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Autore: Alison92    19/08/2017    0 recensioni
Susan Winter, ventitreenne dal travagliato passato e da un presente senza attrattive, viene lasciata in tronco dal suo fidanzato Henry. Senza più un lavoro, rimasta sola nella sua grande città e priva di uno scopo per il quale andare avanti, Susan comprende che per lei è arrivato il tempo di ricominciare.
Non crede più nell'amore, non confida che qualcuno possa cambiare la sua situazione, ripartire da sé stessa è l'unico modo che ha per riprendere in mano la sua vita che l'ha trascinata lontano da qualsiasi gioia.
In biblioteca: è qui che Susan intravede la sua opportunità, fra gli scaffali polverosi e nei volumi che fin da piccola aveva adorato.
Fra lettere mai inviate, opportunità sfumate e vecchi sentimenti che non hanno mai abbandonato il suo cuore, Susan incontra le uniche due ancore di salvezza che possono condurla alla felicità: l'amore e la speranza.
"Lettere a uno sconosciuto", quella che reputa una curiosa trovata della biblioteca cittadina per attirare nuovi visitatori, le concede l'opportunità di cambiare vita, di far pace con se stessa e di scoprire che l'amore non è solo una fievole fiamma destinata a spegnersi.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Susan aveva sempre odiato l’inverno. Odiava il freddo, il gelo che s’insediava dentro di lei provocandole atroci mal di testa. Tuttavia, quell’anno il clima sembrava insolitamente mite. Non tirò subito fuori le sue mille sciarpe e le poche giacche logore che aveva. Magari, con i soldi guadagnati al ristorante, avrebbe finalmente potuto acquistare una giacca nuova. Magari. No, quei soldi andavano messi da parte e risparmiati per il futuro. Susan ci pensò per la prima volta, al futuro. Vedeva davanti a sé delle possibilità, un giorno avrebbe voluto scoprire se poteva concludere qualcosa di buono da quelle.
Aveva “spedito” la sua lettera e adesso trepidante ne aspettava la risposta. Riguardo alla ragazza, non aveva trovato nulla dentro la sua busta per ricevere, quindi non si era data troppi pensieri riguardo a lei.
Susan decise di passare la mattinata seguendo il primo consiglio ricevuto dallo sconosciuto. Poteva essere cambiata tanto la sua città in qualche mese? Il mondo non l’aveva di certo aspettata, toccava a lei stare al passo con la crescente comunità. Poco male, almeno avrebbe potuto esplorare posti diversi, vedere volti nuovi.
La sua voglia di esplorare ancora la città non fu esaudita, si ritrovò davanti alla sua vecchia scuola di musica. Osservò il palazzo annoso, la porta principale sbarrata e le finestre ermeticamente chiuse. Nella sua testa però, quel luogo era accogliente e ospitale, la grande porta in legno era levigata, si potevano vedere le tendine celesti alle finestre e i vetri sui quali non un solo granello di polvere era presente. Il tempo aveva ridotto male la sua scuola. Percorse i pochi passi che la separavano dall’entrata. Nonostante le assi di legno che bloccavano la porta, c’era uno spiraglio abbastanza spazioso affinché lei potesse passare. Se solo si fosse infilata…
“No Susan, tu avevi lasciato andare questo capitolo. Vai via”. La sua mente le sussurrava di voltarsi e lasciar perdere, ma allo stesso tempo la pregava di entrare nell’edificio abbandonato alla corrosione degli anni. La sua volontà di entrare ebbe la meglio, si assicurò che nessuno la stesse guardando, poi s’intrufolò nella villa, sgusciando fra le assi che erano state palesemente forzate. Ebbe un sussulto quando scorse quel luogo nel quale non entrava da oltre dieci anni. Ragnatele e polvere avevano stabilito lì il loro dominio, poca luce fioca proveniva dalle fessure delle finestre.  
-Mio Dio.
I mobili erano stati tutti pressoché portati via, restava solo il tendaggio pesante, qualche tappeto polveroso e il mobilio più economico. L’entrata della casa era uno spazioso corridoio, che conduceva nelle varie aule e nello studio del maestro. Il maestro, che aveva seguito Susan nel corso dei suoi 3 anni di pianoforte, era una delle migliori pianiste della città, forse la più competente.     
Giselle Choran era la sua insegnante, l’aveva guidata in quegli anni, le aveva fatto amare quel portentoso strumento e le aveva donato un sogno: diventare una musicista. Inutile dire che tutto finì quando Susan lasciò la scuola di musica. Giselle era morta due anni dopo, a causa di un infarto che aveva stroncato la sua vita dedita alla musica. La scuola era stata chiusa subito dopo, le figlie non si sentivano di continuare il laborioso lavoro della madre e dei maestri che insegnavano con lei in quell’edificio.
Se l’abbandono aveva annientato la scuola, i suoi ricordi ne conservavano gelosamente il ricordo. L’odore degli spartiti e della cannella aleggiava nell’edificio, spesso la maestra offriva ai suoi allievi delle caramelle ai frutti di bosco e per Susan ricevere uno di quei confetti rossi, era sempre un motivo di gioia. Ora era tutto cessato, l’anima di quel luogo era viva solo nei suoi reconditi ricordi. Se richiamava attentamente quegli anni, poteva addirittura sentire le melodie vagare fra le pareti.
Quelle note che la allietavano tanto, poteva ricordarle tutte, poteva udire un pianoforte suonare…ma era troppo reale per essere custodito nella sua testa. Una melodia giungeva da una delle aule, Susan riconobbe subito “Al Chiaro Di Luna” di Beethoven. Per un attimo ebbe timore, chi poteva suonare in un luogo abbandonato? Tentennante si lasciò guidare dal suono, che la condusse in una stanza la cui porta era semiaperta e lasciava intravedere una ragazza seduta al pianoforte, con le abili dita che pigiavano sui tasti. La ragazza si accorse subito del rumore dei passi di Susan e spezzò la magia rievocatrice che si era creata in quel luogo smettendo di suonare. Quando si voltò, Susan riconobbe subito quella ragazza. Aveva i capelli neri che le ricadevano in morbidi boccoli sulle spalle, gli occhi castani lucidi e il volto leggermente abbronzato.
Angelica Choran Mason era talmente simile alla madre, che per un’istante Susan credette di fissare un fantasma.
-Io…mi dispiace avevo visto le assi allentante e volevo solo…
Angie le sorrise per farle capire che non era infastidita dalla sua presenza.
-Mi ricordo di te, sei Susan Winter, vero? Eri un’allieva di mia madre.
Susan annuì e Angie si alzò dal pianoforte, mettendosi difronte a lei.
-Questo posto per me conserva talmente tanti ricordi, è stato difficile resistere alla tentazione di non dare un’occhiata.
Angie rise e portò una ciocca scura dietro l’orecchio. Poggiò le mani sui fianchi e osservò il posto, rendendosi conto di quanto era stato stravolto.
-Sono venuta qui per rilevare l’abbandono della scuola. Io e mia sorella pensavamo di metterlo a nuovo, forse di venderlo se serviranno troppi soldi, non lo sappiamo ancora. Mi pento di aver lasciato tutto così, mia madre non sarebbe stata felice di vedere che abbiamo abbandonato i suoi progetti.
“Erano i suoi, non i vostri” pensò Susan, ma non osò ricordare ad Angie che lei e sua sorella non avrebbero potuto eguagliare la madre.
-È un vero peccato, questo posto era incantevole.
Disse Susan scrutando l’alto soffitto. Era in qualche modo ancora incantevole.
-Già, tutta colpa nostra. Non commetterei lo stesso errore, sapendo che fine avrebbe fatto la scuola. Io e Sally pensavamo che senza la mamma non sarebbe più stato lo stesso, noi non potevamo ignorare che con lei questo luogo brillava di un’altra luce.
Susan era d’accordo, non sarebbe mai stato lo stesso.
-Mi fa veramente piacere che tu sia ancora legata alla scuola, mia madre sarebbe stata contenta di vedere dopo tutti questi anni un’allieva ancora devota.
-Sono stati gli anni migliori della mia vita.
Era vero, i suoi più lieti ricordi erano custoditi in quegli anni. La sua innocenza, l’infanzia che l’abbandonava lentamente, la sua rapida crescita.
-Sono stati anche i miei. Avrò avuto diciotto anni, no? Caspita, il tempo passa anche per noi Susan!
Susan sorrise, rendendosi conto di quanto quell’affermazione fosse vera. Lei e Angie vagarono per un po’ fra quelle aule deserte, finché Angie non dovette andare a causa di un impegno di lavoro.
-Vieni qui quando vuoi Susan, gli allievi di mia madre sono sempre i benvenuti.
Senza di lei, Susan risentì tutti i fantasmi di quel luogo. Giselle vagava libera fra quelle stanze, sembrava vivida nel presente. Susan si strofinò il viso con le mani, era tutto irreale. Quando uscì da quel luogo, un flashback improvviso la condusse alla parte migliore di quegli anni, o forse la peggiore, Susan non poteva dirlo. Fuori dalla scuola di musica, lui era lì. Si era accorta della sua presenza in una giornata piovosa, ma sembrava che lui l’avesse già squadrata più volte. Era come un piccolo fantasma, c’era e non c’era. Per Susan, lui era ovunque. Troppi, troppi anni erano passati e la sua figura era talmente confusa, i colori scemati. Eppure, quando uscì dalla scuola di musica, le sembrò di rivederlo lì, con i suoi tredici anni, l’altezza media e una zazzera di capelli chiari.
Susan era ferma sulla soglia della strada, in attesa che i suoi genitori la venissero a prendere alla fine della lezione. Pioveva, ma a Susan la pioggia piaceva. Alzò il viso al cielo, per assaporare le lacrime che le ricadevano sul viso pallido.
-Buongiorno, chi sei?
Susan volse la testa e incontrò lo sguardo nocciola di quel ragazzino che aveva adocchiato mentre usciva.
-Tu chi sei?
Il ragazzino fece un cenno vago con la testa e poi le sorrise.
-Leonard, ma voglio essere chiamato Leo.
-Leo non mi piace, sembra il nome di un cane.
Il ragazzino la guardò imbronciato, mentre Susan ridacchiava per la sua buffa espressione.    
-Io sono Susan.
Leo le porse la mano e lei gliela strinse, osservando il suo smagliante sorriso.
-Vai alla scuola di musica? Io vorrei tanto poterci andare.
-Perché non la frequenti allora?
-Perché non posso.
Leo aveva dodici anni, il suo sguardo era fiero e malinconico al tempo stesso. Era rimasto orfano da poco e tutto ciò che lo allietava era ascoltare le melodie degli strumenti. Era il suo luogo preferito, ci passava giornate intere e Susan si meravigliò di non averlo mai visto prima.
-Vieni qui per ascoltare la musica?
Ripeté meravigliata.
-Si, se solo mia nonna me lo permettesse, rimarrei qui tutto il giorno.
Susan era solo una decenne, aveva i capelli mossi sempre disordinati e spesso portava un libro stretto al petto, in caso non avesse nulla da fare e la noia prendesse il sopravvento. Dopo quel primo incontro con Leo, ogni volta che andava alla scuola di musica sperava di vederlo, di poter parlare con lui. Susan credeva di essersi invaghita di quel ragazzino divertente, cominciava a crescere e a chiedersi cosa fosse l’amore.
Parlò con Leo fuori dalla sua scuola di musica per oltre due anni, poi Leo non venne più. Passarono tre giorni, poi due settimane, qualche mese e infine un anno. Leo non sarebbe più venuto e Susan non comprendeva il motivo. Solo sentendone la mancanza, Susan comprese di tenere a lui. Anni dopo, lei non aveva ancora dimenticato Leo. Si era scoperta ad amarlo, a comprendere che le loro anime erano talmente affini, da non poter provare quella stessa sintonia con nessun’altra persona. Ricordava ancora l’ultima volta che lo aveva visto e si era disperata cercando il suo volto fra quello dei passanti, d’incontrare nuovamente i suoi occhi. Susan non lo rivide più, ma Leo era impresso nella sua mentre e mai avrebbe lasciato il suo cuore. Era stato il suo primo amore, forse anche l’ultimo. Quel ricordo le faceva male. Aveva dimenticato il suono della sua voce, i suoi tratti, aveva persino cominciato a dubitare della sua esistenza. Era talmente perfetto, che Susan pensò fosse stata la sua testa a creare Leo.
“Smettila, era solo un bambino, tu eri solo una bambina”. Susan corse via, al riparo nella sua fredda e solitaria casa.    
  
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