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Autore: Liy    16/06/2009    4 recensioni
Allen viveva per suo padre, un padre adottivo defunto da anni. Mana per lui era tutto: era una figura da seguire, da imitare, era una promessa e una maschera dietro alla quale celare il volto.
E lei, lì, era semplicemente sbagliata.
[Allen][Lenalee][Onesided LenaleexAllen]
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Allen Walker, Lenalee Lee
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Titolo: Non puoi cambiare una vita
Personaggi: Allen, Lenalee.
Pairing: Onesided LenaleexAllen.
Rating: Verde.
Genere: Angst, introspettiva.
Avvertimenti: Spoiler!, One-shot, Missing Moment.

Note: Non so neanch'io da dove viene questa. °-° Mi stavo annoiando. Ho aperto il foglio di word ed è uscita sta cosa.

Disclaimer: D.Gray-man e i rispettivi personaggi non mi appartengono, ma sono di Katsura Hoshino.


Non puoi cambiare una vita


Lenalee, ogni tanto, si sentiva assurda.

Si sentiva assurda quando si preoccupava per nulla; si sentiva assurda quando piangeva per nulla; si sentiva assurda quando aveva quel senso d'oppressione al petto che la spingeva a temere per Allen.

Aveva paura, in qualche modo, che lui potesse sparire da un momento all'altro. Se lo sentiva. Sentiva quella dannata sensazione dentro di sé, e non riusciva a fare a mano di stringere le mani al petto, abbassare il capo e spaventarsi.

E in quei momenti, semplicemente, si sentiva assurda. Non piangeva, non una lacrima, ma avrebbe preferito farlo perché, lo sapeva, dopo si sarebbe sentita meglio.

Era stupido rimuginare su una sensazione tanto confusa, però non riusciva a smettere. Sentiva che qualcosa non andava per il verso giusto. Qualcosa in tutto quello era sbagliato. Sentiva di dovergli stare accanto, a lui, ad Allen.

Erano settimane (mesi, anni...) che non lo vedeva. Da quando erano partiti in missione. E stava dannatamente male, dentro di sé. Le mancava. Le mancava quel sorriso tirato che la faceva piangere, quegli occhi accesi nonostante fosse messo nel peggiore dei modi. Le mancava, tutto qui.

E quando, finalmente, la missione finì – quando poté finalmente tornare all'home - si precipitò nella stanza di Allen. Le ferite che aveva alle gambe continuavano a pulsare, ma poco le importava perché sapeva che lui, Allen, di sicuro era messo peggio. Lui era fatto così: non poteva tornare da una missione senza esser quello che riportava il maggior numero di ferite. Sembrava proprio che lo facesse apposta.

“Allen-kun...”, sussurrò, aprendo di poco la porta della sua stanza, “... Sei sveglio?”

Mise un piede dentro, notando soddisfatta che Link, stranamente, non era lì.

“Allen-kun...”

E allora lo vide dormire. Era nel letto, con un panno bagnato sulla fronte e le gote leggermente arrossate. Arricciava le labbra, di tanto in tanto, e in quei momenti una smorfia di dolore si impadroniva del suo volto.

Sembrava star male.

Gli sfiorò il petto con una mano, scostando di poco le coperte, e fu in quel momento che la vide: una lunga cicatrice frastagliata correva lungo tutto il busto stretto e muscoloso del ragazzo.

“Oddio...”

Portò una mano davanti alla bocca, come ad impedirsi di urlare, e provò l'impeto di svegliare il ragazzo davanti a lei. Voleva spiegazioni. Lei doveva sapere cosa gli fosse successo.

Si trattenne dal piangere e dall'urlare; avrebbe chiesto spiegazioni a suo fratello, aveva deciso. Non avrebbe pianto davanti ad Allen, non si sarebbe messa ad imprecare contro la sua mania da martire – perché sicuramente quella cicatrice enorme se l'era procurata in quel modo.

“Allen-kun...”

Si inginocchiò a terra, poggiando il capo sul petto del ragazzo. E attese.

Sentiva il cuore battere.

Piano.

Lentamente.

E poi sempre più forte.

Il respiro di Allen si fece pesante, ritmico.

Lo vide stringere la presa sulle coperte, volgere il capo all'indietro e contrarre il volto in una smorfia di dolore. Il rossore sulle gote si accentuò, e una goccia di sudore cadde dalla fronte del ragazzo.

Restò ad osservarlo, il capo ancora poggiato sul suo petto e il viso volto verso quello del compagno.

Lo vide schiudere appena le labbra, mormorare qualcosa. “... Ma... na?”

E anche in quel momento, si sentì assurda.

Lei, lì, era sbagliata.

Per un attimo aveva sperato, e così si era nuovamente illusa.

In cosa sperava, poi, Lenalee?

Lo conosceva da un anno circa. E un anno non può cambiare quella che per lui era stata una vita. Una vita che gli aveva dato molto e che altrettanto gli aveva tolto; una vita che l'aveva messo a dura prova; una vita che non l'aveva mai pienamente soddisfatto.

Allen viveva per suo padre, un padre adottivo defunto da anni. Mana per lui era tutto: era una figura da seguire, da imitare, era una promessa e una maschera dietro alla quale celare il volto.

E lei, lì, era semplicemente sbagliata.

Sorrise, stanca.

“Che stupida...”

Rimase a fissare Allen per un lungo minuto, lo sguardo spento.

Chiuse gli occhi per un attimo e, come lo sentì respirare, si rese conto che non poteva rimanere lì. Doveva andare via. Non doveva farsi trovare in quel posto.

Allen sospirò ancora, e in quel momento le gambe di Lenalee decisero di non voler lasciare quella stanza.

S'accomodò sul letto accanto a quello del compagno e attese.

Sapeva che era il letto dell'ispettore Link, ma poco le importava.

Voleva solo stare lì. Voleva solo osservare Allen.

Sorrise ancora, fra sé, portando una mano alla bocca e lasciando sprofondare il capo nel cuscino.

Sì, si disse, lei era decisamente assurda.

   
 
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