Titolo: Non
puoi cambiare una vita
Personaggi: Allen,
Lenalee.
Pairing:
Onesided LenaleexAllen.
Rating: Verde.
Genere: Angst,
introspettiva.
Avvertimenti: Spoiler!,
One-shot, Missing Moment.
Note: Non so neanch'io da dove viene questa. °-° Mi stavo annoiando. Ho aperto il foglio di word ed è uscita sta cosa.
Disclaimer: D.Gray-man
e i rispettivi personaggi non mi appartengono, ma sono di Katsura
Hoshino.
Non puoi cambiare una vita
Lenalee,
ogni tanto, si sentiva assurda.
Si
sentiva assurda quando si preoccupava
per nulla; si sentiva assurda quando piangeva per nulla; si sentiva
assurda
quando aveva quel senso d'oppressione al petto che la spingeva a temere
per
Allen.
Aveva
paura, in qualche modo, che lui
potesse sparire da un momento all'altro. Se lo sentiva. Sentiva quella
dannata
sensazione dentro di sé, e non riusciva a fare a mano di
stringere le mani al
petto, abbassare il capo e spaventarsi.
E
in quei momenti, semplicemente, si
sentiva assurda. Non piangeva, non una lacrima, ma avrebbe preferito
farlo
perché, lo sapeva, dopo si sarebbe sentita meglio.
Era
stupido rimuginare su una sensazione
tanto confusa, però non riusciva a smettere. Sentiva che
qualcosa non andava per
il verso giusto. Qualcosa in tutto quello era
sbagliato. Sentiva di
dovergli stare accanto, a lui, ad Allen.
Erano
settimane (mesi, anni...) che
non lo vedeva. Da quando erano partiti in missione. E stava
dannatamente male,
dentro di sé. Le mancava. Le mancava quel sorriso tirato che
la faceva
piangere, quegli occhi accesi nonostante fosse messo nel peggiore dei
modi. Le
mancava, tutto qui.
E
quando, finalmente, la missione finì –
quando poté finalmente tornare all'home
- si precipitò nella stanza di
Allen. Le ferite che aveva alle gambe continuavano a pulsare, ma poco
le
importava perché sapeva che lui, Allen,
di sicuro era messo peggio. Lui
era fatto così: non poteva tornare da una missione senza
esser quello che
riportava il maggior numero di ferite. Sembrava proprio che lo facesse
apposta.
“Allen-kun...”,
sussurrò, aprendo di poco
la porta della sua stanza, “... Sei sveglio?”
Mise
un piede dentro, notando soddisfatta
che Link, stranamente, non era lì.
“Allen-kun...”
E
allora lo vide dormire. Era nel letto,
con un panno bagnato sulla fronte e le gote leggermente arrossate.
Arricciava
le labbra, di tanto in tanto, e in quei momenti una smorfia di dolore
si
impadroniva del suo volto.
Sembrava
star male.
Gli
sfiorò il petto con una mano, scostando
di poco le coperte, e fu in quel momento che la vide: una lunga
cicatrice
frastagliata correva lungo tutto il busto stretto e muscoloso del
ragazzo.
“Oddio...”
Portò
una mano davanti alla bocca, come ad
impedirsi di urlare, e provò l'impeto di svegliare il
ragazzo davanti a lei.
Voleva spiegazioni. Lei doveva sapere cosa gli
fosse successo.
Si
trattenne dal piangere e dall'urlare;
avrebbe chiesto spiegazioni a suo fratello, aveva deciso. Non avrebbe
pianto
davanti ad Allen, non si sarebbe messa ad imprecare contro la sua mania
da
martire – perché sicuramente quella
cicatrice enorme se l'era procurata
in quel modo.
“Allen-kun...”
Si
inginocchiò a terra, poggiando il capo
sul petto del ragazzo. E attese.
Sentiva
il cuore battere.
Piano.
Lentamente.
E
poi sempre più forte.
Il
respiro di Allen si fece pesante,
ritmico.
Lo
vide stringere la presa sulle coperte,
volgere il capo all'indietro e contrarre il volto in una smorfia di
dolore. Il
rossore sulle gote si accentuò, e una goccia di sudore cadde
dalla fronte del
ragazzo.
Restò
ad osservarlo, il capo ancora
poggiato sul suo petto e il viso volto verso quello del compagno.
Lo
vide schiudere appena le labbra,
mormorare qualcosa. “... Ma... na?”
E
anche in quel momento, si sentì assurda.
Lei,
lì, era sbagliata.
Per
un attimo aveva sperato, e così si era
nuovamente illusa.
In
cosa sperava, poi, Lenalee?
Lo
conosceva da un anno circa. E un anno
non può cambiare quella che per lui era stata una vita. Una
vita che gli aveva
dato molto e che altrettanto gli aveva tolto; una vita che l'aveva
messo a dura
prova; una vita che non l'aveva mai pienamente soddisfatto.
Allen
viveva per suo padre, un padre
adottivo defunto da anni. Mana per lui era tutto: era una figura da
seguire, da
imitare, era una promessa e una maschera dietro alla quale celare il
volto.
E
lei, lì, era semplicemente sbagliata.
Sorrise,
stanca.
“Che
stupida...”
Rimase
a fissare Allen per un lungo minuto,
lo sguardo spento.
Chiuse
gli occhi per un attimo e, come lo
sentì respirare, si rese conto che non poteva rimanere
lì. Doveva andare via.
Non doveva farsi trovare in quel posto.
Allen
sospirò ancora, e in quel momento le
gambe di Lenalee decisero di non voler lasciare quella stanza.
S'accomodò
sul letto accanto a quello del
compagno e attese.
Sapeva
che era il letto dell'ispettore
Link, ma poco le importava.
Voleva
solo stare lì. Voleva solo osservare
Allen.
Sorrise
ancora, fra sé, portando una mano
alla bocca e lasciando sprofondare il capo nel cuscino.
Sì,
si disse, lei era decisamente assurda.