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Autore: belongtomusic    10/08/2017    0 recensioni
Quando aveva accettato l’invito di Jacopo a quella serata alternativa, Cecilia non credeva che sarebbe successo davvero, proprio a lei, che fino a poco tempo fa la sua vita era monotona, un continuo susseguirsi di gesti meccanici, che si ripetevano ogni giorno.
Ed invece la stava baciando, sotto a quel palchetto di una band tribute dei Metallica, di un venerdì sera afoso di agosto, accerchiati da gente ubriaca e fomentata che scuoteva i capelli – a volte fuori tempo, a detta di Jacopo- ad ogni nota della chitarra o del basso.
La canzone non era nemmeno romantica, non sapeva nemmeno il titolo – non sapeva nemmeno perché avesse accettato l’invito, a dir la verità- ed il bacio sapeva di birra fruttata, quella che stava bevendo Jacopo. Tutto ciò sembrava squallido nell’insieme, ma a Cecilia sembrava perfetto, tanto da riuscire a sentire i brividi nonostante il caldo afoso.
Ma sapeva che era sbagliato, lei era già impegnata e proprio con il migliore amico di Jacopo, Simone.
Genere: Angst, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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NIENTE CANZONI D’AMORE
                                                                                                                               Marracash ft Federica Abbate


 
«Sono quello che ti uccide e poi piange per te
ma anche l’unico che ti legge il pensiero, fottevo, non nego più
e sotto sotto tu sei una bandita come me»
 
 
È il cliché più banale del mondo, eppure eccola lì, caduta proprio dentro quel cliché che diceva di odiare. Era seduta sul letto, con il caos nella testa e continuava a maledire quel piccolo lavoro apparentemente innocuo che si era trovata per arrotondare le sue spese a fine mese. Quel lavoro è stato un sollievo ed una condanna a pazzia certa allo stesso tempo.
Sì, perché la “Stazione Vecchia” non era un semplice bar, ma un covo di matti, casi umani e forse tesori nascosti – ma molto nascosti- sotto qualche birra Peroni.
Voleva tornare indietro, rifiutare quel lavoro e mai mettere più piede in quel posto infernale, ma allo stesso tempo voleva rimanere, un po’ per masochismo o un po’ perché riusciva anche a divertirsi insieme a quei matti.
Ma è proprio lì che ha conosciuto la sua rovina: Jacopo.
Il bar “Stazione Vecchia” faceva parte dell’hotel, dove vedeva il portiere – una ragazza dolce tanto quanto stronza, della sua stessa età – con cui legò dalla prima mattina che Cecilia fece la sua prima apertura in itinere.
Facevano colazione insieme, alle 5:30 di mattina, mentre Cecilia sbrigava la routine di apertura tra uno sbadiglio e l’altro, e stavano insieme fin quando non arrivava il gestore dell’hotel che la mandava a casa.
Olga – il portiere – faceva le notti tutti i giorni, eccetto il venerdì e la domenica in cui riposava.
Il giorno che Cecilia conobbe Jacopo fu quasi felice che doveva vederlo solo due volte a settimana. Le aveva fatto una brutta impressione, con il suo sguardo che sembrava volerle leggere dentro e quell’aria da spavaldo.
Ogni volta che Cecilia lo vedeva era sempre accompagnato con il suo migliore amico, Simone. Un ragazzo apparentemente tranquillo e che utilizzava decisamente troppo profumo per i suoi gusti.
Facevano qualche battuta, ridevano tra di loro, e Cecilia sorrideva per cortesia, ma nella sua testa voleva che sparissero. Ci mise un po’ per dare confidenza ad entrambi, e scoprire che infondo erano tipi simpatici e si fermava a parlare con loro anche dopo la chiusura del bar, fuori dall’hotel.
Verso le 21 di una domenica sera i clienti – che per lo più erano anziani e gente del posto- erano tornati a casa, Cecilia si stava preparando alla chiusura ma Jacopo la interruppe, sedendosi davanti al bancone, guardandola.
Lei sorrise, decisamente a disagio, e da lì capì che era un pelino attratta da lui, per quanto voleva rifiutarlo. Inizialmente le parlava con le frecciatine, suo modo di fare, che lo diverte molto. Agli inizi Cecilia accusava i colpi, ma con il tempo aveva imparato a rimandarle al mittente, zittendolo. Con le chiacchierate fuori l’hotel aveva scoperto che era un tipo decisamente troppo lontano da lei. Studiava giurisprudenza, lei economia. Aveva sempre qualche litro di birra in corpo, lei era già tanto se riusciva a mandare giù un bicchiere di acqua liscia. Aveva la passione per i Metallica, a lei piaceva John Mayer. Lui faceva le cinque di mattina ogni sera, lei aveva il coprifuoco alle 23. 
Più scopriva Jacopo, più sapeva che doveva correre lontano.
Ma poi piombò Simone, che le stava ronzando attorno da un po’ – anche se Cecilia ci mise un po’ a capirlo – che le chiese di uscire.
Uscirono più di qualche volta insieme, era piacevole, si divertiva, ma non riusciva completamente a dedicarsi al ragazzo che le stava accanto. Simone parlava spesso di Jacopo, dato che si conoscevano da una vita, raccontandole di tutto, e più le raccontava di Jacopo e più distruggeva la persona che lei si era immaginata.
Ma era anche un problema, perché tutto questo non faceva altro che aizzare l’interesse per Jacopo.
 
Passavano i giorni, aumentavano le uscite con Simone – tra cui i suoi amici, compreso Jacopo- e Cecilia era sempre più confusa, era diventata la ragazza di Simone, ma lei non sapeva ancora da che parte stava.
Chi poteva scegliere? Ma infondo non ha avuto scelta. Jacopo non le ha mai fatto intendere nulla, né particolare interesse nei suoi confronti, né le ha mai chiesto di uscire, al contrario di Simone.
«Forse sapeva che interessavi a Simone, ed essendo come fratelli lui gli ha lasciato carta bianca!» le aveva detto Alessandra, la sua migliore amica. E Cecilia per tutta risposta rise di gusto.
Si può scegliere qualcosa che già ti ha scelto?
E poi venne quella mattina, dove Cecilia era arrivata allo stremo dopo l’ennesima litigata con il proprietario, dove lo aveva chiamato per telefono comunicandogli il suo licenziamento.
Piangeva, perché aveva trattenuto le lacrime per troppo tempo, il bar era vuoto quindi poteva approfittarne.
Ma poi arrivò Jacopo, che subito cambiò espressione in volto, e lei voleva quasi abbracciarlo. Le disse parole che le fecero cadere altre lacrime per quanto dolci a suo modo.
Appena tornata a casa Cecilia pianse di nuovo, pensava a Jacopo e come sarebbe stato bello abbracciarlo, toccargli i capelli arruffati quando la mattina lo svegliava per l’apertura del bar, baciargli le labbra morbide, toccargli le vene sporgenti delle mani, che risalivano fin sopra l’avambraccio.
Cecilia voleva Jacopo, lo voleva fin dall’inizio, lo voleva quando un sabato sera Jacopo le ha messo tutte le sue canzoni preferite inconsapevolmente, lo voleva quando l’ha consolata, lo voleva quando un giorno in piscina le è rimasto accanto perché lei non sapeva nuotare, lo voleva quando le buttava l’immondizia del bar al posto suo, lo voleva quando lui versava la birra e il primo bicchiere lo offriva a lei, lo voleva quando si era complimentato per il suo tiramisù in occasione di una cena tra amici. Lo voleva quando Jacopo guardava disgustato le effusioni che si scambiavano Cecilia con Simone. Lo voleva e basta. Era sicura.
 
Quel venerdì sera – quasi una settimana dopo il suo licenziamento- sembrava come tutti gli altri, si stava preparando per uscire con Simone e Jacopo, ma alla fine Simone avvertì che non poteva venire, causa il suo nipotino di 4 anni.
«Andate voi. Jacopo ti passa a prendere per le 21:30, noi ci sentiamo dopo! Fate i bravi.» Queste furono le ultime parole di Simone prima di chiudere la telefonata. Cecilia cominciò a sudare freddo, ma non per il caldo stavolta.
Avvisò la sua migliore amica, che stava ridendo maliziosamente dall’altra parte del telefono e corse a farsi un’altra doccia, voleva essere bella.
Arrivarono in quel pub pieno di motociclisti tatuati e dall’aria poco affidabile, da lì a poco si sarebbe esibita una band tribute dei Metallica, e dato che Jacopo andava pazzo per i Metallica l’aveva praticamente costretta ad andare.
Dopo aver parcheggiato, e dopo aver infilato le chiavi della macchina di Jacopo dentro la sua borsa si incamminarono verso il pub strapieno, ed è lì che Jacopo le si avvicinò «stammi vicina, conosco questo posto, non c’è bella gente.» Cecilia non fece in tempo ad elaborare quelle parole che lui le prese la mano. Boccheggiò, non riuscì nemmeno ad annuire con la testa.
Jacopo sembrò soddisfatto.
Cecilia si sentiva totalmente fuori luogo, con il suo vestitino a fiori ed i sandali neri, lontana dagli anfibi e leggins di pelle di tutti gli altri.
Jacopo la guardò scrutandola, mentre attendevano il loro turno per chiedere una birra, aveva un’aria divertita ma allo stesso tempo tenera, nel frattempo aveva allentato la presa della mano, «ti senti a disagio?» le domandò.
Lei annuì, abbassando lo sguardo «non devi, in effetti qui dentro stoniamo io e te, ma sticazzi
Cecilia rise, e forse arrossì.
 
Si vergognava di non conoscere nemmeno una canzone, si era promessa di ascoltarle una volta tornata a casa. In compenso si godeva della vista delle persone che si divertivano, scuotevano i capelli e urlavano insieme al cantante.
Compreso Jacopo, era una visione per lei vederlo cantare, battere il piede e muovere la testa al tempo di musica, o muoveva la mano come per imitare il bassista.
Ogni tanto si abbassava su di lei – lui era quasi una colonna di un metro e novanta e lei un fungo alto poco più di un metro e sessanta-  e le urlava nell’orecchio qualcosa inerente alle canzoni, ma ogni volta lui la sfiorava. Le sfiorava il braccio, i capelli, la guardava con occhi felici, come quelli di un bambino. E Cecilia si stava sciogliendo come un ghiacciolo sotto al sole di mezzogiorno. Continuava a ripetersi che erano gesti involontari, che probabilmente la sua birra era troppo forte, e lui aveva bevuto troppo velocemente dato la foga.

 
«possiamo il resto della vita assieme questa sera
la vita è stare con te a letto tutto il resto è attesa
ci possediamo solo il tempo che passiamo assieme
e a tutti e due così sta bene»
 

Era arrivato il momento di “Nothing Else Matter” e Jacopo si avvicinò di più a Cecilia, tanto che lei riusciva a sentire l’odore della birra fruttata che stava bevendo lui. «Questa è bellissima, non dirmi che non la conosci!» le urlò, lei fece di no con la testa e non fece in tempo ad aprire bocca che si trovò stretta sul petto – o meglio, stomaco -  di Jacopo, non respirò, non riuscì nemmeno ad alzare la testa.
Sentì Jacopo chinarsi sul suo orecchio «stava passando il cameriere con un vassoio pieno di birre, scusami» le disse, lei di rimando annuì, non sapeva cosa dire, non sapeva che cosa stesse succedendo, sapeva solo che nessuno dei due voleva interrompere quel mezzo abbraccio. Aveva ancora il suo braccio forte dietro la schiena, quando lei decise di alzare la testa, ma avrebbe preferito non farlo. Jacopo la stava guardando a sua volta, ed era come se tutto si fosse fermato.
Lo vedeva sempre più pericolosamente vicino, fin quando non chiuse gli occhi d’istinto e sentì finalmente quelle labbra sulle sue. Morbide e umide come le aveva immaginate di nascosto nella sua mente.
Cecilia sentì i brividi che Simone non le aveva mai fatto provare, ma cercò di scacciare quel pensiero. Lei era la ragazza modello, quella che doveva prendere i bei voti a scuola, laurearsi e trovare un buon lavoro, poi un marito ed infine una famiglia. Era quella che doveva occuparsi di tutto e non poteva mai permettersi di sbagliare, doveva fare tutto secondo le regole imposte dai suoi genitori, dai suoi amici. Ma quella sera non era niente di tutto ciò, non era la Cecilia obbediente, era un’altra Cecilia. In un momento di audacia si liberò dalla presa e gli sfiorò timidamente il viso – sapeva che era una cosa che lui odiava, essere toccato sul viso – per paura di essere rifiutata, ed approfondì il bacio.
Lui sospirò un attimo, ma poi la strinse ancora di più a sé e le divorò le labbra.
Si staccarono, Cecilia aveva la vista appannata, ed il cuore a mille, giurava di sentire il cuore di Jacopo che batteva forte come il suo. Si guardarono, e Cecilia vide gli occhi lucidi e rossi di Jacopo e quasi le si spezzò il cuore. «Sei ubriaco.» Per questo l’aveva baciata, forse. Si sentì delusa. Lui scosse la testa «credi un bicchiere di birra basti per farmi ubriacare?» Sembrava quasi infastidito, e si allontanò un po’ da lei.
La prese per mano, bruscamente e tornarono in macchina, in silenzio. Cosa aveva detto di sbagliato? Sembrava che quel commento l’avesse infastidito.
Cecilia non era solita parlare molto, anzi, da piccola credevano che fosse muta. Simone le chiedeva sempre «A cosa pensi? Sei sempre così silenziosa.» e quasi sempre rispondeva niente, era proprio lei così. Ma in quel momento non riusciva più a sostenere quel silenzio, voleva parlare, urlare, baciarlo di nuovo, ma non riusciva a fare nulla.
Prese il telefono e rispose ai messaggi di Simone, scusandosi del ritardo data la poca ricezione del pub.
Jacopo nel mentre accelerò la macchina, lei portò involontariamente la mano sul sedile, come per reggersi. Il gesto non passò inosservato a Jacopo, «credi che io sia troppo ubriaco per guidare? Hai paura?» Domandò sarcastico, ma con un tocco di acido che fece sbottare Cecilia.
«Smettila!»
Continuò ad accelerare, sorpassando tre macchine di fila, Cecilia aveva sempre più paura. «Jacopo smettila!» Urlò ancora più forte, mentre sentiva le lacrime pizzicarle gli occhi.
La serata da un sogno era diventata un incubo.
Jacopo allentò la presa sull’acceleratore, ed accostò al primo spiazzo possibile. Cecilia scese di corsa dalla macchina, seguita da Jacopo. Si catapultò verso di lui, e gli diede una spinta.
Ovviamente gli fece il solletico, perché a malapena era riuscito a spostarlo.
«Ma che ti dice il cervello?!» Sbottò Cecilia, intenta a strattonarlo ancora.
«Credi che io ti abbia baciata perché fossi ubriaco? Credi che io non lo volessi quel bacio spettacolare? Credi davvero che un cameriere ti sia passato alle spalle?»
Cecilia sentì un pugno allo stomaco, «non sai da quanto lo aspettavo, lo immaginavo, e non solo un semplice bacio. Immaginavo di toccarti, di accarezzarti, immaginavo che tu fossi mia.»
Le lacrime tornarono a pizzicarle gli occhi, non riusciva a crederci. Lo strattonò di nuovo, fin quando lui non la bloccò in un abbraccio, e invertì i ruoli, adesso lei si trovava incastrata tra il suo corpo e la macchina e le sembrava che quello fosse il suo posto, lì fra le sue braccia.
«abbiamo senso a nostro modo
l’amore esiste in natura la coppia è un’invenzione dell’uomo
Diamoci in veleno alle frustrazioni, consolazioni
perché tanto si soffre comunque soli»
 
Si guardarono per un momento che sembrava infinito e lui la baciò, un bacio diverso da quello che si erano dati poco prima; più che un bacio sembrava un bisogno, uno sfogo, una necessità di entrambi.
Un bacio umido, accompagnato da qualche morso alle labbra. Le mani di Jacopo vagavano su tutto il corpo di lei, impaziente. Cecilia aveva le mani ferme sul viso, ogni tanto le scappava un sussulto, che faceva sospirare Jacopo ogni volta.
Dopo il terzo clacson Cecilia a malincuore si staccò, «forse è meglio rientrare in macchina, prima che ci becchiamo una denuncia» pronunciò sulle labbra di Jacopo.
Lui sorrise, «una volta entrati in macchina, io non riuscirò a trattenermi, sappilo.»
E Cecilia ne fu contenta, perché passò la notte più bella e viva della sua vita.

 
«tu che vuoi, tu che puoi realizzarti con le relazioni
e dopo questa penserai che cinico e cattivo
ma non so dire le bugie soltanto quando scrivo
e sono un figlio di puttana però lascio sempre
spazio per te solamente»
 

Erano passati due anni da quella notte, e due anni e qualche giorno da quando Simone aveva scoperto il tradimento – forse più di uno -, fatto dalla sua ragazza e dal suo migliore amico. Aveva pestato a sangue Jacopo, e riempito di parolacce lei. Jacopo l’aveva difesa, si era presa la colpa. Ma lui colpe non le aveva, Cecilia aveva confessato che fin dall’inizio provava un debole per Jacopo e che alla fine, nonostante lei lo affogasse, riemergeva ogni volta.
«La colpa è soltanto la mia, perché non so dire quello che penso, e per quieto vivere sorrido ed annuisco! Mi dispiace che sia andata così!» Urlò per farsi sentire, ma Simone continuava a picchiare Jacopo, che sapeva di meritarle tutte e non provava nemmeno a fermare il suo amico.
Cecilia scosse le spalle, il manifesto che ritraeva la band che si esibì esattamente due anni fa in quel pub le fece tornare tutti quei ricordi vivi. Si sarebbe esibita proprio quella sera. Entrò nel bar, dove trovò la sua migliore amica Alessandra ad aspettarla.
Aveva cambiato vita, aveva abbondato quel paesino, si era trasferita ed aveva terminato gli studi in un’altra università. Era cambiata, non voleva più farsi manipolare, voleva essere lei la padrona della sua vita.
Ma ogni tanto le toccava tornare, per i suoi parenti, per il suo cane e per la sua migliore amica.
«Lo hai più visto?» Le chiedeva Alessandra mentre finiva di bere il suo caffè macchiato. Cecilia scosse la testa, mentre spegneva la sigaretta.
«Nessuno dei due, ma infondo meglio così. Non saprei nemmeno che fare se dovessi trovarmeli davanti.»
«Credo che nemmeno ti riconoscerebbero.» Rispose Alessandra, ammiccando al nuovo look della sua migliore amica. Cecilia aveva abbandonato il biondo cenere e quell’aria da innocente, adesso era diventata una donna: aveva scurito i suoi capelli, ed aveva sostituito i vestitini a fiore con i tailleur.
«Meglio così.»
Continuarono a raccontarsi le ultime vicende, Cecilia si sentiva a casa, ma continuava a guardarsi intorno. Dentro di sé desiderava rivedere qualcuno, e provò a convincersi che quel qualcuno fosse Simone, forse per scusarsi, per parlare, per chiarirsi come non hanno potuto fare quella sera di due anni fa, dato che lei dopo qualche giorno era sparita dalla circolazione, cambiando addirittura numero di telefono.
Ma quel qualcuno non era Simone, e sia lei che Alessandra lo sapevano benissimo.
«Chiamalo.» La interruppe dai suoi pensieri Alessandra. Cecilia alzò lo sguardo dal suo bicchiere fulminea, «scherzi vero? E poi non ho più i numeri di nessuno e... ed ormai è troppo tardi. Le cose sono cambiate. Mi piacerebbe soltanto che…» Si interruppe.
Aveva avuto una stretta allo stomaco, per questo si impose di cambiare discorso. «Come sta Francesco?»
Alessandra sorrise, «Ci sposiamo.»
 
 
 
 Erano le 22 quando Cecilia entrò in quel pub, ed aveva la stessa sensazione di due anni fa: totalmente fuori luogo. Poteva andare altrove, poteva andare in altri centinaia di pub e non proprio lì. Ma nonostante il cambiamento che aveva avuto nel corso dei due anni, il masochismo non accennava ad abbandonarla.
“Infondo Jacopo o meno, mi sono piaciuti sul serio. Perché dovrei privarmene?” Si era detta.
Alessandra si era scusata del fatto che non poteva farle compagnia, ma Cecilia capiva che il lavoro era il lavoro.
Prese il suo bicchiere di birra chiara e si diresse sotto il palchetto, il concerto era già iniziato, farsi largo tra la folla non era proprio semplice, voleva poggiarsi vicino a quell’albero, proprio come due anni fa. Ma nel mentre qualcosa la strattonò. Urlò, cercando di salvare la birra. Il profumo le sembrava familiare, ma non volle alzare lo sguardo.
 «Stava passando il cameriere con un vassoio pieno di birre, scusami»

 
«Ma noi non siamo soltanto parole di un’altra canzone d’amore
ci sono sempre troppe regole, ho visto già tutte le repliche
perché al mondo in fondo non serve un’altra canzone d’amore…
Niente canzoni d’amore, niente canzoni d’amore tra me e te»

 

 
   
 
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