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Autore: Imaginaerum    10/08/2017    1 recensioni
Dalla storia: "Qualcuno bussò alla porta d’ingresso, colpi sordi che riverberarono nel silenzio della sera. L’ora del coprifuoco era passata ed il sole aveva superato la linea dell’orizzonte già da un po’ cedendo il suo posto al buio della notte.
Hajime si irrigidì all’istante e puntò gli occhi verdi sulla superficie di legno scuro e malandato. Eccoli, non potevano che essere loro a quell’ora: alla fine erano venuti a prenderlo davvero."
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Qualcuno bussò alla porta d’ingresso, colpi sordi che riverberarono nel silenzio della sera. L’ora del coprifuoco era passata ed il sole aveva superato la linea dell’orizzonte già da un po’ cedendo il suo posto al buio della notte. 
Hajime si irrigidì all’istante e puntò gli occhi verdi sulla superficie di legno scuro e malandato. Eccoli, non potevano che essere loro a quell’ora: alla fine erano venuti a prenderlo davvero.

Della guerra al paese se ne parlava di continuo ed ignorare le notizie che giungevano più o meno quotidianamente era impossibile: tutti avevano almeno un familiare o un amico sul fronte e paura e preoccupazione erano evidenti sui volti della gente. Ma oltre questo la vita scorreva relativamente tranquilla tra le piccole case di mattoni di Hiddenlake Town: la guerra era nella mente e nei cuori di quelle persone ma non aveva davvero calpestato la loro pelle. Era un paesino fuori mano come tanti nella zona, non aveva qualcosa di particolarmente rilevante ad attirare l’attenzione ed i viandanti non giungevano quasi mai per caso tra quelle strade: se si voleva raggiungere occorreva dirigercisi di proposito. Fu un po’ per questo, un po’forse per abitudine, poiché il conflitto si protraeva ormai da un anno e sembrava quasi al suo punto di svolta, che Hajime aveva imparato a vedere la guerra più come un drammatico sottofondo delle sue giornate che come un reale pericolo. O per lo meno così era stato fino alla sera prima. Aveva ricevuto quella lettera che fuori era già buio. Lo stesso rumore sordo ed improvviso aveva riempito l’aria della piccola abitazione squarciando il velo di tranquillità che l’avvolgeva. Aveva aperto sua madre, il ragazzo in piedi alle sue spalle, e davanti alla busta bianca con il simbolo dell’esercito tesa tra le mani di uno dei due soldati non ci fu bisogno di spiegazioni: Hajime era figlio unico e suo padre era già partito un anno prima per il fronte, quella convocazione non poteva altro che essere per lui. La donna non aveva detto nulla, si era semplicemente limitata ad abbracciarlo, un abbraccio lungo, rassegnato, carico di disperazione. Sapeva di non potere nulla davanti a quel foglio bianco, come fu per il marito un anno prima, ma in quel momento avrebbe volentieri fatto sparire suo figlio fra le sue braccia. Lo aveva baciato sulla fronte prima di chiudersi nella sua camera e versare le ultime lacrime che le erano rimaste.
Il mondo di Hajime si stava sgretolando sotto ai suoi piedi ad una velocità che non avrebbe mai creduto possibile.

A Tooru non sfuggì quella reazione insolita, era seduto di fronte al ragazzo attorno al tavolo della cucina e lo guardò con aria perplessa e leggermente intimorita. In effetti era tutto il giorno che Hajime si comportava in modo strano.
Fece per dire qualcosa, ma appena qualche secondo più tardi due uomini con la divisa dell’esercito avevano occupato lo spazio del piccolo ingresso di casa: erano gli stessi della sera prima, Hajime li aveva riconosciuti.
“Iwaizumi Hajime?”. Disse quello che doveva essere il più alto di grado tra i due.
“Si”
“ Sei stato convocato al fronte per difendere la tua patria dalla minaccia nemica. È un grande onore quello che ti è stato concesso. Ti prego di seguirci e adempiere ai tuoi doveri di cittadino di questa nazione”
A Tooru cadde la tazza che stringeva tra le mani e con essa l’intero suo mondo. “C-cos, cosa?” Disse con voce stridula dopo qualche attimo di totale sgomento, con occhi grandi di sorpresa fissi sui due soldati.
Poi si volse di scatto verso il ragazzo, che nel frattempo si era alzato in piedi. Hajime era rigido, i pugni stretti e lo sguardo basso e Tooru era quasi certo di non averlo mai visto in quello stato.
 “Cosa significa tutto questo? Iwa-chan che sta succedendo?” Tooru quasi urlò, il panico che cresceva. Aggirò il tavolo e si fiondò sul ragazzo che era rimasto immobile strattonandolo per la maglietta. Quando i loro sguardi si incontrarono Tooru non ci mise molto a realizzare che quello no, non era uno scherzo. Gli occhi verdi e affilati di Hajime erano liquidi, un’espressione profondamente colpevole dipinta in volto. Voleva chiedere perdono Hajime, voleva riuscire a spiegare la situazione, voleva addirittura riuscire a rassicurare quel ragazzo che era stato sempre così energico e vitale, capriccioso e con la testa tra le nuvole, ma così fragile, sensibile, e che ora stava andando in pezzi sotto ai suoi occhi, stava soffocando, schiacciato dalla paura. Lui, che era sempre stato il più forte tra i due, almeno quello glielo doveva, ma le parole non volevano saperne di uscire fuori, gli si erano congelate in gola, bloccate, insieme al suo cuore e alla sua mente.
Non fu abbastanza rapido.
“Vengo io. Prendo il suo posto. Tanto a voi cosa cambia? Avete solo bisogno di qualcuno che faccia numero, che importa se non si chiama Hajime Iwaizumi?”. Tooru si era voltato nella direzione dei due sodati e quelli lo guardarono perplessi, prima di guardarsi a vicenda: non era mai accaduta una cosa del genere. Insomma, chi avrebbe mai voluto andare in guerra volontariamente?
Hajime invece fu preso talmente tanto alla sprovvista che non ebbe la prontezza di riflessi per rispondere in alcun modo, il cervello paralizzato e quelle parole che gli erano giunte come un’eco, che gli rimbombavano nella mente e che faticava a capire. Tutta la situazione gli stava sfuggendo drammaticamente di mano.
Fu solo quando quello che doveva essere il più alto di grado dei due annuì che Hajime si riscosse, realizzando in quel momento ciò che stava accadendo davanti ai propri occhi. “Che cosa stai facendo?” disse dopo qualche istante con un filo di voce, un sussurro stridulo appena udibile. “CHE COSA STAI FA-“
“ZITTO”. Tooru era fuori di sé. Hajime fu preso alla sprovvista per la seconda volta e istintivamente cercò lo sguardo del ragazzo, alla ricerca di una spiegazione per quella reazione, di un appiglio per salvarsi dal caos che gli era esploso dentro. Gli occhi di cioccolato di Tooru erano carichi di rabbia.
Rabbia? Perché rabbia? Era lui quello che doveva essere arrabbiato con quell’idiota che aveva sempre avuto questi colpi di testa fuori posto. Il cuore di Hajime batteva furioso: si sarebbe aspettato di tutto, ma la rabbia?
“Sta zitto, non dire nulla, non ci provare nemmeno. Tu non puoi andare a combattere sul fronte. Non ci puoi andare e basta. Non te lo permetterò per nulla al mondo. Non puoi andare…”. La voce di Tooru si era affievolita sempre di più prima di estinguersi, soffocata in quelle ultime parole. Un sospiro. Poi con un filo di voce concluse la sua frase. “Non puoi andare… perché io sono un egoista”.
Silenzio. Egoista? Aveva sentito bene? Ma che diamine stava dicendo quello stupido? Che stava succedendo? Ad Hajime parve di impazzire. Tutto stava accadendo troppo velocemente e per la seconda volta i suoi riflessi, ormai irrimediabilmente rallentati, non gli permisero di reagire in tempo.
“Si, sono egoista. Perché sto facendo tutto questo pensando solo a me”. Tooru aveva ripreso a parlare, dopo aver puntato lo sguardo negli occhi confusi e disorientati dell’amico. Amico. Ormai non era più la definizione giusta da dare a quel ragazzo che gli aveva salvato la vita. Si, Hajime lo aveva salvato quando era rimasto solo e abbandonato a se stesso, lo aveva salvato donandogli il calore di una famiglia quando suo padre era partito per la guerra e sua madre aveva preferito affogare il dolore nell’alcool. Quella fase l’avevano superata già da un pezzo, mesi prima, con il loro primo bacio.
“Preferisco partire io al posto tuo, preferisco lasciarti solo piuttosto che rimanere da solo io stesso, perché senza di te non posso assolutamente vivere. Sono egoista perché mi sto preoccupando per me e non sto pensando che anche per te potrebbe essere la stessa cosa”. Glielo disse senza riprendere fiato e senza mai abbassare lo sguardo, con una determinazione che forse Hajime non gli aveva mai visto. E si che ne aveva di coraggio e forza di volontà quel ragazzo quando si impegnava seriamente.
Gli ingranaggi inceppati nella mente di Hajime stavano lentamente riprendendo a girare, la nebbia nella sua testa si stava diradando e la consapevolezza di tutta la situazione si riversò su di lui come una valanga. Ma per la terza volta quella sera Tooru fu più veloce di lui.
“Lasciateci qualche minuto da soli. Per favore”. Lo disse ai soldati, ma i suoi occhi rimasero incatenati a quelli di Hajime. “PER FAVORE”. I due, dopo qualche attimo di esitazione annuirono. “Due minuti, non di più. Ti aspettiamo fuori”.
Il rumore della porta che si chiudeva ebbe su Hajime lo stesso effetto di una lama su un elastico troppo teso.
In un attimo si fiondò su Tooru con violenza, afferrandolo per le spalle e strattonandolo fino a fargli sbattere la schiena contro il muro. “CHE CAZZO STAI FACENDO, IDIOTA?”. Tooru lo lasciò fare senza dire una parola e senza accennare un tentativo di difesa o una qualche reazione, ma nemmeno per un attimo abbassò lo sguardo o si mostrò intimorito.
“IDIOTA, CHE STAI COMBINANDO? CHE TI SALTA IN MENTE?”.
Silenzio. Tooru continuava a fissarlo e non vacillò nemmeno per un momento. Davanti a quegli occhi del colore del cioccolato, così penetranti e decisi, alla fine il cuore di Hajime si spezzò: sotto di loro era impotente, lo sapeva bene, lo aveva sempre saputo, e, scemata la rabbia, non rimaneva altro che disperazione. Chinò la testa e appoggiò la fronte sulla spalla di Tooru, improvvisamente troppo stanco per sorreggersi da solo, troppo oppresso per resistere ancora, sconfitto. “Perché?...” disse in un ultimo sussurro, prima che la sua voce fu rotta da un singhiozzo e lacrime bollenti presero a solcargli le guance arrossate.
“Te l’ho detto, perché sono egoista. Perché senza di te non posso vivere, senza di te non sono niente e non mi resta niente. Tu mi hai salvato la vita, permettimi di fare lo stesso per te ora”.
“No. No no no no. No, non esiste, non dire cazzate, smettila, smettila subito! Non ti voglio più sent-”
“Hajime!”. Gli occhi verdi incontrarono nuovamente quelli di cioccolato. Lo aveva chiamato per nome e questo accadeva assai di rado, tanto da sorprenderlo ed interrompere il filo del suo delirio. Per la terza volta quella sera Hajime fu preso alla sprovvista. Tooru prese quel viso bagnato tra le sue mani e lo avvicinò al suo. “Ti prego, vivi, vivi anche per me. Promettimelo”.
Bussarono alla porta. Il loro tempo era scaduto.
“Promettimelo”. Disse, con maggiore urgenza nella voce, ad una distanza quasi nulla dal viso di Hajime.
Le loro labbra dapprima si sfiorarono appena, con delicatezza, quasi con pudore. Poi si cercarono con foga crescente, avide le une delle altre. Fu un bacio profondo, carico di disperazione, di abbandono, di passione. Fu doloroso e bellissimo. Fu una promessa e fu un addio.
 La porta d’ingresso si aprì per la seconda volta, un rumore di passi pesanti che si avvicinava.
“PROMETTIMELO”.
Tooru fu portato via e Hajime rimase immobile a fissare il suo corpo longilineo e quei capelli dalle punte perfettamente ondulate che si allontanavano da lui, varcavano la soglia di casa e venivano inghiottiti dal buio della notte.   
   
 
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