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Autore: Dahu    14/08/2017    1 recensioni
Umberto Sgarri, ecco un nome che potete sentire nelle locande o attorno ai fuochi da campo, dall'Ostland a Sartosa, forse anche oltre, c'è chi ha una storia da raccontare su di lui.
Qualcuno sostiene che sia un eroe dell'Impero, qualcuno dice che sia uno spadaccino in affitto.
Ho sentito storie delle sue gesta in questa o quella campagna contro il chaos, molti uomini mi hanno giurato di essere stati al suo fianco in un muro di scudi, o nella stessa cella in qualche fetida prigione.
C'è chi racconta di averlo visto portare fuori dall'osteria dentro una carriola, ubriaco oltre ogni dire, chi sostiene addirittura di avere incrociato la propria spada con quella del tileano in cambio di improbabili premi in denaro.
Potete trovare chi lo dipinge come un eroe, chi lo crede un brigante di strada e un vagabondo, perfino chi crede che sia un personaggio nato dalla credenza popolare.
Credete a me, io ho conosciuto Umberto Sgarri ad Altdorf, e non era nulla di tutto ciò.
O forse era tutte queste cose, ma di certo non solo quelle.
-Franz L'Alto, archibugiere imperiale-
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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I viaggiatori si svegliarono in un’alba scura e plumbea.

La nebbia sembrava formare ragnatele enormi tra un albero e l’altro, riducendo la visibilità. L’elfa si occupò della colazione, il solito spartano insieme di gallette e carne secca, mentre Sgarri esplorava i dintorni.

Il tileano si era infatti accorto che lei aveva molto patito la marcia forzata del giorno precedente e non voleva che si sforzasse in un giro di perlustrazione.

Aveva quindi approfittato di un tipico clichè di Tilea, ovvero che se è presente una donna è lei a doversi occupare del cibo, per forzarla accanto al fuoco. Si era beccato un bel po’ di maledizioni e gli dei degli elfi probabilmente lo odiavano, ma almeno era riuscito a non farle fare sforzi.

Percorse a ritroso alcuni chilometri, finché non giunse nei pressi di una radura.

Due esploratori goblin erano accampati sotto un larice e stavano arrostendo una lepre.

Sgarri procedette gattoni, avendo cura di non toccare nulla che potesse fare rumore tradendo la sua presenza.

Con estenuante lentezza percorse il margine della radura, passando a meno di tre metri dai nemici, quindi riprese la marcia.

Poche centinaia di metri più avanti trovò altri due esploratori, troppo occupati ad insultarsi tra loro per fare caso a lui. Maledetti bastardi, avevano trovato le loro tracce e stavano pattugliando l’area!

Ma Sgarri era convinto che il grosso dei pelleverde fosse ancora indietro, il che gli permetteva di sgattaiolare tra le pattuglie e prendere la pista, poi tutto sarebbe dipeso dalla loro capacità di muoversi velocemente.

Tornò rapidamente al campo, evitando abilmente gli esploratori, quindi espose il suo piano ad Arys. Lei annuiva in silenzio sbocconcellando una galletta.

–Il problema- Disse lui addentando un pezzo di carne –è che dovremo abbandonare il cavallo, è impossibile passare non visti con un cavallo al seguito-

Lei gli fece esporre tutto il piano, poi si alzò in silenzio e poggiò le mani sul tronco di un monumentale abete.

Rimase così per diversi minuti, poi tornò a rivolgersi al tileano –C’è il letto di un torrente in secca più a Nord, gira attorno alle pattuglie nemiche e si ricongiunge alla pista per Volfenburg, è perfetto-

Sgarri annuì –Ma chi ci dice che non sia presidiato?-

Lei sbuffò con aria di sufficienza –Stupido uomo, sarai anche un grande guerriero, ma in quanto a cervello… Me l’hanno detto gli alberi che è sgombro, loro vedono tutto!-

Sgarri si grattò la nuca –Va bene, se hai finito di prendermi per il naso possiamo anche metterci in marcia-

Lei annuì disarmata, non c’era proprio gusto nel prenderlo in giro, era troppo mite, troppo calmo per risultare soddisfacente.

Nei giorni passati assieme lui si era arrabbiato una sola volta ed una sola volta le aveva parlato con tono serio, altrimenti aveva sempre usato quel suo tono a metà tra l’uomo vissuto e la burla.

I viaggiatori ripresero il cammino, non si curarono di nascondere i segni del loro passaggio; la loro era una sfida di rapidità.

Il torrente in secca c’era veramente e, dopo quattro ore di marcia, con grande sollievo di Sgarri, si rivelò realmente una strada sicura per la pista, che lo traversava con un piccolo ponticello di legno.

Sgarri tirò il cavallo su per la sponda innevata, mentre Arys balzava agilmente sul ponte.

La zona era sgombra.

Senza dire una parola ma con grande sollievo i due ripresero il viaggio, molto più velocemente ora che avevano un sentiero da seguire.

A mezzodì si fermarono per mangiare, dei pelleverde nessuna traccia, tanto che Arys propose di fermarsi a riposare un poco, ma Sgarri rifiutò.

Sapeva che lei aveva un disperato bisogno di riposare, ma aveva combattuto troppe guerre per commettere ancora l’errore di rilassarsi prima della fine della battaglia.

Come diceva sempre il vecchio Diego Malatesta “gli unici picchieri che sono morti combattendo le pecore sono il picchiere Sereno ed il picchiere Tranquillo”.

Così i due si rimisero in marcia.

Lei era più pallida del solito e cominciava a zoppicare leggermente, il tileano chiese di poter vedere la ferita, ma ottenne uno sdegnoso rifiuto.

Ormai le ombre della sera cominciavano a calare e Sgarri aguzzò la vista in cerca di un posto adatto a ripararsi.

Per questo motivo si accorse immediatamente delle ombre che apparvero alla sua sinistra. Orchi.

Lo spadaccino si era involontariamente rilassato durante la marcia ed impiegò alcuni secondi a comprendere la situazione.

Il primo orco che aveva messo piede sulla pista aveva preso a guardarsi attorno allibito, mentre il secondo gli aveva rifilato uno schiaffone.

In pochi istanti era scoppiata una discussione così animata da sembrare una rissa.

Era evidente che la pattuglia aveva sbagliato strada nella foresta ed era capitata nel posto sbagliato.

Furono istanti preziosi, che avrebbero permesso a Sgarri di mettere in salvo i suoi, non fosse che il tileano era troppo basito per fare qualsiasi cosa.

Evidentemente la reazione dell’elfa doveva essere stata del tutto simile a quella dello spadaccino, perché rimasero entrambi piantati in mezzo alla pista.

Il cavallo nitrì ed il suono distolse gli orchi dalla gazzarra. Finalmente videro i due viaggiatori che stavano cercando da giorni.

Il lato positivo della semplice psicologia orchesca era che un orco era semplicemente troppo stupido per stupirsi, quindi i ragazzi si gettarono mulinando asce e zpakka contro i due viaggiatori.

Le urla di guerra ruppero lo stupore di Sgarri che scattò come una molla; estrasse così rapidamente che spada e daga parvero materializzarsi tra le sue mani. Il primo avversario lo aggredì con violenza.

La spada del tileano sprizzò scintille mentre deviava l’ascia nemica.

L’orco tentò di colpire il fianco dello spadaccino con la zpakka che maneggiava con la destra, ma Sgarri interpose la sua daga.

Con stessa sorpresa del tileano, la daga resse magnificamente l’urto.

Sgarri aveva rinunciato da alcuni anni al sistema di combattimento tipicamente tileano della spada ed arma da parata, sostituendolo con il classico spada e scudo degli spadaccini imperiali, perché non riusciva a trovare una daga degna. Ora l’aveva.

Lo spadaccino colpì l’inguine del nemico con una poderosa ginocchiata e gli piantò la daga nella gola.

Senza perdere un istante si scostò e parò l’arma di un secondo aggressore.

Arys si batteva con grazia e furore, maneggiando con perizia distruttiva la sua sottile spada che tracciava serpentine scintillanti.

Era incredibilmente veloce e si batteva con spettacolari piroette.

Sgarri mozzò la testa del nemico con un poderoso colpo a girare, quindi incrociò le sue lame per bloccare un colpo di zpakka, al quale replicò con un calcio al ginocchio del nuovo avversario.

L’elfa spiccò un incredibile salto ed eseguì un salto mortale sopra la testa di un orco.

Mentre girava si distese e gli piantò la spada dall’alto nel collo, fino a giungere al cuore. Era stato un istante, poi la lama tornò al suo posto ed Arys terminò la rotazione con le gambe attorno al collo di un secondo avversario.

Sfruttando la forza degli addominali, lei roteò verso sinistra e rovesciò il nemico.

L’elfa atterrò come una gatta e trafisse l’orco.

Arys lanciò un terribile urlo di guerra che esprimeva furore ed odio, ma non ebbe il tempo di sollevare nuovamente l’arma perché un orco la colpì al ventre con la guardia della zpakka e lei si afflosciò come una foglia secca nel vento.

Il tileano spaccò un ginocchio con un abile colpo di spada e, quasi contemporaneamente, sfruttò l’affilatissima daga per recidere le vene sul polso di un altro avversario.

La situazione era senza uscita; per quanti ne potesse uccidere, gli orchi restavano troppo numerosi, non poteva affrontarne venti da solo.

Sgarri roteò le armi con fare minaccioso, i nemici l’avevano circondato eppure nessuno sembrava intenzionato ad attaccare, per un attimo la terribile efficienza dello spadaccino aveva piegato perfino gli animi bellicosi dei pelleverde.

Fu solo un attimo, poi due orchi partirono all’unisono.

Sgarri roteò su se stesso usando le lame come schermo ed i nemici si scontrarono l’uno contro l’altro.

Il tileano attaccò un avversario che si riparò con la zpakka, quindi iniziò a tempestarlo di colpi, costringendolo ad arretrare, infine un colpo circolare superò le difese del nemico e gli tagliò la gola.

Lo spadaccino si voltò di scatto; l’orco più grosso che lui avesse mai visto lo sovrastava.

Era un essere enorme che portava una maschera con due zanne delle dimensioni di un braccio umano.

Era armato di un’ascia così grande che col solo peso avrebbe potuto schiantare lo spadaccino a terra.

Sgarri imprecò, il nemico era così vicino che lui poteva sentirne il fiato puzzolente e così arrabbiato che il manico dell’ascia, spasmodicamente stretto dalle sue enormi mani, scricchiolava.

Sgarri si sentì mancare il terreno sotto i piedi mentre un secondo orco lo aggrediva sul fianco. Improvvisamente questi si voltò e la sua testa, spiccata dal corpo, volò a diverse decine di metri di distanza.

L’enorme orco dalle zanne sferrò un pugno verso le spalle di Sgarri ed un cavaliere in armatura cadde di sella rovinando nella neve.

Cinque cavalieri bretonniani si erano gettati al galoppo nel mezzo della mischia mulinando le enormi spade. Il primo non portava la blusa multicolore degli altri, indossava invece una casacca nera che gli copriva un’armatura brunita.

Anche la gualdrappa del cavallo era nera, probabilmente un tempo aveva recato dei simboli, ma ora erano troppo infangati per essere riconoscibili.

Quasi a voler sottolineare la sua già cupa figura, il cavaliere aveva scelto un destriero nero come la notte.

Il cavaliere nero colpì subito Sgarri perché, invece che battersi in sella come i suoi compagni, si gettò da cavallo, travolgendo un orco.

Il bretonniano si voltò roteando la spada bastarda e decapitò un orco.

La spada del cavaliere sprizzò scintille nel parare un’ascia, poi con un movimento incredibilmente rapido, roteò e mozzò la mano che la reggeva.

Con il colpo di ritorno, dal basso in alto, il cavaliere sfondò il cranio dell’orco

–Crepa bastardo!- Ringhiò in bretonniano.

Un ennesimo orco tentò di colpirlo alle spalle, ma il bretonniano roteò la spada in modo che la lama gli passasse accanto al busto, rivolta all’indietro.

Con una mossa repentina il cavaliere infilzò il nemico, affondandogli la spada nel ventre fino all’elsa.

L’orco dalle zanne, evidentemente il capo della fazione, balzò ruggendo verso il cavaliere nero.

Sgarri conosceva molto bene il bretonniano, poiché nel suo paese d’origine, all’estremo confine Nord del principato di Tobaro, era molto più usato del tileano.

Non gli fu quindi difficile comprendere l’urlo di uno dei cavalieri

–Attento signor Conte!-

Il tileano era stupito; il cavaliere nero portava i capelli castani incolti e lunghi fino alle spalle, la sua barba era più lunga sul mento ed in corrispondenza dei baffi, segno che solitamente la curava, ma ora era lunga di diversi giorni, inoltre era quello vestito in modo più spartano in tutto il gruppo, proprio non aveva l’aria del conte.

Il cavaliere nero balzò indietro e sfoderò una daga da duellista.

Sgarri aveva notato che il conte non portava gli schinieri e le scarpe di ferro tipici dei cavalieri, bensì un semplice paio di stivali a sbuffo. Evidentemente era più avvezzo a battersi a piedi piuttosto che in sella.

Il capo orco fece per attaccare il bretonniano, ma fu preceduto dall’ultimo superstite della pattuglia pelleverde.

–Signor Conte!- Gridò nuovamente il cavaliere che aveva precedentemente avvertito il nobile.

Ma il cavaliere nero aveva già provveduto

–Tienimi questa!- Urlò all’orco che lo attaccava di lato mentre gli lanciava una rapida occhiata.

Nel dire questo lanciò la daga che roteò due volte in aria e si piantò fino all’elsa, con precisione chirurgica, nella gola dell’avversario.

Il capo calò l’enorme ascia, ma il bretonniano roteò su se stesso e deviò l’arma colpendo col proprio avambraccio gli avambracci dell’orco.

L’arma si schiantò a terra sollevando un’enorme sbuffo di neve.

L’orco imprecò selvaggiamente e menò un formidabile colpo circolare.

–Troppo lento- Lo canzonò il cavaliere mentre schivava di scarsa misura l’attacco.

Il mostro vibrò un potentissimo colpo di ritorno, ma il bretonniano allargò le braccia e spinse indietro la testa.

–Dovresti gestire meglio la tua rabbia- Canticchiò mentre l’ascia gli passava a tre dita dal mento.

Un nuovo colpo dall’alto venne nuovamente deviato dall’avambraccio del conte.

–Magari farci qualcosa di costruttivo- Continuò il cavaliere rifilando un temibile sinistro nelle costole dell’orco.

Il pelleverde bloccò l’avversario contro il proprio petto, tentando al contempo di strangolarlo con il manico dell’ascia.

–Conoscevo un tale che intagliava il legno per rilassare…- Il manico di legno soffocò la battuta del cavaliere, che afferrò con entrambe le mani l’ascia, quindi si lasciò cadere in ginocchio, imprimendo un movimento rotatorio all’asse del suo corpo.

Il movimento rovesciò l’enorme orco che si ritrovò improvvisamente a guardare il nemico da supino.

Con una sorprendente prontezza di riflessi il pelleverde si rialzò e vibrò un fendente.

Il bretonniano si avvicinò al nemico e si voltò di spalle in modo che il colpo passasse oltre ed il gomito nemico sbattesse sullo spallaccio di ferro dell’armatura.

Rapidamente il bretonniano bloccò il braccio dell’orco e sfruttò lo spallaccio come leva. Il secco rumore dell’articolazione fratturata riecheggiò nella foresta.

L’orco urlò di dolore ed il cavaliere gli rifilò una gomitata che fratturò diversi denti.

Il mostro cadde supino.

–Spada!- Ringhiò il conte.

Immediatamente un cavaliere gli scagliò la propria arma.

Il cavaliere nero prese l’arma al volo e le impresse la rotazione necessaria a piantarla di punta nel corpo del nemico a terra.

Un solo colpo, diritto al cuore. Il mostro gorgogliò e si afflosciò.

Un silenzio irreale era caduto sulla foresta. Il conte estrasse l’arma dal cadavere e la restituì al legittimo proprietario, quindi si diresse verso i resti degli orchi che custodivano le sue armi.

Il cavaliere disarcionato era tornato in sella e sembrava stare bene.

Quando ebbe terminato le operazioni di recupero e pulizia sommaria delle armi, il conte rimontò in sella e si rivolse a Sgarri.

–Sembra che vi abbiamo tirato fuori da un bel pasticcio eh soldato?-

Sgarri annuì –Così sembra eccellenza-

Il Bretonniano sembrò riflettere tra se –Non ti inchini soldato?-

Sono stanco eccellenza, ho combattuto a lungo in questi mesi e temo che inchinarmi sarebbe troppo gravoso per la mia schiena-

Il bretonniano scoppiò a ridere –Sarebbe molto più gravoso per il tuo orgoglio; a quanto ho visto la forza della tua schiena è più che sufficiente a massacrare orchi! Mi piaci soldato, un uomo che affronta da solo una simile banda è un perfetto imbecille, ma anche una persona che non deve inchinarsi di fronte a nessuno. Di dove sei?-

-Vengo dal contado di Callan, eccellenza, nel principato di Tobaro… Non credo possiate conoscerlo-

Il bretonniano rise –Certo che lo conosco soldato, io sono il conte di Annevie-

Ciò detto il conte fece un gesto eloquente ed i cavalieri ripartirono al trotto nella direzione dalla quale Sgarri arrivava.

–Che Mirmidia ti conceda una buona giornata valdasitano!- Gridò il conte.

–Che la Dama benedica il vostro cammino eccellenza!- Gridò di rimando lo spadaccino.

Il paese natale di Sgarri si trovava nella Val d’Asita, una regione al confine con Bretonnia e che confinava appunto con il contado di Annevie.

Il tileano sapeva che il conte era vecchio e malato, ma non era a conoscenza di un erede, forse si trattava di un nuovo conte nominato dal duca.

   
 
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