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Autore: Eleonora Bonora    19/08/2017    0 recensioni
Estratto dalla storia
«E' davvero questo il modo in cui vuoi rendere fiero tuo padre?»
«No, tu non capisci: non ho altra scelta.»
«Tu non sei così e lo sai bene.»
«Lui è mio padre, è mio dovere rispettare le sue scelte.»
«Caleb, lui è malato.»
La fissò, guardava i suoi occhi chiari e cercava le cose giuste da dire. Ma scelse la codardia e scappò.
«No, ascoltami: dimentica. Dimentica tutto quello che ti ho detto. Non avresti dovuto sapere nulla.»
Genere: Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Passò all'incirca una settimana da quando Bonnie si rese conto di non potersi affidare alle forze dell'ordine. Tutto era stata una noiosa routine. La bionda si faceva reggere dal letto malandato, due volte al giorno le veniva portato un modesto pasto, Adam di tanto in tanto faceva irruzione nel suo piccolo angolo di solitudine e la provocava cercando motivazione per lanciarle qualche minaccia di morte. Nonostante ormai sapesse elencare a memoria ogni sua frecciatina, continuava a provare timore per le azioni di quell'uomo. Le sue convinzioni sul fatto che non l'avrebbe uccisa con tanta facilità, rimanevano salde, ma niente vietava che Adam potesse farle del male. Non sapeva più cosa aspettarsi da tanta insensibilità. Caleb era venuto un paio di volte ad avvisare Bonnie di stare zitta e evitare di rispondere a suo padre per prevenire un secondo cadavere sul pavimento di quella stanza. Ma lei non gli credeva. Il cigolio della porta in metallo fece rabbrividire la ragazza seduta sul letto, che ormai era diventata la sua seconda casa. Quell'ammasso di vergogna umana avanzò verso Bonnie con un sorriso soddisfatto sul viso. Che cosa voleva adesso da lei? Quando, la sera prima, era venuto per darle una gentile buonanotte, si era trattenuta dal rispondergli malamente, perciò, perché avere quello sguardo da "ti farò soffrire quanto tu hai fatto soffrire me"? «Buongiorno tesoro.» la sua voce riecheggiò all'interno della stanza. L'unica cosa che ottenne come risposta, fu una smorfia irritata da parte della ragazza, che non aveva alcuna intenzione di dimostrargli quanto in realtà, dentro di sé, avesse paura di ciò che sarebbe successo. «Non sei contenta? Oggi potrai uscire di qui.» finse una gentilezza che a Bonnie parve inquietante. Per un attimo il suo corpo si riempì di calore, speranza. L'avrebbero finalmente lasciata libera? Questi pensieri le occuparono la mente per poco. Perché avrebbero dovuto lasciarla andare se ancora non le avevano fatto niente? Insomma, qualcosa avrebbero pur dovuto farle: tante minacce, tanto mistero. Dovevano avere un fine. «Cosa vuoi dire?» domandò non degnandolo di uno sguardo, semplicemente perché i suoi occhi avrebbero tradito la sua corazza dura. «Non sei curiosa di sapere cosa ci fai qui?» «Dovrei?» si ritrovò a chiedere. «Certo che dovresti, anche perché curiosa o meno, il tuo compito dovrai svolgerlo ugualmente.» rispose incupendosi. Si alzò dal letto rassegnata all'idea di poter evitare ulteriori minacce o imposizioni da parte di Adam. «Ma prima dovrai farti una doccia, non hai un'odore molto piacevole.» impose prima che Bonnie potesse raggiungere la porta. «Oh, scusa se non ho usato la doccia che c'è nell'immenso bagno. Davvero, proprio non ci ho pensato.» fu la sua risposta. «Bastava chiedere tesoro.» Il fatto che lui la chiamasse "tesoro" la irritava parecchio: conosceva il suo nome, quindi perché non usarlo? La condusse al di là della stanza che ormai conosceva fin troppo. Ebbe modo di vedere un locale, come già aveva ipotizzato. I muri erano scuri e riflettevano le luci. Dal soffitto scendevano dei tubi in metallo che andavano a toccare dei cilindri rialzati rispetto al pavimento. A prima vista sembravano essere una decina. Sulla destra, c'era un bancone, il classico dove vendevano alcolici, anche ai ragazzini che ancora non avevano raggiunto l'età adatta per bere. Sulla sinistra, invece, una tenda argentata fungeva da ingresso, non dava però modo di vedere luce illuminare la stanza, per questo motivo Bonnie pensò che ci fosse una seconda entrata. Il locale era vuoto, questo perché era solo mattina e questo tipo di locali, era aperto esclusivamente la sera. La bionda venne condotta verso una porta beige, molto simile a quelle interne di casa sua, salì un'infinita rampa di scale per poi ritrovarsi davanti ad una seconda porta, questa volta però simile a quelle delle entrate degli alloggi di qualche condominio. Entrando, scoprì che le sue supposizioni erano corrette, infatti si ritrovò all'interno di un alloggio non troppo grande. «Le altre hanno un bagno più grande, ma tu sei arrivata tardi e per te è rimasta solo quella stanza.» spiegò l'uomo con falso rimorso. La fece dirigere verso una porta bianca semiaperta che dava modo di vedere un bagno. «Sbrigati e, quando hai finito, mettiti questi.» disse porgendole dei vestiti ripiegati, presi dallo scaffale in mogano alla sinistra dell'entrata del bagno. Non perse tempo ad esaminare che tipo di vestiti avrebbe dovuto indossare: di sicuro non le sarebbero piaciuti. Chiuse la porta, a chiave, per essere sicura che nessuno sarebbe entrato. Nel momento in cui l'acqua toccò la sua pelle, sentì i muscoli rilassarsi. Il soffione della doccia faceva sì che il getto la colpisse violentemente, ma a lei piaceva così. I lunghi capelli biondi, ormai completamente bagnati, le solleticavano la schiena. La doccia era veramente grande, questo era un aspetto positivo in quella situazione così innaturale. Una volta uscita, si prese del tempo per osservarsi allo specchio. In realtà non notava molte differenze dall'ultima volta in cui si era specchiata nel modesto bagno di casa sua. Portò lo sguardo sui vestiti consegnatigli da Adam. L'intimo era provocante tanto quanto quello che aveva dovuto indossare fino a mezz'ora prima, sempre in pizzo nero. Il pezzo sopra era collegato a quello sotto da qualche millimetro di pizzo che le ricadeva sui fianchi. I pantaloncini in Jeans, non erano degni di essere definiti tali, poiché decisamente troppo corti per i suoi gusti, mentre la maglietta nera lasciava scoperta la sua pancia piatta. Per quanto riguardava il pezzo sopra, non era male: era la classica maglia da indossare in discoteca, ma i pantaloncini proprio non riuscivano a convincerla. Si asciugò i capelli e, dopo aver raccattato tutte le sue cose, uscì ritrovandosi davanti l'uomo, quasi come se l'avesse aspettata per quei quaranta minuti in cui era rimasta rinchiusa all'interno. «Avevi paura che qualcuno venisse a guardarti?» domandò alludendo al fatto che aveva chiuso a chiave la porta. Non gli rispose. Semplicemente gli passò accanto dirigendosi verso la porta da cui era entrata. Quando raggiunsero nuovamente il locale, precedentemente vuoto, trovarono una ventina di ragazze, vestite quasi allo stesso modo di Bonnie. Alcune erano sedute su un divano, in pelle bianco appoggiato al muro, che prima non aveva notato, mentre altre erano in piedi a parlare fra di loro. Un improvviso silenzio si venne a creare quando notarono l'arrivo di Adam. Alcune fissavano la bionda. Ma era normale: era la nuova arrivata. «Ancora qui? Fate vedere a Bonnie come si fa, scansafatiche.» tuonò sorridendo. Queste subito presero posizione e si diressero verso i cilindri, altre invece salirono su un piccolo palco. Adam, invece, prese Bonnie per il polso e la fece sedere con forza sul divano. «Un "Bonnie, siediti" sarebbe bastato.» si lamentò massaggiandosi il polso. «Troppo tradizionale.» rispose a tono. Passò una buona ora ad osservare quelle ragazze incredibilmente attraenti per qualsiasi uomo le avesse viste. Si muovevano in maniera provocante sotto lo sguardo incontentabile di Adam, che non perdeva occasione di criticare ogni loro singola azione. «Se continuate così mi farete andare in rovina e la cosa nuocerà più a voi che a me.» lo aveva sentito gridare poco prima. L'idea che lei avrebbe dovuto iniziare a far parte di loro, la torturava, la distruggeva. Non voleva, non sarebbe mai dovuto succedere tutto questo. «Vuoi muoverti di più? Sembri un paletto che non si può piegare!» gridò contro una mora. «Non posso!» rispose questa a voce alta, facendo voltare le altre verso di lei «Mi hanno fatta cadere degli uomini ubriachi ieri sera, davanti a te. Mi fa male la caviglia!» «Non me ne frega un cazzo della tua caviglia. Questa è l'unica cosa che devi fare, almeno cerca di esserne capace.» «Ti costa tanto far venire uno dei tuoi medici corrotti per controllarla?» gridò. Bonnie portò lo sguardo sulla caviglia della ragazza. In effetti non era messa benissimo: era evidentemente gonfia. Venne distratta da un forte rumore che la fece sobbalzare. Alzò lo sguardo e vide che la mora si teneva una mano sulla guancia sinistra, mentre Adam aveva un'aria più arrabbiata del solito. Le aveva appena tirato uno schiaffo talmente forte che a Bonnie sembrò di sentire dolore. Lo fissò inorridita, sempre più convinta dell'inumanità di quell'uomo, qualunque persona, che, in quel momento, l'avesse guardata negli occhi, non avrebbe visto altro che un misto di rabbia e terrore impossessarsi di una ragazza che avrebbe preferito non aver alcun tipo di emozione. «Tu non devi guardare me, ma loro!» gridò ancora più forte Adam. Ci mise qualche secondo per capire che si stava rivolgendo a lei. Distolse immediatamente lo sguardo. «E voi, avete intenzione di andare avanti oppure volete continuare a guardare il vuoto?» domandò, mantenendo sempre la voce alta, questa volta rivolgendosi alle altre ragazze. Subito ripresero a fare quello che stavano facendo prima e Bonnie tornò a fissarle. Chissà se erano state portate qui nello stesso modo in cui era arrivata lei. Se anche lei avesse dovuto compiere i movimenti di quelle ragazza, cosa sicuramente certa, le sarebbe risultato difficile, dato che non aveva mai pensato di farlo. A cosa le sarebbe servito? Non aveva bisogno di compiacere uomini malati che si divertivano per soffocare i problemi della loro vita. Dopo un'altra ora, circa, Caleb li raggiunse con gli evidenti segni di una corsa. «Finalmente.» si lamentò Adam. Evidentemente, non era arrivato abbastanza in fretta. «Forza Bonnie cara, ti lascio nelle mani di Caleb. Spero che queste due ore passate ad osservare loro ti siano bastate, perché questa sera ci sei anche tu.» un'altra cosa evidente, era che Adam voleva stare a guardarla mentre si rovinava la vita. Adorava vedere che non avrebbe potuto fare altro che obbedire ai suoi ordini. Il ragazzo le fece segno di alzarsi e di raggiungerlo sul lato destro della stanza. Così fece, camminando molto lentamente. Se c'era una cosa che odiava, era quella di fare cose che non la facevano sentire a suo agio, davanti a perfetti sconosciuti. La faceva sembrare assai imbranata e odiava sentirsi tale. «Ti ha spiegato cosa devi fare?» Scosse la testa. Aveva pensato che osservare sarebbe bastato. In effetti era stato così: non ci andava un genio per capire che quello che avrebbe dovuto fare sarebbe stato convincere un uomo che lei sarebbe stata in grado di soddisfarlo. «Hai visto come fanno loro?» chiese allora. Bonnie annuì insicura. Certo che aveva visto come facevano, ma farlo con altrettanta facilità, non era affatto semplice. «Perché devono farlo anche di pomeriggio? Non possono improvvisare alla sera?» chiese la ragazza per cercare di evitare quell'imbarazzante scena in cui avrebbe cercato di fare i medesimi movimenti di quelle ragazze una miriade di volte più brave di lei. «Potrebbero, ma Adam vuole godersi lo spettacolo privato.» «Sai che spettacolo, le insulta ogni momento.» borbottò. «Vediamo cosa hai imparato.» Caleb sorvolò sull'argomento. «Sì, cos'ho imparato. Facile a dirsi.» mormorò. Il ragazzo fece una risata di rassegnazione. «Glielo avevo detto che era presto.» scosse la testa «Ti faccio vedere io.» Si avvicinò alla ragazza. «Scendi giù in questo modo.» mormorò poggiandole le mani sui fianchi e guidandola nei movimenti molto lenti. Bonnie sobbalzò al suo tocco e il corpo le si riempì di brividi causati dalla troppa vicinanza, ma non lo diede a vedere, per questo Caleb non se ne accorse. «Dovete chiamare un medico.» suggerì ripensando alla mora. Non aveva intenzione di dirlo ad alta voce, ma ormai lo aveva fatto. «E perché dovremmo?» «Per quella ragazza.» la indicò con lo sguardo «Le fa male la caviglia ed è gonfia.» Il ragazzo la osservò, come per esaminarla «Vedremo.» chiuse il discorso. «Okay, ora spingi il bacino leggermente in avanti.» continuò a guidarla «Non troppo velocemente, altrimenti sembrerai una ragazza fatta che cerca disperatamente di catturare l'attenzione di un uomo, invano.» Quasi rise a quell'immagine ridicola che non la rispecchiava per niente. «Risali mantenendo questa posizione.» Obbedì e le spiegò diverse cose che avrebbe dovuto fare. «Queste sono le cose principali: inizia con così.» disse allontanandosi da lei. Non avrebbe mai dovuto farle, non avrebbe mai dovuto essere lì. Non era a suo agio nel costume della persona che volevano diventasse. «Un'ultima cosa, quando un uomo ti si avvicinerà questa sera, dovrete andare nella tua stanza.» l'avvisò. «E ti conviene fare tutto quello che ti chiede, perché mi faccio dire l'efficienza delle mie ragazze e quelle che non accontentano le loro richieste, sono un peso morto, non so se capisci.» continuò a parlare Adam. «Ora preparati per questa sera: ti divertirai parecchio.» In quel momento, Bonnie stava pensando a quanto radicalmente fosse cambiata la sua vita. Ancora non se ne rendeva realmente conto: era successo troppo velocemente. Avrebbe voluto salutare ancora i suoi amici, suo fratello, i suoi genitori. Ma invece niente: era in quella stanza in attesa che Adam venisse a chiamarla per quella serata che loro definivano così divertente. In realtà lei aveva paura: cosa sarebbe successo? Qualche minuto dopo sentì la sua voce farsi forte nella stanza e capì che era arrivato il momento di andare. Sentiva già la musica ad alto volume provenire dal locale. Quando fu posizionata sul lato destro del palco, vicino alla camera in cui sarebbe dovuta andare. Sotto gli ordini di Adam iniziò a fare quello che Caleb le aveva insegnato la mattina. Per ora nessuno sembrava notarla e la cosa le andava più che bene. Ma poi un uomo sulla quarantina puntò lo sguardo su di lei e le si avvicinò. Troppo vicino per i suoi gusti. «Sei nuova.» lo sentiva appena. «Caspita, che perspicacia.» pensò. «Non ti ho mai vista qui.» le sussurrò troppo vicino all'orecchio. Avrebbe voluto scappare ma non poteva: Adam girava sempre intorno a lei per assicurarsi che non scappasse. «Qual è la tua stanza?» chiese con un sorrisino. Senza alcuna via di scampo, Bonnie fu costretta a portarlo all'interno. Quello che successe dopo non le piacque affatto. Quell'uomo, capelli scuri, pelle olivastra, fisico snello e occhi marroni, iniziò a toccarla con violenza, le serrava il polso, le imponeva di rimanere ferma. Ma lei non poteva fare nulla. Il suo istinto la spinse a ribellarsi: cercò di spingere l'uomo via da lei. Non ci riuscì: lui era troppo forte. La teneva bloccata contro il muro della sua stanza, con una mano le teneva stretti i polsi in modo che non potesse spingerlo via. L'altra invece percorreva il suo corpo tremolante a causa della paura. Non seppe più cosa fare, l'uomo la teneva ferma e non avrebbe rinunciato ad ottenere quello che voleva. Decise di chiudere gli occhi per cercare di evitare di vedere il suo sguardo compiaciuto mentre dimostrava la sua vittoria su di lei. Poi, un'idea le balenò nella mente. Era la sua ultima occasione di riuscire a scappare per evitare che la sua anima l'abbandonasse completamente. Alzò la sua esile gamba e portò il ginocchio a sbattere violentemente sul ventre dell'uomo. Questo mollò la presa e Bonnie non perse tempo: si diresse velocemente verso la porta per uscire. Ma non fu abbastanza rapida, perché venne raggiunta e spinta violentemente a terra. Sentì un dolore fortissimo che la immobilizzò per qualche secondo. Le sfiorò la gamba, come allo stesso modo una lacrima sfiorò la sua guancia. E mano a mano che l'uomo andava avanti, le lacrime aumentavano. Una dopo l'altra scendevano bagnandole il viso. Decise che prima tutto sarebbe finito, meglio sarebbe stato. Più avrebbe lottato e peggio si sarebbe sentita. Sarebbe stato tutto meno doloroso, se avesse spento completamente la testa: come galleggiare in mare aperto ormai vicini alla morte, quando si decide di mollare poichè si è senza speranza. Quando ne ebbe abbastanza, uscì lasciandola da sola. Fissava il vuoto. Portò lo sguardo sul polso dolorante e, per quanto fioca fosse la luce in quella stanza, individuò dei segni causati dalle prese troppo potenti di quell'uomo. In quel momento non riusciva a sentire nulla, nessuna emozione. Era semplicemente vuota. Non si preoccupò di rivestirsi, si mise in un angolino della stanza, con le ginocchia strette al petto. Le passarono davanti un'infinita quantità di immagini della sua vita. Una dopo l'altra, la stavano travolgendo. Decise che non sarebbe uscita di lì. Non le importava se ne avrebbe pagato le conseguenze: una volta in quella serata le era bastato. Tutto sembrava andarle addosso, sentiva ogni tipo di emozione sovrastarla. Si coprì le orecchie sperando di non sentire nulla, come se quel gesto potesse isolarla da tutto. Ma non funzionò. Allora iniziò a sfogarsi: pianse, gridò. Tanto nessuno poteva sentirla.
   
 
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