciva a evitare uno dei suoi attacchi, esso si smussava a poco a poco studiando i suoi gesti, le maniere con cui rispondeva alle sue sortite e volteggiava fuggendo dalla morte. L’uomo abbozzò quindi un sorriso di natura indecifrabile, risoluto ma intimidatorio, per poi ricominciare quel ciclo.

Soltanto un colpo, caricato con un’energia impetuosa, riuscì a descrivere un’area maggiormente ampia creando uno scontro più aggressivo con la spada di luce, che precipitò all’istante verso il suolo arido. Alla principessa, confusa, ansimante la sua paura in respiri stremati, non fu concesso il tempo di allungare la sua mano: un affondo aprì un torrente di sangue nel suo torace.
Il viso grazioso era sfigurato da chiazze scarlatte. Le iridi comunicavano un’espressione sempre più languida. La pelle diventava talmente pallida da mostrarsi come il marmo di una statua.