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Autore: fervens_gelu_    12/08/2017    2 recensioni
-Scappa, ci sarò sempre…- le parole rassicuranti furono interrotte da un uomo vestito di scuro, con un giubbino militare e la barba folta che, con un fucile in mano lo caricava in un furgone per portarlo dove conducevano tutti quelli come lui. Oscar, invece, con gli occhi pieni di lacrime, era scappato, ci era riuscito, nascondendosi tra le stoffe colorate e i forti profumi del mercato.
Correva nella speranza di trovare qualcosa in cui credere ancora, trovare qualcuno che, per una volta, lo potesse comprendere veramente.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                               Un sogno in cui credere ancora


 
Correva, correva, correva, sempre più veloce, era riuscito a fuggire, sarebbe voluto rimanere con lui per andare incontro alla sua stessa sorte, la sabbia pizzicava i suoi occhi azzurrissimi, il sole alto nel cielo bruciava la pelle,  i pensieri lo avvolgevano, lo disturbavano intensamente. Non lo avrebbe più visto, sarebbe rimasto solo il ricordo, forse, non voleva che quelle ultime disumane scene potessero infrangere la sua mente e i suoi ultimi dolci momenti passati in sua compagnia. Era tutto successo così in fretta, sapeva che prima o poi sarebbe potuto succedere, questo lo sapeva bene, ma l’amore spesso gli faceva chiudere gli occhi, lo cullava in una dimensione alternativa e gli faceva dimenticare il mondo esterno. L’amore quello sbagliato, quello perverso, quello che in Mauritania era punibile con la pena di morte, con l’esecuzione capitale. Ma come poteva essere ritenuto sbagliato un amore così dolce, così vero, così essenziale tra due esseri umani? Era un quesito che lo assillava tremendamente ma non ci aveva mai pensato, perché cresciuto con una mentalità storta, ma solo ora, dopo aver perso tutto ciò a cui voleva bene, a cui avrebbe donato anche  la sua stessa vita, affiorava prepotentemente alla sua coscienza. Era successo tutto così in fretta, non riusciva a capacitarsene, ma sapeva che il sogno, a cui anelavano entrambi, era ormai irrimediabilmente sfumato, terribilmente risucchiato dalla disumana crudeltà. E quindi correva, senza fermarsi, forse sapeva dove andare, forse no, il mondo gli era sempre stato ostile, fin da quando era bambino. Era costretto a migrare, ad allontanarsi da un a terra che non lo aveva mai desiderato, che gli aveva sputato in faccia, fino a toglierli la cosa più preziosa che avesse mai potuto ricevere. Correva, scappava da un mondo che non gli apparteneva più, ma che aveva regalato al suo cuore un amore che non si sarebbe mai potuto ricucire… stava correndo, ma per chi? Per cosa? Correva a perdifiato senza una meta, uno scopo, era una corsa vana, al di là di quella montagna polverosa avrebbe trovato qualcosa di migliore o forse una terra che lo avrebbe accolto dolcemente tra i suoi seni. Aveva sempre avuto grandi sogni, ma tutto gli era sembrato irrealizzabile fino a quel momento; ogni giorno qualcosa premeva sul suo petto, forse l’angoscia, forse il dolore per una civiltà che lo disprezzava, pungeva, pungeva come uno spillo affilato che entra nella carne. Ma con Matthew aveva sempre superato questa sua incredibile voglia di farla finita ed egli gli aveva fatto capire che solo Lui avrebbe potuto mettere sottosopra il mondo. Ora era da solo, senza nessuno che potesse sussurrargli flebili ed amorevoli parole, senza che nessuno potesse consolarlo. Era da solo, aveva fatto a pugni con se stesso per gran parte della vita, e ora rantolava nel buio del deserto, tra le stelle del cielo che guidavano i suoi pensieri ed illuminavano la sua anima pura, magicamente protesa tra presente e passato.  Era stato un codardo, lo sapeva bene, ma Lui oramai non c’era più, i suoi biondi capelli erano mescolati con la sabbia del deserto mentre i suoi occhi color nocciola erano in quei piccoli ramoscelli che incontrava nel suo cammino, nei suoi passi che si facevano sempre più mesti, più stanchi, più sconsolati. Ma, nonostante la stanchezza e la nausea, continuava a correre, correre e correre per fuggire, per sempre, da tutto e da tutti.


-Scappa, ci sarò sempre…- le parole rassicuranti furono interrotte da un uomo vestito di scuro, con un giubbino militare e la barba folta che, con un fucile in mano lo caricava in un furgone per portarlo dove conducevano tutti quelli come lui. Oscar, invece, con gli occhi pieni di lacrime, era scappato, ci era riuscito, nascondendosi tra le stoffe colorate e i forti profumi del mercato.


Correva nella speranza di trovare qualcosa in cui credere ancora, trovare qualcuno che, per una volta, lo potesse comprendere veramente.
Era notte, le stelle illuminavano il cielo scuro, quasi nero come la pece. Il ragazzo si era cercato di coprire il più possibile con i vestiti che indossava per ripararsi dal freddo pungente che raggiungeva temperature molte basse nel cuore del Sahara Occidentale. Prese il diario, tutto impolverato ed ingiallito dalla sabbia del deserto. Scrivere era per lui un’esperienza magica, gli consentiva di poter esprimere tutto il suo animo, pieno di sogni e di speranze mancate. Ogni riga scritta era una storia diversa che si andava ad accavallare sul suo volto, provato e solcato dal dolore e dal pianto.


 Caro Diario,
E pensare che tra pochi giorni saremmo dovuti partire,  avremmo avuto di fronte a noi una nuova vita, fatta di speranza, i progetti erano così tanti…  e invece, ora, mi trovo da solo, in questo deserto, sperando di superare la notte. Forse mi stanno ancora cercando, non posso fermarmi adesso. L’inchiostro era quasi finito e il vento del deserto durante la notte era terribile, se non mi fossi bendato e coperto il più possibile, sarei potuto anche morire… per non parlare degli animali feroci che lo abitano. Mi manca tantissimo, mi manca, ma se vado avanti lo devo solo a lui. Costi quel che costi, devo andare avanti, devo portare avanti un sogno, non solo il Mio, ma il Nostro, attraverserò questo mare sabbioso, prenderò una barca, mi farò andare bene anche una zattera e arriverò su un’altra terra… quando ero piccolo, mio nonno, forse l’unico a cui volevo davvero bene, mi raccontava, che al di là dell’oceano, vi erano delle terre pacifiche ove la guerra era ormai da tempo solo un lontano ricordo. Mi sento come un bambino, non conosco nulla al di fuori della mia terra, tutto è nero, il mondo è qualcosa di a dir poco sconosciuto.


Una lacrima bagnò la pagina del taccuino.


Erano passati ben quattro giorni dalla fuga precipitosa, le scorte di cibo, già veramente poche in partenza, erano terminate da circa un giorno, così come l’acqua contenuta nella borraccia. Un lupo lo aveva ferito alla gamba e il freddo della notte aveva ridotto le sue forze al minimo. Riuscì comunque a cavarsela; per sopperire alla mancanza di liquidi, fu costretto a bere la sua stessa urina, mentre riuscì a bendarsi la ferita sul ginocchio grazie ad una stoffa di cotone bicolore che era riuscito a rubare al mercato di Aleg. Si erano alternate giornate serene a giornate di pioggia che avevano permesso a Oscar di godere di un po’ di frescura per continuare il suo viaggio. Non aveva mai dormito per paura di essere rapinato dai beduini del deserto, i più spietati e per timore di venire sbranato dalle strane creature che si diceva si aggirassero per le dune del Saahara. I giorni passarono e mentre i ricordi e i pensieri si facevano sempre più ammorbanti, anche il corpo cominciava a sentire la fatica prendere piede e tradire la mente ancora lucida che inseguiva un determinato obiettivo, il mare. Lo aveva visto solo una volta, un’unica volta, quando era molto piccolo in un documentario, ma la memoria lo aveva completamente rimosso… ricordava solamente fosse azzurro, bluastro, ma nient’altro… forse, ora, nei suoi ricordi che attanagliavano e paralizzavano la sua persona si era tinto di nero, di malinconia e di rosso, di sangue, di disperazione. Il vento forte, sabbioso, gli scompigliava i capelli increspati e gli inumidiva gli occhi… la stanchezza era sempre più forte, stava per vincere contro i suoi pensieri, contro la sua voglia di rinascere, contro la sua stessa anima. Una stanchezza che si concretizzava sempre di più come un macigno nel suo petto ma soprattutto nella sua mente sempre più incapace di controllare i movimenti, i gesti e le espressioni del volto. Era stato strappato dalla sua terra senza che lo potesse decidere lui stesso. Una vera e propria costrizione che lo aveva incatenato all’idea di fuggire… e ora costretto a correre tra le dune del deserto, privo di qualsiasi senso dell’orientamento e senza possibilità di salvezza.
 Il sole ardeva nel cielo sempre più violentemente mentre si confondeva quasi con il mare, tanto era azzurro e rilucente.
Era di fronte a lui, il mare, azzurro, verdastro, con tanti piccole luci che prepotentemente scintillavano, tanti i riverberi che destavano pace e tranquillità nel suo corpo. Sembrava così lontano, così distante, ma allo stesso tempo vicino, più camminava, più sembrava di allontanarsi, correva e l’acqua con flusso continuo sembrava fuggire con lui.
Era scappato così a lungo, ma non si sarebbe mai aspettato che anche il resto del mondo fuggisse assieme a lui. Un turbine di sabbia risucchiò in pochi secondi quelle ribollenti onde che per un attimo gli avevano fatto credere di essere riuscito ad arrivare almeno a metà del suo forse infinito traguardo. Preso da un disumano sconforto, inghiottito dalla disperazione si gettò in mezzo a quel fiume dorato e scoppiò a piangere; l’assenza di cibo e di acqua pulita iniziarono a infliggere i primi duri colpi al corpo denutrito e sempre  più fragile. I colori del mondo si erano tinti di grigio, poi tutto aveva preso una patina marrone ed infine il nero, le tenebre, pervaderono l’intero Universo. Un tonfo alzò piccole zolle di sabbia, ma subito dopo la pace del Saahara riassorbì quella piccola perturbazione dello spazio.
I sogni si tinsero di una strana felice tristezza. I colori del mare ancora lontano all’orizzonte si iniziarono ad ovattare, la luce del sole piano piano cominciò ad oscurarsi mentre l’odore salmastro della sabbia si dissolse con estrema delicatezza. Precipitò in un sonno profondo, quasi magico, oracolare, cullato dal pensiero del mare e dalla voglia di farcela. La notte era giunta e il corpo era completamente affondato, sommerso dai granelli di sabbia ardenti che quasi lo fagocitavano. La pioggia appena accennata bagnava il suo corpo inerme mentre inumidiva i suoi secchi capelli. In lontananza si intravedeva una tempesta che ben presto si sarebbe avvicinata e avrebbe spazzato via qualsiasi residuo del suo corpo, strappando a brandelli in modo doloroso ogni speranza e desiderio a cui ancora anelava, in cui ancora provava a credere. Avrebbe fatto perdere completamente le tracce del suo volto, della sua più intima essenza. Sembrava, però, fosse destinato a farcela, quasi come un profeta era stato incaricato di trasmettere un messaggio al resto dell’Umanità tutta, al resto del mondo ancora inconsapevole, ancora all’oscuro di come realmente si vivesse, tra la vita e la morte, tra il sonno e la veglia in quei paesi dilaniati dal dolore, dalla fame, dalla sete in cui si l’unico sentimento che si potesse covare era la speranza, la fervida speranza che, brulicante nei loro cuori, permetteva di Credere ancora.


Due piccoli occhietti luccicanti, bruni, due piccole nocciole, capelli lunghissimi, due labbra rosee, un esile corpicino fasciato in abiti orientali, colorati alla maniera più sfarzosa possibile, si avvicinarono lesti alla salma ricoperta di sabbia del ragazzo. Il volto era curioso, come se avesse in faccia un grande punto interrogativo. Cercava di capire cosa si nascondesse lì sotto, sotto tutta quella polvere. Con le mani ancora poco sviluppate, poggiata la brocca di rame vicino ad una pianta grassa in fiore, iniziò a scavare imperterrita, mentre con gli occhi scrutava la figura che a poco a poco iniziava a delinearsi sempre più nitidamente. Non appena riconobbe un uomo urlò spaventata e cercò di scappare il più velocemente possibile. Oscar le afferrò rapidamente una gamba per non farla fuggire via. Ella strillò ancora con più forza, ma data la completa desolazione nel luogo in cui si trovavano, in cambio, ricevette esclusivamente un suono sordo, quasi una sorta di rimbombo della sua voce nell’immensità delle dune. Aveva però ben compreso che qualcosa non andasse tanto che l’uomo a fatica respirava ed indicava con dei gesti molto elementari la necessità di bere dell’acqua. Cercò di fare segni con la maggiore dolcezza che potesse avere per evitare che la ragazzina potesse fuggire nuovamente lasciandolo lì a morire, non solo spiritualmente, ma, stavolta, anche fisicamente. Era già morto una volta quando gli venne ucciso sotto gli occhi Matthew, non poteva permettere che questo potesse ricapitare. Era sì da solo, forse in queste condizioni sarebbe stato difficile, impossibile vivere, forse non ne sarebbe nemmeno valsa la pena, ma si rendeva conto che ancora gli erano rimasti i ricordi… quelli erano una cura per il suo animo ferito. Erano la memoria, i pensieri che lo spronavano ogniqualvolta compiva un passo. Non gli era più rimasto nulla di tangibile ed era per questo che voleva ricominciare daccapo sostenuto dal passato, ma con lo sguardo rivolto in avanti. Se solo avesse provato a girarsi avrebbe solo visto morte e solitudine e in quel momento sarebbe stato risucchiato dal male, da una terra che oramai non era più la sua. Non era più un ragazzo, era un uomo, un uomo nuovo per giunta; tutto questo male, questo dolore avevano inciso la sua carne ma gli avevano permesso di essere ciò che ora più ardentemente che mai desiderava essere. Non più una famiglia, non più una casa, né la terra, né l’amore, era da solo, solo contro un immenso universo che si stagliava ferocemente contro di lui. In un attimo i momenti belli che aveva vissuto, che sapevano di spezie, di colori, di umida pelle sul suo corpo, si accalcarono l’uno all’altro, gli diedero, per la prima volta, la forza di andare avanti. Non gli scacciò villanamente come soleva fare, ma li accolse dolcemente, ora li stava facendo suoi per dare un senso a tutto ciò che lo aveva portato fin lì. Sentì una forza spaventosa, erculea dentro di lui, comprendeva come tutto accadesse per un motivo… questo era il suo destino e lo doveva affrontare per ottenere qualcosa che, solo a tratti, aveva catturato, la Felicità. Non sapeva cosa fosse la Felicità. Forse non lo avrebbe mai saputo, ma continuava a sperare. Tutto il dolore, prima o poi, sarebbe sicuramente servito a qualcosa.

 Con una carezza, come era solita fare la mamma con lui quando, ancora molto piccolo, piangeva incessantemente, quando la madre ancora lo amava, avvicinò il volto scuro della giovane fanciulla che sapeva ancora di latte e di amaranto. In quel gesto era racchiuso l’amore e l’odio che provava per la sua terra natia con cui gli avrebbe detto addio. Addio. Addio. Addio… queste le parole che continuavano impalpabili a risuonare nella sua testa. Una carezza e la bambina iniziò a toccare il suo volto, così forse era stata abituata dai genitori riguardo le persone estranee ed indicò la brocca poggiata a terra. Il ragazzo senza esitare bevve tutto in un solo sorso, fino all’ultima goccia, prosciugando completamente il recipiente. Ringraziò la giovane anche se da subito capì parlassero due lingue differenti. Marika, infatti, così si chiamava la bruna, abitava in un piccolo villaggio nei pressi del Saahara, abituata a vivere tra le dune scoscese del deserto e parlava una lingua locale, sconosciuta ai più. Con la sua piccola mano incitò Oscar a seguirla. Gli aveva salvato la vita, non poteva di certo non seguirla, forse aveva capito le sue intenzioni, anche se espresse con una favella non proprio comprensibile dati i diversi villaggi in cui erano nati e vissuti
.
La bambina si destreggiava nel sentiero e con un bastone tracciava dei piccoli solchi nella sabbia per schivare mine antiuomo che erano disseminate qui e lì e per evitare il pungiglione velenoso degli scorpioni.

Camminavano da circa due ore sotto il sole cocente a temperature elevatissime anche se per il giovane, non abituato a quelle camminate, era passata evidentemente un’eternità. Le poche rocce rimaste sembravano addirittura sciogliersi. In lontananza si iniziavano a vedere alcuni animali selvatici, d’allevamento, ed alcuni bambini scorazzare sulla terra arsa. Marika prese per mano il ragazzo e lo fece correre fino al villaggio dove avrebbe fatto conoscenza con i suoi genitori. Non appena arrivato, i bambini lo accolsero con una grande baraonda mentre urlavano parole per lui incomprensibili e si rincorrevano come delle pesti. Per un attimo sorrise, sorrise perché si ricordò di quando, da bambino, tutto fosse così spensierato, semplice, tutto era un gioco. Era stato chiaramente invitato a giocare con loro. Giocarono ad acchiapparella per l’intera mattinata. Sembrava spensierato… decise di prendere il suo piccolo scucito diario per imprimere nella sua memoria questi piccoli momenti di Felicità che aveva appena vissuto. Sembrava un miracolo, un albero di frutta era riuscito ad attecchire in un terreno così desolato, senza acqua. Si appoggiò al suo nodoso tronco e protetto dalli grandi foglie in fiore iniziò a buttare giù qualche riga con un mozzicone di matita che portava spesso nella tasca in alto a destra della sua grande e marrone camiciola.



Mi trovo in un piccolo villaggio del Saahara Occidentale. Sono ancora vivo, mi è quasi impossibile crederlo. Qui la vita sembra davvero spensierata, ci sono bambini che giocano, uomini e donne che vivono in completa e perfetta armonia, crescono addirittura alberi da piantagione e rigogliosi fiori dagli ampi petali. Il loro profumo è veramente inebriante. Una ragazzina mi ha salvato la vita, in qualche modo dovrò ripagare quel gesto, un gesto che mai nessuno in vita mia aveva fatto per me. Per me solo odio.



Di nuovo i ricordi tornarono alla mente ma con uno sguardo fiero e deciso, invece, se ne appropriò senza scacciarli, ormai aveva capito che avrebbe dovuto per sempre conviverci e farne tesoro.


Il calore della gente fino ad ora mi era davvero sconosciuto, la loro dolcezza e solidarietà non la avevo mai provata prima d’ora… caro diario, ora sono costretto ad andare, sono stato invitato a mangiare con gli abitanti del villaggio alla loro mensa.



La tavola era lunga ed era apparecchiata per ben tredici persone, ossia per lui e per i dieci figli della famiglia che lo avevano ospitato, nonostante i suoi continui rifiuti, in quanto desiderava raggiungere il mare prima del far della sera. D’altronde, però, Marika gli aveva salvato la vita e l’unico modo per ricambiare quel gesto incommensurabile era accettare l’invito per il pranzo per poi ripartire alla volta del grande e maestoso Oceano. La casupola era costruita in legno, mentre le sedie erano fatte di vimini intrecciati; l’intera tavolata era coperta da una grande tovaglia fatta di cretonne già del tutto apparecchiata.
Mentre si accomodava circondato da numerosi bambini che gli facevano le feste, si chiedeva come un popolo che viveva di stenti e di poche materie essenziali, potesse prendersi cura di lui. Era pur sempre un migrante dalle sue terre, poteva benissimo essere bollato come un ladruncolo da quattro soldi o un beduino esperto del deserto ed invece veniva trattato come un fratello maggiore che i più piccoli non vedevano da molto. Forse erano raramente abituati a ricevere delle visite o erano semplicemente accoglienti dato l’esiguo numero di popolani e le tradizioni degli avi riguardo il trattamento che andava riservato agli ospiti.
Il cibo era sicuramente molto particolare e non si confaceva alla sua normale alimentazione, ma si vedeva come fosse preparato con tanto amore… avevano tirato fuori le materie prime più raffinate per il loro ospite. Prima uno spezzatino in brodo con del sugo piccantissimo, poi una sorta di patate dolci dal colore verdastro ed infine uno strano dolce che, da quando aveva appreso dalla madre di Marika, era un piatto di benvenuto che si tramandava di generazione ed era frutto di una ricetta segreta. Terminato il pasto si diresse guidato da due uomini che conoscevano la zona verso il mare, alla volta del mare.


Ormai sapeva che di fronte a lui, il mare, sarebbe stato albergo di nuove speranze, sapeva che al di là di quel vasto cielo avrebbe trovato finalmente la sua vita, quella che gli era stata proibita di vivere. Avrebbe spiccato le ali verso il cielo e in un rombare di desideri avrebbe fatto della sua debolezza, la sua vera forza. Avrebbe inghiottito la polvere e sarebbe rinato come araba fenice dalle sue stesse ceneri, da una terra devastata e piena di odio ad una terra ridente e felice che lo avrebbe accolto, rendendolo per la prima volta, figlio, ragazzo e poi Uomo.
   
 
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