Questa
storia deve la sua ispirazione a “L’età più dolce” di Lily1013: se non l’avete
ancora letta, vi esorto a farlo quanto prima, perché è splendida. Ho chiesto
all’autrice il permesso di svilupparla, perché ho sempre avuto l’impressione
che fosse in un certo modo incompleta. Generosamente,
ha acconsentito e per questo la ringrazio di cuore. Questo è il risultato di quella ispirazione, mi auguro di essere stata alla sua
altezza e di non deludere voi lettrici. Come sempre aspetto con ansia i vostri
commenti e ringrazio in anticipo chi vorrà passare di qua a leggere e troverà
il tempo per recensire.
Un
abbraccio a tutte
Audreyny
Ho
quattordici anni e sono capitano della guardia reale.
Ho
accettato quell’incarico per cui mio padre ha messo a repentaglio il suo buon
nome, il suo onore e la sua carriera. Non l’ho fatto di certo per lui, che
aveva minacciato di uccidermi con le sue mani, se non avessi obbedito
all’ordine di Sua Maestà il Re, ed ho imparato fin da bambina a prendere molto
sul serio a fedeltà della mia famiglia alla corona dei Capeto.
Non
l’ho fatto nemmeno per il re, che per non so quale miracolo dopo l’affronto che
gli ho fatto con il duello di Girodelle, ha risparmiato la mia vita; né
tantomeno perché smani per mettermi al servizio di una donna, una principessa
austriaca che mi dicono essere bella come un dipinto e
che, sono certa, sarà capricciosa e volubile come una ragazzina irresponsabile.
Non
l’ho fatto per nessuno, se non per me stessa. Questa è la mia vita, questa è la
mia scelta. Sono una donna, è vero, ma questo è ciò che mi hanno insegnato a
fare, fin da bambina; questo è quello che so fare. E sono brava, sono
dannatamente brava. Credo che sia davvero uno scherzo
crudele del destino beffardo che io non sia nata maschio.
Solo
per me dunque. Ma forse, non
solo.
Non
dimenticherò mai gli sguardi attoniti che hanno accompagnato la mia discesa
dalle scale quando per la prima volta ho indossato la bianca uniforme delle
guardie reali. Mio padre era fuori di sé dalla gioia; credeva che non avrebbe
vissuto abbastanza per vedere questo momento. Onore e
gloria per il suo figlio maschio diletto, orgoglio e vanto dei
Jarjayes!
Nanny
era sull’orlo delle lacrime, poveretta. Credo che lei abbia sperato fino
all’ultimo, in fondo al suo cuore. Non ha mai smesso di chiamarmi “Madamigella”
contravvenendo agli espliciti ordini di mio padre, né di confezionarmi sontuosi
abiti femminili, che giacciono affastellati in qualche angolo remoto del
palazzo. Spero che trovino qualche anima più aggraziata di me per portarli, prima o poi, che li riscatti dal destino di polvere e di
tarme cui per il momento sembrano avviati.
Ma
non si può essere diversi da se stessi, nemmeno per amore di chi ci è più caro. Io non potrò mai indossare quelle gonne e
quei merletti, truccarmi il viso per andare a corte e trascorrere le mie
giornate in conversazioni leziose e nell’ozio più totale. Preferirei morire
piuttosto.
Ed infine,
lo sguardo di Andrè. Quello davvero non sono riuscita
a decifrarlo; mi sembrava ferito oltre ogni possibile sopportazione, e
dolorosamente stupefatto. Rassegnato e incredulo, ammirato e deluso. Quello
sguardo mi ha perforato l’animo, si è scavato un posto nel mio cuore e si è
piazzato lì. Brucia come la carne viva dopo una ferita.
Non
più di qualche giorno fa ci siamo battuti come due ragazzini di strada lungo il
fiume. Ce le siamo suonate proprio di santa ragione. È
la prima volta che Andrè mi tiene testa coi pugni in
modo così agguerrito e meno male che siamo crollati al suolo tutti e due perché
non so se ce l’avrei fatta a resistere a lungo.
Dopo
la lotta, ansanti, sporchi, laceri, esausti, sdraiati su quella riva fino a
pochi attimi prima teatro del nostro scontro, Andrè mi ha preso la mano e me
l’ha stretta. Che strana sensazione, la sua pelle a contatto
con la mia. Mi sentivo bruciare. Me l’ha stretta forte, come se avesse
paura che lasciandomi andare, tutta la nostra vita
così come noi la conosciamo sarebbe potuta scomparire e non tornare mai più.
C’era
tutto il mondo in quella stretta, il mio mondo, che è
anche il suo.
È
stata quella stretta che mi ha fatto capire che cosa avrei dovuto e voluto fare
della mia vita.
Povero
Andrè. Mio padre gli aveva ordinato di convincermi ad accettare la divisa, ma
lui è troppo buono, troppo puro e troppo fedele per cercare di convincermi a
fare qualcosa di alieno dalla mia volontà. Avrebbe affrontato le ire del
Generale piuttosto che mettersi contro di me.
Lui
non sa, non ha capito il perché della mia scelta. Sono dovuta
correre via, sopraffatta dalle emozioni che la sua mano calda nella mia mi ha
saputo regalare. E lui ha gridato il mio nome, da lontano, una
eco persa nel vento. Ho sentito la sua determinazione in quel grido, ma
anche la sua disperazione.
“Non
è troppo tardi. Fermati e diventa una donna, Oscar!”
Oh,
sì che è tardi, Andrè. Ormai è tardi perché io possa riportare indietro le
lancette dell’orologio a quel momento scellerato in cui sono nata, sbagliata
fin dall’inizio. Sbagliata per la mia stessa natura.
Non
posso diventare ciò che non sono. Ma non capisci perché lo faccio,
Andrè? Che cosa credi che succederebbe se io rifiutassi di vestire questa uniforme che mio padre mi ha cucito addosso il giorno
stesso in cui sono venuta al mondo, in quella sciagurata notte di Natale di
quattordici anni fa?
Se
anche il fiero ed altero Generale de Jarjayes non mi
uccidesse personalmente, cosa della quale francamente dubito, mi costringerebbe
a entrare in convento, oppure, peggio ancora, a sposare qualche nobile
debosciato della sua età, con il quale dovrei unirmi per generare un erede
maschio forte e sano e perpetrare così la tradizione nobiliare del nostro
regime feudale. Sono nauseata alla sola idea di dovermi piegare alla volontà di
un uomo che avrebbe su di me potere di vita e di morte,
che potrebbe controllare i miei gesti, i miei respiri, i miei passi.
Ma
soprattutto sono paralizzata alla sola idea di perdere te, Andrè, l’unico, il
solo amico che abbia mai avuto, la sola persona capace di guardarmi dentro e di
leggere i segreti più nascosti.
Tu
mi guardi nell’anima, amico mio, tu conosci il mio cuore. Perciò mi stupisce
tanto che tu non abbia capito il perché della mia scelta.
Il
tuo sguardo alla base di quella scala è stato una pugnalata per me.
Non
capisci, è questo il solo modo per conservare la mia libertà.
È questo
il solo modo che ho per conservarmi padrona della mia vita e fautrice del mio
destino.
È
il prezzo che una donna deve pagare per rimanere donna
e non diventare oggetto nelle mani di suo marito.
È
il prezzo che devo pagare per rimanere accanto a te, Andrè.
Perché
solo se io divento un uomo, tu che uomo lo sei per
nascita, potrai continuare a camminare al mio fianco.
Ed
è solo questo che io desidero, più di qualsiasi altra cosa ed è questo che mi
ha reso forte e determinata nella mia decisione. Solo questo.
Solo
che tu possa continuare a camminare accanto a me, per sempre.