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Autore: scrittrice in canna    12/08/2017    1 recensioni
Janet è una giornalista che vuole raggiungere il successo e per farlo cerca di scrivere uno scoop eccezionale sulla stella nascente del teatro Americano: Blaine Anderson.
Tra gonne e capelli che si fanno sempre più corti, la musica e i balli che diventano sempre più stravaganti, Blaine dovrà fare di tutto per mantenere il suo segreto perché il mondo sarà anche cambiato, ma nessuno è ancora pronto a scoprire che il loro cantante preferito è una checca.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Un aroma di tabacco e colonia si mischiava nell’aria del locale, attaccando i sensi di chiunque ne oltrepassasse la soglia. La calda luce del mattino irrompeva dalle grandi finestre, illuminando i vestiti dai colori accesi delle buone donne sedute a prendere il tè mentre i loro accompagnatori sudavano in costosi completi fatti su misura.
Janet aveva dovuto scovare il suo vestito più elegante dall’armadio per potersi presentare a quell’incontro, ma si sentiva ugualmente a disagio in confronto alle lady dalle quali era circondata: donne che potevano permettersi di mettere un abito un giorno per poi buttarlo nell’inceneritore. Janet non aveva avuto la fortuna di nascere con un reddito annuo, o una dimora in campagna con domestici; lei era figlia di una vedova di guerra e perciò anche il suo lavoro nel Daily News era un vanto e un orgoglio. Essendo l’unica donna della redazione doveva combattere con le unghie e con i denti per assicurarsi di mantenere il suo posto, per questo quando l’astro nascente dello spettacolo Americano aveva richiesto proprio lei per la sua intervista, il cuore di Janet aveva sussultato in maniera indescrivibile: non solo avrebbe avuto un’esclusiva da prima pagina nelle mani, ma anche la possibilità di parlare faccia a faccia con uno dei suoi cantanti preferiti e tempestarlo di tutte le domande che avrebbe sempre voluto fargli.
Janet si lisciò un’ultima volta la gonna rosa pallido del vestito, sbuffò annoiata e lanciò uno sguardo all’orologio: erano già passati dieci minuti dall’orario concordato e aveva paura di essere stata scartata per un impegno più importante, di sicuro il signor Anderson aveva di meglio da fare che lasciarsi annoiare da una giornalista di provincia.Proprio quando stava per alzarsi e andarsene, entrò nel locale un uomo di media statura con un completo firmato che sicuramente costava più di tutto ciò che Janet indossava messo insieme. Non era difficile riconoscerlo, Janet aveva assistito a diversi spettacoli che il ragazzo aveva tenuto in ogni bar della costa Est quando ancora era un signor nessuno.
“Sto cercando la signorina Tyler, dovrebbe esserci un tavolo a mio nome.” Janet lo sentì chiedere di le al receptionist e sorrise: se non fosse stato per l’aspetto, l’avrebbe di sicuro riconosciuto dalla voce.
L’uomo dall’altro lato del bancone indicò il loro tavolo al signor Anderson (era troppo strano chiamarlo per nome come faceva durante le ore passate a fare gossip con le amiche, doveva distinguere la figura professionale dalla fan di tutti i giorni) e lui lo ringraziò con un cenno del capo e un sorriso prima di prendere posto di fronte a lei.
“Salve, mi scusi per il ritardo ma ho trovato un po’ di confusione venendo qui,” si scusò lui porgendole la mano.
Janet la strinse e cercò di non commentare sulla pessima scusa: solo poche persone possedevano un’auto in quella città, era improbabile che ce ne fossero così tante da creare addirittura confusione.
“Non si preoccupi. Direi che possiamo cominciare subito.” Stava per prendere il suo block notes quando lui la fermò con un gesto della mano.
“Prima ordiniamo, che ne dice? È più facile conversare con una tazza di caffè davanti.” Fece schioccare le dita e in un battito di ciglia un cameriere si avvicinò al loro tavolo, Anderson la guardava in attesa che fosse lei la prima a ordinare.
Janet scosse la testa. “Nulla per me, vada pure avanti.”
“Offro io, insisto.”
“Okay, allora…“ La ragazza diede una rapida occhiata al menù davanti a sé, aveva provato a dargli un’occhiata prima per ammazzare il tempo ma si era ritrovata sbigottita dai prezzi e aveva deciso di evitare. “Un cappuccino, per favore. E dei biscotti.”
Dall’altro lato del tavolo, Anderson si strofinava le mani soddisfatto lanciando occhiate al menù. “Li faccia al cioccolato, per favore. E un caffè per me.”
Congedò il cameriere, si sedette dritto sulla sedia e prese a sistemarsi i gioielli della camicia per non guardare Janet negli occhi. “Possiamo cominciare,” annunciò.
La ragazza prese finalmente il suo block notes insieme a una matita perfettamente temperata e cominciò a leggere le domande che aveva buttato giù la sera prima.
“Mi dica, come ci si sente ad essere trasportato dai bar di una piccola città vicino Philadelphia ai palchi di Broadway?”
“È stata un’emozione grandissima. Nessuno si aspettava questo successo, nemmeno io a dirla tutta, eppure sono qui a parlare con lei in uno dei locali più prestigiosi di New York.” Anderson alzò le spalle, si guardò attorno e aggiunse: “Non lo so, mi sento piuttosto fortunato.”
“Lo è di sicuro. Ora, signor Anderson, c’è una cosa che…”
“Ti prego. Chiamami Blaine, mi fai sentire vecchio.”
Janet annuì.
Quel ragazzo emanava carisma da ogni poro, era obiettivamente nato per lo spettacolo, riusciva ad attirare l’attenzione su di sé anche quando non si stava esibendo, anche se la ragazza sospettava che in quel momento stesse mantenendo un personaggio costruito meglio di tutti quelli che portava in scena tre volte a settimana.
“Seconda domanda, non entrerò subito nel personale, ma ci arriveremo. Ti avverto.”
Blaine si irrigidì in maniera quasi impercettibile, Janet non glielo fece notare.
“Cosa ricordi della prima del tuo spettacolo? Il dopo, intendo, le emozioni che hai provato.”


La folla applaudiva dall’altro lato del palcoscenico, Blaine aveva ottenuto una standing-ovation. Ogni volta era come la prima: si sentiva vivo quando scendeva dal palco.
Si recò nel dietro le quinte dove gli venne dato un asciugamano per il sudore, poi si diresse dritto verso il camerino, pronto a farsi rifare il trucco e cambiarsi per la festa che il produttore aveva organizzato per festeggiare la prima dello spettacolo. I tecnici e gli assistenti lo fermavano per fargli i complimenti e lui non poteva fare a meno di ridere tra sé e sé. Era ancora tutto troppo surreale, non aveva ben afferrato il concetto di essere salito su un palco e aver cantato e recitato e… alla gente era persino piaciuto!
“Blaine, il tuo agente ti aspetta nel camerino,” lo informò una voce anonima dietro di lui.
Improvvisamente il mondo smise di girare ad una velocità frenetica, le luci che ancora risplendevano dentro le sue palpebre si attenuarono e il nodo che non gli stava permettendo di respirare si allentò giusto un po’. Blaine annuì al vuoto, sperando che chiunque gli avesse rivolto la parola avesse colto il gesto, e camminò a passo sostenuto verso il camerino.
Aprì la porta dell’ultima stanza in fondo a sinistra - era stato lui a richiedere quello più lontano - e lo vide seduto con le gambe incrociate di fronte allo specchio, stava ammirando i bouquet di fiori che sedevano immacolati su quello che sarebbe dovuto essere un beauty ricoperto di oggetti di scena e trucco. Era così occupato a leggere il biglietto che gli era stato scritto da qualche amico o qualche collega che non si era accorto neanche che Blaine fosse entrato. Lui bussò con due dita contro la porta, finalmente Kurt alzò gli occhi e si girò.
“Buonasera.”
“Congratulazioni. Una performance davvero notevole.”
Blaine abbassò la testa, lanciò uno sguardo al corridoio e quando vide che nessuno stava passando da quella parte si decise a entrare nella stanza e chiudere la porta.


“È tutto un flash di persone che mi facevano le congratulazioni, chi mi stringeva la mano, i miei che telefonavano per sapere com’era andata. Tutto molto… molto confuso, se devo essere sincero.”
Janet aveva previsto il fatto che avrebbe dato solo risposte vaghe, come aveva sempre fatto, ma si era ripromessa che la sua intervista sarebbe stata quella in cui Blaine Anderson non avrebbe potuto sviare in nessun modo. Un po’ ambizioso - troppo ambizioso per una ragazzina qualunque - ma le avevano insegnato a mirare sempre in alto.
“Non puoi dirmi niente di più preciso?” chiese alzando la matita dal quadernetto per qualche secondo. “Off-record.” Per farsi credere lasciò cadere la matita sul tavolo e spinse via il block notes. Avrebbe comunque scritto qualunque cosa sarebbe stata detta a quel tavolo, senza tralasciare nulla, ma questo era un dettaglio che l’uomo davanti a lei non doveva sapere.
“Perché t’interessa se non vuoi scriverlo nel tuo articolo?”
“Ti prego,” disse con la voce di una bambina capricciosa. “Sono una tua grande fan, curiosità personale.” Janet aveva imparato che essere una donna, e di conseguenza essere sottovalutata, poteva rivelarsi un punto a favore se sapeva come sfruttarlo.
“Okay, ehm… ricordo che sono sceso dal palco, mi hanno fatto i complimenti, sono entrato in camerino, mi sono cambiato e sono andato a casa. Ero troppo emozionato, felice, su di giri. Mi sentivo come se stessi camminando su una nuvola.”
Janet non lo pressò ulteriormente su quella domanda: era chiaro che non avrebbe ottenuto nulla tranne la sua irritazione.
“Oh, non avete organizzato nessuna cena per festeggiare la prima? Di solito si fa, o almeno così ho sentito.”
“No, hanno organizzato una festa ma non ci sono andato. Ero troppo stanco.”
“E hanno celebrato anche senza la star dello spettacolo?”
Blaine ridacchiò, come se trovasse la cosa divertente. “Se volevano che ci fosse uno spettacolo il giorno dopo, dovevo andare a dormire. Dovresti vedermi con meno di otto ore di sonno.”
Janet lo assecondò con un sorriso, prese il suo block notes e andò avanti con le domande scritte lì sopra. “Okay, prossima domanda: molti ragazzi che vengono da un passato diverso dal mondo dello spettacolo, cioè tutti quelli che sono nati fuori da New York, per intenderci,” doveva essere una battuta per allentare la tensione. Blaine rise per educazione. “Dicevo, tutti questi ragazzi come me e te di solito vengono monitorati molto di più, hai qualche aneddoto divertente sui tuoi collaboratori?”
Blaine sbatté le ciglia rapidamente come se si stesse risvegliando da una trance. “Vuoi che metta in ridicolo le persone con cui lavoro?”
Janet fu presa in contropiede, non pensava che si sarebbe fatto così tanti scrupoli. “Non esattamente.”
“Allora vuoi che metta in ridicolo me stesso?”
Quella era l’intenzione: ricavare una storiella sul ragazzino che entra nel mondo dello spettacolo senza farne davvero parte e finisce per fare brutta figura dopo brutta figura. Sarebbe stata un’altra faccia del Blaine Anderson composto e talentuoso che tutti conoscevano, un’esclusiva imbattibile che le avrebbe assicurato il rispetto dei suoi colleghi.
“Davvero non vuoi raccontarmi nulla? Neanche qualcosa sul tuo manager? Passi molto tempo con lui, no?”


“Sei stato davvero bravo, non avevo dubbi che saresti piaciuto a tutti.” Kurt si prese il suo tempo a sciogliere il papillon del costume di scena di Blaine mentre parlava a voce bassa.
“Non ti ho visto tra la folla, credo di averti cercato per tutto il primo atto,” ammise l’altro che lo stava osservando con attenzione.
Kurt sorrise dolcemente, continuò a lavorare in silenzio sul nodo alla gola di Blaine senza dire nulla. Entrambi potevano sentire gli ingranaggi che ruotavano nel suo cervello a grande velocità. Blaine aspettò che avesse finito di sciogliere il papillon, continuò a guardarlo mentre emetteva un’esclamazione di vittoria e mentre gli poggiava le mani sul petto per poi guardarlo finalmente negli occhi; quando vide che aveva finito e non c’era più niente che lo stesse distraendo si decise a chiedere: “Perché non mi hai portato dei fiori?”
“Sì che te li ho portati, sono in macchina.”
“No intendo, qui. Perché non li hai portati qui?”
Kurt sbuffò annoiato, fece un passo indietro per aumentare la distanza tra di loro e si portò una mano ai capelli. “Ne abbiamo già parlato. Non possiamo, anche se tu non fossi tu e io non fossi il tuo capo. Non potremmo e basta.”
Blaine voleva colpirsi da solo. Certo che lo sapeva, sapeva di tutti gli anni in cui Kurt era stato molestato a scuola per la sua voce, per il fatto che non aveva mai una ragazza e poi per non essere andato in guerra solo qualche anno prima; sapeva quanto si sentisse una delusione per la sua famiglia, per il suo paese, eppure c’era quella piccola parte del suo cervello che voleva avere tutto ciò per cui aveva combattuto: era riuscito ad arrivare al gradino più alto del successo, poteva permettersi di estinguere il debito di sua madre, di comprare una casa alla vedova di suo fratello, di pagare la scuola per suo nipote, di girare in auto anche per andare a comprare il giornale, eppure non poteva camminare mano nella mano con la persona che amava mentre faceva tutto questo. C’erano giorni, come quella sera, in cui quella consapevolezza lo soffocava. Voleva soltanto uscire a festeggiare con la sua co-protagonista seduta a destra e l’uomo davanti a lui seduto alla sua sinistra. Sapeva che probabilmente sarebbero stati insieme comunque - anche Kurt era stato invitato alla cena - ma non come avrebbero voluto. Mai come avrebbero voluto. Era una realtà a cui si era dovuto abituare quando aveva scoperto di essersi innamorato di un ragazzo.
“Fa tutto schifo,” furono le uniche parole che riuscì a pronunciare. Alzò lo sguardo e vide che anche Kurt aveva le lacrime agli occhi. Stava guardando di nuovo i mazzi di fiori, evitando di alzare lo sguardo allo specchio per vederci riflesse le loro espressioni sconfitte. Sospirarono.
“Posso,” Blaine iniziò a parlare, ma quando notò che la sua voce era rauca si fermò per schiarirsi la gola. “Posso anche non andare alla festa. Dirò che sono stanco o che ho altro da fare o che ne so… se non vado io non c’è bisogno che vada anche tu. È la scusa perfetta.”
“La scusa perfetta,” ripetè l’altro sottovoce con una punta di amarezza.
Blaine non riusciva a restare lì immobile, fece due passi decisi e gettò le braccia attorno al collo di Kurt per farlo sfogare, piangere, per nascondere il suo stesso viso nella sua spalla.
“Almeno siamo insieme. Questo non possono togliercelo.”
“Mai.”


“No, mi dispiace,” disse Blaine con una scossa del capo. “Niente storielle. Il mio manager è un tipo professionale.”
Janet si appoggiò alla sua sedia e incrociò le braccia: quell’intervista non stava portando a nulla di concreto. Gli fece qualche altra domanda generica sullo spettacolo, i suoi collegi, la sua famiglia (su di loro diede altre risposte alquanto vaghe e poco sincere, Janet lo vedeva dal modo in cui si muoveva e sistemava il suo gilet di velluto) e alla fine, dopo un’ora di discorsi su cose che sarebbero rientrate solo parzialmente nel suo articolo, Janet rilasciò la bomba finale: “L’ultima domanda, dopodiché ti lascerò andare, promesso. Come ti ho già detto sono una tua grande fan, e spesso esce il tuo nome tra i discorsi con le mie amiche, si chiedono tutte se sei impegnato. Vuoi finalmente rispondere a questa domanda? La eviti spesso durante le tue interviste.”
Blaine stava per dire qualcosa, ma parve bloccarsi quando entrò nel locale un ragazzo alto e snello che portava al braccio Mercedes Jones, una cantante jazz che si stava affermando nonostante la sua carnagione scura. Janet non li aveva mai visti insieme e segnò in un angolo del foglio che doveva investigare su chi fosse il ragazzo. Lasciò scivolare lo stupore di Blaine come quello di un bambino che vede per la prima volta il suo idolo - probabilmente non si era ancora abituato al mondo delle star - e tornò a guardarlo, in attesa di una risposta, mentre lo sguardo di lui rimaneva fisso sui nuovi arrivati.
“Io… ehm…” Per la prima volta Janet lo vide senza parole. Ci vollero un paio di secondi prima che si ricomponesse, ma quando lo fece le rivolse il sorriso più smagliante che gli avesse visto in faccia da quando l’aveva conosciuto più di un’ora prima.
“Sì, in effetti c’è qualcuno.”
Janet s’illuminò: era la prima volta che le diceva qualcosa di davvero interessante, avrebbe lasciato stare tutto il resto se quello che stava per dire fosse abbastanza succulento. Già poteva vedere i titoli sul giornale, magari le avrebbero fatto scrivere una seconda storia su una probabile candidata al ruolo di ragazza dell’astro nascente di Broadway.
“Possiamo sapere il suo nome?” gli chiese, ma non si aspettava una risposta.
Blaine aveva parlato a voce abbastanza alta in modo che Kurt potesse sentirlo. Sapeva bene che a quell’ora avrebbe avuto un’intervista in quel locale, ma probabilmente sperava che avrebbero finito prima così non si sarebbero incontrati. Peggio per lui, adesso che si trovavano nello stesso posto non poteva non approfittarne. Era seduto esattamente di fronte a lui.
Ebbe l’effetto desiderato, perché una volta che rispose a Janet Kurt alzò lo sguardo dal menù che stava consultando e lo squadrò dal suo tavolo. Mercedes si mise a ridere, era l’unica a sapere di loro due ed era successo in maniera del tutto casuale. Tra scarti della società ci si capiva meglio, però, dunque Blaine era felice che fosse lei il terzo incomodo quando volevano andare in un pub per ballare o se decidevano di andare ad ascoltare una jazz band che gli veniva suggerita da qualche amico.
Kurt lo stava ancora incenerendo con lo sguardo, Janet gli aveva fatto una domanda ma era troppo impegnato a guardarlo e sghignazzare per capire cosa avesse detto.
La reporter si girò verso Mercedes e Kurt, Blaine si vide costretto a spostare lo sguardo; prese il suo orologio da taschino e guardò l’orario nonostante ce ne fosse uno al muro, giusto per distrarsi.
Janet lo guardò con malizia quando si rigirò verso di lui, poteva vederla anche con la testa abbassata.
“Mercedes Jones?” chiese sussurrando, gli occhi che le brillavano.
Blaine spalancò i suoi in stupore, ma negò velocemente con la testa. Non poteva portare Mercedes in una cosa più grande di lei, faceva già troppo per coprirli.
“No! No, non Mercedes. È un’amica, la stavo... salutando.” Sapeva di non essere credibile, ma nessuno sapeva chi fosse il suo manager e se fosse venuto fuori che era Kurt non sarebbe stato difficile per la stampa fare due calcoli e mettere voci in giro dato che fino a qualche mese prima lo scandalo della sua sessualità era ancora tra le prime pagine dei giornali e le riviste. Aveva perso troppi clienti per quella storia, non potevano permettersi che succedesse di nuovo, era già stato difficile smentire tutto la prima volta.
“Quindi non puoi dirci il nome di questa misteriosa ragazza?”
“No. Scusa, segreto professionale.”
Kurt aprì la bocca scioccato, stava ancora ascoltando tutto e non era difficile sentire nel relativo silenzio del locale. Si portò una mano alla bocca per nascondere un sorriso - o almeno così sperava Blaine, altrimenti si sarebbe beccato una bella ramanzina una volta tornato a casa.

L’intervista finì poco dopo, Janet gli strinse la mano e disse che era stato un piacere parlare con lui. In realtà Blaine non aveva mai fatto un’intervista sentendosi così tanto a disagio; quella ragazza era una mina vagante, avrebbe potuto chiedergli di tutto e lui non voleva rispondere a nulla sulla sua vita privata, che sembrava essere l’unico campo ad interessare Janet davvero.
Uscì sul marciapiede e prese una boccata d’aria fresca. Si sentiva già più leggero.
Il sole non picchiava forte come quando era entrato alle tre del pomeriggio, una leggera brezza fresca gli carezzava il collo e asciugava le gocce di sudore che non aveva potuto asciugare durante l’intervista. Rabbrividì per il vento contro la pelle umida e si sistemò le maniche della giacca, come se potesse aiutarlo a tenerlo caldo. Salì sulla macchina che aveva parcheggiato di fronte al locale, mise in moto e cercò di non pensare al viso di Kurt che urlava guai da metri di distanza.

“Sei un folle.”
“L’hai scoperto solo adesso?”
“Sto parlando dal telefono del locale, non mi fare urlare.”
“Oh! Io sono a casa. Vuol dire che posso dirti ciò che voglio e non puoi reagire?”
“Sai cosa succederà adesso?”
“Mi affibbieranno una copertura. Che ci provino. Sai quanto me ne importa.”
“Non so come fare con te la maggior parte delle volte.”
“Neanche io so cosa fare con me stesso. Siamo sulla stessa linea.”
Silenzio.
“Devo andare.”
“Aspetta, no!” Un respiro profondo. Così profondo che gli fece alzare le spalle contro le orecchie. “Siamo a posto? Io e tu, intendo.”
“Per quanto m'innervosisca, non riesco ad arrabbiarmi con te.”
“Quindi?”
“Siamo a posto. Sempre.”
“Okay. Ci vediamo allo spettacolo allora.”
“Sì. Ci vediamo lì.”
Blaine chiuse la telefonata. Appoggiò il ricevitore sulla sua scrivania, si buttò di peso sulla sedia e mormorò: “E si ricomincia.”





Scrittrice in canna's corner.
Chi? Io? No passavo di qui e ho lasciato una OS che avevo scritto qualche mese fa. Ops.
Tutta colpa del mio gruppo whatsapp che mandò una fotto di Darren nel retroscena della 5x20 (I think?) tutto ingellato e sistemato, poi una di loro ha commentato: "Sembra una stella del cinema degli anni '20." Allora io, fresca fresca di Downton Abbey, mi sono data da fare.
Devo ammettere che mi ha divertito molto scrivere una OS ai tempi del jazz, anche se mi piacerebbe tornarci per approfondire la parte storica che qui è solo accennata. Chissà.
Per ora vi saluto, vostra,
Scrittrice in Canna (che è in vacanza e non ha un pc ma in realtà si vorrebbe impiccare perché le manca casa). Non posso neanche mettere l'HTML bellino come piace a me TuT.




 

   
 
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