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Autore: edoardo811    19/08/2017    0 recensioni
Quello che sembrava un tranquillo viaggio di ritorno alla propria terra natale si trasformerà in un autentico inferno per i Titans e i loro nuovi acquisti.
Dopo la distruzione del Parco Marktar scopriranno ben presto che non a tutti le loro scorribande nello spazio sono andate giù.
Tra sorprese belle e brutte, litigi, soggiorni poco gradevoli su pianeti per loro inospitali e l’entrata in scena di un nuovo terribile nemico e la sua armata di sgherri, scopriranno presto che tutti i problemi incontrati precedentemente non sono altro che la punta dell’iceberg in un oceano di criminalità e violenza.
Caldamente consigliata la lettura di Hearts of Stars prima di questa.
[RobStar/RedFire/RaeTerra] YURI
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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The Good Left Undone

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IL TEMPIO

 

Corvina era seduta in camera sua, sul bordo del letto, e fissava il muro bianco talmente assorta nei propri pensieri che sembrava stesse osservando la cosa più interessante di quell’universo.

La Salvatrice. Lei era La Salvatrice. Un nominativo che per diversi giorni l’aveva lasciata con un enorme punto interrogativo in testa e che solamente dopo diverso tempo aveva avuto chiarimenti. Perfino in quel momento, immersa nella comodità della propria stanza, sul letto a baldacchino, circondata da mobilio antico e pregiato quali cassettiere e armadi, continuava a ripensare a quel giorno, quel giorno in cui Canoo le aveva raccontato tutto quanto.

 

***

 

«Vieni con me, te ne prego» la invitò lo sciamano, con tono gentile, ma che mostrava evidenti tracce di imperiosità. Canoo era probabilmente la persona con cui aveva trascorso più tempo, negli ultimi giorni, anche più dello stesso Alpheus. Il re, infatti, era pur sempre il sovrano di quel luogo e aveva le proprie mansioni da svolgere.

Lo sciamano era andata a prelevarla direttamente in camera sua, domandandole di seguirlo. Fino a qualche momento prima, la ragazza era rimasta in preda a pensieri e preoccupazioni, si stava letteralmente distruggendo per capire cosa significasse essere La Salvatrice, perché proprio lei e, soprattutto, quando sarebbe riuscita a parlare in santa pace con i suoi amici, o dare un semplice bacio a Terra...

 Era fuggita dal palazzo diverse volte, con i propri poteri, ma nel villaggio non poteva girare inosservata che i fongoid si accalcavano su di lei, parlando e domandando frasi e raffica, impedendole di concepire il più semplice dei pensieri. Canoo e Alpheus, intuendo che non potevano permetterle di fuggire ancora a lungo, avevano deciso di scoprire le loro carte. Lo sciamano, infatti, mentre uscivano dal palazzo le disse che stava proprio per illustrarle il perché lei fosse La Salvatrice.

La prima cosa che Corvina domandò, fu quella di ricevere dei vestiti un po’ più... non sapeva nemmeno lei come dire, un po’ più consoni al suo stile alquanto riservato, visto che andava in giro praticamente seminuda. Indossava un semplice reggipetto nero, le cui coppe erano agganciate tra loro da un anellino color oro, un semplice paio di quelli che avevano tutta l’aria di essere dei cortissimi slip, sempre di colore nero, coperti davanti e dietro tuttavia da due drappi del medesimo colore appesi ad una cinta. Le sembrava di essere una cavernicola, conciata in quel modo. Quando aveva domandato il perché di quegli indumenti, le avevano semplicemente risposto: "Perché così è sulla parete".

Ora, di qualsiasi parete stessero parlando, Corvina dubitava che fosse una di quelle bianche immacolate del castello. Come se non bastasse, tutte le mattine alcune fongoid, cameriere di Alpheus, le rifacevano il trucco. Ma non era semplice trucco, no, le pitturavano letteralmente la faccia. E la cosa la infastidiva e non poco. La dipingevano di stranissimi simboli, tutti di colori diversi, sembravano le lettere di uno strano alfabeto. Alcuni simboli sembravano delle onde, sia per il modo in cui erano disegnati sia per via del loro colore azzurro, altri sembravano più dei raggi di sole, per via del colore giallo, rosso o arancione. In ogni caso, Corvina si sentiva letteralmente umiliata da simili cose, nonché spaventata. Le ricordavano molto i simboli che le erano apparsi poco prima dell’ascesa di Trigon, anche se questi erano molto meno minacciosi e, da ciò che i fongoid avevano detto, erano atti a scacciare la malasorte, perciò non doveva preoccuparsene. Ed oltretutto, erano "come quelli della parete".

Corvina sospirò. Le sembrava di essere finita in un mondo nel quale lei era una totale estranea. Ah, no, era successo per davvero. Peggio ancora.

Si ritrovarono nel cortile, sotto la luce del sole accecante. Socchiuse gli occhi infastidita, mentre la calda temperatura avvolgeva il suo corpo seminudo come un caldo abbraccio che le infuse un dolce tepore. Il suo sguardo cadde subito sulla postazione per i falò in mezzo al porfido bianco. Fino a quel momento non ci aveva pensato, ma realizzò che era proprio per causa sua che erano giunti fino a lì. Se solo non avessero seguito la nube lasciata da quel fuoco...

Si voltò verso Canoo, perplessa. «Posso domandarti, almeno, perché accendete i falò qui davanti al palazzo?»

«Mh? Oh, sì. Quelli servono per i sacrifici» replicò lui in tutta tranquillità cominciando a camminare usando il proprio scettro per appoggiarsi.

«Cosa? Sacrifici?» Corvina fu costretta a seguirlo, se voleva saperne di più. Il fongoid non era certo un ragazzo, ma procedeva a passo davvero spedito. «Che significa che è per i sacrifici?»

«Capirai» replicò l’alieno senza nemmeno voltarsi.

Corvina ringhiò sommessamente. "Capirai". "Ogni cosa ha suo tempo". "Non ora". Quelle ormai erano le parole che aveva cominciato ad odiare con ogni fibra del suo essere. Ogni volta che poneva una domanda, che fosse a Canoo, ad Alpheus, o a qualsiasi fongoid incontrasse, riceveva per risposta una di quelle tre alternative. Era frustrante.

Scoprì ben presto che Canoo si stava dirigendo dietro il palazzo. La ragazza si accorse per la prima volta di una piccola stradina acanto all’edificio, che conduceva ad una rampa di scale esattamente affacciata sul retro della struttura. «Dove stiamo andando?» domandò perplessa.

«Lo vedrai» dissero insieme. Il fongoid si voltò sorpreso verso di lei e la ragazza scrollò le spalle. «Ormai le vostre risposte le conosco a memoria.»

L’alieno la guardò perplesso per un momento, poi ridacchio sommessamente. «Sei una ragazza molto in gamba. Sì, non mi sorprende affatto che tu sia La Salvatrice.»

Corvina ricacciò in gola le domande a riguardo che automaticamente stavano sorgendo e si concentrò solamente a seguire l’alieno. Raggiunsero le scale dietro il palazzo, le salirono e giunsero in una piazzola ricoperta da erba verde e corta. Si ritrovarono di fronte ad un altro edificio, da sempre sfuggito alla vista della maga. O più che altro, ne vide la facciata, visto che poco oltre ad esso si trovava un’alta parete rocciosa. Sembrava il dorso di una montagna. L’edificio doveva essere stato scavato nella roccia, sembrava molto antico ed emanava un bizzarro alone di mistero e potere che non fu difficile da cogliere per la maga.

«Questo è il tempio del villaggio» spiegò Canoo, guardandolo quasi con aria compiaciuta. «Al suo interno otterrai tutte le spiegazioni che chiedi. Coraggio, seguimi.» Il fongoid avanzò e alla ragazza non toccò altro che andargli dietro.

L’ingresso era costituito da una porta di cemento, situata sulla facciata. Corvina osservò i dettagli di quella costruzione, notò che era davvero un bell’edificio, dal punto di vista architettonico. Sembrava antico, molto antico, lo stile artistico le ricordava molto il gotico, con tutte quelle corte guglie che spiccavano davanti alla parete rocciosa. Canoo si fermò sull’ingresso. La porta era sigillata, sembrava anche solo impossibile pensare di poterla aprire in qualche modo. Eppure, allo sciamano bastò appoggiarci contro la pietra dello scettro, essa si illuminò di azzurro e dopo uno scossone che fece tremare la terra l’ingresso si aprì, scorrendo verso l’alto.

Corvina osservò la scena a bocca aperta. Magia. Quella era senz’altro magia. Quello scettro non era un semplice bastone da passeggio.

«Questo tempio è stato costruito da un’antica razza ormai quasi estinta. Esiste su questo pianeta da eoni, da molto tempo prima l’arrivo di noi fongoid» spiegò Canoo. «I suoi ideatori si chiamavano Zoni. Sono loro, le creature che veneriamo. Loro sono i nostri dei. Coraggio, Salvatrice, vieni.»

Il fongoid avanzò e la maga lo seguì, sempre più sorpresa e ammirata. Giunsero nel corridoio d’ingresso. Era buio, freddo e odorava di chiuso. Si insinuarono al suo interno e pochi metri dopo la porta, questa si richiuse da sola. Corvina trasalì, poi dopo un altro scossone il buio invase il corridoio. Per un momento l’unico rumore che si sentì fu quello del respiro della ragazza, poi Canoo batté lo scettro a terra e diverse decine di torce appese alle pareti si accesero, illuminando la zona di una flebile luce arancione. La maga riuscì a sentire su ogni centimetro della propria pelle la magia che lo sciamano emanò dal proprio strumento per compiere tale gesto. Forse capì perché i suoi poteri non avevano funzionato e non era riuscita a percepire la presenza dei fongoid, il giorno del suo arrivo in quel villaggio; in qualche modo, gli alieni avevano mascherato la loro presenza, forse quelle gemme che portavano al collo emanavano una sorta di barriera magica che contrastava i suoi poteri. Realizzò poi che le pareti, il soffitto e il pavimento erano di roccia completamente levigata, senza alcuna imperfezione. La sua teoria era azzeccata, quel luogo era scavato nella parete di quella montagna. E di certo non con metodi naturali. Chiunque fossero stati questi Zoni, erano molto più avanzati dei fongoid.

Camminarono per quelle che a Corvina parvero delle eternità. Canoo procedeva in rigoroso silenzio, il rumore del suo bastone che picchiettava il terreno mentre ve lo appoggiava era l’unica cosa che non lasciava cadere l’atmosfera nell’oblio. E poi, finalmente, giunsero al termine del corridoio, in un enorme sala, illuminata da altre torce e ricoperta da affreschi. Al fondo della sala, esattamente davanti a loro, si trovava una corta scalinata con in cima un altare, sempre scavato nella roccia, ornato da archi di volta, al cui centro spiccava un piccolo cubo di pietra, sembrava un piedistallo.

«È ora di raccontarti come stanno le cose» proclamò Canoo, avanzando verso l’altare.

Lo disse quasi con tono triste, spento. L’eco che si generò rese molto più nitida la malinconia emanata dalla sua voce. Corvina, osservando quell’ambiente così antico, così potente, così misterioso, osservando tutti quegli affreschi molto simili a disegni primitivi e raffiguranti scene che la inquietavano e non poco, come incendi, genocidi, tempeste, Basilischi Leviathan che aggredivano la popolazione, e notando il tono demoralizzato dello sciamano, realizzò che forse non voleva più essere a conoscenza della realtà. Ma ormai era tardi per i ripensamenti.

«Meglio cominciare dal principio.» Canoo salì sulle scale e giunse all’altare, dinnanzi al piedistallo cubico. «In questo tempio, anni or sono, era custodito un reperto sacro. I primi fongoid giunti su questo pianeta ritennero che fosse un cimelio appartenuto proprio agli Zoni, che per l’appunto sono stati i primi coloni di Quantus. Forse era stata costruita dal capo supremo degli Zoni in persona, il sommo Orvus. La chiamavano "La Reliquia".»

Corvina sgranò gli occhi. La Reliquia. Ebbe un flashback. La scena in cui Galvor accusava lei e i suoi amici, paragonandoli a dei predoni che in passato... avevano rubato proprio quel reperto. Schiuse le labbra sorpresa, cercò di parlare, ma Canoo la anticipò.

«Un oggetto dotato di potere immenso. Uno degli strumenti forse più potenti dell’universo. Non sappiamo se gli Zoni lo hanno abbandonato qui di proposito, o se se lo sono semplicemente dimenticato, ma grazie a quello strumento Quantus era prospero e fertile. Dava vitalità al pianeta. Era il cuore pulsante, del pianeta. Quando i primi fongoid giunsero su Quantus grazie ad un rudimentale velivolo, trovarono un’enorme distesa di praterie e terreni propizi all’agricoltura e all’allevamento. La vita qui era semplice e meravigliosa. Fu semplice per loro piantarvi radici. Forse non lo sai ancora, ma prima di scoprire Quantus, noi fongoid eravamo una razza nomade, che viaggiava di pianeta in pianeta alla ricerca del posto adatto per loro. Non avevamo una vera casa, molti di noi si erano sparpagliati per tutto l’universo. Eravamo separati e, molto probabilmente, prossimi all’estinzione. Ma grazie a questo pianeta le cose sono cambiate e anche noi abbiamo trovato il posto giusto per vivere. Dopo diversi secoli, la nostra popolazione vantava di centinaia di milioni di abitanti. Fino a quando, un giorno, non arrivarono i predoni.

«Un elevato numero di coloro che si definirono brave persone, a bordo di enormi vascelli spaziali. Immagino tu sia già a conoscenza della storia. Giunsero in questo villaggio, che all’epoca era la capitale del pianeta, ingannarono re Alpheus II, fingendo di avere bisogno di aiuto. Entrarono nelle grazie dei fongoid, fino a quando essi non si rivelarono ciò che erano: dei farabutti, degli assassini. Una notte depredarono il villaggio, mieterono centinaia di vittime. I fongoid non sono una popolazione di guerrieri, non lo sono mai stati. Per loro fu semplice sbaragliare le guardie. Rubarono tutto ciò che trovarono di valore, incendiarono i campi, uccisero gli animali... e, ritenendola un oggetto di valore, portarono via la Reliquia.

«Fu il momento più buio di noi fongoid. Accaduto decine di anni fa’, poco prima del decesso di Alpheus II, rimasto impresso nelle nostre menti come un marchio infuocato. Privato del proprio cuore pulsante, il pianeta cominciò a morire. Suppongo abbiate visto com’è diventato Quantus, venendo fino a qui. I campi rigogliosi che un tempo ricoprivano tutta la superficie del pianeta sono svaniti, rimpiazzati da una fitta giungla nella quale è impossibile poter vivere. Poi giunsero coloro che noi definimmo le Bestie, che poi, grazie a dei bestiari, scoprimmo essere i Basilischi Leviathan. Tutt’ora non sappiamo come nacquero, ma accadde. Supponiamo che essi abbiano sempre vissuto su Quantus e che la Reliquia li avesse semplicemente allontanati. E girare in quelle zone divenne ancora più pericoloso. La giungla si infittì, sempre più campi venivano abbandonati, sempre più animali morirono. Una grave carestia colpì Quantus. Giunsero perfino dei soccorsi in nostro aiuto, si chiamavano "Ranger".

«La paura che anche loro fossero impostori era alta, ma le alternative non erano molte. Dei milioni di abitanti che Quantus vantava, tra coloro che morirono e coloro che lo abbandonarono insieme ai Ranger, restarono poche centinaia di migliaia di unità. La situazione, col tempo, non fece altro che peggiorare. E a decine di anni da allora, la giungla ricopre ormai tutto il pianeta, eccetto la radura in cui il nostro villaggio è sorto. I fongoid che vedi tutti i giorni sono i pochi che hanno ancora avuto il coraggio di rimanere, di non abbandonare la propria terra. Per via di un semplice oggetto... guarda cosa è accaduto. Vieni, voglio mostrarti una cosa.»

Canoo smise di parlare e scese dalle scale, dirigendosi verso uno degli affreschi, probabilmente l’unico che Corvina non aveva notato. La maga era rimasta così concentrata su quella storia che aveva dimenticato il mondo intorno a sé. Era sconvolta. Un piccolissimo oggetto come quella Reliquia, aveva garantito prosperità ad un intero pianeta. Senza di esso, era scoppiata un’orribile crisi che aveva messo in ginocchio il popolo di fongoid.

Ma non era quello il punto. Il punto era che, se un oggetto come quello poteva dare prosperità ad un intero pianeta grazie al proprio potere, cosa avrebbe potuto combinare nelle mani sbagliate di un predone? Rabbrividì al solo pensiero.

Giunsero ai piedi dell’affresco. Canoo sorrise di nuovo, quando glielo mostrò. «Osserva bene.»

Corvina obbedì ed ammirò il dipinto. Era inquietante, come gli altri. Una parte, quella alla sua destra, raffigurava una terra bruciata, arida, distrutta, con sdraiati su di essa decine e decine di corpi senza vita. Non sapeva se quei corpi raffigurassero dei fongoid o meno, perché erano senza volti, senza vestiti e senza tratti fisici. Erano... anonimi. Nello sfondo, spiccava una foresta incendiata e un cielo rosso sangue. Poi esaminò la parte sinistra e questa volta sollevò le sopracciglia sorpresa. Il cielo era azzurro, limpido, con perfino raffigurato un arcobaleno. A terra, i prati erano verdi e rigogliosi e tutte quelle persone senza volto erano in piedi, raffigurate in gesti d’esultanza ed ovazione.

E poi, esattamente in centro, c’era un’altra di quelle figure anonime. Era grande praticamente come i due paesaggi, Corvina immaginò che fosse disegnata in prospettiva, per dare l’idea che fosse più vicina allo spettatore. Ma non fu quello a sorprenderla. Fu quando si accorse di com’era fisicamente, che sgranò gli occhi e sentì le gambe tremare.

Era una donna. Era senza volto, senza capelli, con il corpo bianco come quello delle altre figure e ricoperto da strani segni terribilmente famigliari. Ma alla maga fu facile intuire il suo sesso grazie al suo seno nascosto da un reggipetto nero, con un anellino al centro. A coprire il basso ventre aveva un drappo appeso ad una cinta. Anche quei vestiti le infusero un’orribile sensazione di familiarità. E, per finire, ciò che la sconvolse più di ogni altra cosa. La fronte di quella figura, non era completamente bianca. Esattamente al centro di essa... c’era una gemma viola.

Corvina finalmente capì a quale parete si riferivano quando parlavano dei suoi abiti e trucco. Urlò sorpresa, allontanandosi di qualche passo e toccandosi la gemma di Azarath d’istinto. Non era possibile, non poteva essere vero.

La voce dello sciamano si fece risentire, solenne, grave e maledettamente inquietante in quella circostanza: «Quando la crisi cominciò, i fongoid si rifugiarono in questo tempio, per chiedere sostegno agli dei. Videro gli affreschi, videro ciò che era raffigurato in essi e capirono che in qualche modo gli Zoni avevano predetto il futuro. Videro che qualunque razza avrebbe vissuto su Quantus era destinata a scomparire, tra incendi, genocidi e attacchi brutali dei Basilischi Leviathan. Il panico si insinuò nelle viscere di tutti loro, fino a quando non giunsero a questo affresco, raffigurante una donna con una gemma incastonata nel volto, ovata dalla popolazione sottostante.»

Canoo si voltò verso di lei. «La Salvatrice, colei che segna la fine del periodo buio di noi fongoid e ci restituisce le terre fertili. Colei che viene mandata in nostro aiuto dagli Zoni.» Le sorrise. «Sei tu. Il tuo arrivo metterà fine a questo periodo oscuro.»

La maga scosse la testa, negandolo più a sé stessa che allo sciamano. «No, no, non ha alcun senso! Questa storia... ha un sacco di buchi logici! Come facevano gli Zoni a sapere che questo giorno sarebbe arrivato, come hanno fatto a predire il futuro, perché non hanno fatto nulla per impedirlo e si sono semplicemente limitati ad aspettare decine e decine di anni per mandarmi, perché...»

«Tu hai idea del perché il vostro dio terrestre sappia ogni cosa sul vostro pianeta e nonostante abbia il potere per fermare le catastrofi, non lo fa ugualmente?» la interruppe Canoo, con tono gentile.

Corvina si bloccò di colpo, colpita da quelle parole come uno schiaffo. No, non lo sapeva. Non aveva la benché minima idea, del perché Dio, se mai fosse davvero esistito –aveva seri dubbi a riguardo –, non avesse mai fatto nulla per il popolo da lui creato.

Lo sciamano nel frattempo annuì, allargando il sorriso. «Non possiamo sapere le volontà degli dei, né perché facciano o no determinate cose. Le uniche azioni che noi possiamo compiere in risposta è assecondare il loro volere. Se Orvus e gli Zoni hanno predetto il futuro e hanno deciso di farci passare decine di anni nell’oblio per aiutarci, così sia.» Si avvicinò a lei, fissandola con profonda gratitudine. «Il tuo arrivo è stata una manna dal cielo, per la popolazione del villaggio. Noi eravamo gli unici rimasti, circa centomila abitanti, gli unici che avevano ancora avuto il coraggio di sperare che un giorno tu saresti davvero arrivata. Eravamo disperati, quel falò che hai visto, lì bruciavamo ogni mese ciò che più avevamo di valore, per compiacere gli Zoni e farci aiutare da loro in altri modi o accelerare il tuo arrivo. Ma ora non ne abbiamo più alcun bisogno. Tu hai ridato il sorriso alla popolazione, tu hai funto da collante per rimettere insieme ciò che anche tra noi ultimi rimasti si stava sfaldando, grazie a te i bambini hanno ricominciato a ridere, i contadini a lavorare con più impegno e con buonumore la terra. Tu... ci hai ridato la speranza. Senza di te, nel giro di un anno circa Quantus sarebbe divenuto disabitato e i fongoid non avrebbero più avuto un posto da chiamare Casa. Saremmo tornati ad essere nomadi e vagabondi e presto o tardi ci saremmo estinti. Le nostre conoscenze magiche e mediche sarebbero andate perdute per sempre. Ma ora, tu ci aiuterai ad uscire da questo periodo buio. Tu sei stata mandata dagli Zoni.» Canoo si inginocchiò davanti a lei, con aria umile. «Tu sei La Salvatrice.»

«Ma... ma... cosa dovrei fare?» domandò Corvina, sempre più spaesata. Non le sembrava più di avere la testa sulle proprie spalle, talmente era intontita da tutte quelle informazioni.

Canoo sospirò e si rimise in piedi. «Questo non ci è dato saperlo, purtroppo. Non ci sono affreschi a riguardo. Ma non preoccuparti, io e Alpheus ci penseremo personalmente. Scaveremo tra i reperti storici lasciati da Zoni e i nostri antenati fongoid e scopriremo la verità. L’unica cosa che ti domando di fare, è restare qui su Quantus. Nel palazzo. Te ne prego. So molto bene che non è un’idea che ti alletta, ma devo comunque chiedertelo. Ne va della nostra comunità.»

Corvina guardò la maga pensierosa. Tutto quello ancora non le sembrava reale. Erano lontani anni luce dalla Terra, eppure quella raffigurata nell’affresco era la gemma di Azarath, non c’erano dubbi. E poi, finalmente, capì. Azarath era ovunque e in nessun posto. Era un universo parallelo al loro. Situato nell’orbita terrestre, vero, ma pur sempre un altro universo. Un portale per andarvi si poteva aprire ovunque, letteralmente, bastava possedere le giuste competenze e strumenti magici. Era molto improbabile che fosse davvero un’ azarathiana quella raffigurata nella parete... ma non era impossibile.

Ma anche se così non fosse stato, anche se Corvina non fosse stata davvero La Salvatrice, non poteva rifiutare. Canoo la stava letteralmente implorando e la sua presenza, quantomeno, aveva ridato la speranza e la felicità ai fongoid, che stando alle parole dello sciamano era prossimi a spezzarsi definitivamente. La sua presenza fungeva da collante per la popolazione, era motivo di felicità, di vita. Non poteva andarsene. Non prima di scoprire quale fosse il suo ruolo in tutto ciò, ammesso che lei fosse davvero ciò che i fongoid credevano che fosse.

Sorrise. Per la prima volta, fu proprio lei a decidere di aiutare qualcuno a nome di tutti i suoi amici, all’insaputa di Robin. C’era la razza di un intero pianeta, in gioco. Non dovevano combattere contro un supercriminale, ma di certo tutto quello non sarebbe stata una passeggiata. «Resterò» decise infine, guadagnandosi un sorriso sinceramente riconoscente da parte di Canoo. «E aiuterò te e Alpheus a scoprire qual è il mio ruolo. Salverò i fongoid. Te lo prometto.»

 

***

 

La maga sospirò esausta e si abbandonò sul materasso. Per scoprire cosa dovesse fare in quanto Salvatrice, lei e Canoo avevano girato biblioteche, letto libri, almanacchi, testi antichi, ogni cosa. E non avevano trovato niente di niente. Per il ventesimo giorno di fila. Anche se erano ancora ben lungi dal terminare il loro lavoro. La biblioteca reale era enorme, conteneva centinaia di migliaia di volumi, loro probabilmente non ne avevano esaminato nemmeno un decimo. L’unica cosa che Canoo era sicuro che Corvina dovesse fare, era continuare a vestirsi in quel modo e a farsi rifare il trucco, per rispecchiare La Salvatrice raffigurata nell’affresco. La maga dubitava che tale ragionamento fosse sensato, ma aveva comunque preferito obbedire. Anche se si vergognava davvero un sacco davanti ai suoi amici, conciata in quel modo. Per non parlare della faccia che aveva fatto Terra quando l’aveva vista la prima volta.

Terra. Già. Con tutti gli avvenimenti, la disperata ricerca su cosa La Salvatrice dovesse fare, con tutti i pensieri che Corvina aveva in testa, la sua dolce metà aveva cominciato a ricoprire un ruolo quasi marginale. Si vedevano a stento, si parlavano a stento, non avevano trascorso neanche cinque minuti da sole, nell’ultimo mese. Si erano divise. Nonostante tutte le promesse che si erano fatte, erano divise. Quanto avrebbe voluto Corvina raccontare a Terra cosa stesse succedendo, non perché sperava in aiuto da parte sua, ma semplicemente per liberarsi di quel flagello con qualcuno di cui potersi fidare. Era stanca di tenersi quel problema tutto per sé, voleva condividerlo con qualcuno che poi avrebbe potuto consolarla, come Terra. Le mancava. Ma purtroppo il tempo per lei non c’era. Non c’era di giorno, perché doveva impegnarsi nella sua ricerca, e non c’era di notte, perché doveva riposarsi proprio per le ricerche del giorno.

La situazione era molto più critica di quello che sembrava. I prodotti provenienti dai raccolti stavano diminuendo, malgrado le piante dei campi sembrassero sempre rigogliose. Molti animali si stavano ammalando, infatti quasi tutti i prati dedicati ai pascoli erano deserti. E il numero di Basilischi Leviathan nella giungla aumentava. Fino a quel momento, le creature aliene avevano girato alla larga dal villaggio, ma per quanto tempo ancora lo avrebbero fatto, prima di allearsi e andare a fare mattanza di fongoid? Corvina dubitava molto delle parole di Stella a riguardo, che i Basilischi non avevano cattive intenzioni. Erano animali pericolosi, imprevedibili e molto forti. I Titans potevano respingerne uno, due, tre con molta fortuna, ma un esercito? Escluso. 

Sospirò e si alzò dal letto, dirigendosi davanti alla specchiera della camera. Osservò il suo riflesso e si stupì davvero molto dell’aria così stralunata che aveva. I capelli erano scompigliati e leggermente più lunghi di quando ancora era sulla Terra, la parte davanti del carré le sfiorava le spalle. Aveva le occhiaie, il trucco era sbiadito, lasciando degli aloni colorati sul volto che la facevano sembrare quasi più un clown, che una ragazza mandata dagli dei per salvare i fongoid. Dei che, tra l’altro, ancora non aveva avuto modo di scoprirne l’aspetto. Chissà com’erano fatti questi Zoni. Da come venivano descritti sembravano creature davvero mitiche e leggendarie. Così mitiche e leggendarie che l’avevano ficcata in un casino più grosso di tutta Jump City.

Spostò lo sguardo verso la finestra e decise di uscire sul balcone, a prendere una boccata d’aria fresca. La sera si stava avvicinando e lei e Canoo avevano da poco sospeso le loro ricerche, per poi rimandarle al giorno dopo. Uscì all’aria aperta e la inspirò a pieni polmoni. Era pulita, fresca, non sembrava per niente appartenere ad un mondo che stava morendo. Così come il paesaggio sotto di lei. Com’era possibile che simili distese di verde fossero prossime a seccarsi e a venire rimpiazzate da quella fitta giungla che ormai divorava l’intero pianeta?

Ripensò alla Reliquia. Un oggetto di potere di cui nemmeno conosceva l’aspetto, creato dagli Zoni e in grado di donare la vita ad un pianeta che altrimenti sarebbe estinto da eoni. Chissà, magari quello strumento avrebbe potuto fare lo stesso con la Terra, rimetterla in sesto prima che le sue risorse di esaurissero o l’uomo stesso la distruggesse.

Un’altra cosa a cui ripensò automaticamente fu il predone che si era impadronito di quell’oggetto. Sapeva di avere un potere così immenso fra le mani? Aveva domandato a Canoo se sapeva chi fosse quel predone, se ne conosceva l’identità, ma il fongoid non ne aveva idea. Dubitavano che l’identità che aveva detto di avere fosse reale. Corvina aveva pensato che recuperare la Reliquia fosse la soluzione migliore, magari era per quello che lei era La Salvatrice. Doveva recuperare la Reliquia dai predoni. Il problema era che il furto era avvenuto decine di anni prima, forse quel predone di cui neanche conoscevano l’identità era perfino morto in quell’arco di tempo. E l’universo era enorme. Era un’impresa impossibile dal principio. L’unica cosa che potevano fare, era continuare a scavare nella storia e nella cultura di Zoni e fongoid.

Sperando di trovare presto una soluzione.

 

   
 
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