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Autore: lodoredelmare    11/08/2017    3 recensioni
“And I'll hold on to this moment you know, As I bleed my heart out to show, And I won't let go”
Avevo bisogno di vederlo, toccarlo, sentirlo e non mi importava se mi stavo umiliando. Sarei rimasta al suo fianco anche se mi aveva spezzato il cuore copiosamente, anche se era uno stronzo perché lo amavo troppo da lasciarlo andare e io non volevo. Mi sarei tenuta stretta questi piccoli momenti, gli unici che ci restavano perché le cose erano ormai troppo cambiate, avrei fatto di tutto per non lasciare che questi svanissero come fumo disperso nell’aria.
Genere: Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Kikyo, Un po' tutti | Coppie: Inuyasha/Kagome, Inuyasha/Kikyo
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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“And I'll hold on to this moment you know

As I bleed my heart out to show

And I won't let go”

Sum 41, With me

“…e terrò stretto questo momento

mentre il mio cuore sanguina per mostrartelo

e non permetterò che questa cosa vada in fumo”

 

La luce del sole filtrava tra i minuscoli fori delle tapparelle sapientemente calate costellando le pareti bianche di numerose sfere giallognole, un raggio tiepido del sole ormai calante illuminò un angolo di quella stanza dove risiedeva la sua scrivania disordinata, ospite di numerose sedute di studio intenso con quella pila di libri di testo ammassati fra loro. Fogli stropicciati di appunti evidenziati e sottolineati vigorosamente con una biro rossa, rapidi bozzetti e caricature buffe di amici, post-it colorati attaccati al muro che ricordavano appuntamenti, esami o chiamate da fare. Il portatile vecchio tappezzato da adesivi fiammeggianti e volgari, tra questi un’altro post-it giallo su cui recitava con una calligrafia rapida e disordinata un numero telefonico appartenente ad un probabile tecnico; quel computer aveva sempre dato delle noie, era incredibilmente lento e tendeva bloccarsi ogni qualvolta si cercasse di compiere un’azione un po’ più complicata rispetto a quella di selezionare una cartella, era infatti vittima di continui insulti e maltrattamenti.

Sopra la scrivania una mensola di legno su cui erano posati accuratamente i contenitori di cd, molti scaricati illegalmente.

Si potevano leggere i nomi dei Linkin Park o dei System of a Down mischiati ad Eminem o Drake, stili differenti di due persone completamente diverse.

Quella camera aveva assistito a numerose vicende, visto nascere delle profonde amicizie e amori accompagnati da litigate e tensioni. Una semplice stanza da universitari piuttosto disordinati ma che aveva segnato profondamente la mia esistenza.

Suoni ovattati e versi soffocati provenivano dal bagno rigorosamente chiuso a chiave. Al suo interno due corpi così diametralmente opposti si tenevano e si stringevano, impegnati in un amplesso forte e passionale. Aveva il sapore della rabbia, del rimorso, del rancore e al contempo si celava un pizzico di tristezza accompagnata da lacrime che bruciavano gli occhi desiderose di uscire, di solcare quelle guance lasciando dei segni delebili.

Mi reggevo a stento sulla superficie fredda del lavabo in ceramica, le mani rischiavano di scivolarmi poiché bagnate da un eccessivo sudore mentre le braccia erano pervase da un intenso tremolio che non mi lasciava tregua, non avevo più forze e molto probabilmente mi sarei lasciata andare sbattendo contro la durezza del lavandino del bagno se non ci fossero state quelle braccia, quelle braccia che amavo tanto che mi toccavano e mi tenevano stretta sorreggendomi con quella forza che mi affascinava, mi eccitava.

Così diversi eppure così complementari. Il mio corpo minuto e pallido totalmente discordante con il suo possente e abbronzato.

Ero esausta, le palpebre mi si chiudevano da sole affaticate, gli occhi languidi che scorgevano a stento la figura dinnanzi a me. 

La superficie liscia di quello specchio rifletteva un immagine che andava al di là dei miei desideri più reconditi. Il mio volto accaldato imperlato di sudore e totalmente struccato, le guance rosse che parevano due mele mature erano incandescenti, le mie labbra volgarmente spalancate da cui uscivano irregolarmente gemiti di dolore e di desiderio, il piacere assaliva il mio intero corpo.

Non mi sentivo a disagio in quella posizione così impersonale e rude, io a bocconi a reggermi a fatica sul lavabo e lui dietro a stringersi a me, con i capelli disordinati, ciocche ribelli che erano sfuggite alle stretta presa dell’elastico ormai lento che calava appesantito sulle mie spalle. Non mi imbarazzava la vista del mio seno allo specchio che oscillava frenetico ad ogni spinta, ad ogni affondo in me che diveniva sempre più vigoroso e graffiante.

Quel languore che ormai avevo imparato bene a conoscere imperversava in me portandomi a gemere più forte ad ansimare più intensamente facendogli comprendere quanto mi piaceva.

Lo vidi infatti sorridere, un ghigno beffardo che si disegnava sul suo volto tutte le volte che si sentiva soddisfatto di sé stesso accompagnato da quelle piccole fossette che gli bucavano le guance conferendogli un’aria così dolce e tenera, un poco ingenua totalmente discordante dalle azioni impudiche che stavamo compiendo.

Lo sentii serrare ulteriormente la presa sui miei fianchi continuando a flettere in quel modo meraviglioso i fianchi, vedevo i suoi muscoli guizzare -muscoli che avevo adorato e leccato fino a sentirmi sazia, mollò improvvisamente una mano dal mio fianco correndo poi al mio seno destro che lo afferrò con ferocia, strizzandolo facendomi quasi male. Mi lamentai piano per il dolore.

Dalla sua gola venne emesso un profondo ringhio. Durante il sesso non si pronunciava mai, non urlava e né gemeva ma emetteva dei ruggiti e latrati come un animale selvaggio.

Come per ripicca alla mia protesta sollevò la mia gamba sinistra, ancorandomi la pelle sensibile del retro del ginocchio, per poi piegarmela e costringendomi ad appoggiarla sulla superficie del lavandino. 

I suoi affondi cambiarono angolazione giungendo a toccare quel punto che mi faceva impazzire. Mi tirò forte quella pseudo coda che ormai non era più tale a causa dei movimenti frenetici, lo sentii affondare in me martellandomi assiduamente sempre più veloce.

Dal riflesso dello specchio vidi il suo volto contorto, accartocciato in una smorfia quasi sofferente. Gli occhi strizzati, la frangia albina che ricadeva scomposta sul suo volto, quell’adorabile neo così femmineo sulla guancia appena sotto l’occhio sinistro. 

 Non ce la facevo, con lui era una battaglia persa. Non sarei mai riuscita a trattenermi, gli avrei sempre mostrato quanto abile lui fosse a soggiogarmi perché io avevo bisogno di lui e non mi importava, no, non mi importava quanto male mi facesse.

Come un’estenuante cantilena mi ripeté assiduamente “Mia, mia, mia” con quel tono un po’ prepotente, con quel suo essere così possessivo dettato dalla sua natura canina. E io non potei fare a meno di assecondarlo, era inutile mentire ormai. Ero stata marchiata a vivo da lui, dalla sua presenza costante, dai suoi baci, i suoi morsi e i suoi graffi.

Tua” risposi tra un gemito ed un singhiozzo, il piacere ormai al culmine. Non resistevo più.

Avevo bisogno di vederlo, toccarlo, sentirlo e non mi importava se mi stavo umiliando. Sarei rimasta al suo fianco anche se mi aveva spezzato il cuore copiosamente, anche se era uno stronzo perché lo amavo troppo da lasciarlo andare e io non volevo. Mi sarei tenuta stretta questi piccoli momenti, gli unici che ci restavano perché le cose erano ormai troppo cambiate, avrei fatto di tutto per non lasciare che questi svanissero come fumo disperso nell’aria.

 

“And so I wake in the morning

And I step outside     

And I take a deep breath and I get real high

And I scream at the top of my lungs 

What’s going on?”

4 Non Blondes, What’s Up

“…E così mi sveglio la mattina

E metto il piede fuori 

Prendo un respiro profondo e vado veramente in alto

E urlo a squarciagola

Cosa sta succedendo?”

 

Si arriva ad un momento della propria esistenza in cui si smette di essere bambini. Avviene di punto in bianco, in modo del tutto causale. 

La sera vai a dormire che sei ancora una ragazzina, un adolescente libera dai problemi che caratterizzano il mondo degli adulti, ancora lontana da quell’esistenza fatta unicamente di lavoro, guadagno e il cercare di sopravvivere, e il giorno dopo ti svegli che -puff! sei diventata grande.

Il tuo mondo fatato fatto di unicorni rosa ed arcobaleni viene frantumato immediatamente, quasi non hai modo di realizzare e ti ritrovi catapultato tra i problemi della vita vera, le responsabilità e le difficoltà. No signore!, non c’erano più mammina e papino che ti davano una mano se avevi bisogno di aiuto, devi fare tutto da sola. Se cadi ti rialzi con le tue gambe.

Solitamente questo momento di drastico passaggio dalla fanciullezza alla maturità coincide con il termine delle scuole superiori che già non sono state proprio una passeggiata.

Svegliarsi tutti i giorni alle cinque e mezza, correre a perdifiato per non perdere la metropolitana per poi ritrovarsi per sette ore consecutive rinchiusa all’interno di un edificio scolastico costretta a rimanere seduta, il sedere ormai quadrato ed il formicolio fastidioso alle gambe, e ad ascoltare estenuanti e pesanti lezioni.

Il giovedì ed il venerdì pomeriggio sono occupati dal corso extra-scolastico di pittura mentre il martedì ed il mercoledì li dedicavo alla pulizia dell’aula e dei bagni.

Rincasare tutti i giorni poco prima di cena danneggiava oltremodo il mio sistema nervoso tuttavia mi rintanavo nella mia stanza con la porta sigillata -in questo modo Sota non sarebbe venuto a disturbarmi, per poi dedicarmi allo studio.

In Giappone la scuola viene vista in modo totalmente differente rispetto ad altri paesi del mondo. Nelle scuole giapponesi viene impartita un’educazione molto più rigida e lo studio rientra tra le priorità più importanti nella vita di un ragazzo, andare male a scuola porta un disonore sia per sé stessi che per la propria famiglia.

Io ho sempre cercato di dare del mio meglio durante la mia carriera scolastica, mi sentivo in debito con la mia famiglia che faceva di tutto per mandare avanti sia i miei studi che quelli di mio fratello nonostante le numerose difficoltà. Con la perdita di papà, per la mamma e per il nonno le cose non erano state affatto facili se poi si aggiungeva anche la gestione di un tempio che nessuno si curava di andare a visitare la situazione peggiorava ulteriormente.

Ho sempre ottenuto ottimi voti a tutti i test -tranne quelli di matematica ma ormai mamma aveva compreso che non sarei mai stata un genietto e non avrei mai lavorato per la NASA, e l’esame finale era stato un grande successone.

Durante l’ultimo anno di scuola superiore non ho fatto altro che sentirmi dire E adesso che farai? Già, cosa voglio fare da grande?

Se mi avessero formulato una domanda del genere quando ero piccola avrei risposto sicuramente la ballerina, appassionata com’ero dai tutù in tulle ed organza dai colori pastello, ma ora che sono cresciuta mi sono resa conto di non possedere nessun attitudine al ballo anzi sono totalmente negata. Ho visto qualche volta su internet tutorial su come muovere il bacino in quella maniera così sinuosa ed elegante da risultare quasi banale eppure continuo ad essere rigida come un pezzo di legno.

Cosa vuoi fare da grande, Kagome? Non ne ho la più pallida idea.

È stato riguardando i miei vecchi olio su tela o acquarelli chiusi in scatoloni su in soffitta ad illuminarmi.

Cosa vuoi fare da grande, Kagome? Voglio essere una pittrice.

Pur vivendo a Tokyo l’unica accademia delle belle arti più vicina era distante ben centocinquanta chilometri dall’area industriale della capitale, l’unica soluzione era quella di trasferirmi.

Presi questa decisione con grande rammarico e con una pesantezza sul cuore. Sota stava crescendo, aveva dei bisogni da soddisfare assolutamente oltre a comprargli un guardaroba intero dato che nel giro di due mesi si era alzato di ben venticinque centimetri e i suoi pantaloni ormai gli arrivavano al polpaccio, oltre alle numerose spese che comportano il mantenimento di una casa, di una macchina e di un tempio -il nonno poi aveva bisogno di medicine per il suo stato di salute precario, che pensare di aggiungere alla lista di cose da pagare anche la mia retta scolastica mi faceva venire una tremenda voglia di piangere e di urlare. 

Perché la vita doveva essere così maledettamente dura? E rimpiangevo i momenti in cui papà mi faceva fare l’aeroplano sollevandomi con le braccia.

La mamma e il nonno mi dissero di non preoccuparmi che avrebbero pensato tutto a loro tuttavia vedevo la stanchezza negli occhi di mia madre, quelle rughe tra le sopracciglia che tempo prima non c’erano, e sapevo che il nonno avrebbe rinunciato alla sua pensione pur di vedermi contenta.

Dissi loro che avrei fatto la pendolare casa-scuola se necessario poiché non volevo che avessero ulteriori problemi a cui pensare.

Il giorno del mio diciannovesimo compleanno il nonno mi diede una busta, da un lato con una grafia tremolante lessi i kanji che componevano il mio nome. Al suo interno trovai un foglio piegato su se stesso più volte, un foglio pulito e ben stirato. Una volta letto non potei fare a meno di piangere.

Con la sua ultima pensione ricevuta dallo stato, il nonno mi aveva pagato la cospicua tassa che mi permetteva di essere una studentessa nell’accademia.

Abbracciai il mio nonnino così fragile rispetto a me a causa della vecchiaia che ormai stava prendendo sempre più piede nel suo corpo. Quella poteva essere l’ultima volta che avrei potuto abbracciarlo.

 

L’accademia risiedeva in una zona piuttosto desolata, lontana dalla città e circondata unicamente da steppe e terreni coltivati. C’era una sola strada che conduceva all’accademia, fortunatamente era stata da poco cementata rendendo così il suo cammino estremamente tranquillo privo di buche  o ghiaia.

La recinzione che delineava il perimetro del luogo scolastico era estremamente ampio e comprendeva non solo l’accademia ma anche le facoltà di lettere e di fisica oltre che ad inserire anche un notevole campus in cui risiedevano tutti gli studenti.

Ero da sola alla portineria del campus, il modulo d’iscrizione in una mano ed un’enorme valigia nell’altra.

Mi sistemai gli occhiali da vista sul naso che stavano ormai scivolando a causa del troppo sudore per poi cercare di farmi aria con il pezzo di carta che reggevo, trascinare quell’enorme e pesante valigia era una faticaccia.

La mamma e il nonno non erano venuti ad accompagnarmi, la mamma era al lavoro mentre il nonno non poteva stare troppo lontano da casa e poi ero grande abbastanza per fare da sola perché la vita vera è così, si nasce da soli e si muore da soli perché nella nostra intera esistenza dobbiamo cavarcela da soli. Eppure sono sicura che a volte avere qualcuno al tuo fianco che ti sostiene e ti aiuta non è poi così male.

La stanza B75 -che comprendeva due camere da letto, un bagno ed un piccolo balcone, l’avrei condivisa con un’altra ragazza che da quel che avevo capito frequentava la facoltà di lettere già da un anno.

Le regole erano molto semplici e ci si aspettava che tutti le rispettassero con estremo riguardo.

Il 25 aprile si sarebbe tenuto in aula magna un benvenuto e buon anno a tutti da parte degli insegnati e dei presidi delle varie facoltà mentre il 7 marzo si sarebbe tenuto sempre in aula magna un addio ai dottori ed un arrivederci a quelli futuri da parte di tutti.

La colazione si sarebbe tenuta nella mensa comune dalle 07:30 am fino alle 08:30 am, le lezioni sarebbero incominciate alle ore 09:00 am e si richiedeva l’assoluta presenza da parte di tutti tranne in casi di infortuni o di malattie, in questo caso bisognava avvisare l’istituto.

La pausa pranzo sarebbe stata dalle 01:00 pm fino alle 02:30 pm, le lezioni sarebbero terminate alle ore 04:30 pm. Chi voleva poteva accedere ai corsi extra che avrebbero ovviamente conferito allo studente numerosi crediti, indispensabili quando si era in prossimità dell’esame finale.

La cena si sarebbe tenuta dalle 07:30 pm fino alle 8:30 pm, ovviamente non era obbligatorio risiedere alla mensa scolastica che offriva dell’ottimo cibo da quello che avevo sentito dire.

Durante le vacanze gli studenti potevano ritornare a casa o rimanere al campus, gli studenti potevano girare per il campus fino a mezzanotte poi ci sarebbe stato il coprifuoco, chi violava le regole riceveva una severa punizione. 

Non si poteva fumare, introdurre alcolici e ovviamente fare uso di sostanze stupefacenti. I ragazzi sarebbero stati collocati nell’area dormitorio dedicata ai ragazzi e le ragazze in quella delle ragazze, era assolutamente risiedere nelle stanze diverse da quelle assegnate al di fuori del coprifuoco.

Per ogni comportamento scorretto nei confronti degli altri o dell’ambiente in cui risiedeva veniva punito con una salata multa da pagare assolutamente.

Le lezioni non erano obbligatorie, gli studenti potevano tranquillamente svolgere un’attività lavorativa e se questa si prolungava al di là del coprifuoco bastava riferirlo al preside e quello lasciava un by-pass, ovviamente veniva controllato se quello che diceva lo studente fosse vero oppure fosse una bugia.

Il preside lasciava i by-pass anche per partecipare a delle feste o poter andare a Nagoya, la città dove risiedeva il campus, tuttavia ogni singolo studente aveva a disposizione 20 uscite extra in un anno scolastico.

Trovai il campus davvero ben fatto, ordinato e pulito come l’avevo immagino e presentava una grande quantità di aree verdi attrezzate di panchine e tavoli. 

Scorsi in lontananza una piscina per chi frequentava il corso di nuoto ed una bassa rete per chi frequentava il corso di tennis. Sapevo che vi erano anche i corsi di baseball, equitazione, tiro con l’arco e pallavolo oltre a corsi manuali come quello di cucina, cucito, ceramica, astronomia, fotografia e manga.

Sapevo di aver scelto un campus prestigioso con delle facoltà altrettanto prestigiose tuttavia rimasi meravigliata dalla magnificenza di quel luogo, dai giardini curati, le vie di ciottoli levigati, la fontana al suo centro circondata dalle tre facoltà, dai ciliegi e gli alti cipressi.

Un ridacchiare lontano catturò la mia attenzione e voltandomi scorsi tre ragazzi passeggiare tranquilli sul prato.

Il mio trolley sui ciottoli produceva un forte rumore talvolta alternato da qualche mia sottile imprecazione poiché mi sbatacchiava sul polpaccio provocandomi un forte dolore.

Ero curiosa di vedere la mia stanza ma soprattutto di conoscere la mia nuova coinquilina.

 

Sango mi sorrideva imbarazzata, nonostante la presenza del fard rosa era ben evidente il colorito di impaccio che viveva in lei.

Stringevo tra le mani la maniglia del mio trolley totalmente incerta sul da farsi. Avevo compreso bene quali fossero le regole del campus ed ero totalmente sicura che fornicare con un ragazzo fosse assolutamente contrario alle regole, io che fin da piccola le avevo sempre seguite rigidamente come se fosse una questione di vita o di morte non sapevo se andarlo a riferire alla responsabile facendo la spia -il che avrebbe alimentato l’odio in tutto il campus nei miei confronti dopo neanche cinque minuti dal mio arrivo!, oppure lasciare perdere ma logorandomi il fegato poiché sono da sempre stata una ragazza giudiziosa, responsabile e civile.

Dopo il suono sordo di uno sciacquone tirato, uscì dal bagno quel ragazzo intento ancora a rimettersi la camicia all’interno dei pantaloni con ancora la cintura rigorosamente slacciata.

Vidi Sango lanciargli un’occhiataccia mentre il ragazzo, un bel ragazzo dalla carnagione chiara i capelli scuri racchiusi in un codino ed un paio di orecchini che contornavano le orecchie, totalmente non curante le passò affianco donandole un piccolo schiaffo sul fondoschiena.

Sango squittì, l’imbarazzo oramai visibile fino alla punta delle orecchie.

Il ragazzo dopo avermi fatto un piccolo inchino che ricambiai educatamente se ne andò sbattendo piano la porta della nostra stanza.

Incominciai a sentirmi tremendamente a disagio dinnanzi a quella ragazza che nonostante il freddo  di marzo indossava un paio di corti pantaloncini di cotone ed una canottiera a spalline sottili -una di queste era scivolata dalla spalla, che tuttavia non nascondeva affatto l’assenza del reggiseno.

Sango ridacchiò nervosa passandosi una mano tra i capelli. Con fare disinvolto cercò di apparire cordiale ed educata offrendomi il suo aiuto nel condurre la mia valigia in quella che sarebbe diventata la mia stanza.

Decisi di dare a quella ragazza una possibilità ma se avesse fatto un’altra volta una cosa del genere non ci avrei pensato due volte a riferire il tutto.

    “Era il tuo ragazzo?” le chiesi.

    “No!” urlò sconcertata quasi spaventandomi.

La vidi tossire cercando di trovare in sé un contengo e di non sembrare una pazza squilibrata.

    “Non è il mio ragazzo, ci mancherebbe. È solo un amico”.

Inarcai il sopracciglio. Come potevano essere amici quei due se li avevo visti -meglio beccati, mentre facevano beh…quello.

Sango sospirò guardandomi con aria strana come se stesse avendo a che fare con una bambina incapace di arrivare da sola alle conclusioni.

    “Siamo scopamici ma siamo più amici che altro”.

È buffa la parola scopamici. Questa implica nell’avere un amico con cui si fa l’amore sesso ma che non potrà mai essere il tuo fidanzato. Io sono oltremodo convinta che certe cose le si fanno unicamente con la persona che si vuole bene, che si ami davvero e quindi perché farlo con qualcuno di cui non ti interessa niente?

Ho diciannove anni ma non ho mai fatto niente e per niente intendo proprio niente. La mia vita da studentessa mi ha tenuta troppo impegnata impedendomi di avere una storia d’amore con qualcuno.

    “Te hai un ragazzo?” la voce di Sango mi riscosse dai miei pensieri. La ragazza era seduta su quello che sarà il mio letto, le gambe accavallate mentre mi osservava disfare la mia valigia e riporre ordinatamente tutti i miei averi.

Affianco al letto -che constatai fosse da una piazza e mezzo per la mia immensa gioia, vi era un piccolo comodino con due cassetti. In uno misi tutta la mia biancheria intima mentre nell’altro tutte le cianfrusaglie come il caricatore del telefono, quello del portatile, il porta occhiali, le chiavi di casa e tanto altro.

Sul comodino invece vi posai un libro di un autore spagnolo Carlos Ruiz Zafòn, questo si intitolava “L’ombra del Vento”. Era un libro che personalmente adoravo per la sua inquietudine ed il suo mistero, l’avevo letto numerose volte fin da quando ero una bambina.

Scossi il capo arrossendo leggermente. L’argomento “ragazzi” mi metteva sempre un po’ in imbarazzo.

Sango mi sorrise dolcemente e osservandola credetti che potevo davvero dare una possibilità a quella ragazza con cui ho avuto un incontro davvero bizzarro.

 

Passai le mie giornate chiuse in camera ad avvantaggiarmi con lo studio, uscendo dalle superiori con un ottimo voto ero riuscita ad ottenere la borsa di studio che consisteva nell’ottenere i libri di testo -o meglio tomi, quasi totalmente gratuiti scoprendo cose totalmente nuove che giravano intorno al mondo dell’arte. 

Scoprì ben presto pittori italiani a me prima sconosciuti di grande talento facendomi desiderare ardentemente di poter ammirare le loro opere d’arte dal vivo e invidiando gli italiani ad averle così a portata di mano.

Fui così travolta dalla pittura e dalla scultura che feci degli approfondimenti personali su internet rilegando tutte le nuove informazioni in un quaderno ad anelli cercando anche di riprodurre attraverso dei bozzetti strutture architettoniche come la Cappella Sistina, la Piazza di San Pietro o la Cappella del Brunelleschi oppure mi cimentai nella riproduzione esatta di colonne dal capitello dorico, ionico o corinzio cercando di memorizzare quali fossero le loro differenze.

I tempi e gli anni teatri grechi erano di una bellezza disumana lasciandomi sorpresa di come, seppur fossero passati anni -millenni!, fossero ancora ben intatti.

Alle volte facevo delle lunghe passeggiate presso i giardini del campus che pian piano andava popolandosi sempre più di studenti che facevano ritorno dalle loro città natali.

Sango rimaneva poco in camera. Andava e veniva in continuazione in modo frenetico talvolta accompagnata da quel ragazzo che scoprì chiamarsi Miroku o da una ragazza dai capelli tinti di rosso di cui ancora faccio fatica a ricordarmi il nome.

Quelle poche volte che rimaneva in camera Sango appariva come una ragazza alla mano, gentile ed educata. Ancora si scusava imbarazzata per quello che era successo tempo addietro con Miroku facendomi profondare in un profondo stato di disagio che mi portava a balbettare.

Sango era una ragazza carismatica e piena di energia, grande appassionata degli sport che la portarono ad  iscriversi in tutti i corsi in cui era necessario fare dello sforzo fisico me il suo corso preferito era la scherma e le arti marziali. 

Alle volte si allenava anche in camera mostrandomi la sua bravura. Era agile e flessibile, compiva ogni singolo gesto con una fluidità e leggerezza facendolo apparire come la cosa più facile del mondo anche se ero più che sicura che dietro ci fossero anni di intensi allenamenti.

Sango era ordinata e non faceva molto rumore. Era un’appassionata di k-pop e j-pop, conosceva ogni singola band sia maschile che femminile di qualsiasi genere e mentre faceva la doccia o riordinava la sua parte della stanza ascoltava la sua musica dalla stereo che si era portata da Kyoto.

Quando tornava dagli allenamenti o dalle uscite con i suoi amici, se non faceva troppo tardi, rimanevamo in stanza a parlare. Mi trovavo bene con lei, devo dirmi essere molto fortunata.

Una  volta glielo riferii e lei si mise a ridere ringraziandomi mentre le sue guance si coloravano di un tiepido rosa. Era una ragazza che arrossiva facilmente anche se io non ero da meno.

Tuttavia spesso faceva tardi alle volte superando anche l’orario di coprifuoco, a volte veniva accompagnata in stanza da Miroku lasciandosi poi con un lungo bacio.

Mi domandavo se davvero quei due fossero solo scopamici.

Alle volte quando Sango rimaneva in camera mi osservava dipingere. Mi ero fatta spedire dalla mamma tutti i miei strumenti per cimentarmi in ciò che amavo di più e tutte le volte la ragazza mi riempiva di complimenti ammirando affascinata i miei lavori.

Mancava ormai una settimana dall’inizio delle lezioni e l’intero campus, ormai colmo di studenti -erano davvero tantissimi, ogni giorno vedevo una faccia nuova, era caduto in un gran fermento.

Anche Sango incominciò la sua sezione di ripasso alternato ai suoi continui allenamenti e ovviamente non mancarono le sue uscite con gli amici.

Io invece, a parte Sango, non avevo stretto amicizia con nessuno dato che ero troppo impegnata a studiare e a proseguire la mia lettura.

Sango invece non era una ragazza che leggeva molto tuttavia mi chiese se poteva anche lei leggere “L’ombra del Vento” una volta terminato. Acconsentii volentieri, mi faceva piacere quando qualcuno si interessava a qualcosa che a me piaceva terribilmente.

Andammo a cena insieme dove la mia coinquilina si prese un’abbondante porzione di ramen, diceva di aver faticato molto quel giorno con la scherma e che aveva bisogno di recuperare tutte le energie. Io l’accompagnai anche se avevo il mio bento che mamma mi aveva spedito. Era buonissimo e sapeva di casa. Sia il nonno che la mamma e Sota mi mancavano moltissimo. Recentemente avevamo fatto una chiamata su Skype poiché erano terribilmente curiosi nel sapere come procedessero le cose lì al campus. Rivederli mi aveva pervaso di una malinconia che mi aveva fatta piangere, fui trovata da Sango in divisa da karate gi che non ci pensò due volte ad abbracciarmi cercando di consolarmi. Mi disse che anche a lei mancava tanto la sua famiglia in particolare modo suo fratello minore Kohaku, che aveva tre anni in più di mio fratello, e della sua gatta Kirara. Parlando della sua famiglia anche a Sango vennero gli occhi lucidi ma cercò di nono scomporsi perché compresi presto che lei non era una ragazza che piangeva.

Mentre mangiavamo Sango mi raccontò dei suoi allenamenti e di come Miroku anche quel giorno era andata a vederla facendo il tifo per lei.

    “Manco stessi disputando una gara” disse lei ridacchiando. Io le sorrisi come di chi la sapeva lunga, ero convinta che quei due invece si piacevano da morire.

    “Non guardarmi con quella faccia. Te l’ho già detto milioni di volte, lui non mi piace e poi è un libertino e ci prova con tutte” mi disse con un tono più basso indicandomi un punto imprecisato dietro di me con le bacchette.

Io mi voltai e quello che vidi rispecchiò esattamente le teorie della mia coinquilina. Miroku rideva con una ragazza mora dai capelli lunghi che ci passava le dita ogni cinque secondi.

    “Stanno solo ridendo” provai a difenderlo.

    “Stanno flirtando. Non conosci bene Miroku”.

Addentai un piccolo polipo di würstel quando al fianco di Sango si sedette la ragazza dai tinti capelli rossi che quel giorno portava legati in due alte codine.

    “Ciao Ayame” disse Sango portando tutta la sua concentrazione sulla nuova arrivata.

La ragazza le sorrise apertamente per poi farmi un cenno di saluto in maniera cordiale.

    “Ho parlato con Koga, ha detto che pensa tutto lui per quanto riguarda tu-sai-cosa” disse la rossa guardandosi attorno con fare sospetto.

    “Bene, almeno questa è risolta”.

    “E poi mi ha detto che lui torna proprio quel giorno assieme a tu-sai-chi” adesso sul volto di Ayame si disegnò una smorfia di disgusto.

Sango sbuffò sonoramente sbattendo le bacchette sul tavolo facendomi sobbalzare.

    “Non aveva detto che si ritirava perché era troppo in per fare l’università?”.

    “A quanto pare ha cambiato idea”.

    “Comunque meglio così, prederemo due piccioni con una fava”.

Ayame acconsentì per poi andare via lasciandoci un’ondata di profumo dolcissimo.

Riprendemmo a mangiare notando che Sango era visibilmente pensierosa.

    “Stavate parlando di Voldemort?” chiesi io ridacchiando.

Sango sospirò scostando la ciotola di ramen da sé “Sono piena” decretò “Magari fosse Voldemort sarebbe più digeribile. Quell’oca…”.

Decisi di non indagare oltre, se era una persona che a Sango non stava molto simpatica significava che questa era davvero tremenda, io mi fidavo molto del suo giudizio.

    “Ci vieni alla festa?” mi domandò poi di punto in bianco.

Strabuzzai gli occhi incredula “Che festa?”.

    “Come che festa? Kagome ma dove vivi? La festa di inizio anno. La festa per fare festa matta prima di iniziare un altro tortuoso anno da universitari. Ne parlano tutti…”.

Io scossi la testa totalmente ignara di cosa lei stesse parlando. La vidi sospirare pesantemente per poi riprendere a mangiare.

“Vivi sulle nuvole Kagome”.

Ed era vero.

 

Oh don’t you dare look back

Just keep your eyes on me

I said “You’re holding back”

She said “Shut up and dance with me”

This woman is my destiny

She said “Oooooh, shut up and dance with me”

Walk the Moon, Shut Up and Dance  

Oh, non permetterti di guardare indietro

Concentrati solo su di me

Io dissi “Ti stai trattenendo”

Lei disse “Stai zitto e balla con me”

Questa donna è il mio destino

Lei disse “Oooooh, zitto e balla con me”

 

Io non ci volevo andare a quella festa. Non mi piacciono molto le feste, troppa confusione e troppo caos, troppa puzza di fumo e di chiuso per non parlare della puzza di sudore.

C’ero già stata più volte alle feste accompagnata da Yuka, Eri e Ayumi mie compagne di liceo tuttavia mi annoiavo a morte portandomi a pentirmene amaramente di non essere rimasta a casa mentre quelle tre si divertivano a baciare ragazzi che non conoscevano e che non avrebbero rivisto mai più.

Durante le feste la gente diventava troppo disinibita a causa dei fiumi di alcol facilmente reperibili e di chissà cos’altro e a me tutto ciò non piaceva. A me piaceva parlarci con la gente, avere dei discorsi che avessero un capo ed una coda, fare dei ragionamenti, ridere e scherzare ma in maniera serena senza fare uso obbligatoriamente di sostanze che mandano in pappa il cervello o il fegato. Io credo che per divertirsi non bisogna per forza fare uso di quelle cose.

Sango ha incominciato ad implorarmi assiduamente talvolta sostenuta anche da Miroku che aveva iniziato a studiare nella nostra camera perché lui si sentiva solo -il suo coinquilino ancora non era tornato nonostante mancassero quattro giorno all’inizio dell’università.

Ma io fui irremovibile, quando dico no è no. Ma Sango smise di parlarmi, quelle volte che rimaneva in camera mi teneva il broncio e smettemmo anche di studiare insieme o di chiacchierare poco prima di addormentarci.

Iniziai a sentire la mancanza di quella ragazza che in così poco tempo avevo iniziato a provare un profondo affetto e non ne potevo più di quell’assurda situazione. Alle volte Sango si comportava come una bambina.

La festa si sarebbe tenuta la sera del penultimo giorno di libertà poiché festeggiare la notte prima dell’inizio di tutto non era proprio una bella idea, anni addietro l’avevano proposto e il risultato fu un marasma di ragazzi che non riuscivano a tenersi in piedi o a stare svegli e altrettanti che rimasero coricati nei loro letti doloranti per il post sbornia.

    “Va bene, vengo anch’io!” esclamai altamente alterata di quella situazione. Il risultato fu una Sango urlatrice che mi saltò addosso abbracciandomi fortemente.

    “Non mi metto i tacchi” affermai io ma la ragazza era talmente tanto euforica che non mi ascoltò nemmeno.

Era ormai la giornata che anticipava la sera della festa, mancavano poche ore al suo inizio e la ragazza prese a frugare ossessivamente tutto quello che aveva nel suo armadio lanciando qualsiasi cosa nel suo letto.

    “Hai qualcosa da metterti?” mi chiese e io con un sopracciglio inarcato indicai ciò che indossavo in quel momento: jeans, felpa azzurra e all star nere.

Sango mi guardò scandalizzata per poi negare assiduamente con il capo. Mi prese per una mano e mi trascinò al suo fianco portandomi dinnanzi al suo armadio straripante di vestiti.

    “Scelgo io per te” decretò terrorizzandomi.

 

Alla fine constatai ancora una volta di potermi fidare della mia coinquilina perché è davvero una ragazza dal cuore d’oro.

Dopo avermi proposto abiti improponibili dagli scolli vertiginosi e tremendamente corti alla fine optò un qualcosa di più sobrio adeguato alla mia persona.

    “Hai un bel fisico Kagome, è un peccato che non lo metti in mostra” le risposi con un’alzata indifferente di spalle. Io non ho un bel fisico, mi ritrovai a pensare corrucciata.

Indossai un grazioso abito bianco a fantasie floreali dalle spalline sottili che lasciavano uno scollo ovale riccamente rifinito da degli adorabili ricami anch’essi bianchi inoltre, nonostante l’assenza delle spalle, la manica era ugualmente presente. L’abito era a trapezio scendendo morbido sulla mia figura arrivandomi appena sopra il ginocchio.

Ai piedi mi misi un paio di converse rosa del medesimo colore dei fiori perché io i tacchi non li avrei mai messi.

Lasciai i capelli sciolti mentre per il trucco osai solamente per del fondotinta -perché quel terribile brufolo che mi era uscito sulla fronte a causa di quel terribile periodo del mese delle donne andava assolutamente coperto,  uno strato di mascara per esaltare le mie ciglia nere e già folte di loro ed un rossetto bordeaux non troppo vistoso.

Mi osservai alla specchio intero posto affianco all’armadio di Sango passandomi le mani sull’abito cercando di eliminare delle possibili pieghe.

Mi trovai molto carina e presi a sorridere allo specchio per poi assumere pose e smorfie buffe. Finsi una risata, mostrai la lingua, diedi un bacio volante alla mia immagine riflessa e cercai di assumere lo sguardo più intrigante e sensuale che potessi ovviamente fallendo miseramente.

Mi ritrovai a ridere da sola fino a che non comparve dal bagno una meravigliosa Sango che mi portò a socchiudere leggermente la bocca. Ecco, se prima mi sentivo carina adesso mi sentivo assolutamente insignificante.

La ragazza uscì dal bagno con sguardo corrucciato e preoccupato mentre pigiava rapidamente i tasti sul suo telefono.

Indossava un meraviglioso abitino dorato in raso dallo scollo a V che fasciava meravigliosamente il suo seno che terminava con un arricciatura proprio sotto ad esso, il vestito terminava poco dopo la metà della coscia e ai piedi indossava degli splendidi sandali con il tacco che portava magnificamente.

I lunghi capelli d’ebano erano raccolti in un’alta ed ordinata coda di cavallo che scendeva dolcemente sul suo petto.

Vedendola così compresi come un ragazzo bello e libertino come Miroku fosse così interessato a lei, non che gli altri giorni fosse brutta anzi l’ho sempre considerata una bella ragazza, ma quel giorno appariva meravigliosa come una dea.

    “Qualcosa non va?” domandai vedendo il suo sguardo così corrucciato.

Lei sollevò gli occhi dallo schermo del telefono incatenandoli ai miei. Mi sorrise dolcemente “Stai benissimo così” mi disse.

    “No, va tutto malissimo!” il suo volto si contrasse in una smorfia di disperazione “Guarda” mi indicò un punto imprecisato sul labbro.

La guardai perplesso non capendo cosa c’era che non andasse.

    “Un herpes, oggi! I Kami mi vogliono male”.

Scoppiai in una sonora risata beccandomi una leggera spinta dalla mia coinquilina.

Una bellezza come Sango che si preoccupava di un herpes. Beh, effettivamente era un bel problema…

 

La festa si teneva nella grande palestra della facoltà di arte, perché anche lo sport è una forma d’arte, così avevo compreso.

Avevano corrotto il custode offrendogli da bere illimitato, il custode era un ragazzo di trent’anni e come tutti i giovani desiderava ancora divertirsi soprattutto con le matricole, e all’insaputa del preside, del responsabile del campus e di tutti gli altri insegnanti erano riusciti ad organizzare la festa al suo interno. Si diceva che in verità chiunque sapesse di quella trovata degli studenti ma tacevano perché era ormai diventata una tradizione.

Questa cosa della festa aveva un non so che di scuola americana con tutte le varie confraternite ma si sa benissimo che gli orientali invidiano gli occidentali e cercano in tutti i modi infatti di eguagliarli.

La palestra era stata allestita meravigliosamente, come ogni singola cosa in quel campus del resto, con festoni e palloncini colorati pieni di elio che si innalzavano fino a toccare il soffitto. In un lato della palestra era stato posta una lunga tavolata su si posavano una quantità industriale di cibarie e bevande, pareva impossibile ciò che i miei occhi vedevano.

Da delle grandi casse poste in maniera disordinata per tutta la palestra venivano riprodotti i singoli più famosi della musica occidentale dagli anni ’70 fino a raggiungere quelli moderni con un mix davvero ben riuscito.

Osservai il tutto con un immenso stupore mentre affiancata da Sango che mi teneva stretta la mano ci snodavamo tra la calca di ragazzi che ballava dimenandosi in maniera del tutto scoordinata. Tra questi molti ridevano sguaiatamente, liberi da qualsiasi pensiero e dubbi, privi di problemi e con il solo intento di divertirsi più che potevano. Quella era la forza dei giovani che li spingeva nonostante le avversità a gioire della vita, a non mollare mai continuando a ballare e a vivere quei momenti che sapevano presto sarebbero passati.

Quant’è bella giovinezza, che fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: del doman non v’è certezza.

Cercai di stare al passo della mia coinquilina che rapidamente riusciva ad evitare quella masse informe di ballerini non proprio provetti per poi raggiungere la lunga tavolata. Ad essa erano numerosi coloro che ne approfittavano del cibo e del bere gratis quando vidi tra le teste scure e gli abiti scuri una cascata di boccoli rosso fiammeggiante.

Sango si avvicinò alla ragazza che indossava un lungo abito turchese, le picchiettò la spalla e la ragazza si voltò mostrando il volto sorridente di Ayame.

    “Sango!” esclamò quella. La ragazza era affiancata da un alto ragazzo dai lunghi capelli scuri legati in una coda di cavallo molto simile a quella di Sango ma insolita per un ragazzo.

    “Che bello ci sei anche tu, Kagome” Ayame mi abbracciò improvvisamente ed altrettanto in fretta si staccò non lasciandomi il tempo di ragionare. La vidi sorridermi visibilmente contenta e io risposi con un sorriso un po’ più timido.

Una volta spostato lo sguardo sulla mia coinquilina la vidi ridacchiare con Miroku che nel frattempo si era avvicinato a noi posando una sua mano sul fianco di Sango, circondandole la vita.

Miroku si avvicinò all’orecchio della ragazza sussurrandole qualcosa mentre un sorriso furbetto si disegnò sulle sue labbra facendola arrossire incredibilmente che rispose con una vigorosa spinta ed un’espressione corrucciata.

Ridacchiai allo sguardo afflitto del ragazzo e alle braccia conserte di Sango con ancora il volto dall’imbarazzo. Mi chiesi cosa le avesse detto di tanto sconvolgente.

    “Lui è Koga” mi riscossi dai miei pensieri alla voce di Ayame posando poi lo sguardo sul ragazzo che mi sorrise gentilmente, gli occhi azzurri talmente penetranti che mi provocarono uno strano brivido.

Gli sorrisi di rimando e strinsi la mano che il ragazzo mi porse “Kagome” dissi solo mentre quel mio lato tremendamente timido prendeva il sopravvento su di me.

    “Lui dov’è?” chiese Sango rivolta a Miroku che scrollò le spalle noncurante.

    “Ancora in camera. Devono battezzare il letto, era da un po’ che non si trovavano al campus”.

Vidi Sango ed Ayame fare un gesto disgustato, due dita nella bocca aperta con la lingua fuori emettendo un suono strozzato.

    “Siete proprio simpatiche voi due” disse Koga esplodendo in una fragorosa risata.

    “Non è colpa nostra se quella se la tira manco ce l’avesse d’oro” sbottò Ayame.

    “Perché mio padre è il più grande amico dell’ambasciatore, perché mio padre conoscere l’imperatore, lo sapete che mi ha fatto conoscere suo figlio? Ha detto che sono talmente bella che vorrebbe sposarmi” Sango si cimentò nell’imitazione facendo ridere Miroku e Koga che ormai a stento si reggevano in piedi, le mani strette sulla pancia ed il respiro affannato. Sembravano essere in preda alle convulsioni.

    “Ma lo sapete che quelli di Victoria’s Secrets mi hanno contattata per fare un provino da modella? Dicono che ho il fisico perfetto e che ho un viso che Adriana Lima ti prego spostami che mi fai ombra” a darle man forte ci fu anche Ayame.

Io mi limitai a ridacchiare più per le loro buffe imitazioni dato che non avevo la più pallida idea di chi stessero parlando. Tutto quella confusione mi aveva parecchio stordita.

    “Ho bisogno di bere. Questo sarà un altro anno parecchio difficile”.

Seguì Sango che si avvicinò alla lunga tavolata e la vidi prendere quella che pareva essere una bottiglia di Coca-Cola.

La imitai certa versando il contenuto in un bicchiere di plastica mentre Sango, che stava già bevendo mi guardò con un sopracciglio inarcato e lo sguardo perplesso. Non ci pensai due volte e mandai giù la bevanda dolce e frizzantina che aveva quell’assurdo potere eccitante. Tuttavia oltre al suo dolce sapore aveva un retrogusto particolare e abbastanza forte che mi fece storcere le labbra posando immediatamente il bicchiere sul tavolo.

    “Ma che roba è?” chiese sconvolta.

    “Rum e Cola, piccola Kagome” Miroku mi si pose al fianco riempiendo cinque bicchieri con uno strano liquido rosa. Consegnò i bicchieri a me, Sango, Koga ed Ayame ed uno se lo tenne per sé.

    “Pronti per il brindisi?” chiese lui osservandomi con sguardo beffardo.

    “Prima voglio sapere cosa c’è?”.

    “Dai Kagome, rilassati un po’. Non stai facendo nulla di male”.

I ragazzi attorno a me scontrarono i loro bicchieri di carta esclamando un euforico cincin! per poi mandare giù tutto d’un fiato quel liquido rosa.

Avvicinai il mio al naso e le mie narici captarono un odore dolce piuttosto nauseante. Non sapevo se bere e fidarmi di loro o fidarmi di più del mio istinto e lasciarlo perdere.

    “Fate il brindisi senza di me? Siete proprio degli amici indecenti”.

Non feci in tempo a realizzare che Koga e Miroku esplosero in un urlo fragoroso, li vidi gettarsi su una figura dietro di noi che cercava di reggersi in piedi nonostante la pesantezza dei due ragazzi che l’avevano travolto e che ora lo prendevano a pugni scherzosi, spintonate, tirate di capelli che notai fossero di un colore alquanto insolito.

Miroku e Koga lasciarono il povero ragazzo finalmente libero da quei due, posò il suo sguardo prima su Sango e Ayame per poi abbracciarle con un enorme sorriso.

    “Mi sei mancato brutto scemo” disse Sango scombinandogli i capelli.

Il ragazzo abbandonò la presa sulle due e immediatamente venni travolta dal suo sguardo.

Non avevo mai visto un ragazzo come quello.

Mi mostrò un piccolo sorriso da cui tuttavia sbucarono dolcemente due piccole fossette sulle guance, le labbra piene distese in una curva perfetta.

Venni percossa da un ennesimo brivido mentre il mio cuore sembrò aver deciso di compiere delle acrobazie, tanto batteva in modo frenetico ed incontrollato.

I suoi occhi, dio quegli occhi, me li sognai per giorni. Parevano oro colato dalle infinite sfumature che cambiavano a seconda della disposizione della luce, così profondi e belli mi pareva di starci affogando.

Che qualcuno mi aiuto, sto andando in iperventilazione.

Era il ragazzo più bello che avessi mai visto totalmente diverso dal classico giapponese ma si differenziava anche da quelle bellezze occidentale che vedevo in televisione o su internet. Era particolare con la sua carnagione abbronzata, i lineamenti del viso definiti e marcati, il naso dritto e quei capelli così strani che non parevano affatto tinti ma incredibilmente naturali.

Erano talmente tanto chiari da risultare bianchi, erano luminosi quasi scintillavano attraverso le luci psichedeliche.

Mi porse la mano per presentarsi, lo sguardo intenso fisso su di me.

    “Inuyasha” disse lui e talmente sopraffatta dalla sua bellezza non me ne resi quasi conto.

    “K-kagome” balbettai. Come una stupida, che diamine!

Distolsi lo sguardo da lui cercando di concentrarmi sulla figura di Sango che avviò un discorso con Inuyasha con vivo interesse, da quello che avevo compreso era da molto che non si vedevano.

Nonostante parlasse con i suoi amici ed io cercai di non posare mai il mio sguardo su di lui, con la coda dell’occhio lo vidi ugualmente posare i suoi occhi dorati sulla mia figura in un modo talmente intenso che mi portò a rabbrividire nuovamente. Avevo anche la gola secca.

Mi sfregai le mani sulle braccia con la speranza di mandar via quel fastidioso brivido ma ciò accentuò l’attenzione del ragazzo su di me.

    “Hai freddo?” mi chiese lui. Lo guardai spaesata per poi fare un cenno di negazione con il capo. Lui mi sorrise nuovamente facendo sbucare ancora quelle adorabili fossette. Aspetta, adorabili?

Cercai di ritornare in me, mi stavo agitando troppo e questo non andava affatto bene. Era tutta colpa del cora e rum, lo sapevo che l’alcol portava solo guai!

I ragazzi fecero nuovamente un altro brindisi in onore al tanto atteso ritorno di Inuyasha, erano tutti e cinque in cerchio mentre io mi ero spostata leggermente isolandomi come mio solito tenendomi stretta le braccia visibilmente a disagio. 

Li vidi così felici e così uniti, una strana intimità che non avevo mai provato assieme alle mie amiche.

    “Dai Kagome, vieni a brindare anche tu!” mi spronò Ayame porgendomi un altro bicchiere dal liquido trasparente e dall’odore forte e nauseante.

Guardai titubante il bicchiere e poi Ayame che mi osservava con fare incoraggiante. Spostai gli occhi prima sul resto del gruppo per poi concentrarmi su Inuyasha che manteneva ancorato il suo sguardo su di me. Deglutì piano ancora incerta sul da farsi ma con l’improvvisa ondata di uno strano coraggio che ero certa non sarebbe tornato più, afferrai il bicchiere annuendo piano.

Koga e Miroku urlarono un’esclamazione esaltata e anche un po’ volgare mentre Ayame mi guardò ridendo divertita, Sango circondò le mie spalle con il suo braccio avvicinandomi a sé. Il calore di una bella amica come Sango mi incrementò ulteriore coraggio.

Al segno di Miroku buttammo giù quel liquido tanto trasparente quanto forte, la gola mi bruciava in maniera atroce che mi portò ad emettere un verso disgustato.

Gli altri si misero a ridere “Piccola Kagome” disse Koga circondandomi con un braccio.

    “Pronti a ballare?” esclamò Ayame contenta. Prese per mano Koga e se lo trascinò in mezzo alla folla che si muoveva a tempo di musica dando origine ad una strana onda magica di corpi sudati così diversi ma così incredibilmente simili.

Miroku fece un piccolo inchino a Sango porgendole elegantemente la sua mano ma lei sbuffò spingendolo via per poi incamminarsi verso la massa percorrendo lo stesso percorso creato da Ayame e Koga.

La vidi voltarsi leggermente per osservare Miroku che si ritrovò a sospirare ammaliato, la mente persa in chissà quale sogno. Si volse verso Inuyasha che con un nuovo bicchiere alle labbra rise di lui.

Miroku partì all’inseguimento di Sango cacciando un lungo ululato al soffitto.

Il sorriso che mi aveva accompagnata per tutta la simpatica vicenda svanì ben presto dalle mie labbra quando mi resi conto di essere rimasta da sola con Inuyasha. Mi irrigidì immediatamente entrando in uno stato di panico e ansia.

Di sottecchi lo vidi posare il bicchiere vuoto sulla tavolata per poi appoggiarsi col sedere al suo bordo, le braccia incrociate e lo sguardo divertito posato sull’intera festa.

Mi concentrai anch’io sulla festa che proseguiva ininterrottamente totalmente disinteressata dal mio stato d’animo irrequieto totalmente discordante.

    “Vuoi ballare?” la voce del ragazzo al mio fianco mi fece sussultare ormai troppo concentrata a rimanere sulle mie, a cercare di isolarmi quando una situazione non mi piaceva per niente.

    “Come?” era mai possibile che facessi delle figure da idiota con lui?

Lui ridacchiò scuotendo piano il capo “Ti ho chiesto se vuoi ballare” non mi diede tempo di rispondere che mi prese per il braccio, la sua presa così ferrea ma anche così delicata un ossimoro perfetto.

Mi trascinò in mezzo alla folla nel cuore della festa affiancando Koga e Ayame che ballavano in maniera totalmente stupida con gesti idioti e ridicoli, ridendo spensierati.

Mi tenne stretta per la vita avvicinandomi a lui, cozzai contro il suo petto e posai una mano su di esso per cercare di mettere più distanza possibile fra noi.

Lui prese a muoversi piano sorridendomi affabile cercando di mettermi a mio agio. La mano posata sulla curva della mia schiena si spostò un po’ più in alto per poi prendersi a muovere come una sorta di carezza per infondermi coraggio.

Mi sentii il viso in fiamme mentre il cuore pareva esplodere come se volesse sfondare a forza la mia cassa toracica, avevo la sensazione che riuscisse a percepire il mio battito frenetico.

Vidi il suo volto avvicinarmi al mio, desideravo scappare mettere più distanza possibile tra me e lui. Avevo paura, ma paura di cosa? Non lo sapevo nemmeno io.

Sarà che non ho ami avuto un ragazzo, sarà che non ho mai avuto nessun rapporto, sarà che nessuno così bello si è mai avvicinato a me tuttavia ora sto tremando di paura.

Sviai lo sguardo da lui cercando tra la folla il volto familiare di Sango fallendo miseramente. Dove era finita?

“Concentrati su di me, guarda me. Guarda solo me” mi disse sussurrandomelo all’orecchio, sentì il suo caldo respiro scontrarsi sulla mia pelle. Mi scostò una ciocca dal viso sorridendomi ancora dolcemente, ancora le fossette a fare capolino. Spostai il mio sguardo su di esse cercando di fare come lui mi aveva ordinato.

Continuò a ballare muovendo piano il bacino andando a ritmo di musica, io rigida e impacciata non osai muovere un solo muscolo.

    “Ti stai trattenendo” disse lui a pochi centimetri dal mio viso.

    “Io non so ballare” dissi piano, la voce tremula ed insicura.

Lui scosse il capo negando e mi fece cenno di fare silenzio portandosi l’indice alle labbra, a quelle belle labbra che tornarono a sorridermi un’altra volta. Credo di essermi innamorata del suo sorriso.

    “Stai zitta e balla con me”.

E io mi sentii perduta.

 

 

BUONSALVE A TE LETTORE!

Questa qui è la prima parte di I Don’t Wanna Let You Go, è una storia che ho scritto di getto avevo l’ispirazione e la prima cosa che ho fatto è stato quello di aprire Word e incominciare a scrivere. Nel giro di cinque ore sono riuscita a fare solo questo, ahahah, anche se per me è un record.

Purtroppo sono una che scrive unicamente quando ha una forte illuminazione altrimenti la storia può andarsi a fare benedire.

Che dire? Spero ovviamente che vi sia piaciuto questo primo capitolo, ringrazio chiunque abbia avuto la voglia di giungere fino a qui ti meriti un premio!

L’unica mia paura è quella di aver reso Kagome un po’ troppo OOC, spero vivamente di no.

Anyway! Mi auguro che non ci sia nessun errore in caso fatemelo sapere vi pregoooo!

Vi mando un grande bacio,

 

LODOREDELMARE

   
 
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