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Autore: blacklivesmatter    16/08/2017    1 recensioni
« Travis. » lo chiamai prima di umettarmi le labbra secche e abbassare nuovamente lo sguardo sulle nostre mani intrecciate. « sei ancora contento di avermi conosciuto? »
« Perchè me lo chiedi? »
« Non saresti in questo casino, se non mi avessi difesa. C'hai mai pensato? »
Lui rimase in silenzio per qualche instante, per poi lasciarsi andare in un sospiro. Serrai le labbra, preparandomi al colpo che mi avrebbe fatta esplodere in miliaia di piccoli pezzi, esattamente come aveva fatto la superfice dello specchio sotto il suo pugno quella sera a casa dei suoi.
Si passò una mano tra i capelli scuri, apparentemente combattuto, ma poi posò lo sguardo sul mio volto e un angolo delle labbra gli giuzzò verso l'alto, in quel sorriso che tanto amavo. « La mia vita sarebbe incredibilmente noiosa senza di te, Cami. » disse e poi si sporse verso di me, posando le sue labbra sulle mie.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Universitario
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Lasciai che lo champagne mi scivolasse tra le labbra carnose e truccate, mentre ascoltavo mio fratello Santiago chiaccherare animatamente con la piccola cerchia di persone che si era seduta al nostro tavolo per discutere dei più vari argomenti e di tanto in tanto mi sistemavo la gonna dell'abito che indossavo quella sera.
Riposi il calice di cristallo sul tavolo nell'unica porzione di spazio libera dal costoso servizio di piatti di porcellana e posate d'argento e mi scostai una ciocca scura dietro l'orecchio sinistro, nervosa.
Sebbene le cene di gala a cui avevo partecipato con Santiago, dalla fine dello scorso semestre, fossero state innumerevoli, ancora faticavo a sentirmi a mio agio in quegli ambienti così sfarzosi ed eleganti, abituata com'ero al nostro piccolo appartamento di periferia e alla vecchia officina di mio padre, dove l'aria era pregna del forte odore di olio per motori e sudore. Anche il modo in cui la nera stoffa del mio abito mi accarezzava le curve non troppo accennate del corpo riusciva a mettermi in soggezione.
Qualsiasi parola pronunciassi o movimento facessi venivano intrisi dal timore del giudizio di quegli uomini in giacca e cravatta, che tanto calorosamente si stavano congratulando con mio fratello per le sue vittorie sul campo da football; appena ebbi il coraggio di focalizzarmi sulle loro figure riconobbi alcuni volti che mi era capitato di osservare guardando lo schermo della piccola tv nella cucina di mia madre o impressi nelle prime pagine dei giornali e allora lanciai uno sguardo al sorriso cordiale che Santiago stava rivolgendo a tutti loro.
Mi chiesi come riuscisse ad apparire sempre così spontaneo. « Vado a prendere una boccata d'aria. » mormorai accostandomi al suo orecchio. Lui volse il capo quanto bastava per osservarmi in viso.
« Vuoi che ti accompagni? » mi domandò, già pronto ad alzarsi dalla sedia. Scossi la testa, mostrandogli un sorriso tirato.
« No, non preoccuparti ─ ci metto un attimo, davvero. »
Gli occhi scuri di mio fratello mi scrutarono per un paio di instanti, prima che annuisse e si voltasse in direzione di un suo compagno di squadra.
Mi issai in piedi con l'ausilio delle braccia e mi voltai, incamminandomi verso l'uscita della sala.
La villa dove si svolgeva la festa era assolutamente gigantesca, di come non ne avevo mai viste, avrà avuto almeno un centinaio di stanze e tre sale da ballo grandi quanto quella in cui avevamo cenato, per non parlare del giardino che si disperdeva attorno alla villa a perdita d'occhio.
L'idea di passarci la belezza di altri quattro giorni ancora mi appariva come un sogno che diveniva realtà: da quel che avevo compreso attraverso le parole di mio fratello, il direttore del suo college aveva messo a disposizione la propria casa per i giocatori della squadra di football ─ e dei loro eventuali accompagnatori ─ così che potessero riposare nel lusso più completo prima dell'inizio del nuovo anno scolastico.
Scivolai fuori dall'immenso portone della sala, per poter percorrere il corridoio che conduceva al giardino sul retro della villa, attenta a non farmi riprendere dai tanti camerieri che entravano ed uscivano dalla cucina con vassoi pieni di lecornie e calici di champagne.
Superata la soglia della porta di servizio in punta di piedi, presi una profonda boccata d'aria abbandonando tutte le ansie che mi avevano pervaso fin dall'inizio della serata e incominciando ad incamminarmi lungo la piccola stradina di ciottoli che andava ad inoltrarsi in un piccolo labirinto creato dalle alti pareti delle siepi.
Avanzando con calma lungo tale percorso, giunsi nel punto dove tutte le uscite si collegavano, un ampio spazio circolare a cielo aperto che doveva praticamente rimandare alla forma della graziosa fontana posta al centro di essa, dalla quale l'acqua zampillava creando un'atmosfera placida e deliziosa. Mi lasciai cadere su una delle panchine di pietra che circondavano la fontana e presi ad armeggiare con il laccetto delle scarpe così da sfilarle e metterle da parte.
Potevano anche essere bellissime, ma portarle era un vero e proprio strazio.
Sorrisi al pensiero di mia madre che mi rimproverava per il mio commento e scossi appena la testa, poco prima di accorgermi di un brusio fastidioso che veniva da una delle aperture che davano verso l'interno dell'labirinto alla mia sinistra; mi ammutolii all'instante quando iniziai ad identificarlo con una serie di voci sommesse che discorrevano tra loro non molto lontano e mi issai in piedi così da accostarmi per riuscire a comprendere qualche straccio di conversazione:
 « Non ho intenzione di battermi con te, Tom. Non qui. » Era appena un sussurro, ma era ben chiara l'autorevolezza nella voce di quello sconosciuto, quasi non intendesse ricevere repliche.
Doveva essere un tipo abituato a dare ordini a destra e manca.
 « Oh, ma avete sentito il damerino ragazzi? Ha avuto le palle di iscriversi al mio torneo e ora non vuole farmi vedere neanche di che pasta è fatto. » Un piccolo coro di risate si alzò, ma si azittirono quasi subito quando il rumore di un tonfo secco giunse al mio orecchio. Sgranai gli occhi, cos'era stato? Un colpo di pistola o un pugno particolarmente forte?
Mi spostai più in avanti così da osservare quanto stava succedendo, il telefonino, sfilato dalla mia pouchette pochi instanti prima, ora era stretto tra le mie dita tremanti.
Avrei chiamato la polizia, se fosse stato necessario o quantomeno li avrei minacciati di farlo.
Solo che mi arrestai, osservando la scena che avevo di fronte con sconcerto: un ragazzo con le spalle rivolte alla parete del labirinto era circondato da un piccolo gruppo di persone, delle quali non avrei saputo definirne l'età tanto erano alti e robusti. Il più grosso, e da ció deducevo che dovesse essere il capo, aveva la testa piegata in una strana angolazione.
Il ragazzo gli aveva tirato un pugno sul mento e non c'era andato neanche tanto piano.
 « Tom? Tutto bene? » gli domandó uno dei suoi compari facendo un passo avanti, ma venne zittito con un gesto della mano dal capo, il quale abbassò lo sguardo e si pulì il labbro inferiore dal sangue.
Attese qualche instante, sputò a terra e poi: « Prendetelo. »
Così i tre ragazzi dietro di lui si avventarono su quello con le spalle al muro, che però scansó con maestria il colpo del più vicino, abbassando il busto per poi rialzarsi e tirargli un gancio destro dritto in viso, mandò al tappetto il secondo e mise in fuga il terzo.
Trattenni il fiato quando volse lo sguardo su di me, una scintilla di pura confusione negli occhi nocciola. Come aveva fatto a sentirmi?
Ma la cosa che mi inquietò maggiormente, fu la figura di Tom che si avvicinava minacciosa dietro di lui.
 « Attento! » urlai, ma il pugno che lo colpì fu più veloce e devastante.
Vidi il sangue imbrattargli la camicia e la giacca dello smoking, dopo che ricevette un secondo e terzo colpo: ero terrorizzata.
Eppure, in qualche modo, riuscii a raccogliere un sasso e tirarlo sulla tempia di Tom, così che si voltasse verso di me.
 « Lascialo stare. » gli dissi.
 « Oh, guarda guarda, lo stronzetto ha una fidanzatina... » esclamò, osservandomi con un ghigno stampato in viso.
Lo lasciò cadere a terra, per poi fare un paio di passi verso di me; tenni lo sguardo puntato verso di lui.
 « Fai ancora in tempo a scappare, prima che arrivi la polizia e ti sbattino in prigione. » lo minacciai assottigliando gli occhi ed alzando appena il mento, fingendo una sicurezza che non avevo. Mi tremavano ancora le mani.
 « Guarda, guarda che caratterino.... Posso prenderla in prestito, Radwell!? Oh, giusto, non sei nella posizione per protestare. » sbuffò una leggera risata, poco prima di tendere una mano verso di me. « Che ne dici, gattina? Vuoi essere posseduta da un vero uomo? » fece per sfiorarmi la guancia, ma mi scansai.
 « Vas al infierno. » mormorrai, sputandogli in viso.
Grosso errore, visto che una volta pulitosi il viso alzò il braccio come a volermi prendere a schiaffi. Serrai le palpebre e mi preparai ad incassare il colpo.
Non arrivó.
Attesi ancora qualche instante poco prima di aprire gli occhi e ritrovare il mio " aggressore " a terra e il giovane di poco fa in piedi davanti a me, le nocche sanguinanti.
 « Grazie. »
 « Di nulla. », rispose.

   
 
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