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Autore: Eeureka    18/08/2017    1 recensioni
– [[ aĸιra х тaĸιzawa ; мιnι long – qυaттro capιтolι ]] [[ Storia partecipante al contest L'oscurità prima dell'alba indetto da Ayumu Okazaki & AriaBlack sul forum di EFP ]]
Seidou questa volta ne è sicuro: studierà senza sosta e batterà Akira Mado, prendendo il massimo risultato ottenibile agli esami. O almeno così crede, prima di venire coinvolto proprio dalla sua avversaria nella sua prima indagine in assoluto.
– daʟ тeѕтo: « Cosa?! Ti sembra il caso di giocare a fare l'investigatrice? »
« Non è un gioco. »
[...] Takizawa la guardò non convinto. Non gli sembrava affatto una buona idea.
« Fa come ti pare » disse acido. « Se finisci nei guai non sarà colpa mia. »
Genere: Generale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mado Akira, Takizawa Seidō
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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01


I
l mangiatore di s
ogni
|| 01 - il primo caso ||
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« Seidou! » sua madre irruppe nella sua stanza senza neanche bussare, un'espressione afflitta sul viso. « Quando andrai a presentarti ai nostri vicini? Non puoi passare tutta la giornata qui dentro. »
Sì che posso, tacque il pensiero il ragazzo. Con le dita tamburellò il proprio nervosismo sulle pagine del libro aperto davanti a sé.
« Mamma, non vedi che sto studiando? »
« Ma il signor Nakano Isao è così gentile, e ha un figlio della tua età. E poi è un uomo geniale! Ha lavorato in un settore importante in passato, facendo grandi scoperte. Quando gli ho raccontato di te e dei tuoi studi infatti è rimasto molto impressionato e si è complimentato. Tu e tua sorella vi state comportando proprio da maleducati. »
Sbuffò, consapevole che sua madre sarebbe uscita difficilmente senza ottenere quel che voleva.
« Andrò questo pomeriggio, okay? » la rassicurò e lo fece davvero, sprecò un'ora del suo pomeriggio per andare a chiacchierare con questo nuovo vicino di cui i suoi genitori si erano invaghiti. Per quanto il signor Nakano fosse davvero simpatico, si promise – e giurò a sua madre – che una volta tornato a casa non avrebbe più tollerato altre interruzioni durante il suo studio.
Mancava un solo mese all'esame finale e questo, nonostante tutte le volte in cui l'avesse ribadito, pareva non averlo capito nessuno nella sua famiglia. Seidou Takizawa, al suo penultimo anno all'Accademia di Investigatori di Ghoul, vedeva il suo obbiettivo sempre più tangibile: sarebbe diventato il primo della classe, e professori e compagni avrebbero scoperto quanto valesse davvero. Per questo motivo la prima settimana di studio si era barricato in casa, trascorrendo le ore chino sui libri, passeggiando per la sua stanza a ripetere ad alta voce, e ignorando l'idea che il sole primaverile là fuori esistesse ancora e splendesse anche per lui.
Non avrebbe più assaggiato il gusto amaro della sconfitta. Soprattutto, non avrebbe visto quel nome scritto sopra il suo durante lo sfoggio dei risultati, a ricordargli come una nenia fastidiosa – bisbigliata all'orecchio con perfidia – che lui era l'eterno secondo. No, questa volta le cose sarebbero andate diversamente: lui avrebbe ottenuto il podio che bramava, e Akira Mado – che se l'era sempre cavata battendolo per qualche millesimo di punto in più – sarebbe stata al secondo gradino, laddove meritava d'essere.
“Porta il cane fuori.” Ecco, di nuovo: queste erano il genere di scuse che gli rifilavano per obbligarlo a uscire di casa. Era vero che stava esagerando, che non aveva motivo di rinunciare all'aria per una semplice soddisfazione a livello di studio, ma a lui non importava. Se solo l'avesse capito anche la gente che lo circondava! E invece no, Seidou fai quello, Seidou fai quell'altro; così, all'infinito.
Uscì e aspettò svogliato che Rocky facesse quel che doveva fare, lanciando un'occhiata esausta al cielo trapunto di stelle.
Il loro quartiere era silenzioso, quieto, eppure lui era convinto che non fosse sempre stato così. Un tempo, quando era ancora piccolo, camminava per quelle vie con altri suoi coetanei per giocare e divertirsi. Tutto prima dell'“incidente”. Dopo che una loro vicina di casa era stata vittima di un ghoul la zona si era di colpo rabbuiata. I bambini non avevano più attraversato quelle strade, privandole delle loro gaie risate, e gli adulti avevano preso a spiare da dietro le pesanti tende alla ricerca di chissà cosa. C'era stato chi si era trasferito, chi caparbio aveva negato l'esistenza dei ghoul, chi come la sua mamma era rimasto turbato e intimorito. E poi c'era stato lui, che si era accorto che qualcosa non andava in quel mondo e che avrebbe voluto dare il suo contributo per migliorarlo.
Camminò con gli occhi bassi, lasciandosi trascinare passivo dal suo animale domestico. Questo finché Rocky non cominciò di botto a correre, strattonando il guinzaglio così forte da far barcollare Seidou in avanti. Lui soffocò un urlo, accigliandosi, poi incrociò quel che era divenuto l'oggetto d'interesse del suo inseparabile amico. Sarà stato un gatto o una lucertola, pensò prima che notasse una sagoma umana ergersi nell'oscurità.
Deglutì. In un quartiere come il suo la gente non usciva più dopo un certo orario.
Gli balenò il pensiero d'indagare più a fondo, per scoprire chi potesse essere il misterioso individuo, ma lo scacciò in un batter d'occhio. Sicuramente, si disse, non era nessuno per cui temere per l'incolumità delle persone a lui care. Si diede dello stupido per aver anche solo ipotizzato delle teorie simili, dettate da ansie infondate. Strattonò il guinzaglio e fece per tornare sulla via di casa.
Fece il primo passo, fece il secondo; poi si bloccò. Un brivido gli percorse la schiena come se un'ombra aleggiasse alle sue spalle, e una spiacevole realizzazione che aveva tentato d’ignorare si concretizzò: era spaventato, per questo non aveva osato avvicinarsi. Si vergognò di se stesso e delle sue sciocche preoccupazioni. Che modo c'era di scoprire se quello laggiù fosse un malintenzionato, se non che andando a dare un'occhiata personalmente? Deglutì e disseppellì il coraggio sepolto in lui, poi, con flemma, girò il capo nella direzione di prima. Non c'era più niente.
Restò per qualche attimo a fissare quel punto con occhi vacui. Si era immaginato tutto: la notte, le ombre rilasciate dai muri di cinta degli appartamenti, e le ore di sonno che si era sottratto per studiare gli avevano giocato un brutto scherzo. Rise di se stesso e riprese la via verso casa con serenità.
Stava per svoltare all'angolo di una stradina minore, seguendo il perimetro delle abitazioni, quando si ritrovò davvero una figura umana davanti, e 'sta volta a soli due centimetri da sé. Non ebbe il tempo di urlare e correre nella direzione opposta che la bocca gli venne tappata e lui fu trascinato indietro.
Takizawa, gli occhi sbarrati e il sudore a imperlargli la fronte, tentò di riprendere a respirare regolarmente per riflettere sul da farsi. Si era immobilizzato per lo spavento, e si era accorto solo ora che la presa che lo stringeva non era poi così forte – anzi, tutt'altro. Le mani sulle sue labbra erano state celeri, pronte, ma non brutali e ora si levavano dal suo viso con una delicatezza disarmante.
« Calmati, sono io. » Riuscì in breve a riconoscere la voce del suo sequestratore. « Quando ti ho visto arrivare immaginavo che avresti urlato e ti saresti spaventato, ma non credevo tanto. »
Stava ancora respirando ansante, mentre i tasselli di un puzzle complicato provavano a incastrarsi nella sua mente. Che ci faceva Akira lì?
« Ti è dato di volta il cervello?! » riuscì solo a urlare, aggrottando la fronte. La ragazza si portò immediatamente l'indice sulle labbra, facendogli segno di zittirsi.
« Non urlare così, ti sentirà » lo intimò, prima di spingerlo di lato per sbirciare al di là del muretto.
Quella situazione era bizzarra all'inverosimile: non poteva credere d'essersi spaventato per via dell'ombra di Akira! Ma poi, che ci faceva lei nel suo quartiere?
« Cosa diamine ci fai qui? » sbottò, cercando la sua attenzione.
« Cosa ci fai tu qui » ribatté atona. Era come se non lo stesse ascoltando, concentrata da tutt'altra parte: gli occhi vigili, le labbra serrate.
« Io ci vivo qui. »
« Capisco. » Se solo quella ragazza lo avesse preso un po' in considerazione, anziché fuggire dalla conversazione in quel modo!
Akira assottigliò lo sguardo e le sue ciglia brillarono sotto la luce artificiale dei lampioni. Notare dettagli insulsi come quello fu ciò che restò da fare a Seidou, conscio che parlarle fosse impossibile.
« È stato stupido da parte tua uscire con il cane. I ghoul, a differenza nostra, hanno un olfatto sopraffino. È una lezione basilare; no, Takizawa? »
Lui roteò gli occhi, infastidito. Che c’entravano ora i ghoul?
« Sono stanco di te e delle tue stupidaggini. Sai una cosa? Non mi importa neanche perché tu sia venuta qui nel mio quartiere, anzi è meglio che io non lo sappia, perché probabilmente mi arrabbierei solo di più. » Le sue parole andavano via col vento, non arrivando nemmeno a sfiorare i lobi di Akira. Questo lo irritò di più, ma proseguì con il suo monologo: « me ne torno a casa, e farò qualcosa di utile al contrar- ».
« Viene di qua! » Akira sussultò, afferrò il polso di Takizawa e iniziò a correre verso una meta sconosciuta. Lui, sebbene continuasse a ripetere lamenti e disapprovazioni a oltranza, si lasciò trascinare dalla sua rivale. Si ritrovarono presto ben lontani dal quartiere stesso, in un qualche parco giochi.
Era un’area dedita al divertimento dei bambini, dai colori sgargianti e con giochi zoomorfi. Tuttavia, essendo quasi notte fonda, le foglie degli alberi che producevano un debole fruscio e l'altalena sospinta dal vento, con le catene arrugginite che cigolavano, facevano sì che persino quel luogo risultasse inquietante. O forse era solo un'impressione, il brutto di trovarsi in una situazione della quale stava capendo poco e niente. Con una ragazza che, o aveva ereditato la pazzia del padre – non c'erano termini più gentili per descrivere Kureo Mado –, o li aveva appena fatti scappare da qualcosa di reale. Deglutì, lo struggeva non poterne sapere di più.
« Dovremo essere al sicuro qui, purtroppo temo che se ne sia accorto. » Akira si rivolgeva più a un interlocutore invisibile che a lui, perché da quando si erano incontrati non lo aveva degnato di uno sguardo neanche per sbaglio. I suoi occhi glaciali si spostarono su Rocky. « Ha contribuito a farci scoprire, ma pazienza » sospirò e si passò una mano tra i lunghi capelli con disinvoltura.
« Ora mi spieghi cosa sta succedendo? » inveì Seidou. Lei parve accorgersi della sua presenza solo in quel momento.
« Ah » disse. « Già, tu vivi qua » continuò, portandosi pollice e indice sul mento. Sembrò riflettere a lungo su qualcosa, poi sospirò.
« Non ha importanza, Takizawa. Torna a casa. » Si strinse nelle spalle e cominciò a camminare, allontanandosi dal parco.
Lui strabuzzò gli occhi. Com'era possibile che, dopo minuti interi che lo aveva trattenuto lì, se ne uscisse così?
« Scherzi, vero? » le urlò dietro, ma fu ignorato. Richiamò il suo nome più di una volta, ma non ottenne nulla. Akira continuò il suo cammino senza voltarsi e lui, totalmente inebetito e adirato, rimase lì a fissarla mentre svaniva nell'oscurità.

- —∞— -

« Te l'ho già detto » cominciò svogliato, sorseggiando il proprio caffè tra una frase e l'altra. « I tuoi capelli sono perfetti così, non hai bisogno di tingerli. »
Seina, con i gomiti puntati sul tavolino tondo e bianco del bar, alzò fulminea lo sguardo dalla rivista che stava sfogliando. Aggrottò le sopracciglia, contrariata. « Eh? Ma com'è che non capisci niente?! »
Seidou levò gli occhi al cielo. Quel bar a Shinagawa gli era sempre piaciuto, con quel pizzico di eleganza e tranquillità che vi regnava, eppure essere lì con sua sorella non era che una di quelle uscite forzate e sgradite. E, purtroppo, anche inevitabili, dato che lei doveva vedersi con delle compagne e aveva insistito affinché lui l'accompagnasse al punto d'incontro. Seidou aveva sperato che la faccenda richiedesse poco, e invece erano lì da svariati minuti ormai: lei che sfogliava uno dei tanti giornaletti sulla moda a cui era abbonata, lui ad annoiarsi e a riflettere sul paragrafo che avrebbe dovuto studiare. Il tutto perché le amiche avrebbero ritardato.
La porta d'ingresso si aprì tintinnando per l'ennesima volta, infrangendo le sue speranze che fossero finalmente arrivate e lasciandolo attonito. Gli andò di traverso il caffè a quella vista, e si ritrovò a tossire sotto lo sguardo disgustato di sua sorella.
Akira Mado, di nuovo. Com'era possibile?
C'era qualcosa di assurdo nell'incontrare la persona che meno sopportava ogni volta che metteva piede fuori di casa. Erano giusto passati quattro giorni dal loro ultimo e singolare incontro.
Akira non gli rivolse neanche uno sguardo, forse non l'aveva visto. Era lì con la sua peculiare espressione seria, i capelli raccolti di lato in una treccia e un vestitino blu. Si sedette da sola e quando un cameriere le si avvicinò lo cacciò via con un gesto della mano.
« È carina. » Il commento di sua sorella lo fece trasalire. « Hai una cotta per lei? »
Le sue guance si imporporarono senza che potesse capire il perché. Sì, Akira Mado era carina, ma la bellezza non cambiava quanto fosse insopportabile. Lui non avrebbe mai potuto provare qualcosa per lei.
Seina ridacchiò civettuola. « Dovresti andare a parlarle. »
Seidou allentò il colletto della camicia che sembrava improvvisamente troppo stretto, soffocante. Sarebbe andato a parlarle, ma di certo non per discutere d’improbabili e inesistenti interessi amorosi. « Ci vado, ma non per quel che credi. »
Si mise in piedi, si schiarì la voce e fece per andare al tavolo di Akira. Si bloccò ancora prima che potesse fare un singolo passo.
Un ragazzo era entrato nel locale, aveva avvistato Mado e le si era avvicinato. Lei si era alzata salutandolo con un sorriso – con un sorriso! – e in seguito i due si erano seduti cominciando a chiacchierare.
Seidou cadde di peso sulla sua sedia, la bocca aperta e l'espressione turbata.
Vedendolo in quello stato, Seina scoppiò in una fragorosa risata, ma lui la zittì guardandola torvo.
« Che delusione! È la ragazza che ti piace. »
« La mia espressione non è così per delusione. » Già, era solo sconvolto di vedere quella ragazza che credeva di ghiaccio sorridere come una persona normale, con un’enfasi a lui sconosciuta. « E Akira non è la ragazza che mi piace! » puntualizzò. Era diventato paonazzo e lo sguardo canzonatorio di Seina non faceva che peggiorare la situazione.
« Peccato, avreste fatto una bella coppia » continuò, sbattendo le ciglia grondanti di mascara.
Il campanellino alla porta d'ingresso tintinnò di nuovo, e questa volta fecero la loro entrata le amiche di Seina. Lei balzò in piedi. « Grazie di tutto fratellone, io vado! »
Rimasto solo, Seidou non poté evitare di far cadere lo sguardo su quei due. Con fugaci occhiate constatò che lo sconosciuto era più alto di lui, e a giudicare da come faceva ridacchiare Akira doveva saperci fare con le parole. Sentì un buco nel petto a quella vista, senza comprenderne il motivo.
Tirò la rivista abbandonata da Seina verso di sé e tentò di fingere interesse per quella. Non ci riuscì.
Avrebbe voluto andarsene, ma Akira era pericolosamente vicina all'ingresso, e lui non aveva la benché minima intenzione di farsi notare. Non voleva essere umiliato.
Decise di aspettare. Dovevano andarsene prima o poi, no?
Gli parve di rimanere seduto ore intere a studiare le venature del suo tavolo.
A un certo punto, dopo l'ennesima fugace occhiata, vide che i due si stavano salutando. Poggiò la testa sulla superficie lignea e benedì il cielo. Ora avrebbe dovuto attendere giusto un paio di minuti, dopodiché sarebbe stato libero di tornare a casa e di dimenticare l'intera faccenda.
O almeno così credette, prima che il rumore della sedia trascinata davanti alla sua lo destasse.
Mado sedeva dinanzi a lui, con il suo tipico sguardo impassibile e indecifrabile.
« Com'è possibile che ti incontro ovunque? » domandò, ma lui non si lasciò intimorire.
« Questo dovrei chiederlo io a te! Sei tu che sbuchi fuori ovunque io mi trovi! » sbottò, scocciato.
« Io sono qui- »
« Sì, lo so. Stai uscendo con un ragazzo, non hai bisogno di scuse. »
« Ah già, il ragazzo. Beh; lui è un ghoul » confessò, come se fosse la cosa più normale di sempre. Seidou rimase interdetto e la fissò in silenzio.
« Come scusa? » chiese, basito.
« Okay, calmati » cercò di rassicurarlo. Aprì la zip della borsa e iniziò a frugare là dentro.
Seidou sentì rumore di carta sfregata e, difatti, quel che tirò fuori la ragazza furono dei fogli. Dapprima lui li osservò disinteressato, poi acuì lo sguardo e strizzò gli occhi confuso, avvicinandosi. Erano documenti della CCG su un certo ghoul che stava creando problemi in quel periodo.
Glieli strappò di mano. « E questi? » domandò accigliato.
« Li ho trovati sulla scrivania di mio padre. Prima ce n'erano un mucchio, ma poi gli altri erano scomparsi – penso se li sia portati a lavoro, ma questo l'ha lasciato qui. »
« E tu l'hai preso? »
« Sì » spiegò, come se lo stupore di Seidou non fosse lecito.
« Cosa? Hai rubato la cartella di un ghoul dalla CCG; sei pazza! »
« Non l'ho rubata. Mio padre l'ha abbandonata come se non fosse nulla, quindi evidentemente non era un caso che gli stava importando molto. »
Seidou la guardò con scetticismo. « Sei pazza » ripeté.
« Voglio solo rendermi utile a mio padre » chiarì. « Alleggerirgli il carico, anche se con un caso stupido come questo. »
« Cosa?! Ti sembra il caso di giocare a fare l'investigatrice? »
« Non è un gioco. »
« Appunto, e dovresti saperlo bene tu, dopo tutti i cento che hai preso. » Takizawa si mise le mani sulle tempie, esasperato. « Riportalo dove l'hai preso. Sai che è la cosa giusta da fare. Tuo padre potrebbe arrabbiarsi, per non parlare che potrebbe succedere anche di peggio. »
« Mio padre sa che ce l'ho io. »
« Cosa? Gliel'hai detto e lui non ti ha fatto storie? »
« Ovviamente non gliel'ho detto, ma lui non è stupido, ne avrà notato l'assenza e di certo avrà capito in che mani è finito. Non penso che lui sia in disaccordo con questa faccenda. Non è nulla di troppo grande, so che ne sono in grado e lo sa anche lui. »
Takizawa la guardò non convinto. Non gli sembrava affatto una buona idea.
« Fa come ti pare » disse acido. « Se finisci nei guai non sarà colpa mia. »
« E io che ti stavo per chiedere se mi volessi aiutare » sospirò. « E va bene, perfetto. » Si alzò, riposando la cartella.
« Aspetta » la fermò. La proposta di Akira aveva qualcosa di allettante. Primo di tutto, perché Akira Mado gli aveva appena chiesto aiuto, cosa che forse non sarebbe mai più capitata. Secondo, la prospettiva di risolvere un caso – il suo primo caso – era elettrizzante! Ma per quanto potesse lasciarsi trascinare dall'emozione, sapeva di andare incontro a rischi non discutibili.
Esitò, mordendosi il labbro inferiore.
« È per questo che l'hai fatto vedere a me? Vuoi il mio aiuto? » Calcò bene le ultime parole.
Lei distolse lo sguardo, tentando di proteggere il proprio orgoglio. « Forse. »
Anche lui posò gli occhi da tutt'altra parte.
« E va bene, ti aiuterò, ma solo per accertarmi che tu non faccia cavolate. »
Akira si voltò verso di lui sorridendo vittoriosa.
  
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