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Autore: Sospiri_amore    16/08/2017    1 recensioni
❤️SECONDO LIBRO DI UNA TRILOGIA❤️
Ritorneranno Elena, Kate, James, Jo, Adrian, Stephanie, Lucas, Rebecca, (Nik ??).
Ci saranno nuovi intrecci, guai, incomprensioni e amori.
Elena avrà dimenticato James?
Chi vivrà un amore proibito?
Riuscirà il Club di Dibattito a sconfiggere la scuola rivale?
Nik sara sempre un professore del Trinity?
Elena andrà al ballo di fine anno?
IL FINALE di questo libro corrisponde alla fine del liceo, il terzo libro sarà incentrato sulla vita adulta dei personaggi. Più precisamente quattordici anni dopo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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IERI:
Faccia da schiaffi




«Hai visto che quegli studenti hanno tagliato i capelli come te? Sembrano i tuoi cloni». Stephanie indica un gruppetto di ragazzi che fissa Jo con un po' troppa intensità.

«Lascia perdere. L'altro giorno hanno voluto farsi una foto con me», dice Jonathan arrossendo.

Stephanie scoppia a ridere.

«Perché quelle matricole che si son fatte i capelli rossi a caschetto come i tuoi, come le vedi?», chiede Jo.

«Sono ragazze che hanno un ottimo gusto estetico e sanno capire cosa è bello e cosa non lo è». Stephanie indica prima se stessa e poi Jo.

«Quindi sarei un mostro di bruttezza?», le chiede il ragazzo.

«No. Sei solo fuori moda», dice ridacchiando Stephanie.

«Secondo voi sono fuori moda come dice Stephanie?», chiede Jo a Kate e me.

«Hmm, non so. Forse», ribatto io.

«Boh», dice Kate.

«Da una settimana voi due sembrate, come dire, strane. Sicure di stare bene?», ci chiede.

«Sì», rispondiamo in coro, un po' troppo convinte, Kate ed io.

«Ecco, ho capito. Vi devo lasciare stare. Quando avrete voglia di parlare fate un fischio»

 

Sono passati diversi giorni dalla litigata a casa di Kate. Lei non ha voluto chiarire e neanche io ho fatto nulla per risolvere tutta questa faccenda. Se lei pensa che io sia una paranoica ossessionata da James e gli altri, si sbaglia di grosso. Non ha idea di cosa sarebbero capaci di farmi, è come se Kate di fosse dimenticata cosa mi è successo l'anno scorso. 

Cerco di concentrarmi sul testo di letteratura che ho tra le mani, ma con scarso risultato. Leggo ma non capisco le parole, sono così assorbita dai miei pensieri che non riesco a concentrarmi. 

Sbircio i miei amici. Lo sguardo si ferma su Kate.

Un'ondata di nervosismo mi scuote il corpo, mi verrebbe voglia di prendere la mia amica e urlarle in faccia tutto quello che provo. Vorrei farle capire come mi sento, vorrei raccontarle di James e di come sia stato straziante sistemare gli oggetti di Demetra, di come abbia sofferto nel rivedere il vestito che la donna aveva indossato alla festa degli ex studenti. Vorrei dirle che mi sento sola se non è al mio fianco, vorrei dirle che sto male. 

Apro la bocca, ma non escono parole.

Mi prenderei a schiaffi da sola.

Devo andarmene da lì.

 

«Io devo andare a fare volontariato», dico alzandomi di scatto. Con un movimento rotatorio faccio oscillare la borsa che, vista la velocità del gesto, mi sfugge dalle mani volando in aria.

Bam.

Dritta sul pavimento della sala studio, direttamente sui piedi di Rebecca.

 

Possibile che di tanti studenti che ci siano a scuola, debba essere finita proprio addosso a quella arpia?

 

«Bene. Adesso passiamo alle aggressioni fisiche?». Rebecca prende a calci la mia borsa.

«Non ho fatto apposta, mi è scivolata di mano. Scusa». Raccolgo il tutto cercando di fare il più velocemente possibile. Non ho voglia di litigare.

«Non pensare che mi sia dimenticata di te. Ti tengo d'occhio», mi bisbiglia feroce.

Una smorfia di disgusto fa trasparire tutte le sensazioni, poco piacevoli, che provo per quella lì.

«Ti conviene stare calma pivella. Non farci arrabbiare, altrimenti...», mi dice James mentre avvolge con un braccio il fianco di Rebecca.

«Altrimenti cosa? Mi renderete la vita un inferno? Mi farete espellere? Mi toglierete il saluto?», dico sarcastica. 

Jo è al mio fianco, deve aver capito che la situazione è tesa.

«Non ho paura di voi. Tutto quello che di peggio potreste farmi me lo avete già fatto, quindi posso aspettarmi il peggio del peggio?».

«Per quelle come te, l'indifferenza è il peggio che ci possa essere», ribatte James.

Trattenuta per le braccia da Jo riesco a controllarmi, evitando di iniziare una rissa.

 

Non dico che James mi debba trattare da amica se non vuole ma, dopo l'altro giorno a casa di Geltrude, credevo che le cose sarebbero un po' migliorate tra noi. Evidentemente mi sbagliavo.

 

«Lasciali perdere. Dicono quelle cose solo per provocarti», mi dice Jonathan riaccompagnandomi al tavolo.

Guardo intensamente Kate, come per dimostrarle che le parole dette giorni fa non erano una mia ossessione, ma un dato di fatto: Rebecca & Co mi odiano: «Visto?», le dico.

«Del resto l'hai colpita con la tua borsa. Non mi sembra così strano che ti abbia trattato male. Non avresti fatto lo stesso se fosse capitato a te?», mi dice come risposta.

«Cosa?», urlo.

Tutti gli studenti in sala studio si girano a guardarmi.

Jo e Stephanie sono confusi, credo non si aspettassero di vederci litigare così.

 

Non aspetto la risposta della mia ex amica del cuore. Non ho voglia di sentirmi dire un'altra volta che mi sono inventata tutto, che le mie sono solo paranoie e che ho manie di protagonismo. 

Esco dal Trinity scura in volto e con il broncio, sarei capace di prendere a pugni chiunque mi desse fastidio. Ho talmente tanta rabbia che mi sembra di scoppiare.

Percorro la strada che mi porta alla biblioteca universitaria a passo veloce. Sembro un proiettile, un razzo telecomandato. 

Rimugino su Kate e sul suo atteggiamento nei miei confronti. È così irritante che mi chiedo come cavolo abbia potuto sopportarla per tutto questo tempo.

 

Aiutami, Elena...

Sono brutta, Elena...

Non ho amici, Elena...

Non so fare nulla, Elena...

 

Da quando eravamo piccole è sempre la solita solfa. Si è sempre appoggiata a me per tutto, nascondendosi dietro le mie spalle incapace di affrontare il mondo. Io l'ho migliorata e resa più forte, perché adesso mi fa questo?

 

Appoggio la borsa nello spogliatoio femminile della biblioteca. Mi lego i capelli e prendo il tesserino di riconoscimento con la mia foto che devo appendere alla giacca.

Le mani mi tremano così tanto che non riesco a infilare il bavero della giacca dentro la pinza del tesserino.

«Maledizione», dico a bassa voce.

«Fossi in te prenderei un bel respiro e ci riproverei», Andrew è appoggiato allo stipite della porta dello spogliatoio.

«Che ci fai tu qui? Non mi pare tu sia una ragazza». Cerco di aprire la molletta del tesserino, ma le dita sudate scivolano sul metallo.

«Vedi, ho sempre la speranza di vedere qualche bella ragazza in reggiseno. Adoro i reggiseni». Con sicurezza Andrew toglie il tesserino dalla mia mano e lo affranca al bavero della giacca.

«Se credi di fregarmi con i tuoi modi, ti sbagli. So come sei fatto, sei uguale ai tuoi amici». Con il retro della mano allontano il suo braccio.

«Amici? A quali amici ti stai riferendo? Io ne ho molti». Senza il minimo pudore sbircia dentro un armadietto sfiorando i vestiti appesi di una sconosciuta.

«Mi prendi in giro? Rebecca, James, Adrian e Lucas», gli rispondo acida. Riflessa nello specchio appeso alla parete, mi accorgo che ho fatto la coda tutta storta. Mi tolgo l'elastico cercando di spazzolarmi i capelli con le mani. Ho una massa aggrovigliata in testa.

«Il fatto che abbia passato le vacanze con loro non li eleva a miei amici. Sono persone divertenti con cui mi piace fare baldoria. L'anno scorso James mi è mancato parecchio, frequentava una ragazza e...».

«Sei una persona disgustosa, mi fai schifo. Vattene da qui prima che ti prenda a schiaffi», gli dico puntando il dito sul suo petto e facendolo indietreggiare. Non ho voglia delle sue frecciatine nei miei confronti.

Andrew sorride. È un sorriso ironico di beffa: «Dolcezza, tu non faresti male ad una mosca».

 

Basta.

Non ne posso più.

Prima Kate.

Poi Rebecca e James.

Adesso lui.

Basta.

Sto per impazzire.

La mia mano si carica. Lanciata a tutta velocità, sbatte contro il volto di Andrew.

 

Ecco l'ho fatto. 

Gli ho dato uno schiaffo. 

 

Il suono echeggia nello spogliatoio vuoto.

 

Ma che cavolo ho fatto? 

 

Credevo sarei stata meglio dopo aver dato quello schiaffo, invece mi sento uno schifo, una perdente, una persona orrenda. Andrew mi guarda con gli occhi spalancati mentre con la mano si accarezza dove l'ho colpito. Mi studia, cerca di interpretarmi, lo capisco da come mi guarda.

Le mie dita tremano, una forte nausea mi sta assalendo, i muscoli sembrano in preda ad un fremito incontrollabile. Piango. Stringo i denti per la rabbia, un urlo roco mi esce dalla gola. Piango. Mi accascio a terra stringendo i pugni, sento le unghie affondare nella carne.

Vorrei andarmene, fuggire e lasciare la mia vita qui a New Heaven per poter sentirmi di nuovo serena, felice e in pace. Invece un peso nel petto mi rende incapace di liberarmi.

 

Una lieve carezza sulla testa mi fa sussultare. Andrew è accucciato vicino a me. Ad ogni suo tocco il mio respiro si calma, pian piano sto riprendendo il controllo.

Un'ondata di vergogna mi assale. Il solo pensiero di essermi mostrata così vulnerabile davanti a lui mi fa arrossire. Con la testa china, i capelli spettinati e la faccia rossa, aspetto che succeda qualcosa che mi tolga da quell'imbarazzo.

 

«Hai una spazzola?», mi chiede.

«Cosa?», gli rispondo con un filo di voce.

«Hai una spazzola?». Parla con voce pacata, diversa da come l'ha di solito.

Prendo la mia cartella ed estraggo la piccola spazzola che mi porto sempre dietro a scuola. Andrew la prende, seleziona una ciocca dei miei capelli, la fa passare tra le dita e poi inizia a spazzolarla. Una. Due. Tre. Quattro volte. Poi passa ad un'altra ciocca e quando ha finito inizia subito con un'altra. 

Il rumore dei denti della spazzola tra i miei capelli, quello scricchiolio, quello strofinare ripetitivo è come una ninna nanna. Chiudo gli occhi e mi lascio andare. Voglio una pausa dai miei pensieri.

«Dammi l'elastico», mi dice Andrew.

Lo tolgo dal polso e glielo passo.

«Quando mia mamma era impegnata con il lavoro aiutavo mia sorella a prepararsi per la scuola. Non ascoltava nessuno, era una testa dura che neanche ti immagini. Non voleva la domestica, voleva me. Diceva che ero il più bravo a spazzolarla». Con attenzione Andrew divide i capelli in tre sezioni ed inizia sovrapporle una sull'altra.

In pochi secondi mi ritrovo con una treccia perfetta in testa.

 

Sono stupefatta, confusa, sorpresa.

Non mi sarei mai aspettata un gesto gentile da parte sua.

Lo guardo muoversi senza sapere che fare.

 

Andrew mi prende le mani invitandomi ad alzarmi. Mi sistema la giacca, raddrizza il cartellino e con il dorso della mano mi asciuga le lacrime: «Non so cosa ti sia successo o cosa ti hanno fatto. Nessuno si può permettere di farti del male. Devi farti rispettare dolcezza e devi iniziare a costruirti una corazza. Uno scudo dentro al quale nessuno può entrare. Così avrai il potere e il controllo, così nessuno mai ti potrà schiacciare».

«Io non sono capace», gli dico con voce bassa, «È come se le emozioni mi travolgessero e io non riuscissi a contenerle».

Andrew ha uno sguardo furbo, mi sfiora le guance con le dita: «Se vuoi posso insegnarti io ad essere più distaccata, più forte. Sai, a volte può essere divertente fregarsene di quello che pensano gli altri. Che ne dici dolcezza, ci stai?».

 

Ci rifletto un attimo. Provo ad immaginarmi diversa, più determinata, capace di non farmi mettere i piedi in testa da nessuno. Sarebbe bello poter infischiarmene di quello che pensa la gente.

Lo guardo per pochi secondi e poi annuisco.

 

Andrew mi prende per mano incamminandosi verso l'uscita dello spogliatoio: «Bene dolcezza, fai quello che ti dico e tutto andrà bene».

   
 
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