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Autore: Snow_Elk    13/08/2017    0 recensioni
L'amore. Un sentimento profondo, capriccioso, instabile. Un'emozione oscura, qualcosa che tutti cerchiamo. Anche Alan, uno studente universitario, lo sa bene. Pensava di averlo finalmente trovato, ma si sbagliava, tutto ciò a cui teneva è svanito, l'ennesima relazione "andata a puttane" come direbbe Phil, il suo coinquilino. Eppure, mesi dopo, Alan è ancora tormentato da strane visioni, da ricordi vividi e da lei, da quella stessa ragazza a cui aveva dato il proprio cuore. Perché l'amore può trasformarsi in odio, l'odio in consapevolezza e quest'ultima ci aiuta a crescere, a capire. Perché anche se un cuore è andato in frantumi può ancora battere, riecheggiando nel silenzio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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Fragments of a Silent Heart



Frammento VI – Il silenzio di una sigaretta.



“Una persona importante?” ecco che arriva la fatidica domanda e mi ritrovo a pensare se risponderle o meno. Dovrei, dopotutto lei è sempre stata gentile fino ad ora e sono stato io a tirare fuori l’argomento.
“Già, hai mai amato qualcuno?” rispondere ad una domanda con un’altra domanda, sono sempre il solito.
“Sì, perché?” sembra perplessa, la capisco.
“Ed è mai finita male senza che te l’aspettassi? Perdendo tutto senza poter fare nulla?” mi fissa e rimane in silenzio.
Mi sento un’idiota ad averle fatto quella domanda, mi sono lasciato prendere troppo dal discorso, ma all’improvviso annuisce, abbassando per un attimo lo sguardo.
“Bene allora sai come mi sento a riguardo di questa persona e scusami se ti ho fatto una domanda del genere” non so neanche perché le sto parlando di questa cosa.
“Non preoccuparti, mi fa piacere che ti sia aperto con me. Mi dispiace per la tua ex”
La mia ex, mi fa quasi strano sentirla chiamare così, ma effettivamente è il termine esatto, Christie non fa più parte della mia vita, non deve più far parte della mia vita.
Non è forse per questo che ho organizzato l’incontro?
“Non volevo annoiarti con queste cose da ragazzo depresso, sono davvero pessimo ahahahaha” cerco di abbozzare un mezzo sorriso e di scacciare tutti i pensieri collegati a Christie, al passato, perché i ricordi tornano a galla ogni volta che ne hanno l’occasione infischiandosene di ciò che pensi. Anarchici e tumultuosi li definiva uno scrittore di cui però mi sfugge il nome.
“Ma smettila, penso sia normale stare così, quando ami qualcuno non è mai facile smettere di farlo o tornare alla vita di tutti i giorni. E’ come leggere un libro, adorarlo e non poterlo finire perché l’hai perso e non riesci più a ritrovarlo” osservo i suoi occhi scivolare sulla carta come l’inchiostro della penna, lettera dopo lettera, parola per parola, sembra che seduti a quel tavolino il tempo si sia dimenticato di noi.
“E’ davvero una bella metafora, non l’avevo mai vista in questo modo. Ti piace leggere?” le chiedo, sorseggiando un po' il caffè prima che si freddi.
“Un sacco, non potendo ascoltare ciò che si dice nei film, leggere è il modo migliore che ho per poter immaginare bene una storia. Mia madre dice che leggo troppo, io le rispondo che lei non legge abbastanza” sorride dopo quell’affermazione, un sorriso sincero, seguito da un sorso di tè. Sono felice che siamo riusciti a cambiare argomento, non mi sembrava il caso di continuare su quel frangente.
“Anche a me piace molto, sai l’ultimo libro che ho…” sto ancora digitando la frase quando mi arriva un messaggio da parte di Jane:
“Ci sei caduto in bagno? Dove sei finito?” mi ero completamente dimenticato degli altri. Incrocio lo sguardo di Lizbeth, mi guarda come per dire “C’è qualcosa che non va?”
“Scusami, mi sono appena ricordato che devo raggiungere gli altri per la pausa pranzo, avevo perso la cognizione del tempo” digito velocemente nel blocco note e glielo mostro, tempo due secondi e mi ha già risposto.
“Non preoccuparti, vai pure, anch’io dovrei rientrare in aula prima che mi diano per dispersa” scoppiamo entrambi a ridere per qualche secondo, finisco velocemente il caffè e la saluto.
“Grazie per la chiacchierata, Liz”
“Alla prossima Al” accanto all’ultimo messaggio scritto ci sono alcuni numeri e per un attimo rimango perplesso, realizzando subito dopo che è il suo numero.
Non mi da neanche il tempo di scriverle per chiedere spiegazioni, mi saluta con un cenno della mano e va via come se niente fosse.
Liz è davvero una ragazza strana, però è simpatica, su questo non ci piove.
Mi fermo a guardare fuori dalla finestra, tenendo stretto il fogliettino del blocco note: fuori è ancora nuvoloso e solo qua e là qualche timido raggio di sole ha abbastanza coraggio da superare quel mare intoccabile che lo divide dalla terra.
Anche quel giorno era nuvoloso, prometteva pioggia, la gente si muoveva velocemente sui marciapiedi della città, i mezzi correvano sull’asfalto tra i mille colori delle carrozzerie. Sembrava un giorno qualunque.
Osservo di nuovo il fogliettino stropicciato, la sua grafia mi piace davvero tanto, segno velocemente il numero nella rubrica dello smartphone e conservo entrambi nella tasca dei jeans.
Meglio muoversi, o sarà la volta buona che gli altri mi lasceranno a pranzare da solo giusto per ripicca, come “punizione” per il mio ennesimo ritardo.
Perché alla fine si finisce sempre a parlare di ritardi? Me lo chiedo mentre attraverso i corridoi della facoltà invasi dagli studenti che scappano dalle aule alla ricerca della tanto acclamata “pausa pranzo”, mentre salgo le scale assediate da chi vuole arrivare per primo in mensa e prendere un buon posto.
Ogni volta che finisco a navigare in tutti i pensieri che mi passano per la testa, soprattutto quelli legati a Christie e agli ultimi tre mesi, mi ritrovo a sentirmi fuori dal mondo, come se non facessi parte di tutto ciò che mi circonda. E’ una sensazione davvero sgradevole.
Raggiungo l’aula e li trovo lì fuori a chiacchierare, non appena mi notano tutti mi lancio un’occhiataccia, seguita da battute di ogni genere e svariate domande sulla mia sparizione.
- Scusate ragazzi, mi ero perso a chiacchierare con un’amica – mi giustifico velocemente dopo aver recuperato lo zaino dalle mani di Steve.
- Un’amica, eh? Solo “amica”?- si intromette subito Jane.
- Sei il solito idiota Al – aggiunge Nora, i suoi occhi scuri mi squadrano dalla testa ai piedi come se non mi vedesse da mesi.
- E’ il tuo modo di dirmi “ciao”? – le chiedo e tutti scoppiano a ridere.
- La signorina è arrivata in ritardo per la lezione, ma in perfetto orario per il pranzo, chissà come – osserva Mark, altra risata, e si ritorna a discutere su dove pranzare in un tumulto variopinto di proposte e controproposte.
- E’ dopo pranzo, vero? – mi fa Mark col suo solito atteggiamento da ninja quando deve chiedere qualcosa di personale.
- Sì – gli rispondo sinteticamente.
- Mi raccomando –
- Non preoccuparti – lo tranquillizzo, ma come posso dire a lui di non preoccuparsi se sono il primo a farlo? Dopo pranzo, alle tre, al solito parco.
 
                                                              […]
 
Il parco inizia a mostrare i primi segni dell’autunno, un piccolo letto di foglie a terra, i classici colori che dipingono quelle ancora ben strette ai rami, ma per il resto è rimasto identico a come me lo ricordavo. Era da tanto che non venivo e se non fosse stato per questo incontro probabilmente non ci sarei ritornato per molto tempo.
Mi siedo su una delle panchine sotto il gazebo, lo stesso gazebo che si affaccia sul piccolo ruscello che attraversa il parco, la stessa panchina dove abbiamo passato ore insieme fin da quella prima volta.
Non c’è nessuno, guardo l’orologio, segna le 14:57, poco male, ho tempo di fumarmi una sigaretta per distendere i nervi in silenzio.
La sfilo dal pacchetto, la piccola fiamma dello zippo consuma velocemente la punta, aspiro con estrema lentezza e butto fuori il fumo osservandolo mentre si allontana da me.
- Avevi detto che avresti smesso – una voce familiare, alla fine è arrivata.
- Non diciamo tutti cosi? Ciao Christie – mi volto per guardarmi alle spalle e la vedo: jeans strappati, felpa leggera, i capelli scuri leggermente mossi e quegli occhi profondi che ti assalgono senza darti il tempo di reagire.
Rimaniamo per un attimo immobili a fissarci, come se fosse la prima volta che ci vediamo, dopodiché si avvicina e si siede accanto a me.
- Ne vuoi una? – le chiedo, fa davvero strano avere davanti l’originale dopo tutte le illusioni che mi sono beccato, sono quasi tentato di sfiorarla con le dita per averne conferma ma evito.
- Sì, grazie – le allungo una sigaretta e inizia a fumare anche lei. Rimaniamo in silenzio, gli unici suoni sono il canto del ruscello e il movimento delle foglie smosse dal vento, nessuno dei due sa cosa dire di preciso, come rompere quel momento.
- Allora di cosa volevi parlare? – mi chiede, infrangendo il silenzio.
-  Lo sai bene di cosa voglio parlare, Chris –
- Non chiamarmi in quel modo, lo facevi quando… - fa un tiro, distoglie lo sguardo, sospira.
- Quando stavamo insieme? Quando eravamo felici senza chissà quali pretese? Cristo… sono mesi che continuo a chiedermi come sia potuto succedere –
- Non avevamo certezze, Al, la vita può cambiare da un giorno all’altro, non pensare che io non abbia sofferto in… - il suo profumo mi annebbia i pensieri, ma devo restare lucido.
- Non è questo che intendo, Christie. Non mi hai mai voluto dare una spiegazione completa, non mi hai mai fatto capire perché tra di noi è finita. Hai tirato fuori solo tante storie, tanti discorsi che non hanno fatto altro che confondermi di più e cazzo, sono stanco di tutto ciò – era da quel giorno a casa sua che non usavo questo tono di voce con lei, per un attimo regge il mio sguardo, ma poco dopo lo distoglie di nuovo, sembra irrequieta. Devo aver colpito dove volevo.
- Non volevo che finisse a quel modo, credimi, mi dispiace, è solo che…non puoi capire, nemmeno io riuscivo a capire. Le emozioni sono una cosa strana – ride, una piccola risata amara che si perde tra i fumi delle sigarette e il sibilo del vento.
- Basta stronzate, Chris – le poggio una mano sulla gamba e si volta a guardarmi, questa volta senza scappare dai miei occhi, riesco quasi a sentire il suo respiro.
- Io ti ho amato, probabilmente provo ancora qualcosa per te anche se non vorrei, ma questo tu lo sai, non è così? – sta per rispondermi, ma la interrompo.
- So che anche tu provavi qualcosa di simile, voglio solo sapere che cosa ti ha spinto ad allontanarti da me, a mandare in frantumi tutto ciò che si era creato tra di noi. Rispondimi e me ne andrò, non sentirai più parlare di me – a chi sto facendo quella promessa? A lei o piuttosto a me stesso?
Christie non apre bocca, sembra sia sul punto di parlare, ma si trattiene e torna a fumare, mentre il suo sguardo oscilla tra me e il ruscello come un pendolo.
- Al… io ci tenevo davvero tanto a te, ho provato qualcosa di forte nei tuoi confronti. Ti ho amato, d’accordo? Proprio come tu hai amato me, è solo che… negli ultimi mesi io sentivo che mi mancava qualcosa, e quel qualcosa non riuscivo a vederlo in te. Mi sentivo confusa, incazzata e non capivo cosa …-
- Christie! – un’altra voce alle mie spalle la interrompe.
- Ti avevo detto di lasciar perdere, perché sei venuta? – continua quella voce, una voce familiare. Mi volto di scatto.
- Harry… -  è proprio lui, Harry, un mio collega, uno dei ragazzi del gruppo all’università. I suoi occhi verdi cadono su Christie e lei abbassa lo sguardo, sembra quasi che voglia scomparire, dopodiché torna a fissare me.
- Harry, che diavolo ci fai qui? – in testa la risposta a quella domanda già rimbomba violentemente come l’eco di un’esplosione.
- Mi spiace Alan, non volevo che lo scoprissi così, ma tra di voi è finita tanto tempo fa -  sento il sangue che mi ribolle nelle vene nel sentire quelle parole e mi mordo le labbra.
- Ti prego Al, avrei voluto dirtelo ma non sapevo…- la voce di Christie sembra un sussurro
- Non sapevi cosa?! – mi alzo di colpo dalla panchina e fisso Harry stringendo i pugni: - Maledetto bastardo…-
   
 
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