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Autore: Piccole Pietre    18/08/2017    1 recensioni
Una voce profonda si levò da questa, facendo tremare il suolo sotto i loro piedi. Una figura maestosa dai tratti severi, troneggiò su di loro con la sua imponenza, con una barba lunga e un incarnato di un pallore etereo e occhi chiari e limpidi come l'acqua cristallina, si impose su di loro. Alice lo riconobbe subito: quello era uno dei tre Reggenti, il loro capo. Questa volta la loro ricerca aveva avuto fortuna.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Salve a tutti, ci presentiamo, siamo Monica e Giulia. È nostra premura precisare che non ci reputiamo delle scrittrici perciò non siate troppo dure nel giudicarci. Questo racconto è nato più che altro come una chiacchierata in spiaggia tra amiche e con lo stesso non intendiamo offendere la sensibilità di nessuno, inoltre fatti e avvenimenti ttrattati sono totalmente frutto della nostra immaginazione. Speriamo che questo nostro primo racconto possa essere di vostro gradimento. Con questo vi auguriamo una buona lettura.

CAPITOLO 1
MISTERI DA RISOLVERE
 

Hong Kong
Era una serata uggiosa, la pioggia scendeva radente come coriandoli dal cielo, leggera e fragile tra le strette vie di Hong Kong. Per la strada, le lunghe e irregolari zone buie dei palazzi e le sporadiche lanterne rosse ancora accese a tarda notte, erano le uniche tracce di una ancora persistente esistenza umana.  Le sagome nere alle finestre rammentarono per un attimo ad Alice le note scene del teatro cinese delle ombre. C'era qualcosa di magico e oscuro in quel momento. Ad aggirarsi irrequieto a quell’ora tarda vi era solo un gatto randagio in cerca di cibo sotto una bancarella del pesce. Fra questo e Alice si instaurò uno scambio di sguardi lungo pochi secondi, prima che la figura felina si ritirasse spaventata all'ombra di un vicolo cieco. Alice riprese ad osservare tra le mani fradice una bussola dall'aspetto insolito, piccolo cimelio di famiglia lasciatole in eredità dai suoi genitori prima della loro dipartita. Alice non aveva mai dimenticato la missione, poi divenuta ragione di vita dei suoi genitori, così, dopo anni di duro addestramento e sacrifici portati avanti con grandi difficoltà, era giunto anche per lei il giorno del tanto atteso riconoscimento. A soli ventidue anni era stata nominata Coordinatore maggiore delle truppe veggenti. Così Alice poté perseguire la stessa missione che dieci anni prima era stata dei suoi genitori, forse con l'intento inconscio di non rendere vano il loro sacrificio e mantenere viva la loro memoria. Catturando i Reggenti sperava di rendere loro onore.
Una tenue luce azzurrina si sprigionò da quello strumento prezioso, utile a indicare la presenza delle anime superiori. Il puntatore della bussola le indicò prontamente il nord e bastò quello a suggerire ad Alice verso quale direzione muoversi per trovare il secondo dei Reggenti.
Scoperto il primo portale a Boston e catturato il primo Reggente, gli eterni avevano ottenuto le coordinate degli altri due portali. Era stato il primo Reggente sotto tortura a confessare la loro posizione. Ecco perché i due membri delle truppe veggenti si trovavano lì in quel momento.
«Non dirmi che ci siamo persi ancora una volta!» le chiese esasperato Jasper, suo fratello adottivo.  Alice stava per rispondergli quando fu colta da una visone improvvisa. Con lo sguardo perso nel vuoto, gli fece segno di non distrarla e con un gesto della mano lo zittì.
 
Come un segugio che insegue una traccia invisibile nell'aria, perlustrò l'ambiente circostante, poi sgranò gli occhi e prendendo per un polso Jasper lo costrinse a seguirla all'interno di un vicolo buio.
«Questa volta lo abbiamo in pugno! Non possiamo farcelo scappare. Dev'essere da questa parte!» All'improvviso, un'abbagliante luce bianca si proiettò dinanzi ai loro occhi, accecandoli.
Una voce profonda si levò da questa, facendo tremare il suolo sotto i loro piedi. Una figura maestosa dai tratti severi, troneggiò su di loro con la sua imponenza, con una barba lunga e un incarnato di un pallore etereo e occhi chiari e limpidi come l'acqua cristallina, si impose su di loro.  Alice lo riconobbe subito: quello era uno dei tre Reggenti, il loro capo. Questa volta la loro ricerca aveva avuto fortuna.      
Era la prima volta che si trovava faccia a faccia con uno di loro. Lo stupore per quella manifestazione inattesa la paralizzò all'istante. Il suo corpo era fermo, marmorizzato, come una statua classica. Era raro che gli spiriti superiori si manifestassero nella loro forma originale. Alice pensò che ci fosse qualcosa di molto sospetto. Come se quell'essere millenario avesse voluto farsi trovare da loro.
«Voi non sapete cosa state facendo. Il mondo che conosciamo collasserà e tutto per la vanità di voi Eterni. La pace era un obbiettivo prioritario, ma voi avete rovinato tutto. Presto la vostra ingordigia divorerà ciò che avete creato. Preparatevi, perché una discendente verrà presto a fare giustizia».
Prontamente Jasper estrasse il suo arco, pronto a scoccare il dardo dorato. L'oro era l'unico metallo capace di infliggere ferite sui loro corpi inconsistenti. Un metallo vile simbolo di vanità e idolatria, divenuto l'unica arma a loro disposizione contro i Reggenti.
Il braccio teso e contratto puntava senza cedimento il petto del capo dei Reggenti. Alice però trattenne Jasper poggiando sulla sua spalla una mano per placarlo. Non dovevano ucciderlo ma solo catturarlo. Questi erano gli ordini.
Eppure qualcosa non convinceva completamente Alice, quella strana figura barbuta non gliela raccontava giusta. Sembrava preparata fin troppo al loro arrivo.
«Cosa intendi con un discendente? Voi tre siete gli ultimi Reggenti rimasti sulla Terra, abbiamo catturato uno di voi e ci ha raccontato tutto. Adesso conosciamo la posizione dei portali e presto rivendicheremo ciò che è nostro di diritto!»
La voce del Reggente tuonò, sovrastando quella di Alice.
«Poveri ingenui! Non si può andare contro un disegno superiore. Tutto quello che vi hanno insegnato è imperniato di vanità e corruzione e la verità che tanto difendete è solo mera falsità creata da menti avide di potere! A voi la scelta, catturarmi ora e adesso e alimentare questo ingiustificato fiume di sangue o combattere con noi per ristabilire la verità. I vostri genitori, tanti anni fa, fecero la scelta giusta, ma la pagarono a caro prezzo. Siete davvero pronti a lottare dalla stessa parte dei loro assassini?»
Alice, non riusciva a credere a quello che il Reggente gli stava dicendo. Cosa centravano i loro genitori adesso? E a chi si riferiva dicendo “i loro assassini”? All'Accademia di addestramento gli avevano insegnato che i Reggenti erano esseri mostruosi, senza pietà, ma negli occhi di quello spirito lei lesse solo sincera amarezza. Entrambi i ragazzi rimasero immobili, disorientati da quelle parole che rischiavano di mettere in discussione troppe cose.
Quando lo spirito si dileguò, disperdendosi nell’aria, era già troppo tardi. Lo avevano lasciato andar via senza rispettare gli ordini ricevuti. Nella loro mente iniziarono a farsi largo a macchia d'inchiostro molti dubbi sul loro passato e sul vero scopo di quella missione.
«Maledizione Alice, lo abbiamo lasciato andare! Perché mi hai fermato? Lo avevamo in pugno! E adesso? Se Aro ci leggerà nella mente sarà la fine…»
Alice bloccò suo fratello per le spalle con le sue mani fissandolo preoccupata negli occhi.
«Jasper, non dobbiamo riferire nulla di quello che abbiamo sentito e visto al quartiere generale! Mi hai capito?» Gli impose Alice.
Il ragazzo biondo acconsentì senza sollevare obiezioni. Dopotutto si era sempre fidato del giudizio di sua sorella e questa volta non sarebbe stato diverso.
«Chissà se Edward avrà già trovato l'altro portale?» Proseguì Jasper mentre si scrollava di dosso le mani di sua sorella.
«Chissà…» sospirò lei, riposizionandosi sconfitta il cappuccio nero sulla testa.
Dietro le loro felpe scure i due si dileguarono da quel vicolo buio.
 
 
 
 
 
 
 
Londra
La fitta nebbia londinese impediva una limpida visione per le strade. Bella che aveva sempre desiderato fare un viaggio in quei luoghi, non si trovava lì per svago, ma per risolvere il mistero dietro la scomparsa improvvisa di suo padre. Carline era stato per molti anni un rispettato professore di Storia Antica all'Università di Montepulciano. Ma negli ultimi anni aveva iniziato a condurre ricerche solitarie in giro per il mondo. Per questo Bella si era abituata a vivere da sola e a badare a se stessa più di quanto qualsiasi adolescente della sua età fosse costretto a fare.
Suo padre era rientrato da poco più di una settimana, quando Bella entrando nel suo studio all'Università non lo trovò dietro la sua solita scrivania in noce, ma al suo posto si imbattette in una stanza in completo disordine, tante carte sparse per la stanza, come se qualcuno vi avesse fatto irruzione rovistando ovunque in gran foga. I cassetti erano stati rimossi dalla scrivania e il loro contenuto era stato riversato su tutto il pavimento. La cartina alle spalle della poltrona era stata lacerata in più punti e la lampada verde, di solito sulla scrivania, giaceva ormai distrutta sul pavimento e i suoi cocci brillavano illuminati dalla pallida luce della finestra spalancata. In quel momento un pensiero le passò per la mente; quella poteva essere solo opera di un ladro o di un intruso entrato in cerca di qualcosa. Istintivamente recuperò il telefono dalla tasca dei suoi jeans attillati e provò a contattare suo padre. Ma di Carline nessuna traccia. Suo padre era scomparso nel nulla senza lasciarle alcun indizio. Fu guardando verso il pavimento che notò una piccola agenda rossa, con all'interno degli appunti trascritti in una lingua a lei sconosciuta e tra essi una piccola cartina geografica in cui erano stati cerchiati tre punti precisi; vicino ad ogni punto era segnata una data. Le località erano Boston, Londra e Hong Kong. Ad un mese di distanza l'una dall'altra erano segnate delle date sempre nel primo di ogni mese. Per una strana coincidenza, sulla località di Boston era stata segnata proprio la data di quel giorno ovvero: 01 ottobre 2017, sulla località di Londra quella del 01 novembre 2017 e su quella di Hong Kong quella del 01 dicembre 2017.  Bella aveva capito subito che quella non poteva essere solo una coincidenza e se voleva scoprire cosa fosse successo a suo padre, si sarebbe dovuta recare a Londra, la prossima meta per ordine di data. Così Bella a un mese esatto dalla scomparsa di suo padre, nel giorno primo del mese di novembre, si era recata a Londra con la speranza di risolvere il mistero della sua scomparsa. Tante le domande che aveva lasciato la sua assenza, tante le perplessità che giorno dopo giorno si erano affollate nella sua testa, ma solo un indizio per svelarle: una carta geografica nascosta dentro una piccola agenda rossa.
Londra era particolarmente gelida in quel periodo dell'anno. Bella infreddolita si stringeva nel suo cappotto giallo e con la mano sinistra manteneva una calda sciarpa di lana attorno al collo, un vecchio regalo di Natale di suo padre. Una piccola valigia, con poche cose essenziali, rallentava il suo cammino verso quella che sarebbe stata la sua temporanea abitazione. Erano circa le nove di sera quando arrivò a destinazione. Il piccolo ostello si trovava in un quartiere periferico, tra stradine strette e vicoli ciechi senza uscita. I palazzi fatti di sole finestre, contavano dai sei ai sette piani e portavano i segni degli anni passati.
Bella, ferma al numero civico 109, guardò lo squallido ostello d'avanti a sé. Purtroppo, con i pochi risparmi accumulati in anni di par-time, quello era il massimo che poteva permettersi. Senza perdere altro tempo, la ragazza si avvicinò all'edificio e dopo aver appoggiato la valigia a ridosso del muro, suonò il campanello. La piccola porta in legno verniciato venne aperta dopo alcuni istanti da una donna anziana dall'aspetto stregonesco. Naso adunco, occhi spenti e vitrei, denti gialli e capelli colore della cenere, crespi e arruffati come un nido di paglia. La donna notando la valigia non le fece domande, ma con un cenno della mano la invitò ad entrare. Zoppicando e tenendosi in equilibrio con l'aiuto di un bastone, recuperò una chiave da un mobiletto e con aria stizzita invitò la malcapitata ragazza a seguirla imboccando subito dopo le scale a destra dell'ingresso. Bella preferì mantenersi a debita distanza da quella donna dall'alito pestilenziale. La vecchietta rachitica con la schiena incurvata dal peso degli anni, condusse Bella fino al penultimo piano. Entrambe svoltarono a sinistra ritrovandosi su un lungo corridoio malmesso. In questo la carta da parati consunta era staccata in più punti, la moquette sotto i loro piedi era macchiata e rattoppata malamente e l'intonaco crepato cadeva a pezzi dal soffitto, tanto che in più di un’occasione Bella era stata costretta a scansarlo spostandosi di lato.
"Ma in quale razza di catapecchia sono finita? Maledizione e poi dicono che i soldi non fanno la felicità. Di sicuro ti garantiscono un tetto sulla testa migliore di questo. Cavolo che sfiga. Poi questa tizia mi sembra uscita da uno di quei film di Halloween che trasmettono per i bambini in televisione. Ma tutte a me devono capitare?"
Con gli occhi rivolti alla signora Clotilde, questo il suo nome, esaminava quel corridoio squallido che avrebbe potuto fare da fondale al peggiore dei film horror.
"Ma quanto è tirchia questa donna? almeno una pulita in giro poteva darla!"
Non avendo più alcun dubbio sul totale disinteresse della donna per la manutenzione della sua attività, Bella girò sulla sinistra seguendola come un cane fedele. Fermandosi infine d'avanti all'ultima porta, Bella volse lo sguardo al lungo corridoio dietro di sé.
Per la ragazza risultava difficile pensare che un posto così squallido potesse avere tutte quelle camere occupate e che casualmente l'unica disponibile fosse proprio al penultimo piano alla fine di quell'interminabile corridoio. Quando la donna le aprì la camera, Bella si ritrovò d'avanti una piccola stanza dalle pareti ingiallite e spoglie, sulla destra un armadietto in legno scuro con accanto una sedia in paglia e sulla sinistra un letto da una piazza e mezza con un piccolo comodino vicino.
Bella depositò i bagagli all'ingresso e si guardò intorno. La vecchietta con una voce stridula, richiamò la sua attenzione.
«Signorina si ricordi che il bagno in comune è al primo piano vicino le scale e che la colazione viene servita alle ore 7:00. Non un minuto più tardi». Non aggiungendo altro la donna chiuse violentemente la porta, senza lasciare a Bella la possibilità di rispondere.
"Ma in quale inferno sono capitata? Occorreva mettermi al penultimo piano se il bagno è al primo? Sono sicura che nessuna delle stanze al primo piano sia occupata. Quella vecchia strega mi odia, ne sono sicura!"
E con quella consapevolezza, Bella disfò la valigia e sistemò le sue cose all'interno dell'armadio, lasciando solo i vestiti che avrebbe indossato dopo la doccia.
Erano le 22:15 e l’ora di cena era passata da un po’. Bella decise di uscire da quelle quattro mura e di cenare fuori e unire l’utile al dilettevole. Il tempo era prezioso, doveva sfruttare al massimo ogni secondo. Non sapeva quanto tempo sarebbe rimasta in quella città e ne quanto gliene sarebbe servito per risolvere il mistero della scomparsa di suo padre.
Così senza perdere altro tempo, indossò il suo cappotto, uscì dalla stanza e prima che la vecchietta potesse fermarla, raggiunse l’uscita di quella topaia.
Bella dopo trenta minuti di cammino raggiunse Camden Town, un quartiere affollato, ricco di pub e negozietti che davano vita a quelle vie di Londra. Alti palazzi bianchi con portoni maestosi costeggiavano gli ampi marciapiedi illuminati. Bella percorreva quelle vie piene di vita, con lo sguardo estasiato. Per un attimo dimenticò il suo stomaco che brontolava e la tristezza che provava.
Dopo un po’ di tempo entrò in piccolo pub e ordinò la sua cena. Il suo tavolo, posizionato ad un angolo, le permetteva un ampia visuale della saletta. Nell'attesa della sua ordinazione, Bella tirò fuori dalla borsa l'agenda di suo padre. In verità non sapeva esattamente cosa cercare in quelle pagine, ma sopratutto non aveva alcuna certezza della loro utilità. Su quelle pagine vi erano diversi dati, che per Bella non avevano senso. Ad attirare la sua attenzione fu un indirizzo scritto a fine pagina, Donegal St.
«Mi scusi le dispiacerebbe spostare?» disse una cameriera dai capelli rossi, con il vassoio dell’ordinazione.
Bella fece segno di no con la testa, raccolse le sue cose e le ripose nella borsa. La ragazza poggiò sul tavolo una lattina di coca cola e il piatto con l’hamburger. Bella ringraziò, ma prima che la cameriera si allontanasse aggiunse: «mi scusi, saprebbe indicarmi dove si trova Donegal St?»
«Credo si trovi nel quartiere di Pentonville, un pò distante da qui. Mi dispiace ma devo andare ho un'altro tavolo da servire. Spero che la cena sia di suo gradimento», le augurò frettolosamente la ragazza tornando al suo lavoro.
Non sapeva esattamente quanto tempo si sarebbe fermata in quella città, ma se il suo soggiorno si fosse prolungato più del dovuto anche lei avrebbe dovuto trovare un lavoretto, perché presto o tardi i soldi sarebbero terminati. Adesso poteva contare solo su se stessa, nessuno più l'avrebbe aiutata, guidata e confortata. Questa consapevolezza la fece rattristire e senza rendersene conto passò i successivi minuti a guardare le persone intorno a lei. Il locale era affollato. Tanti i ragazzi seduti al bancone del bar che ridevano e scherzavano, tanti quelli seduti ai tavoli che cenavano e chiacchieravano. Il suo sguardo si spostò nuovamente e i suoi occhi si fermarono su un ragazzo solitario appoggiato ad un vecchio Jouboxe.
Il ragazzo dall’altro lato della stanza, se ne stava in disparte con il suo cellulare e di tanto in tanto sorseggiava il suo drink. Aveva un’aria misteriosa e si guardava in torno come se stesse cercando tra tutte quelle persone qualcuno in particolare.
Improvvisamente la visuale di Bella venne coperta dall’arrivo della cameriera.
«Le ho portato il conto!» La informò la ragazza mentre ritirava i piatti sporchi dal tavolo. Poi con molta discrezione aggiunse: «prenda da Camden Town la metropolitana Northern, direzione Morden e scenda alla fermata Angel. Arrivata li non le sarà difficile avere informazioni». E detto questo, andò via senza indugiare oltre.
Bella segnò tutto sul telefonino e pochi istanti dopo, quando rivolse lo sguardo verso il Jouboxe, si accorse che quel ragazzo dall’aria misteriosa non c’era più. Stranamente Bella iniziò a sentirsi poco bene. Provava una sensazione di nausea e il caldo che c’era all’interno del locale non l’aiutava molto. Bella raccolse in fretta le sue cose, lasciò £ 15,00 sterline sul tavolo e si diresse verso l’uscita secondaria perché più vicina. Aveva bisogno di aria fresca subito. Quando uscì all’esterno, la temperatura gelida di Novembre la invase, ma non fu abbastanza. La ragazza ormai pallida, con le mani appoggiate al muro, si chinò e rigettò tutta la cena.
Pochi minuti dopo si sentì meglio e con un fazzoletto si ripulì il viso. Ma prima che potesse rialzarsi accadde qualcosa. Dal nulla apparve una figura maestosa di un pallore inumano, seguita all’istante da un ragazzo. I due iniziarono a fronteggiarsi furiosamente, senza lasciare all’altro la possibilità di avere la meglio. Bella, non capendo cosa stesse succedendo, emise un urlo di terrore e con gli occhi sbarrati continuò a guardare stupefatta quella scena da film di fantascienza. Fu in quel momento che il ragazzo si accorse di lei.
Approfittando di quel momento di distrazione, la figura possente sferrò un attacco al ragazzo che fu scaraventato malamente, poi dileguandosi nel nulla senza lasciare traccia.

Il silenzio che seguì non era rassicurante. Bella, rannicchiata al suolo, aveva il respiro accelerato e il corpo che le tremava per la paura appena provata. Immobile fissava il punto in cui si era appena volatilizzata quella sagoma mostruosa, che l'aveva colta alla sprovvista. Un gemito di dolore catturò la sua attenzione. Un lamento maschile provenì dalla parte più buia di quella stradina. La ragazza, ancora per terra, concentrò il suo sguardo in quella direzione, sporgendosi con il busto per poter vedere meglio chi si stesse lamentando. A causa del buio pesto, non riuscì a distinguere un granché. Così, preso un lungo respiro, gattonò verso quella sagoma distesa al suolo.

«Stai bene?» chiese al ragazzo con quel poco di voce che le rimaneva.

Bella che domanda stupida. Questo poverino ha appena fatto un volo di chissà quanti metri.

Il ragazzo si lamentò ancora mantenendosi con una mano la spalla ferita. Quando poi girò il capo Bella lo riconobbe. Era il ragazzo solitario del pub. Pochi secondi dopo quest’ultimo parlò.

«Merda!» Sbraitò il ragazzo.

«Come, scusa?» Bella non fece in tempo a chiedere altro che il tizio aggiunse.

«Si può sapere chi diavolo sei? Hai rovinato tutto».

«Ma di che diavolo stai parlando? Qui chi ha il diritto di fare delle domande sono io. Cos’era quella cosa? Sono quasi morta dallo spavento». Il ragazzo senza nemmeno guardarla, raccolse da terra la batteria e il cellulare, che nel volo si era aperto e aggrappandosi ad un cassonetto della spazzatura, si rialzò.

Quando inserì la batteria nel cellulare e provò a riaccenderlo, questo non diede segno di vita.

«Maledizione!» Imprecò il ragazzo camminando avanti e indietro nervosamente. «È andato tutto a farsi fottere». disse con rabbia. Poi si massaggio la spalla che gli faceva male e delle espressioni di dolore si formavano sul suo volto.

Bella ancora spaventata, lo seguiva con gli occhi senza sapere cosa fare. Poi prese coraggio si alzò da terra e lo raggiunse alle spalle.

«Stai bene?» disse la ragazza. Ma il ragazzo non la degnò di uno sguardo. Così lei gli si avvicinò più vicino e spazientita alzò il tono della voce.

«Se non l’avevi capito, sto parlando con te! Mi stai ascol…» Bella non terminò la frase, perché presa alla sprovvista, venne strattonata malamente. Il ragazzo dall’aspetto misterioso la teneva ferma da un polso e fissandola negli occhi minaccioso le disse:

«Non so chi tu sia e nemmeno il motivo perché tu abbia visto, ma di una cosa sono certo. Se tu non fossi stata li, le cose sarebbero andate diversamente».

«Io sono quasi morta dallo spavento e tu sai solo accusarmi. Sai cosa c’è di bello? Me ne frego di come stai e della tua spalla. Me ne vado. Idiota!». Disse la ragazza alzando il tono di voce e riuscendo a svincolarsi dalla stretta del ragazzo, ma lui repentinamente l’afferrò nuovamente e avvicinando il suo viso a quello di Bella le disse:

«Dove credi di andare? Pensi realmente che ti faccia andare via così? No, signorina. È colpa tua se mi è scappato ed è colpa tua se mi sono fatto male. Quindi inutile dire che le cose andranno diversamente. Adesso devi aiutarmi!»

«Ma tu sei fuori di testa! Non ho nessuna intenzione di aiutarti». Concluse cercando di mantenere un atteggiamento sicuro, ma tutta la sua sicurezza venne meno quando il ragazzo, nel muovere il braccio, emise un gemito di dolore.

«D’accordo ti aiuterò!».

 

 

   
 
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