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Autore: Alison92    17/08/2017    1 recensioni
Fra le tante attrattive della scuola privata Thomas Dreier, i cinque giorni di vacanza offerti ai migliori quindici studenti della scuola sono certamente un richiamo per tutti i giovani allievi.
Lyvia Sommers fa parte di quei quindici eletti scelti per partire verso la splendida isola di Everdove, dalle acque limpide e dal cielo cristallino.
Un'antica leggenda però si nasconde fra quelle coste, insidiandosi nelle vite serene e felici dei giovani.
La storia oscura della famiglia Rosenburg, seminata di odio e terrore, conduce Lyvia e gli altri studenti verso differenti orizzonti, verso una casa maledetta che cela un passato grondante di sangue e vendetta.
Genere: Drammatico, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Se volevate avere la conferma che ci fosse qualcosa di disumano in questa casa, eccolo, proprio davanti a noi.
Il tono di Derek era insolitamente lugubre, conservando la paura comune a tutti noi. Solo Auria, la più razionale del gruppo, decise di entrare senza timore nella stanza. Il tempo si era congelato, ma allo stesso tempo ne erano visibili gli effetti.
-Sono d’accordo con Derek, non c’è nulla di spiegabile qui.
-Cosa facciamo adesso?
Chiese Dominic sistemandosi nervosamente gli occhiali tondi sul naso. Nessuno osò rispondere.
-Aspetteremo la morte qui?
Alla proibita parola tutti cominciarono a parlare, bisbigliare e pregare che così non fosse.
-Dom, tu che soluzione hai?
Disse Dary, giocando con le punte dei capelli corvini.
-Se non possiamo scappare da questa casa, dovremo affrontare qualsiasi cosa che si aggira fra queste mura.
Tutti si trovarono d’accordo con lui, solo Auria e Tyler sembravano ancora titubanti. Molly invece, la perfida Molly dai tratti duri e robusti, si era come ammutolita. Mi guardava come un cucciolo indifeso, come se da me dipendesse la sua vita.
-Andiamocene, non voglio restare un minuto di più.
Disse Amy e al tono altezzoso di lei, tutti si congedarono bisbigliando fra loro.
-C’è davvero qualcosa in questa casa?
Mi chiese Mary impaurita, con lo sguardo fisso sulla porta solenne. Avrei voluto mentirle, ma ripensando agli squarci sulle tende, ai fiori tristemente morti e ai nostri nomi scritti con il sangue, non mi sentii di mentirle.
-Si Mary, c’è qualcosa.
La stanza del tempo, così avevamo deciso di chiamarla, sembrava essere ormai solo un luogo arcano e fuori dalla nostra crudele realtà. In tacito consenso decidemmo che non saremo più entrati lì dentro. Eppure mi toccò non mantenere fede alla silenziosa promessa, la notte del terzo giorno. Il sonno difficilmente giungeva da quando ero sull’isola, ma quella notte in particolare non ebbi problemi a sprofondare fra le braccia di Morfeo.
Non ci volle comunque molto prima che io mi ridestassi. Feci per affacciarmi alla finestra, credendo che non mancasse molto all’alba, invece era chiaro che la notte era ancora alta nel cielo. Ero in procinto di tornare nel mio letto, quando una melodia si diffuse per la casa. Uscii in corridoio con la vestaglia in lino e scalza ed attesi, sicura che la musica avrebbe svegliato anche gli altri. Invece non fu così. Scesi silenziosamente le scale, sapendo che quella sinfonia poteva provenire unicamente dal pianoforte. Per la prima volta non ero terrorizzata, ero piuttosto serena e senza titubanze. La porta della stanza del tempo era spalancata e una luce sulfurea e dall’aria mistica illuminava il corridoio.
Dentro la stanza c’era una donna dai lineamenti dolci, i capelli castani le scendevano in onde lungo la schiena. La stanza appariva molto diversa da come l’avevo vista la prima volta, le tende erano integre, ogni granello di polvere scomparso. Dalla finestra filtrava la luce della luna e delle stelle, sembrava come accarezzare il volto pallido della giovane vestita in un semplice abito bianco. Alzò gli occhi dal pianoforte smise di suonare. Quando i suoi occhi incontrarono i miei sussultai, perché sembrava che io avessi già fissato quegli occhi prima. La sua figura era eterea e circondata da luce iridescente.
-Lyvia.
Mi disse alzandosi e venendomi vicina.
-Lyvia, sii prudente. Devi essere forte e impavida, abbiamo bisogno di te.
Le sue parole sembravano provenire da un’altra dimensione, i suoi occhi parlavano una lingua a me sconosciuta. Fantasma. Quella donna era un fantasma.
-Promettimi che vincerai questa battaglia.
Le promisi in un sussurro che avrei fatto ciò che chiedeva, senza sapere quale battaglia mai avrei dovuto affrontare. Quando aprii la bocca per chiederle chi era, le mie forze vennero meno ed io caddi ai piedi di quella donna beata.  
Riaprii gli occhi nella mia stanza, al sorgere del sole, indecisa se ritenere ciò che era successo un sogno oppure la realtà. Il desiderio di tornare nella stanza del tempo era martellante, ma decisi d’ignorarlo andando in riva al mare. Mi misi un abito lungo fino alle ginocchia celeste e scarpe in pizzo bianche, poi scesi con cautela i gradini. L’aria frizzante mattutina era piacevole. L’odore della salsedine stava diventando oramai familiare ed il venticello gelido delle prime ore del giorno mi era indifferente. Percorsi la strada fino al piccolo porticciolo in legno sulla riva, dove vidi che non ero l’unica ad aver scelto di osservare il mare all’alba.   
Francis era lì, così smarrito nel dolce moto delle onde che quasi non mi sentì arrivare.
-Lyvia, anche tu un incubo?
Mi chiese accennando un sorriso.
-Più o meno.
Non avevo ancora deciso come classificare gli eventi di quella notte.
-Volevo chiederti scusa per ieri, forse se tu non eri da sola…
-Fa nulla, non è colpa tua.
Era vestito con una camicia spiegazzata e pantaloni blu. I suoi occhi apparivano più malinconici del giorno precedente.
-In ogni caso è stato meglio così, dobbiamo renderci conto di che cosa si trova qui.
-Credi che l’isola ci tenga davvero prigionieri?
-Ormai non so più a cosa credere e a cosa no.
Fu la mia secca risposta.
-Già, è difficile credere in qualcosa quando ci si trova nel bel mezzo di una tempesta. Ma questo distingue i sopravvissuti dai morti, no? Credere che ci sia una possibilità.
-Allora dubito di potermi considerare fra i sopravvissuti.
Dissi con insolito sconforto e arrendevolezza. Francis distolse lo sguardo dal mare per incontrare il mio.
-Non credo che questo sia vero.
Era curioso vedere come in poco tempo da semplici conoscenti io e Francis fossimo quasi confidenti.
-Andremo via da qui?
Gli chiesi con voce flebile. Ci fu un attimo di silenzio e ripensai alla donna, alla battaglia che mi aveva chiesto di combattere.
-Ne sono più che certo. 
  
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