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Autore: Carme93    12/08/2017    0 recensioni
Phoenix, Arizona, Stati Uniti d'America, futuro prossimo.
Ogni famiglia ha un segreto, che nasconde gelosamente.
La famiglia Freeland non fa eccezione.
Gabriel Freeland, appassionato di videogiochi, comincia a porsi sempre più domande sulla lontananza della sorella maggiore, Alex. Intanto è preso dalla sua vita di adolescente. Farebbe di tutto pur di partecipare alla fiera dei videogiochi, che si svolgerà a breve nella sua città. Qualcosa andrà storto e con il suo migliore amico si ritroverà a scoprire il segreto dei suoi genitori.
Come se la caveranno Gabriel e il suo migliore amico, una volta coinvolti negli intrighi dei nobili francesi?
Troyes, Francia, 1242.
La corte di re Luigi IX si riunisce a Troyes in attesa della nascita di Gael, primo maschio di Marc de Ponthieu e madama Alexandra Freeland.
Hyperversum è tornato. Preparatevi per una nuova partita.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Henri de Grandpré, Ian Maayrkas aka Jean Marc de Ponthieu, Isabeau de Montmayeur, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Daniel/Jodie, Etienne/Donna, Geoffrey/Brianna, Ian/Isabeau
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo III
 
Phoenix, Arizona, Stati Uniti d’America, marzo, giovedì sera
 

«Era tutto molto buono, signora Freeland».
«Grazie, Matt. Gabe dovresti imparare da lui. Qualche gentilezza in più non ti ucciderebbe».
«Se mangio, significa che è buono» replicò il ragazzino.
La donna alzò gli occhi al cielo, evidentemente infastidita.
«Gabe, dovresti essere più gentile con tua madre» lo redarguì suo padre.
«Sì, va bene. Possiamo andare a giocare con la play adesso?» chiese Gabe alzandosi da tavola.
«Sparecchia» ordinò sua madre.
«Ti aiuto» si offrì immediatamente Matt anticipando la rispostaccia dell’amico.
«Daniel, sei sicuro che abbiano fatto i compiti?» chiese la signora al marito.
«Sì, ho controllato personalmente, Jodie».
 
*
 
Liceo di Phoenix, venerdì mattina
 

«Freeland! Johnson! Cosa credete di fare?».
Il richiamo della professoressa Tarner congelò la classe, ma soprattutto i due amici.
«Nulla, professoressa» tentò Gabe, ma un lieve tremore nella voce lo tradì.
«Non fare il finto tonto, Freeland. Fatemi vedere i vostri fogli».
La Tarner analizzò i due fogli. «Questa è la scrittura di Johnson, Freeland. Sbaglio?».
«È la mia» tentò Gabe.
«Ah, sì? Allora vediamo che ne pensa il Preside!» sbottò la professoressa di fronte alla sua insistenza.
«No, professoressa la prego. Non è necessario… noi…» provò a rimediare Matt, impallidito notevolmente alla minaccia dell’insegnante.
«Troppo tardi, Johnson».
 
«Mi dispiace» sussurrò Gabe, mal sopportando il silenzio in cui si trovavano. La Tarner aveva chiamato uno dei collaboratori scolastici perché li accompagnasse in presidenza, visto che lei non poteva abbandonare la classe durante il test. Una volta fuori dalla Presidenza li era stato ordinato di attendere seduti sulle sedie. E non ci voleva un genio a capire perché. Il vecchio rompiscatole aveva convocato i loro genitori. Matt neanche gli rispose. Gabe comprese che stava tentando miseramente di nascondere la sua paura e si odiò per essere stato così egoista. Ora non sapeva che cosa fare per tirare fuori dai guai l’amico. «Posso dire di averti costretto oppure ricattato. Il vecchio avrà pietà di te, se appari vittima di bullismo» propose.
Matt si voltò furioso verso di lui. «Sei cretino?! Per una cosa del genere rischi l’espulsione! Con la verità ce la caveremo a buon mercato. Tutto sommato abbiamo la fedina pulita, non calcherà la mano. Non il vecchio almeno» concluse amaramente.
Gabe tacque a fatica. Sapeva di chi l’amico aveva paura. L’attenzione di entrambi fu attirata da dei passi sempre più vicini. Sentì il cuore in gola quando vide suo padre in compagnia di un uomo di poco più giovane e dalla corporatura massiccia. Matt si irrigidì al suo fianco. Daniel Freeland sembrava furibondo e gli gettò un’occhiataccia appena lo vide. In effetti pensandoci Gabe si rese conto che mai i genitori erano stati convocati dal Preside, nemmeno quando Alex andava a scuola. Stavolta l’aveva fatta grossa. Non si sorprese quando Matt scivolò quasi casualmente alle sue spalle. Il fatto che l’amico cercasse la sua protezione lo inorgoglì, ma allo stesso tempo il senso di colpa per averlo tirato in quel guaio si rafforzò. Avrebbe voluto chiedere aiuto al padre, si fidava ciecamente di lui. Se solo fosse arrivato prima dell’energumeno!
«Gabriel, spero che tu abbia una buona spiegazione» esordì severo Daniel.
Il ragazzino annuì. La spiegazione ce l’aveva eccome, anche se al padre non sarebbe piaciuta per nulla. Solo in quell’istante si rese conto di aver tirato troppo la corda e che avrebbe deluso terribilmente i suoi appena l’avrebbero compreso.
«È tutta colpa mia, però. Matt è qui per sbaglio» tentò gettando un’occhiata disperata al padre. Sperava che capisse e lo aiutasse.
«Ho i miei dubbi» sospirò una voce stanca facendoli sobbalzare tutti. Il Preside Williams. «Entrate, prego».
Gabe lasciò andare avanti l’energumeno e tentò di fare qualche segno al padre. Daniel aggrottò la fronte nel tentativo di interpretare i suoi gesti. Una volta dentro lo studio non ebbero più la possibilità di comunicare.
«I ragazzi sono stati colti in flagrante, mentre imbrogliavano al test di storia. Al di là di quanto afferma Gabriel, ritengo che la colpa sia di entrambi. Dico bene o devo pensare, e ne sarei profondamente deluso, che tu Gabriel hai costretto il tuo amico in qualche modo?».
Matt, seppur con voce tremante, precedette qualunque risposta avventata di Gabe. «È andata come dice lei, signore. Ho agito di mia spontanea volontà».
Il Preside annuì. «Ho voluto convocarvi perché ritengo sia abbastanza grave imbrogliare, ma soprattutto perché si tratta di due ottimi studenti e vorrei essere sicuro che questa sia la prima e ultima volta che si cacciano nei guai. D’altronde stanno entrando in un età turbolenta».
«Ci dispiace molto, signore. Non accadrà più» disse Gabe, sperando che fosse sufficiente. D’altronde non avevano fatto male a nessuno. Matt, al suo fianco, annuì con convinzione.
«Non avevo dubbi. Per questa volta ve la caverete con una nota di demerito».
«Beh, Einstein non è mai stato bravissimo a scuola» borbottò Gabe una volta fuori dall’ufficio. Daniel lo fulminò con lo sguardo.
«Matthew, andiamo a casa» disse con voce dura l’energumeno.
Il ragazzino, che in quell’istante mostrava meno del solito i suoi quattordici anni, con gli occhi cercò l’aiuto di Gabe. Quest’ultimo entrò in panico, non sapendo cosa fare.
«Veramente, io e Matt dobbiamo fare una ricerca di inglese per lunedì. La professoressa Matthews si è raccomandata di lavorare in coppia. Ed è una lavoro lungo e complicato, quindi non possiamo cominciare tardi o non faremo un buon compito» inventò su due piedi sorprendendo tutti.
«Sì, infatti. Questa ricerca avrà peso sul voto finale» gli venne in aiuto Matt.
L’energumeno sembrava sul punto di esplodere per quanto era diventato rosso in faccia. Gabe fissò il padre nella speranza che li aiutasse. Daniel era palesemente perplesso non capendo a che gioco giocasse il figlio. Gabe si maledisse per non avergli raccontato la verità a tempo debito, Matt l’aveva supplicato di non farlo e lui aveva acconsentito.
«Se è così importante, forse è il caso che i ragazzi si mettano subito a studiare. D’altronde dopo questa bravata è la cosa migliore che possano fare. Le assicuro, signor Green, che mi accerterò di persona che lavorino» disse alla fine Daniel. Gabe avrebbe voluto abbracciarlo in quel momento.
L’uomo sembrò lottare con sé stesso. E Gabe sapeva che cosa si stesse muovendo nella sua testa in quel momento: da una parte un motivo legittimo per maltrattare Matt, dall’altra la possibilità di non vederlo.
«Sì, se lei li controllerà va bene signor Landfree» concesse alla fine, recitando la parte del tutore preoccupato e attento.
«Freeland» lo corresse Daniel pacatamente.
«Sì, sì non importa… faremo i conti stasera…».
Le ultime parole fecero sbiancare totalmente Matt. I tre rimasero fermi a osservare il signor Green allontanarsi.
«Andiamo» disse secco Daniel e notando l’espressione di Matt gli mise un braccio intorno al collo. «Avete molte cose da raccontarmi».
 
*
Casa Freeland, Phoenix, venerdì, tardo pomeriggio
 

«A me peggio non poteva andare» sospirò Gabe sbuffando.
«Stare sdraiato sul letto non corrisponde perfettamente al voglio vederti sgobbare sui libri di tuo padre» mormorò Matt, sollevando gli occhi dagli esercizi di matematica.
«Mi ha sequestrato tutti i videogiochi e il portatile! Ti rendi conto?».
«Che ti aspettavi, scusa?».
Gabe non rispose, ma riprese a lamentarsi. Matt tornò agli esercizi ignorandolo. Per quanto lo riguardava non avrebbe potuto andargli meglio. Aveva trovato finalmente il coraggio di raccontare a qualcuno come lo zio lo maltrattava spesso e senza un buon motivo. Daniel Freeland gli aveva dato la sua parola che non sarebbe più tornato a casa, non da solo almeno. Si dispiacque un po’ per sua madre, ma per lei non poteva fare più nulla. Non lo riconosceva nemmeno. Era riuscito a mantenere un certo contegno di fronte al padre dell’amico, ma adesso iniziò a elaborare ogni cosa che era successa non solo quella mattina, ma negli ultimi anni. Aveva solo quattordici anni, ma aveva già compreso quanto la vita fosse imprevedibile. Si prese la testa tra le mani e sentì le lacrime calare lungo le guance. «Matt» Gabe se ne era accorto ed era saltato giù dal letto e l’aveva raggiunto. «Non piangere! Posso convincere i miei a chiedere il tuo affidamento. Saremo veramente fratelli! Sempre se non ti secca avere genitori rompiscatole come i miei». L’ultima parte l’aggiunse per sdrammatizzare.
«Dopo i due anni di inferno che ho trascorso, i tuoi genitori sono i migliori del mondo» mormorò Matt aspramente.
Gabe si morse il labbro. Decisamente non era bravo con le parole. «Senti, ti va un giro a Hyperversum?».
Matt lo fissò sorpreso. Aveva sempre desiderato giocare a quel gioco, perché era appassionato di storia. Suo padre però non gradiva i videogiochi in generale e non gliene aveva mai comprati; dopo l’attentato nessuno si era più preoccupato dei suoi bisogni, figurarsi dei suoi desideri. «Mi piacerebbe, ma siamo entrambi in punizione e tuo padre non vuole che giochi con quel gioco». Questo in effetti non l’aveva mai capito: Gabe aveva sempre avuto i giochi che desiderava, ma il divieto assoluto di toccare quel gioco.
«Io sono in castigo, certo che se dovessi rimanere qui molto probabilmente si estenderà anche a te. Ma solo per la storia della convocazione. Te la caveresti con molto poco. La tua pagella avrà senz’altro tutte A».
«Non sono sicuro di non aver preso B in fisica».
«Dettagli» disse alzando gli occhi al cielo Gabe. «Allora giochiamo?».
Matt era combattuto: da una parte era estremamente grato al signor Freeland, dall’altro voleva davvero provare quel gioco e dimenticarsi del resto per un po’.
«Avanti!» lo esortò Gabe, trascinandolo verso lo studio del padre. «I miei torneranno solo fra qualche ora. Facciamo una partita e chiudiamo. Non lo sapranno. Ci starò attento, te lo giuro. Mi immagino già la predica di mia madre quando mio padre le racconterà quello che ho combinato. Meno male che in ospedale tiene il cellulare chiuso. Spero che il Preside abbia chiamato direttamente mio padre».
Matt non replicò e lo seguì. Si sedette sulla sedia che Gabe gli indicò e prese guanti e visore, mentre il computer si avviava. Appena fu acceso Gabe cliccò l’icona di Hyperversum ed entrambi indossarono guanti e visore. In quest’ultimo apparve una scritta:
 
HYPERVERSUM
Configuring game.
Please wait…
 
La clessidra indicava che il gioco si stava caricando.
«Come ti vuoi vestire?» chiese Gabe, tra i due era il più abile con il computer.
«Da scudiero».
Gabe fece una smorfia. «Un servo? Io invece mi vestirò da nobile. Lasciamo i nostri volti, però? Non mi piacciono troppo gli avatar».
«Di solito gli scudieri non sono servi. Spesso sono futuri feudatari affidati a un altro per essere addestrati e un giorno diventare cavalieri».
«Se lo dici tu» replicò Gabe, intento a scegliere gli indumenti più pregiati e appariscenti. «Mi farai da scudiero allora. Io sono già diventato un nobile feudatario. Scegli pure l’ambientazione».
«Se lo dici tu… Hai un atlante storico?».
«Vedi nella libreria».
Matt non impiegò molto a trovarlo, ma a trovare un luogo adatto sì, tanto che l’altro ragazzino si spazientì. «Allora? Quanto ci vuole? Tra poco tornano i miei e ci beccano!».
«Ci sono, ci sono! Che ne dici di Troyes?».
«Per me è una città come un’altra. Anche se ha un nome ambiguo» replicò Gabe ridacchiando.
«Scemo! Nel 1242 vi si riunì la corte di re Luigi IX. Il re Santo! Sarebbe forte vederlo!».
«Come vuoi» disse Gabe inserendo i dati della partita. «E perché la corte non se ne stava a Parigi?».
«All’epoca era ancora itinerante. Nel mese di marzo si attendeva la nascita del figlio di uno degli uomini più vicini al re. Marc de Ponthieu. Speravano che fosse un maschio».
«E furono accontentati?».
«A quanto pare sì».
«Bene, allora io sarò un nobile feudatario che partecipa ai banchetti. Mi piace».
«Non sarà solo un banchetto. Ricordo di aver letto di questo evento su un altro libro. La felicità dell’erede maschio era una specie di copertura per un incontro militare del re. Gli Inglesi minacciavano i confini sud-occidentali del regno. Nel luglio di quell’anno ci saranno due battaglie, che vedranno vittoriosi i Francesi».
«Ancora più divertente».
«Le guerre non sono divertenti» sibilò Matt. «Non muoiono solo i soldati».
Gabe esitò un attimo e poi si rimise a lavoro completando sia il suo avatar sia quello dell’amico. «Matt, sei pronto?».
«Se diventerò Presidente degli Stati Uniti dichiarerò illegale la partecipazione a ogni guerra».
Gabe annuì, fingendosi convinto. Come spesso gli veniva rimproverato viveva nel mondo immaginario dei suoi videogiochi, ma dopo l’attentato in cui aveva perso la vita il padre di Matt aveva iniziato a porsi domande. Suo padre aveva tentato di spiegargli nel modo più semplice possibile che cosa accadeva da anni in Medio Oriente. In un certo senso era una guerra senza limiti dettati dall’onore e dal rispetto: donne e bambini venivano colpiti indiscriminatamente. Il padre di Matt era un ambasciatore americano e l’amico ne era sempre andato fiero. Terminò di inserire tutti i dati e avviò il gioco.
 
Game ready.

«Start» ordinò.
Lo schermo era nero e punteggiato di stelle. Di fronte a loro il pianeta terra girava su se stesso. In alto apparve un contatore alfanumerico. Matt fremette eccitato. La Terra si fermò in punto preciso e il contatore si arrestò indicando l’anno 1242 d.C. Ai due ragazzi per un attimo sembrò di cadere in picchiata e sotto i loro occhi si profilò l’Europa e man mano che l’immagine diventava sempre più nitida anche la Francia. Si spostarono verso l’area Nord-Orientale.
Gabe prontamente saltò l’introduzione al XIII secolo d.C.
«Ehi!» si lamentò Matt.
«È noiosa. E poi tu sai tutto di storia».
«Non è proprio così. Ho letto solo alcuni libri che mi ha consigliato Seby. Hai già giocato, vero?».
«Certo. Se una cosa è vietata, diventa più interessante. Figurati un videogame».
Una voce metallica li costrinse a tacere.

Giocatori, vi trovate nella Contea di Champagne. È il 30 marzo 1242. La corte del re si sta riunendo nel castello di Troyes per festeggiare la nascita di Gael, primo figlio maschio di Marc de Ponthieu, il Falco del Re. In realtà re Luigi IX ne ha approfittato per avere intorno a sé i feudatari più fedeli e comprendere gli umori degli altri. Gli Inglesi continuano a minacciare i confini sud-occidentali e il sovrano vuole risolvere la situazione definitivamente. Alla corte sono stati invitati anche…

«Inizia partita» ordinò Gabe.
«Perché?! Questo avremmo dovuto ascoltarlo!».
«È solo un gioco» lo liquidò Gabe.
Pochi secondi dopo si trovarono in una vasta zona collinosa. Era ancora giorno e si scorgevano filari di viti che si perdevano in lontananza. Sembrava una zona fertile e florida.
«Proprio un bel posto» commentò Gabe. «Andiamo a incontrare il nostro re, mio prode scudiero».
Matt si voltò verso la direzione indicata dall’amico e rimase a bocca aperta. Un castello, che sembrava uscito da una fiaba, si ergeva non molto distante da lì.
«Oh» si limitò a dire prima di seguire l’amico, che era già montato a cavallo. «E questi? Io non so cavalcare».
«Fanno parte del nostro equipaggiamento. Inoltre tra le nostre abilità ho inserito anche l’equitazione. Vedi perché mi piacciono i videogiochi? Nel mondo virtuale puoi essere quello che vuoi e non deludere nessuno».
Matt si sorprese delle sue parole: Gabe era più insicuro di quanto volesse mostrare. Spronarono i cavalli e si avviarono senza aggiungere altro. Si sentì rilassato e forte. Gabe aveva ragione, potevano essere chiunque nel gioco.
«Perché i tuoi non vogliono che giochi con Hyperversum? Non mi sembra pericoloso».
«Valli a capire» borbottò Gabe.
«Il re è già qui» disse Matt quando furono alla prima cinta di mura.
«Come fai a dirlo?».
Il ragazzino indicò gli stendardi appesi alla torre più alta. «Quello azzurro con i gigli d’oro è del re. È consuetudine che affianchi quello del padrone di casa. Gli altri sono dei vari feudatari».
«Forza, andiamo allora. Non possiamo stare molto. Non perdiamo tempo» lo esortò Gabe.
«Aspetta» lo fermò Matt. «Guarda quel cavaliere, è davvero fantastico!».
Gabe a malapena vide il cavaliere parlare con il soldati all’ingresso di Troyes, che successe qualcosa di assurdo. Urlò. Matt gli fece eco. Erano a terra nel fango. I cavalli erano spariti. La strada principale era affollata di gente che andava avanti e indietro dalla città. Il vento freddo di marzo li fece rabbrividire.
«Questo non è normale» disse spaventato Gabe tastandosi la faccia e sporcandosi di fango. Fissò Matt a bocca aperta.
«Il visore e i guanti sono spariti» sussurrò Matt altrettanto terrorizzato.
«Non ha senso!» si intestardì Gabe.
«Siamo nel Medioevo» borbottò Matt e gli venne dal ridere alle sue stesse parole. «Impossibile».
«Voi siete apparsi dal nulla?».
Si voltarono di scatto verso quello che apparve loro come un contadino e si irrigidirono.
«No, giocavamo qui in giro» borbottò Matt.
«Non ci vedo più bene» si lamentò il vecchio. «Sparite, monelli che mi spaventate le pecore. Solo perché siete al seguito di un feudatario non significa che potete fare ciò che volete! Se una delle pecore si fosse allontanata, troppo vi avrei denunciato al conte in persona!».
I due ragazzi compresero che la predica sarebbe durata in eterno, così scapparono verso la città, mentre il vecchio inveiva contro di loro. Quando si fermarono per riprendere fiato, Gabe scoppiò a ridere: «Proprio come le vecchiette sull’autobus».
«Ci è andata bene, invece» bofonchiò Matt. «Qui la pena di morte la comminano per molto poco e di certo non ci sono i nostri tribunali e i nostri giudici».
«Wow» disse Gabe attaccandosi a un carro che stava entrando in quel momento.
Matt gemette. Non gli aveva dato retta. Lo seguì: sarebbe stato peggio dividersi.
«Dobbiamo provare se Hyperversum funziona» richiamò l’amico, dopo che furono scappati dai rimproveri del carrettiere.
«Dopo, divertiamoci un po’».
«Gabe, per l’amore di Dio» perse la pazienza Matt, tirandolo per la tunica.
«Va bene, va bene. Mangiamo qualcosa e poi proviamo Hyperversum» disse Gabe indicando un fornaio poco distante. Matt inquieto acconsentì. Non che avesse altra scelta visto che l’amico si era fiondato nella bottega. Quando lo raggiunse aveva già addentato una semplice focaccia, o almeno così apparve ai suoi occhi. C’era un buon odore. Quello che doveva essere il garzone del fornaio disse qualcosa a Gabe in francese e l’amico si voltò verso di lui.
«Vuole che paghi» replicò semplicemente Matt. Gabe mise le mani in tasca e sul suo viso si disegnò un’espressione terrorizzata. «I soldi sono spariti come i cavalli» gli sussurrò. Matt sbiancò.
«Digli che mio padre, un feudatario, pagherà per me» inventò Gabe.
«Tuo padre non è un feudatario» ribatté Matt sotto l’occhiata sospettosa del garzone.
«Lui non lo sa. I miei vestiti traggono in inganno. Come il vecchio pastore».
«Era cieco» sospirò Matt con un senso di de-jàvu che lo inquietò di più. «Le pére de mon maître est Marc de Ponthieu. Il paiera l’addition» butto lì con finta sicurezza. Il garzone credulone gli fece addirittura un inchino, ma il fornaio si avvicinò urlando.
«Imbécile! Marc de Ponthieu n’a pas héritiers mâles! Paghete ou je vais appeller les gardes![1]».
Matt si diede mentalmente dello stupido. E meno male che aveva ascoltato l’introduzione del gioco! Lui e Gabe si scambiarono un’occhiata e corsero fuori dal negozio, spingendo via chiunque trovavano nella loro direzione.
«Voleur! Voleur![2]» gridò il fornaio attirando l’attenzione della folla e purtroppo anche delle guardie lì intorno.
«Usciamo dalla città!» urlò Matt a Gabe.
Pessima idea. All’entrata del borgo c’erano molte più guardie. Accanto a loro persino il cavaliere che tanto li aveva colpiti poco prima. Furono bloccati.
« vous exécutez?[3]» chiese una di quelle. Indossava dei colori araldici.
«Marcher[4]» provò Matt.
«Sont des voleurs![5]» gridò il fornaio, che si teneva una mano sul petto e respirava a fatica.
«Cavolo, per una stupida focaccia. Proprio tenace, eh?» sbottò Gabe. Matt sgranò gli occhi. Aveva parlato in inglese attirando maggiormente l’attenzione su di loro.
«Qui êtes-vous? Avez-vous enregistré?[6]» chiese minacciosa una guardia, mentre altre due li affiancavano. Intanto il cavaliere si era tolto il cappuccio e li scrutava sospettoso. Fissava con insistenza soprattutto Gabe. Era giovane, non dimostrava neanche trent’anni.
«Il est le fils d’un seigneur féodal[7]…» riprovò Matt.
«Mon seigneur, ces gars-là faire le tour en disant qu’il est le fils de Marc de Ponthieu[8]» disse trionfante il fornaio al cavaliere.
«Come osate?» disse irritato il cavaliere. Il suo inglese, con un forte accento francese ma corretto, sorprese i due amici.
«Signore» provò Gabe. «Non volevamo mancare di rispetto a nessuno. Sono un figlio illegittimo di Marc de Ponthieu» insisté ignorando l’occhiataccia di Matt. Il cavaliere scese da cavallo furioso. E lo afferrò per il bavero della tunica spaventandolo a morte.
«Come osi!» sibilò. «Non sai con chi stai parlando. Chiedi perdono e ti lascerò andare, piccolo furfante. Continua con le tue menzogne e calunnie e ti farò tagliare la mano per il furto e la lingua per le tue parole insolenti!».
«Sir! La prego, il mio amico è stolto. Le assicuro che non volevamo far male a nessuno. Aveva fame e ha mangiato solo un pezzo di focaccia. Perdonateci» disse subito Matt.
Il giovane puntò gli occhi scuri su di lui, sembrò rilassarsi forse considerando che erano solo due ragazzini.
«Perché parlate inglese?» chiese mollando Gabe per agguantarlo subito dopo al braccio. Per fortuna un soldato a cavallo che si avvicinava attirò l’attenzione di tutti i presenti.
«Monsieur, il signor conte e vostro padre sono preoccupati. Monsieur Thierry e madamoiselle Marianne si sono allontanati dal castello e non sono ancora rientrati. Presto farà buio. Un servo li ha visti uscire a cavallo dalle scuderie. Vostro fratello è accanto a madame Alexandra. Non sta molto bene, dopo il viaggio. Vostro padre vorrebbe che andaste a cercarli con un gruppo di uomini».
Il soldato indossava colori diversi: bianco e azzurro. Il cavaliere si incupì e sembrò irritarsi sempre di più.
«Incoscienti!» mormorò.
Gabe tirò un calcio nelle parti bassi a un soldato approfittando della sua distrazione, Matt colse al volo l’occasione e scivolò tra altri due. Le guardie si misero in allarme, ma il cavaliere le richiamò. «Lasciateli andare. Sono due ladruncoli. Dobbiamo cercare mia sorella, piuttosto».

 
 
 
[1] “Imbecille! Marc de Ponthieu non ha eredi maschi! Pagate o andrò a chiamare le guardie!”
[2] “Al ladro! Al ladro!”.
[3] “Dove correte?”.
[4] “Una passeggiata…”.
[5] “Sono dei ladri”.
[6] “Chi siete? Vi siete registrati?”.
[7] “Lui è il figlio di un signore feudale”
[8] “Mio signore, vanno in giro dicendo che lui è figlio di Marc de Ponthieu”.
   
 
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