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Autore: GHENEA    10/08/2017    2 recensioni
"Pensi davvero di non aver scelta.
Sei convinta al cento per cento che quella sia l’unica possibilità.
E poi scopri che l’inevitabile era evitabile.
Questi sono i momenti più disperati; ti senti morire, perchè in fondo sapevi che le cose potevano andare diversamente, ma non mi sono mai spinta oltre, per paura di sbagliare o di cercare l’inesistente. Mi rendo finalmente conto di tutta la sofferenza che avrei potuto evitare, se solo non avessi avuto paura."
Rachel ha avuto una vita difficile, basata su scelte che forse non erano corrette, ma non sembra rendersene conto finché non incontra quel rompiscatole di Garfield che come un'uragano sconvolgerà lei e la sua traumatica vita.
Lei sarà in grado di accettarlo? la scelta finale la farà bene?
non vi dico altro e vi lasco a questa storia (se così si può definire).
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beast Boy, Raven, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La struttura imponente che mi si para davanti mi ha sempre creato molta soggezione. Una costruzione così imponente che al suo interno ospitava qualcosa di ancora più grande; penso che nessuno sia mai riuscito a visitare tutte le stanze della struttura, forse neanche Trevor. Non mi sono mai spinta oltre le solite tre stanze in cui stavo, perché non mi importava nulla dei segreti di mio padre; volevo solo stare da sola e fare ciò che dovevo. Se ripenso a quel periodo, vedo solo una ragazza cieca, che sperava in un miracolo per poter aiutare coloro che le stavano attorno, senza però far nulla, aspettando. Tutto il contrario di colei che ora ha appena varcato la soglia. A dire la verità non saprei descrivere me stessa ora; Sento solo rabbia e odore di sangue. È come se non fossi più una persona, o una qualsiasi entità: sono solo odio, un’ombra senza freni che non vede l’ora di ritrovare il suo corpo per ottenere la pace. Pace che forse non vedrà mai, questo è certo, ma lei è convinta che con il suo “piano” riuscirà, quanto meno, a togliersi questo sfizio.
L’ombra che ora mi sta usando, aiutando, io l’ho accolta. Mi sta sostenendo per trovare una ragione per andare avanti, nonostante apparentemente non ce ne siano; le conseguenze le ho accettate ormai da tempo e non ho più voglia di aspettare, agire mi pare l‘unica cosa che posso fare per aiutare me stessa e gli altri.
Oltrepasso le guardie che stanno all’entrata senza problemi, dato che ormai mi conoscono e sicuramente avranno ricevuto l’ordine di farmi passare. Il suono dei miei passi rimbomba in tutta la sala, ma non sembrano attirare l’attenzione della segretaria che tiene gli occhi fissi sullo schermo, finche non arrivo davanti alla sua scrivania. Appena mi nota fa un sobbalzo per lo spavento, ma non mi preoccupo di rivolgerle la parola, so già perfettamente dove andare. La sento chiamarmi da dietro, ma continuo per la mia strada, finche non sento un forte rumore di un allarme. Mi viene in mente solo ora del metal detector posizionato proprio di fianco alla scrivania, per impedire possibili minacce; deve aver percepito il metallo delle armi nella borsa, infatti un gruppo di guardie si avvicinano verso di me circondandomi e chiedendomi di appoggiare tutto il materiale. Come risposta, quando uno di loro si avvicina abbastanza gli tiro un calcio, che gli arriva sul mento, abbastanza forte da farlo cadere a terra. A quel punto il resto delle guardie partono per placcarmi, capendo le mie intenzione poco amichevoli. Ho appena dato il via ad un massacro.
 Riesco a tenere facilmente testa al resto delle guardie, schivando i loro colpi e tra salti acrobatici e colpi ben assestati, mi faccio strada tra la folla di uomini. Butto giù tutte le guardie, in quelli che saranno stati cinque minuti per poi iniziare a correre verso l‘ascensore prima che arrivino i rinforzi. Ormai il mio corpo si muove meccanicamente e non mi serve neanche ragionare sulle mie azioni; mi viene tutto naturale ed è una sensazione fantastica, terribilmente liberatoria, che mi fa provare un folle piacere. Ed ancora meglio quando entrai nell’ascensore e, aspettando che le porte si chiudessero, vidi la faccia terrificata della segretaria che tentava di mettersi in contatto con il suo capo.
Mentre l’ascensore parte e inizia a scendere, sotto terra prendo le ricariche della pistola. Entrare era la parte più facile, ora che sanno che posso essere una minaccia, faranno di tutto per rendermi innocua, ma sono degli sciocchi se credono di poterci riuscire, se credono di potermi fermare con il semplice utilizzo di qualche uomo più robusto del solito; Se per ora sono stata magnanima ora non mi farò scrupoli: se devo sporcarmi le mani di sangue, così sia. Continuo a scendere per circa dieci piani e sebbene il percorso fosse ancora lungo, il mezzo si blocca; come immaginavo hanno bloccato l’ascensore per evitare di avere problemi. Sento dei passi avvicinarsi, mentre dei colpi di proiettile tentano di passare il metallo delle porte. Capendo che così non funziona, aprono usando le maniere forti;
primo colpo, carico la pistola
secondo colpo, punto verso la fessura
terzo colpo , si apre definitivamente e sparo.
Inizia una tempesta di proiettili che riesco ad evitare. Abbatto la prima linea e scavalco con un salto la seconda evitando i colpi del nemico; prendo velocemente la mira e sparo alle gambe dei miei aggressori, che non fanno che aumentare. Intanto corro, con l’adrenalina a mille, verso quell’intrinseco di corridoi, ormai troppo familiari. Diverse guardie tentano di acciuffarmi, ma senza troppa difficoltà le schivo e procedo. Intanto l’area si illumina di luci rosse, segno che un intruso è entrato e stanno per bloccare tutte le porte: devo sbrigarmi, dannazione.
 Arrivo alla prima porta meccanica per passare nell’area privata del piano; dopo quella dovrò prendere le scale di servizio per scendere, dato che hanno bloccato tutto. Sono praticamente davanti alla porta che ha già iniziato a chiudersi, mentre le guardie dall’altro lato mirano contro di me per impedirmi il passaggio; seguo il loro esempio e sparo alla prima linea, mentre oltrepasso con un salto la porta, che mi si chiude alle spalle. Sparo tre proiettili ai tre uomini che tentavano di bloccarmi il passaggio, che cadono a terra senza troppi complimenti. Le scale si trovano a circa una quarantina di metri da qui e noto con sorpresa che le guardie sono tutte sparite ora. Mio padre le avrà chiamate davanti al suo ufficio, capendo il mio obbiettivo;immagino che se lo aspettasse di questa mia violenta reazione. Quel codardo, non ha neanche il coraggio di affrontarmi.
 Arrivo dalle scale, senza fermarmi un attimo, e le scendo fino alla fine della terza rampa, sempre senza nessuno dietro. Mi fermo un attimo davanti alla porta, capendo che appena aprirò, sarà difficile sopravvivere, prendo allora il pugnale e me lo metto in bocca in modo da poterlo afferrare facilmente in qualsiasi occasione; sento però la paura tornare, ma la rinchiudo nella parte più profonda di me ricordandomi chi siamo venuti a salvare; è difficile poter dire cosa accadde dopo: sentivo quasi delle corde allentarsi e una forte sensazione di calore, percorrere tutte le mie vene in ogni centimetro del mio corpo. Il ghiaccio per qualche secondo si è sciolto e l’ossigeno è tornato a girare regolarmente; la nebbia nella testa, è sparita e ora non faccio altro che pensare a tutto quello che ho passato da quando l’ho conosciuto: il primo incontro, quando lo vedevo come una minaccia per me, quando mi ha salvato e portato a casa sua, proteggendomi; quel giorno non potevo immaginare che mi avrebbe aiutato ancora tante volte. Oppure quando mi portò fuori e quello che doveva essere una cena veloce si è trasformata in un’avventurosa serata, dove ho dovuto lottare gratuitamente per salvare il culo a tutti e due, anche quando ha tentato il suicidio lanciandosi contro quell’ammasso di carne per aiutarmi.  Ricorderò per sempre la bellezza di quel giardino e di quello che stava per accadere, di come i suoi occhi mi hanno intrappolato e di come l’ossigeno non riusciva a passare a causa della nostra vicinanza; i fuochi d’artificio e le stelle che dall’alto ci osservavano incantanti e di come lui mi guardava il giorno del mio compleanno. E quel bacio, quello che non m si cancellerà mai dalle labbra e tutti quelli che volevo lasciargli ancora; quel momento di stacco dalla ma vita, dove mi sentivo trasportare in un mondo trascendente dove c’èra l’assoluto nulla. Ricordo il rumore delle onde che si mischiavano ai suoi sorrisi e all’odore del mare che sembrava intrappolato nelle sue iridi, quante volte mi sono persa in quegli occhi cercando la sua vera anima, pensando che nessuno potesse essere così felice; rimasi scioccata nello scoprire che era tutto lì, davanti a me; non c’èra nulla da scoprire, nulla da cercare. Il vero Garfield l’ho sempre avuto davanti ed era proprio come si mostrava, nonostante le grandi difficoltà che aveva dovuto affrontare. Era proprio questa sua trasparenza, questo suo essere sempre lui che mi ha fatto perdere la testa, ed è sempre per lo stesso motivo che ora sono qui, con una mano sulla maniglia, una sulla pistola già ricaricata e un pugnale in bocca, per portarlo via e allontanarlo da quello che è la mia vita incasinata.
Ritorna l’ombra di prima e ritorna la ferocia; senza più esitare apro la porta e apro il fuoco. La stessa cosa fanno i miei avversari, che proteggono l’ingresso dell’ufficio di mio padre; a quanto pare è convinto di riuscirmi a fermare in questo modo. Nonostante il grande numero di guardie riesco a metterne al tappeto circa la metà, ma no ho più ricariche; passo quindi alle maniere forti: afferro il pugnale con la quale ferisco e disarmo i primi due che mi vengono addosso; continuo così procedendo a passo svelto, continuando a far fuori sempre più soldati, inoltre sembra che non ci siano più rinforzi e il numero diminuisce sempre di più. Affondo il pugnale nello stomaco di uno, mentre con un calcio allontano un secondo che stava provando ad afferrarmi. Il problema è che questi sono più robusti dei primi che ho affrontato quindi ci vuole più tempo ad atterrarli, evitando di ucciderli. Infatti solo dopo una decina di minuti riesco a atterrare anche l’ultimo soldato, lasciando la via tra me e quella porta, sgombra. Misi via le pistole e nascosi il pugnale, in modo da tenermi un’arma di riserva con me. Attraversai in fretta il breve tratto di corridoio e aprì con forza la porta di metallo che sbatté furiosamente contro il muro. Il suo ufficio è come al solito terribilmente vuoto; nulla era fuori posto, era tutto gelido come l’anima del proprietario e una forte luce, proveniente da un moderno lampadario d’ha un senso di innaturalezza al vano. Le pareti spoglie e la scrivania in legno sono le uniche cosa sulla quale puoi concentrare la tua attenzione, e di fianco a quella scrivania, intento a sfogliare fogli di vario tipo, vedo lui. Appena varco del tutto la soglia i suoi occhi neri mi puntano, con una luce minacciosa nello sguardo .
“hai fatto in fretta vedo”
Si alza dalla poltrona in pelle nera e sistema i fogli che prima concentravano il suo interesse, mentre io tento di sopprimere la voglia di saltargli addosso e tagliarli la gola. Stringo il pugnale, nascosto nella manica destra, ma prima di poter fare qualsiasi altra cosa lui mi mostra un telecomando con vari pulsanti colorati.
“una sola mossa falsa e mando l’ordine a Tara di ucciderlo”
Non un’emozione, neanche una vaga forma di espressione rivela il suo volto. Rimane immobile a fissarmi, mentre sostengo il suo sguardo; non sono mai riuscita a sfidarlo in quel modo: ogni volta i suoi pozzi scuri avevano la meglio su di me, ora però non ci sono io a guardarlo, c’è quell’ombra, quell’altro lato di me stessa che nessuno dovrebbe conoscere. Allento la presa sul pugnale e lui posa il telecomando, ma nell’aria si percepisce una forte tensione.
“devo dire che avresti anche potuto evitarti di uccidere tutti i miei uomini migliori”
Tira fuori da un cassetto una bottiglia di vino e un bicchiere, nella quale versa il liquido rosso.
“non sono morti, gli ho solo tramortiti”
Tengo a precisare questo fatto, mentre mi avvicino leggermente alla scrivania, così facendo lui si sposta verso il telecomando. Devo scoprire dove lo tiene nascosto, ma anche se lo sapessi e provassi a salvarlo, nel tempo che impiegherò per raggiungerlo, lui sarà già morto.
“cerchiamo di non perdere troppo tempo, ho un volo da prendere tra meno di mezz’ora”
Posa il bicchiere e prende sempre i medesimi fogli, per poi porgermeli insieme ad una penna. Mi sento con le spalle al muro e non riesco a farmi venire un’idea. Se provo ad avvicinarmi Gar muore, e avverà la stessa cosa se provo a scappare per cercarlo. Tutte questa fatica, quindi, per niente? Perche non riesco mai ad averla vinta su di lui?!
“andiamo Rachel, non hai altra scelta e lo sai”
Mi avvicino per prendere i fogli e la penna; se mi metto a leggerli tutti avrò del tempo per pensare a qualcosa, ma prima che possa iniziare sento la porta aprirsi alle mie spalle e vedo la figura dell’ultima persona che mi sarei aspettata di incontrare qui.
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Poco distante dal palazzo, per essere precisi proprio davanti, una lussuosa automobile nera era parcheggiata, in attesa della discesa dei passeggerei. Uno di questi sembrava occupato in una telefonata molto vivace, mentre l’altra era concentrata ad esaminare attentamente l’entrata dell’edificio. Proprio a quest’ultima, non sfuggi il fatto che improvvisamente gli uomini di guardia all’entrata, si erano dileguati all’interno, armati di pistola.
“Kori ti ho già detto che non è colpa tua, Rachel è convinta che suo padre mi abbia catturato e ora è da lui per tentare di aiutarmi”
Questa frase era stata ripetuta chissà quante volte dal biondo, nei confronti dell’interlecutore che sembrava sempre più agitata.
“sono troppo preoccupata, dovevo semplicemente tenerla d’occhio e non ce l’ho fatta; come posso aiutarla se non riesco neanche a proteggerla?”
Il giovane si porto una mano sulla testa, massaggiandosi le tempie ormai stufo di sentire la ragazza incolparsi di colpe assurde.
“Kori possiamo ancora aiutarla, ma tu adesso devi calmarti e ascoltarmi bene”
Portando al termine quell’infinito discorso di depressione, la ragazza dall’altro capo del telefono sembra recuperare il senno e si concentra attentamente sulle parole dell’amico.
“cosa devo fare?”
Risponde lei in tono serio e deciso.
“adesso ti manderò un numero di telefono, che dovrai chiamare non appena finiremo questa chiamata: si tratta di mio zio, digli che Rachel è da suo padre e che è il caso di attivare il piano immediatamente. Presentati pure come mia amica ed esegui tutte le sue istruzioni, dovrai fidarti ciecamente; va bene?”
Anche l’attenzione di Garfield era aumentata, come lo stress. Avevano programmato mosse e contromosse, ma di certo non era pronto psicologicamente ad un inizio così immediato. Sperava solo che le cose sarebbe andate per il verso giusto, nonostante sembrasse che ci volesse un miracolo.
“Kori ho bisogno del tuo aiuto per salvare Rachel e me, devi dire a mio zio dove sto andando e poi chiama gli altri e aggiornali della situazione, abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile”
Parole terribilmente vere, neanche lui sapeva cosa lo aspettava varcata quella soglia, ma la speranza di poter aiutare Rae era così forte che cancellava ogni tipo di preoccupazione.
“Gar, dobbiamo andare, sta succedendo qualcosa lì dentro”
Per la prima volta dopo l’inizio di quella telefonata Tara parlò e recupera l’attenzione del ragazzo verso il palazzo. Non sapeva con chiarezza le motivazioni del suo aiuto, ma capiva che era sincera e che le sue intenzioni erano buone.
“Kori ora devo andare, ti mando il numero di telefono; mi raccomando deve essere la prima cosa che fai dopo questa chiamata”
Mentre la chiamata stava per concludersi, sentì le flebili parole della ragazza che lo salutavano.
“stai attento Gar”
Dopo aver schiacciato il tasto rosso  sullo schermo del cellulare, si assicurò che il numero sia arrivato all’amica, per poi spegnere definitivamente il telefono, consapevole che ora non ne avrà più bisogno. Garfield si volta verso la bionda facendole capire che è pronto, nonostante la grande paura.
“le guardie si sono allontanate dalla loro postazione e non sono più tornate”
“sicura che sia per via di Rachel? Magari non è ancora arrivata”
Indica con l’indice fuori dal finestrino, verso una fantastica moto nera parcheggiata proprio davanti a loro, nonché affianco alla porta d’entrata.
“quella è la sua moto, la usa di rado, ma mi pare che questa fosse una motivazione più ce valida”
Osservo il veicolo; non avevo idea che Rachel guidasse e mi chiedo perché non me l’abbia mai detto, ma in effetti non c’è ne mai stata occasione. Apro la portiera e ancora un po’ titubante esco dall’auto seguito da Tara che sempre silenziosamente osserva l’ambiente circostante.
 “non dobbiamo essere avventati, è proprio quello che si aspettano; raggiungiamo la sala controllo, lì c’è una guardia che controlla le telecamere di sicurezza che ci possono venire utili”
Attraversiamo la strada ed entriamo nella struttura senza difficoltà. Davanti alla porta di vetro c’è un’ampia scrivania in metallo, dello stesso grigio freddo delle pareti. L’unica nota di colore differente lo dà il pavimento in marmo scuro, il resto libera un’aura di solitudine impressionante. Appoggiata al bordo della scrivania c’èra una donna sulla quarantina, alta, magra e con uno sguardo terrorizzato che cercava di riprendersi annaspando. Corro verso di lei per chiederle se avesse bisogno di una mano, ma Tara mi ferma prima che possa muovere un passo e mi trascina dietro la scrivania dove vedo cosa ha sconvolto tanto la donna:  i grossi uomini che stavano a guardia della porta erano sdraiati sul pavimento, inerti e delle chiazze di sangue si propagavano intorno a loro.
“dobbiamo chiamare il 911!”
“non ora, ci penserà la segretaria e non preoccuparti non moriranno; Rachel non è più quella di una volta non ucciderà nessuno che non sia suo padre”
Un po’ stupito che quel casino sia opera di Rachel, annuisco e seguo la ragazza verso l’ascensore senza farci vedere dalla segretaria; ascensore che però non c’è. Vedo la faccia di Tara irritata e la sento lanciare una seri di imprecazioni, per poi seguirla correndo verso le scale di emergenza. Scendiamo un paio di rampe senza fiatare, sperando che sappia dove andare. Si ferma davanti ad una porta verde antincendio con sopra scritto un quattro in grassetto nero, proprio a fianco la scritta: “sale controllo”, nello stesso modo della precedente. L’ansia è sempre maggiore e aumenta mentre vedo la bionda che fruga nella tasca della sua giacca e ne tira fuori due pistole, di cui una la porge a me.
“tieni, ti servirà”
“non ho intenzione di sparare a degli innocen-“
“non ho detto che dovrai usarla per forza” mi interrompe lei, “solo che ti sarà utile”
Vedendo il mio sguardo un po’ titubante, la carica e poi me la riconsegna.
“se vuoi salvare la tua ragazza è il caso che tiri fuori le palle, perché oltre questa porta non ci sarà nessuno che ti regalerà torte alle mele, chiaro?”
La guardo imbronciato, un po’ offeso anche, ma non ho il tempo di risponderle che lei ha già aperto la porta; mi fa segno di stare fermo, mentre sento un forte colpo e un proiettile che per poco non la sfiora. Per rispondere alla minaccia la vado sparare un colpo secco che butta al tappeto l’uomo che prima ci aveva attaccati.
“visto?”
Non le d’ho il tempo di dire altro perche, nell’esatto momento in cui lei stava per farsi di nuovo beffe di me, un’altra guardia era arrivata ad aiutare il suo compagno, e avrebbe fatto fuori Tara se non avessi agito di istinto e non mi fossi gettato addosso al tipo colpendolo alla testa con il grilletto della pistola, abbastanza forte da tramortirlo.
“chi è che non ha le palle?”
Le chiedo con sguardo spavaldo; sono così preso dal momento di vittoria che caccio urlo di  gioia; un gesto quasi istintivo.
“woooooo!”
Tara mi prende per il colletto della maglia e mi butta per terra, imprecando, di nuovo, in varie lingue.
“ma sei deficiente! Se ci vuoi far scoprire fai prima a correre in giro con delle bistecche legate addosso!”
In effetti non è stata una delle mie idee geniali, ma ero preso dall’enfasi.
“muoviamoci, gli altri non ci metteranno molto a capire che ci sono altri estranei”
Mi lascia andare e tento di rialzarmi mantenendo un minimo della virilità che mi rimaneva. Percorriamo un lungo corridoio, scartando un paio di porte alla volta; non capisco come ci si possa orientare in un labirinto del genere e credo che Tara pensasse lo stesso perché prima di deciderci ad entrare passammo già due o tre volte davanti alla stessa porta. Dopo il quinto avanti e indietro, afferra la maniglia con decisione. L’ardore nel suo sguardo e la convinzione con la quale apre la porta è tale da farmi restare di stucco, quando mi rendo conto che ha appena trovato il ripostiglio. La guardo un attimo confuso e noto il leggere rossore sulle gote. La mano è ancora attaccata alla maniglia, mente per poco una scopa non le cade addossi, rischiando di investire anche me.
“ammetto che dopo aver visto le moto, le armi e il design di questo posto, non mi aspettavo che tenessero le telecamere dentro il cesto dell’acqua sporca; almeno ogni inserviente potrà sapere quale bagno pulire per primo”
Lei non sembra appezzare la mia battuta, si limita a chiudere con forza la porta e spostarsi a quella di fronte. questa volta ci azzecca, ma avrei preferito un altro straccio in testa che la quantità di uomini armati che occupavano la sala. Erano solo tre, lo ammetto, ma ne valevano il doppio. Stavo già pensando ad un possibile piano d’attacco, ma Tara mi precede: con la pistola spara nelle direzioni delle gambe e i tre colossi cadono a terra come dei sacchi di patate, tirando delle urla raccapriccianti. Per farli tacere inoltre li colpisce alla testa, più o meno come feci io dieci cinque minuti fà.
“guarda nella schermata quindici, dovrebbe essere quella che controlla l’ufficio di Trevor”
Mi si para davanti una parete completamente tappezzata da mini televisioni, tutti che danno un’immagine diversa. Ognuna di queste segnerà una telecamera diversa ma questo vuol dire che ce ne saranno più di duecento; come fa una persona a controllarle tutte?
Mentre Tara lega i tre uomini io cerco la quindicesima schermata; l’immagine che mi si para davanti mi blocca il respiro: Rachel è seduta su una sedia di legno, che legge dei documenti mentre suo padre e un uomo che so di aver già visto conversano tranquillamente. La mente mi si annebbia un po’ quando riesco a scorgere il volto dello sconosciuto; un forte senso di tradimento mi pervade. Mille domande mi si formano nella testa. Che cosa ci fa Logan con il padre di Rachel?!
“va tutto bene?”
Mi chiede Tara, da dietro, ma non riesco ad articolare la risposta; Quel farabutto, quella sera ha avuto la prova che aspettava, ha capito che potevo essere usato come esca per attirare Rachel, per colpa mia ha scoperto i suoi punti deboli solo per quel mio stupido momento di debolezza.
“lui è Logan Hide, un bastardo di strada in cerca di denaro facile; anni fa lavorava con Trevor, ma dopo aver ottenuto una cospicua quantità di denaro da qualche colpo in banca, ha lasciato la famiglia mafiosa per allontanarsi. Quello sarebbe capace di vendere sua madre per una manciata di dollari, un uomo spregevole, ora ho capito come Trevor è venuto a sapere della tua esistenza”
La guardo confuso e capendo torna a spiegare.
“Rachel e Arella hanno fatto di tutto per coprire l’identità di te e gli altri vostri amici, per tenervi al sicuro; perfino io non sapevo della tua esistenza fino a qualche tempo fa quando me lo disse lei stessa, ma giurai di non parlarne ad anima viva e così feci. Quando oggi mi hanno chiesto di venirti a rapire ero confusa, perchè sapevo che oltre me e Rachel non sapeva nessuno la vostra vera identità”
Non riuscivo a crederci; come ho potuto essere così ingenuo!
“quando incontrammo Logan, conoscemmo anche un certo Morgan, ti dice qualcosa?”
Vedo il suo volto incupirsi e le nocche delle sue mani sbiancano, per via della forte pressione.
“lavora per Logan; gli deve molti soldi che non ha, e finchè non li trova è costretto a fare la parte più sporca dei suo colpi. È, diciamo, un caro amico”
Percepisco dell’imbarazzo nella sua voce, ma non indago oltre perche i miei occhi mi obbligano a guardare tutt’altro scenario. Nella quindicesima schermata, la figura della corvina si è alzata con furia e sta provando a saltare addosso a suo padre, ma senza che la sua figura si scomponesse, viene salvato da Logan che blocca Rachel tenendola per le braccia; lei si ribella alla sua presa e sembra che dica cose poco carine all’uomo in smoking. Sembrava guardare un’animale selvatico lottare per la sua libertà, ma prima che possa ulteriormente continuare a sbraitare, le arriva addosso un pugno da parte di Trevor. La potenza del colpo fa girare di scatto il volto della ragazza. Dalla telecamera non si vedeva chiaramente, ma Garfield  dentro di se sapeva, che quello che colava dal suo naso era proprio sangue. Sembrava capace di sentirne l’odore e un forte senso di nausea gli venne addosso, ma fù tutto coperto da tutt’altro perché a quel punto capì che era troppo da sopportare. Anche le sue nocche sbiancarono e la rabbia saliva senza controllo; sentiva il risveglio di una belva nel so corpo, qualcosa che è rimesto chiuso in lui per troppo tempo e alla vista di quel liquido rosso aveva ormai perso il controllo; sentiva di aver provato una cosa del genere anni or sono, dopo la morte dei suoi genitori, solo che qui invece di essere armato di un peluche - con la quale colpì più volte lo zio preso dall’ira- aveva una pistola e improvvisamente seppe come usarla.
“dove si trova”
Nemmeno lui riconobbe la sua stessa voce e anche Tara pareva pensare lo stesso. La sentiva titubante, ma non riusciva a fare altro che fissare, preso dalla collera, quella schermata.
“quindicesimo piano, l’ultimo a cui puoi scendere”
La voce le tremava, ma prima che potesse ascoltare la fine della frase era già partito verso le scale di servizio; la pistola era carica e sapeva bene a chi avrebbe dovuto puntarla.
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Vidi Garfield sparire oltre alla porta e i muscoli iniziano a rilassarsi; non so che cosa sia scattato nella sua testa, ma sicuramente non era nulla di buono. La sua voce mi quasi paralizzato; improvvisamente un forte senso di paura mi aveva congelato, mentre nel suo sguardo era nata una luce terribile. Inoltre sembrava che stesse accadendo la stessa a Rachel. Con i capelli attaccati al viso per via del sudore, e il sangue che colava dalle narici, uno sguardo spaventoso inondò il suo volto. Per quelli che sembravano attimi interminabili vidi lo scambio di sguardi tra Trevor e la ragazza e per la prima volta, da quando l’ho conobbi vidi, in quei gelidi pozzi neri, un tremore; era live, questi impercettibili, ma c’è stato e questo voleva dire solo una cosa: Trevor Roth aveva paura. Anche Rachel sembrava essersene accorta, per questo un lieve sorriso affioro tra le sue labbra, ma non vedevo nulla di umano il quel volto. Leggevo rabbia e soddisfazione e prevedevo una terribile piega degli eventi.
 Con una forza brutale Rachel tirò un calcio negli zibedei di Logan, che per via del dolore mollò la ragazza e si accasciò  a terra. Lei salta addosso a Trevor che tentava di schivare i colpi della figlia, ma presto si trovò con le spalle al muro. Vedevo che con le mani cercava di arrivare ad un vaso lì vicino, mentre la figlia gli si avvicinava con il pugnale tra le mani. Non era in sé, si vedeva dal suo sguardo vuoto. Il pugnale entra in contatto con la gola di Trevor, che sta tentando in tutti i modi di togliersi la figlia di dosso, ma senza risultato; la vedo sussurrare qualcosa all’orecchio del padre e prima che possa tagliarli la gola il muro alle spalle dell’uomo si apre, dandogli una via d’uscita; Rachel lo segue e io li perdo dalla visuale della telecamera.


ANGOLO AUTRICE
salve signori, lo sò non mi faccio viva da un pò, ma ora come ora sono presa dalla revisione dei vecchi capitoli e contemporaneamente sto scrivendo quelli nuovi: abbiate pietà di me, se ancora ci siete.
bando alle ciance sappiate che nel prosimmo capitolo prevedo sfaville, inutile dire che non ho la più pallida idea di quando uscirà. vi ho voluto bene comunque, se avete qualche cosa da farmi sapere (eccetto minacce di morte), i'm here!
sappiate inoltre che presto cambiero il mio nome, quindi non spaventatevi, sono sempre io.
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