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Autore: Red_Coat    17/08/2017    2 recensioni
Nel calore di un'estate afosa, alla luce di una fiammella e per una manciata di cacao amaro in polvere e un ciuffo di cavolfiore, questa è la storia di quando Ignis Stupeo Scientia s'innamorò per la prima volta in assoluto nella sua vita.
E fu un amore tutto da ... gustare.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gladiolus Amicitia, Ignis Stupeo Scientia, Noctis Lucis Caelum, Nuovo personaggio, Prompto Argentum
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il meraviglioso fuoco della conoscenza'
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L'amore ha un profumo di cannella
 
Jane Alexandra non era una di quelle ragazze bamboline, di quelle che stanno ferme in un posto con gli stessi vestiti per paura di rovinarseli, mentre il mondo va avanti.
Brava alunna, anche se negli ultimi tempi forse un po' troppo distratta dalle proprie passioni, la sua professoressa di letteratura nutriva un amore quasi incondizionato per l'unica allieva della sua classe in grado non solo di comprendere le sue lezioni ma anche di amarle quasi quanto o più di lei.
Amava molto anche la storia, e più tardi anche quel po' di scienza e geografia che le permettevano di capire il mondo.
Anche se le piaceva molto studiare, appena preso il diploma aveva rinunciato all'università per trovarsi un lavoro che le permettesse almeno di vivere decentemente a casa dei suoi, anche perché erano modesti operai pensionati e avrebbero fatto molti sacrifici per farla studiare, e questo lei non lo voleva.
Solo che questa ricerca di autonomia non aveva dato i risultati sperati, complice anche la crisi che aveva colpito Lucis ora che l'Impero di Niflheim sembrava aver ripreso in mano le sue mire di conquista, e così ora la lista dei suoi lavori ammontava a tre,  se si escludeva quelli mensili o stagionali.
Il lunedì, il martedì e il fine settimana faceva la dog-sitter e la donna delle pulizie in un paio di case, una di un padre divorziato e l'altra di una single in carriera.
Il mercoledì e il giovedì mattina lavorava come part timer in una libreria, e quasi tutti i pomeriggi infrasettimanali erano occupati dal lavoro di donna delle pulizie in un paio di uffici pubblici e qualche piccola abitazione.
Poi ovviamente c'era la palestra che aveva iniziato da qualche mese a frequentare per via del mal di schiena sempre più frequente e per irrobustire i suoi fragili muscoli, il corso di fotografia arrivato alla penultima lezione e il suo pomeriggio di riposo,  la domenica.
Era sfiancante. Un solo giorno non bastava per riprendersi e ricominciare la settimana.
I suoi insegnanti del liceo più volte le avevano caldamente consigliato di laurearsi e ambire a qualcosa di meglio.
E a volte adesso lei avrebbe tanto voluto averli ascoltati,  ma poi di guardava intorno e pensava che in fondo quel meglio non avrebbe potuto raggiungerlo lo stesso, quindi andava bene così.
Almeno aveva il tempo per leggere un libro e bere una tazza di thè,  e stando a contatto con gente sempre diversa poteva crescere,  e trovare ispirazione per i suoi piatti e le sue storie.
Ma nel frattempo,  tra una fatica e l'altra, nel suo quaderno appariva sfumata la sagoma del principe azzurro che avrebbe dovuto salvarla e che invece non aveva mostrato fino a quel momento neanche la minima intenzione di farsi almeno vedere.
Sfocata e cancellata, come un sogno lontano e dimenticato.
Con sotto ben chiara la scritta: "Lo giuro, quando ti dichiarerai, chiunque tu sia, ti prenderò a schiaffi e poi solo dopo, se avrai saputo darmi in motivo valido per questa attesa, ti bacerò.
Idiota, ti serve la bussola per trovarmi? Te ne regalo quante ne vuoi, basta che ti sbrighi.
Non... Io non ce la faccio più. Vorrei almeno sapere chi diavolo sei.
"

\\\

Quella fredda mattina di fine novembre era un lunedì, ed era il giorno della dog-sitter, solo che Jane ... Non si sentiva proprio in formissima, anzi non lo era affatto.
Uscì di casa ch’erano le sette e mezza e pioveva a dirotto.
Avvolta nel suo cappotto rosso, il naso sprofondato nella voluminosa e morbida sciarpa di lana del medesimo colore, tremante e stordita si avviò verso la fermata della metropolitana più vicina, facendosi coraggio ascoltando la sua playlist preferita mentre pensava a quando, una volta tornata a casa, avrebbe potuto dedicarsi un po’ alla cucina preparando i suoi biscotti alla cannella preferiti.
Probabilmente non ci sarebbe riuscita, sarebbe stata troppo stanca per concentrarsi, ma al momento il dolce aroma della spezia che si espandeva per tutta la casa era l’unico pensiero che riusciva a confortarla, così v’indugiò per un bel po’, circa una mezzoretta, quando infine il treno raggiunse la sua fermata e lei dovette immettersi di nuovo nel caos cittadino.
Salì di corsa le scale e una volta in superfice una ventata gelida e umida la avvolse.
Si fermò un secondo, trattenne il fiato e chiuse gli occhi con la paura di cadere. Non successe.
E una volta ripresasi riprese a camminare nella piazza affollata diretta ad ovest.
Oggi niente passeggiata, Ally, mi sa.” Ragionò tra sé, pensando al cagnolino che avrebbe dovuto accudire.
Aprì di nuovo l’ombrello rosso e iniziò a camminare. Due minuti dopo potè finalmente infilare la chiave nella serratura dell’ampio appartamento al quarto piano di uno dei palazzi che popolavano il quartiere medioborghese, e considerarsi finalmente al sicuro.
Il cocker le venne incontro dal fondo del corridoio che costeggiava l’open space di soggiorno e sala da pranzo, sulla destra.
Lo accolse salutandolo con una vocina dolce, si abbassò al suo livello inginocchiandosi e gli accarezzò le orecchie e il muso, massaggiandoglieli piano.
Le erano sempre piaciuti gli animali, sin da piccola. Ma era stato solo dopo la morte di cannella, la sua cagnolina, che aveva deciso di farne una professione. L’aveva chiamata così per via del colore del pelo, ed era una cocker, proprio come Ally.
Si rialzò, chiudendosi la porta alle spalle e togliendosi il cappotto e la sciarpa in cui era stata infagottata.
Sistemò i capelli passandovi una mano, quindi trasse fuori dalla tasca del jeans l’elastico nero e li legò nuovamente in una coda, infine si guardò intorno, per controllare che non ci fosse nulla fuori posto.
Di solito la dolce Ally era una cagnetta tranquilla, non faceva mai dannare la sua padroncina. Ma nelle giornate uggiose come quella si annoiava, e poteva capitare facesse qualche piccolo danno come mordere le ciabatte o rovinare un cuscino.
Controllò in bagno, nell’ufficio e nella stanza da letto. Tutto in ordine. Quindi passò in soggiorno e infine in cucina. Fu proprio lì che, sulla lavagna magnetica appesa sopra il frigo, trovò un bigliettino per lei, scritto nella calligrafia ordinata della padrona di casa.
Lo staccò e lo lesse.
 
"Oggi il tempo non sembra tanto favorevole, tu e Ally potete restare a casa.
Assicurati solo che non si faccia male e nel pomeriggio se dovesse migliorare portala al parco. 
Potresti farmi i tuoi biscotti alla cannella nel frattempo? Nella dispensa ci dovrebbe essere tutto, ti pagherò un piccolo extra per ringraziarti, sono buonissimi.
"

Jane sorrise, gli occhi che brillavano di felicità.
Se poteva?  Altroché!
Anche perché la cucina della signorina Stevenson era meravigliosamente efficiente e sempre ben fornita, nonostante lei vivesse praticamente sempre fuori casa e mangiasse sempre fuori, anche a colazione, per via del suo impegnativo lavoro.
Piano di cottura a induzione, cappa automatica, fornelli, forno e frigo sempre alla giusta temperatura per via del sistema di regolazione digitale del calore e un enorme piano di lavoro in acciaio inossidabile.
Ecco cosa le piaceva di quel lavoro.
Era come cucinare nel ristorante di un professionista, e veniva anche pagata con un extra mentre una dolce cagnetta cocker la osservava con aria curiosa destreggiarsi tra i fornelli.
Si tirò su le maniche della camicia e si diede da fare, radunando prima tutti gli ingredienti necessari su un angolo del bancone, e poi unendoli mano a mano seguendo scrupolosamente la ricetta che aveva imparato a memoria, passo passo.
 
Per cinquanta biscotti: 250 grammi di farina, 100 grammi di zucchero, 60 grammi di zucchero di canna, 1 cucchiaino di cannella, 1 cucchiaino di cacao amaro.
 
E a questo punto, nel cercare e poi prendere in mano la confezione, non poté non inebriarsi del profumo del cioccolato e ricordare, quasi fugacemente e con un certo imbarazzo, l’ultima volta che ne aveva stretta una in mano nell’atmosfera caotica e variopinta di un supermercato, mentre fuori il sole estivo faceva ardere la carrozzeria delle macchine e tutto ciò che vi si trovava dentro, così come il resto del mondo e l’asfalto scuro che lo percorreva.
Non seppe dire se fosse per colpa del profumo dolce e avvolgente della cannella, della pioggia che la metteva sempre di buon umore e la faceva diventare romantica quasi fino al melodramma o di quel leggero stordimento e malessere che continuava ad accompagnarla da quando aveva messo piede fuori dal letto, ma non poté fare a meno di sorridere, fermandosi a rivivere ancora per qualche breve istante l’attimo fugace in cui la sua mano era stata sfiorata da quello del bellissimo sconosciuto che aveva poi osato farla sentire terribilmente a disagio, ma anche bene.
Durò un istante appena, poi di malavoglia scacciò quell’immagine scuotendo il capo, e continuando a sorridere ritornò al presente, ma non del tutto.
 
1/2 cucchiaino di lievito, buccia di arancia grattugiata.
 
Tornò in soggiorno, scelse dalla fruttiera sull’ampio tavolo in vetro in stile industriale il frutto più maturo e se la portò al naso, saggiandone l’odore dolciastro.
Sorrise ancora, chiudendo gli occhi mentre immagini delle sua infanzia tornavano richiamate da quel profumo.
C’era un giardino immenso di aranci, nella loro casa per le vacanze.
C’erano andati solo un paio di anni, ma lei non lo aveva mai scordato. Lo adorava. Forse anche perché i ricordi erano sfumati e si mischiavano alle sensazioni distorte della bambina ch’era stata.
Anche quella dolce malinconia andò ad unirsi allo scrigno, e così il calore della cannella e delle arance finì per unirsi al tocco gentile di una mano sulla sua.
Annuì, decidendo che quell’esemplare di arancia fosse la scelta migliore, e tornò indietro appoggiando poi il frutto sul bancone e cercando la grattugia, che trovò in basso a destra nel secondo cassetto di uno dei mobili della cucina.
L’appoggiò accanto all’arancia e trasse fuori dal primo cassetto dello stesso mobile un coltello e un cucchiaio, che sistemò al centro del piano di lavoro, poi diede una rapida occhiata al tutto.
Non mancava più, niente, sembrava. Solo
 
125 grammi di burro e 1 uovo.

S’illuminò, come sé se lo fosse appena ricordata, e alzò il dito indice della mano destra al cielo schioccandolo con il pollice come ad indicare la lampadina che si era appena accesa sulla destra della sua testa, quindi si voltò verso il frigo e trasse da esso un panetto di burro da 200 grammi ancora intatto, lo scartò e ne tagliò circa due quarti a cubetti, pesandoli poi sulla bilancia sulla sua destra per assicurarsi che fosse la dose giusta.
Sorrise soddisfatta. Precisa come un orologio digitale ben regolato.
Lo tolse dalla coppetta di plastica e lo mise a temperarsi in una coppetta di plastica trasparente.
Nel frattempo iniziò a mescolare gli ingredienti, iniziando col fabbricare una piccola montagnella con la farina, lo zucchero di canna, lo zucchero semolato, il cacao, la cannella, la buccia di arancia grattugiata e il lievito.
Si sbottonò le maniche della camicia bianca che indossava, quindi se le tirò bene sopra i gomiti e dopo essersi accuratamente lavata le mani e aver indossato il grembiule nero che trovò appeso vicino al frigo iniziò ad amalgamare con leggeri e precisi movimenti delle dita.
Ci lavorò su qualche istante, poi trasformò la montagna in un vulcano praticando un bel cratere dai bordi alti all’interno della cima e in esso fece scivolare l’uovo e il burro leggermente ammorbidito ma ancora un po’ freddo all’interno.
Riprese a mescolare, ma stavolta ci volle appena un po’ più di olio di gomito.
 
-Radio!- disse ad alta voce, e l’impianto centralizzato a riconoscimento vocale della casa fece come lei aveva detto, accendendo l’apparecchio in salotto e gli altoparlanti montati lì, in cucina e nello studio.
 
Sorrise contenta, iniziando a canticchiare la canzone che la stazione stava trasmettendo e che guarda caso era anche la sua preferita, mentre il cane continuava ad osservarla accucciato sull’uscio.
Era veramente una fortuna che la signorina Stevenson fosse una di quelle ragazze intraprendenti di buona famiglia, perché altrimenti lussi di quel genere lei non avrebbe mai potuto permetterseli.
Invece ogni volta che arrivava in quella casa il suo sogno di averne una uguale per qualche ora si realizzava, rendendo meno pesante la vita e preparandola poi al ritorno alla sua modesta magione da impiegata figlia di pensionati.
Era piena di amore, certo, anche se modesta, mentre Mrs. Stevenson viveva da sola lontano dalla sua famiglia e non aveva ormai più neanche un fidanzato con cui poterla condividere.
Si erano lasciati qualche mese addietro, dopo tre anni, l’unica cosa che le restava di lui era il cane che le aveva regalato al loro primo anniversario, e aveva smesso di piangere solo grazie ai suoi biscotti alla cannella, per questo le piacevano così tanto.
Erano stati proprio quei biscotti, tra l’altro, a farle diventare amiche, visto che prima di allora i rapporti erano sempre stati strettamente lavorativi.
Alex l’aveva vista una volta sola, il suo primo giorno di lavoro, ed era stata trattata molto freddamente. Da quella volta per i successivi otto mesi quando lei arrivava Eve Stevenson era già uscita, lasciandole una lunga lista di cose da fare sul tavolo del soggiorno, a volte, e altre i soldi per la paga del mese.
Fino a quando, un giorno, aprendo la porta non se la era ritrovata in lacrime sul divano, circondata di foto strappate a metà mentre un’altra buona parte di esso ardevano nel camino acceso.
Era inconsolabile, e lei aveva capito subito che fosse un problema di uomini.
Quelli ti lasciano solo una valanga di brutti ricordi, sensazioni agrodolci e sorrisi e baci che sanno di bugie, oltre che ad un mare di insicurezze in cui quasi sempre si rischia di affogare, se non c’è una mano amica pronta a trarti in salvo.
E in quel caso quella era stata la sua.
Si era seduta al suo fianco ad ascoltarla, come le sue amiche dicevano che sapeva fare molto bene, anche se lei spesso credeva esagerassero.
Infine, quando il peggio aveva iniziato a passare le aveva preparato quei biscotti e un tè caldo, e in men che non si dica la gelida Mrs. Figlia di papà straricco si era sciolta, trasformandosi in una ragazza tutt’altro che insopportabile, tanto dolce e simpatica che aveva solo bisogno di parlare con qualcuno e di guardare il lato dolce e positivo della vita, quello che evidentemente neanche tutto quel denaro e quel lusso era stato in grado di procurarle.
Da lì era stato tutto in discesa, quei biscotti alla cannella erano stati così miracolosi che ogni volta che era triste Mrs. Stevenson le chiedeva di preparargliene una teglia, e circa un paio di settimane addietro le aveva anche proposto di andare a vivere lì, vista anche la poca differenza di età che le divideva (la padrona di casa ne aveva 30, sei più di lei).
 
-Non devi preoccuparti dell’affitto, non mi serve. Voglio solo un’amica, tutto qui. Qualcuno che badi a tempo pieno ad Ally quando non ci sono e che mi riscaldi la casa prima del mio ritorno. Magari gli extra potranno aumentare o diventare regolari, se vuoi.-
 
Ma lei … non aveva saputo che dirle, in un primo momento, poi aveva gentilmente rifiutato, rendendosi invece disponibile per un full time anche nel resto dei giorni infrasettimanali.
Era una buona offerta, certo. E le sarebbe piaciuto moltissimo
Ma … il punto era che non aveva il coraggio di staccarsi dalla sua famiglia, dalla casa che l’aveva vista crescere.
Non era … ancora il momento. O meglio, forse lo era, ma lei faticava a trovare la forza e il coraggio di prendere il volo.
Non aveva detto nulla neanche a loro, perché temeva in un loro consenso. Semplicemente era troppo affezionata ormai, per decidere di andarsene. E sapeva bene che il tempo da vivere era prezioso, troppo per sprecarlo così, anche se sua madre ne sarebbe stata felicissima.
Sospirò, decidendo che così poteva bastare. Quindi fece del panetto omogeneo ed elastico ottenuto una palla compatta, la avvolse nella pellicola trasparente per alimenti e la mise a riposare in frigo per una mezzoretta, passando a pulire il ripiano, preparare la teglia, il mattarello e i coppa pasta a forma di stella.
Passò il restante tempo che c’era da aspettare sorseggiando una tazza di tè caldo, gusto classico con una zolletta di zucchero e un plum-cake di quelli già confezionati, storcendo un po’ il naso perché il sapore leggermente artefatto era pastoso e un po’ disturbante in bocca, uccideva quello della bevanda e si fermava in gola appiccicandosi al palato.
Lesse un po’ del suo libro preferito di aforismi, quello che aveva portato con sé da casa, e ne sottolineo qualcuno con l’evidenziatore azzurro, nel frattempo si fece mezzogiorno e dopo aver infornato i biscotti si preparò un filetto di salmone saltato in padella e un po’ di pasta al sugo con basilico per pranzo, mangiando con lo sguardo rivolto alla grande vetrata che dava sulla strada, ed osservando rilassata la pioggia che continuava a scendere giù, ticchettando allegramente sui vetri e scrosciando sulle strade e sul grigio paesaggio cittadino.
L’amava. E amava ciò che ne seguiva.
Quando i biscotti furono pronti e la casa di nuovo in perfetto ordine erano già le due e mezza passate del pomeriggio, e finalmente la tempesta era cessata, lasciando spazio ad un cielo azzurrissimo e a un sole che, sebbene appena un po’ addormentato, brillava soddisfatto in mezzo ad esso, come se volesse tranquillizzare tutti sul fatto di essere tornato.
Alex si alzò dal divano sul quale lei e la cocker erano accomodati, e avvicinandosi ai vetri guardò fuori dalla finestra e tornò a sorridere, rivolgendosi all’animale che curioso le si avvicinò in attesa.
 
-E’ spuntato il sole, piccola.- disse –Possiamo andare a fare un giro al parco, ti va?-
 
E la cagnetta, allegra, rispose con un vispo abbaio, prima di portarle in consegna guinzaglio e pettorina come la padrona le aveva insegnato a fare.
 
***
 
Pioveva, l’acqua cadeva giù a dirotto e infradiciava qualsiasi cosa si trovasse tra lei e il terreno da raggiungere. Le strade erano fiumi in piena, i tuoni continuavano a farsi sentire accompagnati da violenti fulmini, e faceva freddo, non tanto ma abbastanza umido da entrare comunque nelle ossa e lasciare addosso quella sensazione spiacevole di essere appena usciti dalla doccia e non aver avuto neanche il tempo di asciugarsi per bene prima di mettersi i vestiti.
Era il tempo ideale per prendersi un malanno, e la giornata perfetta per non andare a scuola e pretendere di dormire un po’ di più al calduccio di un bel letto comodo.
Fu quello che tentò di fare il principe Noctis non appena trovò il coraggio di alzarsi e raggiungere Ignis nel salotto.
Erano le sei e quarantasei del mattino eppure lui era già in piedi, impettito e perfetto nella sua camicia stirata e nel suo completo elegante nero, aveva già preparato la colazione e ora se ne stava seduto a sorseggiare una tazza di caffè leggendo un libro.
 
-‘Giorno …- sospirò ancora assonnato l’erede al trono, stropicciandosi gli occhi e avanzando quasi trascinandosi verso il tavolo, dove era già tutto ben servito.
 
Scientia alzò gli occhi e sorrise, appoggiando il libro sul tavolo e alzandosi in piedi.
 
-Oh, buongiorno.- rispose reattivo, accorrendo a versargli il caffè.
 
Noctis attese pazientemente, quindi prese svogliato la tazza dal manico e bevve un paio di sorsi, sperando che riuscissero a dargli una scrollata.
Nulla. Anzi era ancora più stordito di prima.
 
-Piove forte stamattina.- lo avvisò nel frattempo Ignis, tostando un paio di fette di pane sulla bistecchiera e passandogliele su un piatto ancora fumanti –Ti conviene coprirti bene e fare in fretta. Nel pomeriggio, dopo i tuoi esercizi, Gladio ti aspetta per gli allenamenti.-
-Mh …- mugugnò lui distratto, allungando piano una mano verso la cioccolata e iniziando a spalmarla per bene sul pane, ripetendosi nei sospiri.
 
Scientia lo guardò bene, incrociando le braccia sul petto e sfiorandosi il mento con l’indice della destra mentre corrucciava la fronte. Quindi sospirò, e scosse il capo rassegnato.
 
-Non mi stai ascoltando, vero?-
-Nope.- replicò quello, quindi lo osservò assorto scuotere di nuovo il capo e dirigersi verso il divano, e quando ebbe ripreso la sua posizione alzò la testa e sospirò, pronto a sganciare la bomba –Mi spieghi come fai ad essere sui libri già a quest’ora?- protestò.
-Questione di abitudine.- replicò il biondo –La prenderesti anche tu se mi ascoltassi, ogni tanto.-
 
Noctis sospirò per l’ennesima volta e tornò a sorseggiare il suo caffè.
Mph. Abitudine …” pensò tra sé, senza pronunciarsi.
 
-Proprio non capisco come mai devo alzarmi così presto la mattina per andare a scuola, quando potrei restare a casa e aspettare il mio maestro personale. Sono l’erede al trono, dopotutto.- fece, addentando poi il pane col cioccolato.
 
Ignis sorrise sotto i baffi, e scostò gli occhi dal libro per lanciargli uno sguardo a metà tra il sagace e il sarcastico.
Non era sua abitudine quel tipo di comportamento, ma stavolta non poté esimersi, e anche il principe capì subito di aver detto una colossale balla.
Per il periodo della sua prima infanzia, fino a che il re non aveva deciso di insegnare al figlio la vita dei cittadini in modo che potesse essere in futuro un re più comprensivo, era stato proprio Ignis a fargli da istruttore, nonostante non si passassero che qualche anno.
Eppure entrambi avevano ancora in mente la proverbiale pigrizia del giovane che anche allora gli impediva di seguire attentamente le lezioni senza addormentarsi sul tavolo, leggere più di un paio di pagine di qualsiasi tipo di libro e svegliarsi in orario per le lezioni.
Noctis Lucis Caelum non era un completo idiota, ma preferiva “imparare sul campo”, piuttosto che passare ore e ore sui libri e tra formule e schemi. Solo che alcune cose, come la logica e la matematica o anche a volte la storia, non poteva essere apprese solo con la pratica. In più era svogliato, ed ogni momento per lui era buono per dormire e riflettere sulla propria vita fissando il soffitto, piuttosto che passare all’azione.
Ignis ormai ci aveva fatto il callo, ma la scuola pubblica sembrava aver scosso almeno un po’ il senso di responsabilità del giovane. Solo un po’ però, forse perché temeva di fare brutta figura.
La risposta tardò ad arrivare, e Noctis storse il naso intuendola già negli occhi del suo ex mentore.
Ignis sospirò, lasciando che il sorriso stavolta s’intravedesse sopra le labbra sottili.
 
-E’ per il tuo bene e per quello di Lucis.- gli ricordò, con tono vagamente cantilenante –Il Re vuole che tu impari a conoscere il tuo popolo standovi a contatto, solo così potrai sapere come gestirlo, una volta salito al trono.-
 
L’erede al trono sospirò, già seccato, finendo di masticare l’ultimo boccone e poi mandandolo giù col caffè rimasto.
 
-Si, si. Ho capito.- disse, quindi si alzò e decise di rompere gli indugi rassegnandosi –Vado a prepararmi.-
 
Maledetto quattrocchi, riusciva sempre a convincerlo con la noia, alla fine.
Ignis Scientia sorrise.
 
-Good choice.- rispose, sorridendo ancora una volta tra i baffi e tornando trionfante alla sua lettura.
 
Noctis Lucis Caelum di prima mattina avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di farlo smettere di parlare, anche andare a scuola. E di nuovo ringraziò il cielo per avergli permesso di scoprirlo, anche se non c’era voluto molto per farlo.
 
***
 
Le cinque e cinque minuti del pomeriggio.
Seduta su una panchina al centro dell’unico grande parco verde della città, sgranocchiando i suoi biscotti alla cannella ancora caldi di forno Alexandra osservava con un sorriso e il naso rosso dal freddo gli uccelli che svolazzavano nel cielo limpido azzurro, infuocato dalla luce del sole che andava sempre più veloce verso il tramonto.
Ally stava giocando a qualche metro più in là da lei a rincorrersi con altri cani, e mentre la osservava stringendosi nel suo cappotto e affondando il naso nella sciarpa rossa la giovane si accorse che il malessere con cui si era svegliata andava via via peggiorando.
Ora aveva i brividi, anche se si disse che probabilmente con una temperatura di otto gradi sopra lo zero fosse normale averli, la testa le faceva leggermente male e la gola le pizzicava.
Sospirò, finendo di sgranocchiare il suo ultimo biscotto dei dieci che aveva portato con sé, quindi accartocciò la busta di carta marroncina e la rimise nella borsetta di pelle nera che portava a tracolla, prendendo tra le mani la macchina fotografica professionale che aveva comprato per il corso, ormai quasi terminato.
Era un bell’apparecchietto, uno degli ultimi modelli. Le era costato quasi sei mesi di stipendio, risparmiati in circa un anno o poco più, ma alla fine quando guardava il mondo attraverso quella lente e fermava con esso gli istanti più belli, sentiva di aver fatto l’acquisto più bello della sua vita.
Da quando suo padre era venuto a mancare aveva iniziato a capire il vero valore dei singoli attimi, e la fotografia era diventata una delle sue passioni, oltre alla cucina, alla scrittura e alla lettura.
La accese, tolse il tappo dall’obiettivo e vi guardò dentro, puntandola verso Ally e zoomando appena un po’.
Un paio di scatti, e la sua attenzione venne calamitata dal tramonto, dal cielo azzurro e dai raggi di sole che si riflettevano sulle pareti di vetro dei grattacieli e facevano capolino fra i rami dell’albero che le faceva ombra, una grossa quercia.
Alla fine si ritrovò a fotografare anche loro, e quando andò a riguardarle fu soddisfatta del risultato, anche se erano almeno una ventina di foto di soli paesaggi.
Sorrise arrossendo, spegnendola e tornando a stringerla tra le mani.
Alzò di nuovo gli occhi al cielo e lasciò che i suoi pensieri corressero dove volevano. Neanche due minuti dopo però, una voce la riscosse, risvegliandola da quel momento.
Era quella di ragazzo giovane, probabilmente di neanche vent’anni. Biondo, con un sorriso gioviale e una strana capigliatura ribelle, vestito con l’uniforme scolastica e una cravatta verde a righe gialle.
 
-Hey, disturbo?- le chiese, indicando il posto vuoto accanto al suo.
 
Lei sorrise, scosse il capo. Non le sembrava minaccioso, anzi. Gli fece spazio.
 
-Grazie.- rispose gioviale quello, e la prima cosa che potè notare oltre allo zaino stracolmo che portava sulle spalle fu una grossa macchina fotografica quasi identica alla sua, solo forse un po’ più usata, che gli pendeva dal collo sul petto.
-Il mio nome è Prompto Argentum, piacere.- si presentò allegro, allungandole una mano.
 
Lei lo guardò per qualche istante sorpresa, continuando a fissare la macchina. Quindi tornò a sorridere e accettò la stretta, afferrando quella mano con la sua, avvolta in un guanto di finta pelle nera rivestito al suo interno da morbida finta pelliccia.
 
-Alexandra Baker.- rispose –Il piacere è tutto mio.- accorgendosi solo a quel punto di come la sua voce le giungesse … strana, più rauca e ovattata.
 
Diamine, spero solo di non essermi buscata una broncopolmonite come due anni fa.” pensò con disappunto dentro di sé, continuando a far finta di niente e sorridere come se nulla fosse.
Per fortuna il naso era ancora libero, non sarebbe stato piacevole per quel povero ragazzo doversela sorbire mentre se lo soffiava ogni tre per due.
 
- Scusami se ti ho disturbato, è solo …- continuò lui, facendosi più nervoso e arrossendo, grattandosi la nuca con una mano e abbassando gli occhi sulla fotocamera mentre la indicava –Bel gioiellino. La fotocamera intendo … eheh, sono un appassionato, non ho potuto far a meno di notarla. Ce l’hai da poco? –
 
Lei continuò a sorridere, annuì.
 
-Un paio di mesi.- rispose –L’ho comprata per il corso di fotografia che sto frequentando, ormai sono quasi alla fine. –
-Oh, sul serio?- fece Prompto, entusiasta –E da quant’è che ti piace la fotografia? E’ un passione recente?-
 
Jane lo scrutò con dolcezza e anche un po’ d’invidia. Era tenero, quasi quanto un bambino.
Lei aveva superato quell’età da un po’ ma gli eventi della vita negli ultimi anni l’avevano un po’ fiaccata, pur se si era sforzata di mantenere sempre un legame con la bambina che c’era dentro di lei. Sentiva come se lentamente questa avesse all’improvviso deciso che fosse ora di crescere, e se da una parte lei assecondava questo processo dall’altra continuava a sperare che fosse il più tardi possibile.
Del resto era anche per quella sua genuina bontà matura che spesso i bambini le si avvicinavano, e che gli animali le volevano bene.
 
-Mi è sempre piaciuta. – disse semplicemente –Ma solo ultimamente ho potuto dedicarmici. E tu? –
 
Il ragazzo arrossì di nuovo.
 
-Oh, io sono un nerd.- ridacchiò imbarazzato –Un giovane nerd nostalgico. – sospirò ridendosela subito dopo -Mi piace tutto quello ch’è tecnologico, ma anche quello che ha una storia.-
 
Jane annuì. Il freddo iniziava a farsi sentire davvero, e l’orologio correva. Non avrebbe resistito a lungo, ma la compagnia le piaceva e le sarebbe dispiaciuto scappare così. Decise di concedersi ancora qualche istante.
 
-Capisco. Sei venuto a fare qualche foto?- chiese –La luce del tramonto dopo una giornata di pioggia è la migliore.-
-Ah, lo penso anch’io!- rispose contento quello –Si, sono venuto a fare un paio di foto visto che Noct ahem il mio compagno di banco aveva da fare e non poteva venire con me questo pomeriggio. – sospirò, e se non fosse stata troppo stordita dall’influenza che avanzava la giovane avrebbe potuto vedere chiaramente l’imbarazzo e il sollievo per essersi fermato in tempo in quelle parole e nell’espressione che le seguì.
 
Invece non colse minimamente il riferimento, e per Prompto fu un sollievo.
Ancor più grande quando, subito dopo, lei lo guardò e con un sorriso dolce propose, volenterosa.
 
-Se mi prometti di tenertele per te potrei farti io da modella. Io e Ally, quel cocker laggiù.-
 
Un’espressione dapprima meravigliata e sorpresa e poi immensamente gioiosa e grata si dipinse sul volto del giovane. Jane si sorprese nel notare con quanta sorprendente rapidità ed espressività questi vivesse e mostrasse i suoi sentimenti. Era quasi pittoresco, e metteva allegria.
 
-L-lo faresti … sul serio?- chiese a bocca aperta, fissandola incredulo.
 
Lei infilò a tracolla anche la sua macchina, si alzò e infine annuì con un sorriso accomodante.
 
-L’ho appena detto, no? La mia parola è sempre la prima e l’ultima.- rispose, chiamando poi subito dopo la cagnolina che accorse obbediente.
-O mio dio, grazie!- esclamò emozionato quello, quasi tremante mentre iniziava a sistemarsi e a darle le prime istruzioni.
 
***
 
Dopo circa un'ora e mezza e un selfie come regalo per la sua gentilezza, Alexandra aveva infine salutato il giovane liceale "nerd nostalgico" e aveva accompagnato Ally a casa, dove ad attenderla aveva trovato un'entusiasta Eve seduta sul divano a guardare una commedia romantica mentre sgranocchiava i suoi biscotti,  il cui aroma intenso continuava ad avvolgere la casa nonostante fosse ormai passata qualche ora dalla preparazione.
Non appena la vide si alzò e corse ad abbracciarla ringraziandola e complimentandosi,  ma non le ci volle molto a capire che qualcosa non andava.
Precisamente lo capì già dalla sua voce,  quando flebilmente rispose.

-Grazie, Eve. Mi fa piacere siano buoni.-

Sospirò affaticata,  e la giovane donna la sciolse dall'abbraccio e le strinse le spalle, guardandola negli occhi.

-Dio, Alex.  Che brutta cera che hai. - osservò preoccupata -Hai gli occhi lucidi, ch'è successo? - chiese toccandole la fronte e accertandosi che la temperatura non fosse troppo alta.

Non lo era per fortuna,  ma non sarebbe durato molto.
Jane scosse la testa, chiuse gli occhi.

-Non lo so, Eve. È da stamattina che mi sento così. Forse ora dovrei andare a casa.- rispose, riprendendosi il suo ombrello dalla cesta in ferro battuto vicino alla porta.

Aveva ricominciato a piovere da qualche minuto, e l'acqua strisciava forte in obliquo sui vetri, sospinta dal vento.
Non c'erano tuoni,  ma la tempesta era ugualmente violenta.

-Sei sicura di farcela? Piove forte.  Perché non resti qui per stanotte, la stanza degli ospiti è sempre pronta.
Ho paura che tu svenga per strada. -
 
Come a volerle dare ragione la cocker si avvicinò e le leccò una mano ancora coperta dal guanto. 
Alex sorrise, le accarezzò appena il muso,  quindi si rivolse di nuovo alla padrona scuotendo appena il capo. 
 
-Ci arriverò, non preoccuparti.  Prenderò la metro e sarò a casa in un attimo. -
 
"Spero solo di potermi sedere nel frattempo.
Ma una volta uscita di casa, nel tragitto di una decina di minuti che la separavano dalla fermata sotterranea, senti di non riuscire più ad andare avanti senza un piccolo aiuto. 
"Una lattina di Ebony." pensò, sentendosi già rinvigorita.
"Entro, la bevo e me ne vado."
E così fece, senza neanche accorgersi di ciò che le accedeva intorno e quindi neanche del gentiluomo seduto ad un tavolo sulla destra che, non appena udì la sua voce ordinare la stessa cosa che stava consumando lui alzò la testa e la riconobbe immediatamente, sorprendendosi di nuovo. 
 
\\\
 
-Una lattina di Ebony, per favore.- 
 
Quella voce ormai divenuta solo un eco lontano nel tempo, tornò stanca a riecheggiare nelle sue orecchie con una chiarezza tale da mozzare quasi il fiato. 
Ignis, che si trovava lì con Gladio per discutere del più e del meno e sincerarsi da parte del re dei progressi dell'erede al trono, stava ascoltando la risposta quando la udì, e alzò di scatto il viso per guardare la giovane donna che se ne stava confusa al bancone, infagottata nel suo cappotto rosso, tremando e bevendo dal bicchiere in cui il cameriere le aveva gentilmente versato la preziosa bevanda frizzante al caffè.
Rimase a bocca aperta per la sorpresa a fissare, ma presto questa lasciò il posto ad uno strano senso d'irrequietezza.
Era lei, su questo non c'era alcun dubbio. Ma non sembrava stare molto bene, in realtà.
La vide consumare in silenzio il suo ordine, quindi pagare sforzandosi di sorridere e infine uscire di nuovo per strada, nella pioggia e nel freddo. 
Trattenne a stento l'istinto di raggiungerla, osservandola allontanarsi fino a che non gli fu più possibile vederla. 
Nel frattempo Gladio aveva continuato a parlare, ma accorgendosi ben presto di non essere ascoltato.  Era molto meno divertente quando succedeva a lui. 
 
- Hey, Iggy.- lo richiamò, sorridendo allegro -Cos'è, ti stai vendicando?- 
 
Quello parve tornare al presente, si rianimò e gli rivolse di nuovo la sua attenzione. 
 
-Mh?  Cosa? - chiese confuso, poi sospirò -Scusa Gladio, mi sono distratto.-
 
Gladio lo guardò continuando a sorridere, ma corrucciandosi incuriosito. 
Volle chiedergli qualcosa, ma alla fine ci rinunciò sventolando in aria una mano. 
 
-Ah, non fa niente. Vuoi che ti faccia un riassunto?-
 
Ignis sorrise, prese in mano il bicchiere semivuoto. 
 
-Si, grazie.- replicò per poi bere l'ultimo sorso -Stavolta non mi distrarrò, promesso.-
 
Amicitia rise e scosse il capo.
 
-D’accordo. Lo spero per te, perché non mi ripeterò, eh.- lo minacciò simpaticamente alla fine, prima di riprendere a parlare.
 
\\\
 
Dopo una interminabile mezzora di viaggio e dieci minuti di cammino quasi trascinato sotto la pioggia, finalmente Alexandra Baker riuscì a tornare a casa quella sera.
Avrebbe tanto voluto cucinarsi qualcosa di sfizioso ma non aveva la forza, così ci pensò sua madre per lei.
Consumò una zuppa di verdure passate condita con molto olio e un po’ di formaggio cremoso, poi prese un’aspirina, fece una rapida doccia calda e andò a letto, sommersa dalle coperte.
Sospirò esausta e grata, e mentre cercava di addormentarsi ripensò al sorriso del giovane, a quei suoi capelli strani e ai suoi modi di fare esitanti ed iniziò a chiedersi se avesse fatto bene a proporsi per quel servizio fotografico.
Ci pensò un po’, poi però la sua mente cedette e lei, spossata e distrutta cedette al sonno, dimenticandosi perfino di scrivere la pagina giornaliera del suo diario.
Ormai quel ch’era fatto era fatto, ora doveva solo riposare. E sperare che l’indomani fosse abbastanza in forma per affrontare un’intensa mattinata di pulizie, perché altrimenti avrebbe dovuto andarci lo stesso e non sarebbe stato affatto facile.
 
***
 
-Prompto, chi è questa ragazza nelle foto? -

La voce di Ignis arrivò a distrarlo dall'intensa battaglia che il giovane, ancora vestito con la sua divisa, stava conducendo contro Noctis seduto al suo fianco e anche lui concentrato sul suo cellulare.
Si trattava di una partita in King's Knight, ovviamente. Meritata, vista la dura giornata appena trascorsa.
Erano le ventidue e i ragazzi ancora non aveva intenzione di andare a dormire.
Gladio era già andato a casa, ora toccava ad Ignis che doveva solo accertarsi che quei due scansafatiche almeno cenassero decentemente.
Mentre cucinava il pollo piccante al curry e delle patatine fritte per contorno, Scientia non poté non continuare a pensare a quella ragazza.
Chissà se era arrivata a casa? Stava bene?
Era assurdo preoccuparsi così per una sconosciuta, ma più cercava di non farlo e più ci ritornava. Lavò i piatti e infine si recò con due tazze di caffè in soggiorno, e fu li, appoggiate sul tavolino, che le vide.
Erano una ventina di foto, chiuse fino a poco tempo prima in una busta giallina riportante il prezzo che era costato farle sviluppare. In almeno sette di esse vi era ritratta quella giovane, lunghi capelli castani raccolti in una coda alta, un paio di occhiali neri sul naso, un bel cappotto e un sciarpa di soffice lana rossa, guanti di pelle a coprirle le piccole mani, una borsa a tracolla nera e una macchina fotografica quasi simile a quella di Prompto che le pendeva dal collo. Aveva gli occhi lucidi e il naso rosso anche nelle foto, ma perfino il lieve pallore la faceva sembrare più bella. Sembrava una bambina, ma aveva gli occhi e lo sguardo di un’adulta.
Prompto alzò per un attimo gli occhi verso di lui, e sorrise.

-Oh, quelle. Visto che belle? - Chiese soddisfatto.

Ignis le osservò attentamente lasciandosele scivolare sulle mani.
In una vi era lei in mezzo al verde del parco che apriva le braccia e sorrideva guardandosi incantata intorno, nell'altra correva, in un'altra ancora stringeva in braccio un cocker avvicinando dolce il viso al suo muso, e poi vi era anche un selfie di lei,  Prompto e quel cane.

-Splendide.- commentò assorto, quasi inudibile.
-Quella ragazza l'ho incontrata al parco, era una dogsitter, anche lei appassionata di fotografia, ed è stata così gentile da proporsi come modella, però mi ha fatto promettere di non venderle. Peccato, perché sono venute davvero bene. È stata una fortuna che Tom fosse ancora in negozio e che fosse di buon umore per svilupparle. - concluse Argentum tornando a combattere.
-Oggi sembra che la fortuna ti abbia assistito, spero che non continui a farlo perché sennò io sono fregato. - fu la replica concentrata del principe,  che poco dopo si lasciò andare ad una esclamazione delusa mentre Prompto scattava in piedi ad esultare.

Si,  decisamente quello era il suo giorno fortunato, ma anche quello di qualcun'altro.

-E come hai detto che si chiama?- tornò a domandare a quel punto Scientia, continuando a guardare le foto e riflettere.

L'altro si fece un po' serio e si avvicinò, raggiungendolo dal divano sul quale il principe iniziò a bere il suo caffè.

-Alexandra Baker. Perché, la conosci? - chiese curioso.
 
Al contempo anche Noctis alzò gli occhi di traverso verso di lui, sospettoso e curioso.
Ignis guardò entrambi riflettendoci per qualche istante su.
“Sei per caso riuscito a scoprire altro oltre al nome?” avrebbe voluto chiedere, e magari anche “Ti è sembrato stesse bene?”
Ma preferì tacere per discrezione, e per evitare che si mettessero in testa strane idee. In fondo non erano che semplici conoscenti o poco meno, ancora.
Così scosse la testa e con nonchalance ripose la foto assieme alle altre nella busta, fingendosi non curante.
 
-No. Ha solo un viso familiare, cercavo di ricordare dove l’avevo già vista.-
 
Noctis sorrise. “Si, come no.” Pensò, ma senza pronunciarsi e chinandosi invece verso la sua tazza fumante, appoggiando il cellulare al suo posto sul tavolino basso in legno.

-Aveva l’aria di una ragazza per bene. L’avrai incrociata da qualche parte per caso, magari al supermercato.- suggerì Prompto, imitandolo e sorseggiando un po’ di quel nero stringendo la tazza a due mani a pochi centimetri dal suo viso.
 
Scientia sorrise appena. “Certo, magari.” Gli fece eco nella sua testa.
Quindi finì con loro il caffè chiedendo dei compiti per casa, se per caso li avessero finiti, e concluse la serata con una breve doccia, dopo averli messi a letto entrambi ed essersi accertati che dormissero davvero.
Ormai il principe aveva quasi diciotto anni, e il re stava iniziando a sentire il peso della problematica situazione in cui versava Lucis.
Quei momenti di finta pace non sarebbero durati a lungo, o almeno questa era la sensazione che da qualche tempo aveva iniziato ad avere, e nessuno poteva sapere cosa li avrebbe sostituiti, perciò meglio goderseli fino a che erano ancora capaci di esistere.
 
 
 


 
NEL PROSSIMO CAPITOLO:
 
L’uomo le si sedette al fianco, porgendole un bicchiere fumante di caffè. Lo guardò sorpresa, lui si voltò a scoccarle un sorriso.
 
-Ignis Scientia, piacere di incontrarla di nuovo.-
 
Alex sorrise, prese dalle sue mani il bicchiere di carta.
 
-Jane Alexandra Baker … mi stavo giusto chiedendo quando sarebbe successo.-
 
***
 
-Noct, eccoli!-
 
Il principe strisciò al fianco dell’amico di scuola, nascosto dietro una macchina abbastanza grande da coprire entrambi.
 
-Lo sapevo che c’era qualcosa che non andava in lui. Hai capito il “quattrocchi”. S’innamora senza il mio permesso.-
 
***
 
-C-come hai fatto a … trovare questa casa?- balbettò, ancora confusa e stordita per colpa della febbre alta.
 
Lui le porse la tazza di tè caldo e due biscotti.
 
-La signorina Eve, l’ho incontrata per caso mentre la portavo al pronto soccorso. Mi ha suggerito di portarla qui e non ho avuto scelta, vista la pioggia. –
-Grazie. Ma … questi biscotti sono alla cannella?-
-Si.-
-E … dove li hai presi?-
 
Non ricordava di averne sfornato una teglia di recente.
 
-Li ho fatti io.- sorrise lui –Le piacciono?-


 
   
 
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