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Autore: TheDarkiti    11/08/2017    2 recensioni
"Sinceramente lui non aveva mai capito l’idea che i grandi avevano della musica. Tutti volevano dai due fratelli Evans la composizione perfetta, la copia sputata delle più belle sinfonie mai inventate. Il piccolo Soul non capiva come loro pensassero questo potesse essere giusto, infondo la musica doveva lasciare qualcosa sia a chi l’ascoltava che a chi la eseguiva, quindi come poteva provare le stesse sensazioni dell’importante compositore se non erano stati loro a crearla quella musica? Come poteva sapere cosa stesse pensando Beethoven quando suonava “Für Elise”?"
Vi chiedo di riporre un attimo gli ormone nel cassetto e di fermarsi a leggere anche le storie verdi, grazie mille a tutti.
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Soul Eater Evans
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sinceramente lui non aveva mai capito l’idea che i grandi avevano della musica. Tutti volevano dai due fratelli Evans la composizione perfetta, la copia sputata delle più belle sinfonie mai inventate. Il piccolo Soul non capiva come loro pensassero questo potesse essere giusto, infondo la musica doveva lasciare qualcosa sia a chi l’ascoltava che a chi la eseguiva, quindi come poteva provare le stesse sensazioni dell’importante compositore se non erano stati loro a crearla quella musica? Come poteva sapere cosa stesse pensando Beethoven quando suonava “Für Elise”?

Sotto lo sguardo severo del padre aveva persino provato a immaginarsela Elisa, ascoltando le note che gli avevano forzatamente fatto imparare a memoria e che lui riportava fedelmente sui tasti d’avorio del pianoforte in salotto. Eppure non ci era mai riuscito, ascoltando quelle note non riusciva ad immaginarsi quella ragazza che aveva ispirato e ammaliato il grande artista; gli sembrava una specie di utopia, la semplice idea della ragazza dei propri sogni. Secondo il bambino di appena cinque anni, su quelle note non c’era impressa una ragazza che aveva rubato il cuore di Beethoven, ma le sensazioni che questa, chiunque essa fosse, gli aveva suscitato.

Come poteva, quindi, comprendere ciò che aveva provato lui, aldilà del rimanere ammaliato dalla bellezza delle note? Nulla, erano solo note messe in ordine per creare un suono piacevole da ascoltare. Soul davvero non capiva perché gli altri non ci arrivassero, perché sembrasse lampante soltanto a lui.

A nove anni, dopo uno spettacolo dei celebri fratelli Evans, una giovane coppia di sposi si avvicinò a lui e si congratulò per la composizione, augurandogli di continuare a migliorare nel tempo. Soul rimase sorpreso a quelle parole, lo avevano elogiato per aver suonato passo per passo una canzone che non era sua, che non aveva creato lui? Ancora una volta il piccolo non capì perché lo sguardo della madre fosse così fiero dei suoi figli. Pensò di non aver capito cosa i due signori intendessero davvero, non sarebbe stata neanche la prima volta dato il linguaggio altezzoso e curato con cui tutti si rivolgevano alla sua famiglia, come se in loro presenza si tornasse indietro di quattrocento anni.

A undici anni Soul non abbassò lo sguardo davanti all’espressione furente del padre. Ora capiva cosa la gente dicesse, ora sapeva cosa lui pensasse, cosa tutti pensassero. Quella sera non aveva fatto nulla di male, semplicemente durante uno spettacolo, quando il suono delicato del violino di Wes si era fermato dolcemente per l’attimo da solista del piano, Soul non aveva seguito il pezzo studiato. Aveva sentito il suono allegro che il fratello aveva fatto e aveva risposto con l’esatto opposto, un motivetto lento, malinconico e che distruggeva completamente l’atmosfera di allegria che c’era nell’aria, portando il pubblico a sentire un doloroso vuoto dentro al petto, come quello dell’artista. Appena smesso di suonare nella sala era calato un lungo silenzio e il sipario si era chiuso davanti ai due giovani in un tonfo tetro.

Poco dopo Soul sentì il suono di un violino e seppe che “il talentuoso e giovane Wes Evans” stesse mettendo apposto “il disonorevole disastro che lui, piccolo irrispettoso smidollato, aveva creato per coprire di ridicolo l’intera storia della celebre famiglia Evans”, come infatti il padre gli stava ringhiando contro nella sua perenne aurea di compostezza, la quale lo faceva davvero sembrare, agli occhi del minore, un noioso aristocratico sopravvissuto al seicento.

Quel giorno la strada dei due fratelli si divise e, mentre Wes veniva coperto d’onore per la sua bravura nel riportare le stesse identiche note che aveva davanti al naso, Soul veniva guardato sempre con sguardo incerto, aspettandosi durante le sue composizioni -mai più singole, da notare- una vicenda simile a quella passata.

Finché il “Disonore della famiglia” non fece valigie con ancora la gamba tramutata in falce e, nel silenzio di una notte illuminata da quella Luna ghignante, non se ne andò dalla grande casa borghese; mai come allora l’albino si sentì felice nell’andare in una scuola.

Passarono gli anni, un Soul sedicenne era seduto sul suo letto, una pianola davanti a sé a fargli compagnia e, con la libertà di sentirsi solo, stava componendo una breve sinfonia per la sua di Elisa, chiedendosi se anche l’ispirazione di Beethoven fosse propensa a prenderlo a librate in testa quando gli scappava una parola di troppo. A quel pensiero, il ragazzo sorrise.

   
 
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